Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Yoko Hogawa    19/07/2008    5 recensioni
<< Allora, com’è successo? Li hai mostrati in pubblico o cosa?>> chiese, camminando tranquillamente con le mani in tasca.
Kiba rimase sorpreso dalla domanda, non capendo assolutamente cosa intendesse l’altro con quelle parole. << Cosa?>> chiese dunque, girando il volto verso Nara senza capirci esattamente molto del discorso.
Shikamaru si voltò in sua direzione, osservandolo con un sopracciglio alzato. << Cos’è, fai il finto tonto?>> rispose, forse sgarbatamente, lo studente.
Ok, ora cominciava a seccarlo. << Io non faccio il finto tonto, ti ho chiesto solamente “cosa” avrei dovuto mostrare >> rispose poi il castano, mettendosi sulla difensiva. Non gli piacevano per nulla le persone che gli davano del tonto senza conoscerlo, sua sorella lo aveva fatto anche abbastanza durante la sua turbolenta adolescenza femminile del cavolo.
[SasukexNaruto][ShikamaruxKiba]
Genere: Azione, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: ormai è il posto fisso prima di cominciare è___é

Note: ormai è il posto fisso prima di cominciare è___é

Ok, oggi sono andata al cinema a vedere un film… non so come definirlo… ma che mi ha dato spunto per la fic.

Comincio dunque con i dovuti ringraziamenti e passo subito alla scrittura!

Capitatapercaso: Guarda, concordo con te. Mi svito gli occhi anche io leggendo, e vorrei portarmi la vista fino alla vecchiaia. Ma ho provato a postarlo più in grande e veniva un appiccicume peggio del Verdiana 8 *annuisce* scusa se lo tengo in piccolo, ma sembrava un quadro di Picasso più grande ç____ç. Grazie mille per il commento, il teatrino con tutti i personaggi mi ha fatto morire! E naturalmente il tuo è il commento più lungo XD spero che anche questo capitolo ti soddisfi come pare abbiano fatto gli altri! E grazie per aver letto e commentato! Slice: Ti giuro, non sai quanto sono contenta che ti piaccia il mio stile di scrittura ç_____ç e anche la trama, ovvio, anche se mi sto faticosamente riservando di non ampliarla sempre di più altrimenti mi viene un casino bestiale! XD Tranquilla, andrò a dare un occhio anche alla tue fic *annuisce* te lo devo, dato che tu hai letto e commentato la mia! Grazie mille! Girlstreet: La mia fantasia ringrazia, e anche io XD Grazie mille per aver letto e commentato!
LalyBlackangel: Ci avevo effettivamente pensato di inserire una KibaIno per un pezzo di trama, ma la mia anima da yaoiomane si è rivoltata stile sottiletta
. E, alla fine, le mie mani non ne hanno voluto sapere di scriverne un pezzo. E il fatto che il mio corpo prenda da solo di questa iniziative mi inquieta grandemente… XD so che mi si aprirebbero molte porte, ma ho uno schema e preferisco tenerlo così com’è; se comincio a cambiare particolare addio linea generale di pianificazione! Grazie per avere letto e commentato, spero che ti piaccia anche questo capitolo! Shichan: Beh, aibou, quello che dovevo dirti te l’ho detto in separata sede, cmq grazie XD VavvyMalfoy91: Dovrebbero metterli fuori legge i tuoi commenti, mi fanno sentire troppo brava, e questo non va bene! >___< che dire, sono felice di rientrare nelle tue divinità.org, nessuno mi aveva fatto salire al livello divino fino ad oggi! *_____* che bello, si vede il mondo dall’alto! *sta seduta sul trono* … oh myself, torniamo con i piedi per terra che è meglio. Oltre a ringraziarti per aver letto e commentato, per il momento non so che altro dire! XD Spero che ti piaccia anche il terzo capitolo, e spero anche che la mia vena creativa non mi mandi a quel paese proprio ora >.> OnlyAShadow: Non sei solo tu a saltare delle parti, ma anche io che mi perdo nello spiegarle, probabilmente XD Grazie mille per aver letto e commentato! Kagchan: Sì, anche io seguo l’Ouran XD e anche io ho tutti i numeri del manga fin’ora usciti, ovvio ù____ù. Grazie mille per aver letto anche questo capitolo! XD

Oh, un’altra cosa. Questo capitolo sarà parecchio Kiba-centric. Mi dispiace di non poter ancora dare spazio al SasuNaru, ma per esigenze di trama devo sviluppare prima Kiba, poi passare agli altri due U___U. Comunque più avanti ce ne sarà a volontà.

Ok, fine delle comunicazioni di servizio!

.:: Enjoy! ::.

 

 

 

Chapter 02 ~ Second Echo

Quel Confine fra Sogno e Realtà

 

Era rimasto a guardare il lenzuolo bianco sotto cui vi era il cadavere della ragazza suicida fino alle sei del mattino, ora in cui la preside aveva deciso di portare il corpo nei sotterranei.

E lui, lo sguardo vuoto piantato su quel lenzuolo, non aveva mai smesso di fissarla, poggiato al davanzale della finestra da cui, per una qualche ragione che non riusciva a capire, stava per buttarsi a sua volta.

Aveva visto arrivare praticamente tutto il corpo insegnanti, da quella finestra. Per primi la preside e il vicepreside, madamigella Tsunade in pigiama e vestaglia verde di seta e il pallido volto di Orochimaru, le labbra sottili piegate in un ghigno sadico alla vista del sangue che macchiava il cemento del cortile interno.

Successivamente era arrivato correndo il vescovo della chiesa, sua eccellenza Jiraiya, in pigiama a sua volta e con la lunga chioma di capelli bianchi lasciai cadere lungo la schiena.

Poi, uno ad uno, tutti gli insegnanti. Aveva riconosciuto la zazzera argentea del maestro Kakashi chinarsi sul cadavere, sollevare appena il lenzuolo e guardarlo per qualche istante.

Si chiedeva come facevano a non vomitare, dato che lui aveva la nausea solamente a guardarlo da lì. Poi, senza cambiare nemmeno posizione, si domandava perché pensasse a queste cose stupide proprio in un momento come quello. Quella ragazza era morta, santo Cielo, e lui l’aveva sognato con 24 ore d’anticipo!

Tutto nello stesso, identico, fottutissimo ordine.

Ma, ovviamente, non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Non ci pensava nemmeno.

Dopotutto poteva essere una coincidenza. Una strabiliante coincidenza, a dirla tutta.

Ma si sa, gli esseri umani possono credere a tutto, persino alle loro stesse menzogne.

Naruto era rimasto con lui per tutto il tempo, appoggiato con un braccio intorno alle sue spalle e la fronte accanto alla sua spalla. Molte volte aveva tentato di dissuaderlo da rimanere a guardare, tentando di convincerlo a tornare in camera, ma non c’era stato verso.

Semplicemente perché non riusciva a muoversi da quella finestra.

Non aveva mai visto nessuno morire, in vita sua…

Pian piano tutti si ritirarono nelle loro stanze e quando anche la preside stava per andarsene, Sasuke la intercettò. Lasciando Kiba nelle mani di Naruto era sceso al pian terreno, in modo da poter parlare con madamigella Tsunade. E, dal modo in cui entrambi girarono il volto in sua direzione, capì al volo che parlavano di lui.

E cosa doveva dirgli: “madamigella Tsunade, Kiba era sonnambulo e stava per lanciarsi dalla finestra”? Bel lavoro, e la preside cosa avrebbe dovuto farci, dato che ora aveva un cadavere nelle cantine?

Non vide come andò a finire la discussione, non ne ebbe improvvisamente voglia.

D’un tratto si sentiva sfinito, senza energie.

Salutò Naruto, rifiutando gentilmente la sua offerta di accompagnarlo fino alla camera e, a passo lento, tornò a letto. Tanto, come avvertirono poche ore dopo, le lezioni del giorno erano state annullate.

Ed era sul quel letto che ancora stava, cercando un sonno che da ore non aveva intenzione di arrivare. Non aveva nemmeno tentato di cambiare posizione, rimanendo sul fianco con il volto in direzione della porta, le mani abbandonate accanto al viso.

E non aveva chiuso occhio nemmeno per un istante, fissando costantemente e senza guardarlo davvero l’angolo della porta in basso a destra, come se ci fosse un motivo di valore esistenziale in quella precisa zona del muro.

Distolse lo sguardo solamente quando, rompendo violentemente il silenzio, bussarono due volte alla porta.

Silenzio. Il silenzio di chi aspetta una risposta e, d’altra parte, il silenzio di chi non aveva la forza di aprir bocca per fornirla.

Bussarono di nuovo dopo poco, insistentemente. << Inuzuka, sei in camera? >> si aggiunse al rumore sordo appena provocato.

Riconosceva il timbro.

Sospirò, raccogliendo le braccia sotto al torace e, puntellandosi sul materasso, fece forza per sollevarsi. Le gambe, dopo ore ed ore passate in posizione fetale, si opposero con il dolore al suo tentativo di alzarsi, venendo tuttavia vinte dalla volontà del loro proprietario.

Si alzò in piedi barcollando e, con qualche passo un po’ malfermo raggiunse la porta, sbloccandone la serratura con un giro di chiave. Appoggiando poi la destra sul pomello, lo girò in senso orario fino ad aprire la porta.

Come aveva immaginato. Davanti a lui, con in mano un vassoio di legno laccato con sopra qualche pietanza, Shikamaru Nara lo osservava con i suoi occhi neri e sottili, i capelli tirati nella solita coda alta.

Lo osservò con gli occhi socchiusi e gonfi, ricevendo in cambio lo sguardo pigro ma preoccupato del moro, che gli sorrise appena. << Pensavo non fossi in camera >> disse, posando gli occhi sul cibo che trasportava << ti ho portato qualcosa da mangiare, Naruto mi ha detto che non sei sceso a pranzo e nemmeno a colazione >> aggiunse, probabilmente per sopperire al silenzio di Kiba, che stava semplicemente in piedi a guardarlo.

Kiba abbassò lentamente gli occhi sul vassoio, storcendo appena il naso quando il suo stomaco si chiuse, facendogli notare la poca voglia che avesse di mangiare qualsiasi cosa. Soprattutto, come in quel caso, la macedonia con yougurt che il moro gli aveva portato su dalla mensa.

<< Non ho fame… >> sussurrò solamente, ritornando con le iridi castane su quelle scure di Shikamaru.

Il moro sospirò, allungando comunque il vassoio a Kiba che, più per riflesso condizionato che per altro, lo afferrò. << Immaginavo una risposta simile, ma il signor Ichiraku ha insistito perché ti portassi almeno della frutta. Naruto voleva rifilarti del ramen, dovresti ringraziarmi >> disse, portandosi poi le mani in tasca e osservandolo con la sua solita, classica espressione seria e pigra al contempo.

Il signor Ichiraku era il capocuoco della mensa. Faceva un ramen eccezionale, a sentire Naruto, ma cucinava benissimo anche molte altre cose. Aveva la vaga sensazione che quell’uomo si affezionasse in fretta a tutti coloro che apprezzavano la sua cucina, per questo si era preoccupato di mandargli qualcosa da mangiare, non avendolo visto né per colazione né per pranzo.

Figurarsi che aveva perso la cognizione del tempo, non sapeva nemmeno che ore fossero al momento.

Tuttavia, non sembrò gradire la risposta. Ringraziarlo? Ringraziarlo per cosa, per una misera terrina di macedonia con un barattolino di yogurt sopra? Ringraziarlo per essere sparito per un giorno intero? Ringraziarlo per non essere stato con lui, mentre quella ragazza si buttava dal tetto? Ringraziarlo per cosa, per essere ricomparso quando non ce ne era bisogno?

<< Non te l’ho di certo chiesto io >> fu la risposta del castano, la voce sibillina e lo sguardo basso.

Ma cosa… stava pensando? Idiota, non aveva di certo bisogno di Shikamaru. Sapeva badare a se stesso, santo Cielo.

Nonostante il tono palesemente ostile della risposta il moro non fece una piega. Forse se l’aspettava o forse semplicemente non gli importava, in ogni caso la cosa sembrava non toccarlo minimamente. Era la seconda volta che lo notava, Shikamaru riusciva a mantenere un controllo quasi perfetto sulle sue emozioni.

Chiuse poi gli occhi, sorridendo ironicamente. << Hai ragione >> rispose, voltandosi a destra e cominciando a dirigersi in direzione delle scale, in silenzio.

Il castano lo osservò senza aggiungere nulla, mordendosi il labbro inferiore mentre lo seguiva nella sua camminata lenta e tranquilla. Una parte di lui lo faceva sentire in colpa per come gli aveva risposto; dopotutto era solamente venuto a portargli della frutta… ma un’altra parte, quella nascosta più in profondità nel suo istinto, gli diceva di essere nel giusto, gli diceva che nessuno si sarebbe mai fatto passare per il cervello di andare a disturbare uno che aveva assistito poche ore prima ad un suicidio, gli diceva che Shiakamaru non capiva nulla di come si sentiva in quel momento, che era solo uno stupido.

Tuttavia, sembrò vincere la ragione, questa volta.

<< Scusami >> gli disse, prima che il moro si fosse allontanato troppo. Ovviamente non sollevò lo sguardo oltre sue le gambe, notando solamente che, fermandosi, si era voltato leggermente verso di lui… e questo era sufficiente.

Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Anzi no, non aveva bisogno di guardarlo negli occhi.

Non vide l’espressione che fece Shikamaru ma, a giudicare dall’intonazione, probabilmente si aspettava anche le sue scuse. Eh sì, doveva proprio chiederglielo come facesse a capire così facilmente cosa gli passasse per la mente.

<< Non fa nulla >> rispose infatti il ragazzo << considerando quello che hai passato, va bene così >> aggiunse, le mani ancora nelle tasche quando si girò di nuovo, ricominciando a camminare.

<< Ah, Nara? >> aggiunse poi, alzando la voce in modo tale che il moro potesse ancora sentirlo.

Cosa che accadde, dato che si fermo pochi passi dopo, voltandosi in sua direzione e attendendo in silenzio la domanda.

<< Come… si chiamava, la ragazza? >> chiese, questa volta guardandolo in volto.

<< Agatha >> rispose il moro, alzando una mano in segno di saluto e incamminandosi nuovamente verso le scale, ormai non troppo distanti.

Kiba sorrise appena, osservando la sua schiena mentre si allontanava. E, in un pensiero quasi buffo, gli venne in mente: anche Shikamaru portava la divisa come lui e Naruto; nello stesso, identico modo.

 

Stava seduto sul banco, la camicia da notte in seta bianca a mezze maniche e collo alto. I capelli biondi gli ricadevano morbidi sulla spalla destra, racchiusi in una treccia ordinata che terminava in un fiocchetto nero.

Di nuovo così, di nuovo come l’altra volta.

Si sentiva Kiba ma, allo stesso tempo, era come se non lo fosse.

E, di nuovo, era triste di una disperazione talmente profonda da non riuscire nemmeno a ricordarsi cosa si provasse ad essere semplicemente felici.

Oppure, semplicemente a sorridere.

C’era, ma era come se non ci fosse. Vedeva le sue mani, il suo corpo che suo non era, i capelli che mai in vita sua erano stati così lunghi, o di quel colore.

Chi era lui? Chi era la persona di cui ora aveva le sembianze e le sensazioni?

Chi era, colei con la quale riusciva a sincronizzarsi così?

…che domande si stava… facendo?

Abbassò lo sguardo sui suoi polsi, lievemente, canticchiando a bassa voce una canzoncina con voce acuta e melodiosa mentre, con la destra, quasi abitudinariamente staccava il pezzo di scotch medico che teneva ferma una benda, cominciando a srotolarla.

<< Balla la notte sopra la Terra, balla la Luna nell’oscurità…  >>

Srotola, srotola… l’odore di disinfettante che diveniva quasi fastidioso.

<< Scende il buio nella mia mente, scende la notte sulla realtà… >>

Tagli, tagli, tagli… decine, forse di più, di piccole tracce lineari su una pelle arrossata e martoriata.

Bruciavano, bruciavano come il ghiaccio, di quel dolore sordo e silenziosamente lacerante.

<< Giudica la colpa, giudica la pietà. Ma il perdono è qualcosa che non arriverà! >>

All’ultima parola, all’ultima nota, la mano destra si alza davanti al volto. L’unghia dell’indice, facendogli dolere i tendini della mano fino a fargli fischiare le orecchie, cresce fino ai venti centimetri, affilata quanto un rasoio e, con un movimenti abile e veloce, recide in un lampo la pelle del polso destro, ora scoperto dalla benda, lasciata posare a terra in un piccolo mucchietto bianco e scarlatto.

Sangue.

Scorre lentamente, caldo, colando lungo il polso fino al braccio, cominciando a gocciolare sulla vestaglia bianca, macchiandola di tracce rubine che ne inquinano la purezza, il candore di quel bianco quasi angelico.

Al collo, un crocefisso d’oro.

<< Non c’è redenzione per noi, Signore. Non c’è pietà per noi, Signore >> continua, alzando il braccio.

E colpendosi. Ancora. Ancora. Ancora.

Ancora uno, ancora più profondo.

E il sangue scorre nella notte nera, rendendo tutto scuro e freddo, finchè il liquido vitale non colora anche l’;oscurità di scarlatto brillante, di caldo rubino tremante di vitalità.

Finché la vista non si affievolisce, finché l’udito pian piano non svanisce…

L’ultimo battito debole di un cuore straziato dal peccato.

Da un peccato che, lui, non sapeva nemmeno quale fosse.

Il peccato invisibile del peccatore di cristallo.

 

Aprì lentamente gli occhi, senza fiato, trovando tuttavia difficoltà nel mettere a fuoco il soffitto bianco.

Notte. Era ancora notte, per fortuna.

E stava… piangendo. Per quello non vedeva.

Una caldo velo di lacrime gli riempiva gli occhi, scendendo lentamente lungo la gota, arrivando a sfiorare l’orecchio in una preziosa scia salata di tristezza.

Che cos’era? Quello… che cos’era?

Basta, basta! Quante volte ancora doveva sognare gente che si toglieva la vita? Agatha non era bastata?

Evidentemente no.

Trattenne il fiato per non singhiozzare, appoggiandosi l’avambraccio destro sugli occhi come se qualcuno potesse vederlo e lui, orgoglioso, non volesse farsi vedere. Gli uomini non piangono, solo le donnicciole lo fanno.

Si morse le labbra, trattenendo il respiro il più possibile, ma fu inutile: prima o poi lui avrebbe dovuto respirare e, prima o poi, avrebbe emesso, volente o nolente, quel singhiozzo che cercava invano di trattenere.

E, nonostante fosse fisicamente da solo, in realtà non lo era. Perché lui doveva fronteggiare il suo orgoglio e, in questo caso, non si è mai soli.

Respirò dunque lentamente, concentrandosi e facendo entrare aria lentamente all’interno dei polmoni. Doveva calmarsi, se respirava lentamente ce l’avrebbe fatta non lasciarsi andare, a non piangere come una femminuccia.

Anche questo merito di sua sorella, a cui aveva visto fare le respirazioni per calmarsi, prima dell’esame. Diamine, quella ragazza si stava rivelando più utile del previsto.

Pensando alla sorella si rese improvvisamente conto di una cosa; mentre sua madre lo chiamava non appena sembrava avere un attimo libero, sua sorella non si era ancora fatta sentire. Aveva detto che gli avrebbe mandato delle e-mail… già, figurati se si disturbava a prendere in mano un telefono e comporre un numero, troppo semplicistico per la signorina college-dei-sogni.

Sospirando si alzò, finalmente calmo, scostando le lenzuola con un la destra e si diresse con qualche passo verso la scrivania, sedendosi sulla sedia girevole.

Accese il computer, attendendo che il sistema caricasse le impostazioni.

Lo sguardo scivolò sulla porta chiusa, rimanendovi incatenato. Se il sogno era come quello precedente… forse in questo momento… all’interno di una delle classi…

No. Non aveva intenzione di crederci un secondo di più. Tutta quella faccenda di Agatha era una coincidenza, soprattutto quella che riguardava il suo sogno e, comunque, se anche fosse accaduto che qualcuno si tagliasse le vene, se doveva prendere in considerazione la precedente esperienza il cosiddetto “suicidio” sarebbe avvenuto dopo 24 ore. Si rifiutava di dare ragione ai suoi sogni… anche solo pensarlo era idiota.

Con un piccolo suono, il computer evidenziò l’avvenuto caricamento delle impostazioni. Il suo sguardo si distolse dalla porta, andando allo schermo luminoso nel buio della camera.

Era lampante che non aveva ancora messo mano a quel computer. Effettivamente, da quando era arrivato, non aveva ancora avuto occasione per lavorarci e, dunque, per personalizzarselo.

Tuttavia, avendo una casella e-mail in comune per tutta l’accademia, almeno quella non doveva impostarla tutta da capo.

Spostò il mouse sull’icona delle mail, ciccando velocemente due volte. Una volta aperto, cliccò l’icona “invia/ricevi” aspettando che avesse terminato di scaricare tutte le varie mail che gli erano arrivate.

In tutto, erano 3.

Aprì subito la prima, proveniente dal centralino della scuola; ovvero dalla segretaria di madamigella Tsunade, la signorina Shizune. Comunicava le regole dell’accademia, i coprifuoco, i titoli dei libri dell’anno in corso e faceva i personali auguri per la recente ammissione alla scuola.

Non vi era obbligo di risposta e lui, figuriamoci, non ne aveva nemmeno intenzione.

Aprì la seconda e-mail che notificava la presenza in rete di uno di quei super-virus informatici di nuova generazione che ti distruggeva l’hard-disk in venti millesimi di secondo, magari facendo anche una giravolta, qualche capriola, e facendo apparire una scimmia in mutande che ti cantava le Tagliatelle di Nonna Pina sullo schermo mentre il piccolo, insignificante codice numerico binomiale comunemente chiamato “virus” si ingoiava i tuoi dati e chiedeva anche caffè e grappino.

La metà di quelle mail di notifica risultava poi una farsa, dunque la ignorò direttamente, cancellandola.

Finalmente l’ultima portava come titolo un certo “Cagnolino” che, ne era sicuro, poteva appartenere ad una persona sola.

Sua sorella; e la sua mania di chiamarlo ancora come quando era bambino, sfottendolo appena vi era l’occasione.

La aprì, leggendola velocemente. Il testo consisteva in due righe, neanche così tanto sentite, in cui chiedeva se la nuova scuola fosse interessante e se avesse incontrato qualche tipo carino da presentarle.

…per chi l’aveva preso, per una delle sue amichette chit-chat?(*)

Tuttavia, mentre pensava a cosa rispondere con la faccia di chi deve scrivere al despota di turno, pensò che, effettivamente, la risposta sincera alla domanda “com’è la scuola?” sarebbe stata talmente esauriente da farle venire un infarto sul posto, ovunque avesse letto la mail di risposta.

Una cosa tipo: “vedi sorella, la scuola sembra uno zoo alieno degno di un libro fantasy, di cui tu dovresti sapere qualcosa. Mancano solo Edward Cullen e Jacob Black (*2) ed è finita la collezione. Il mio professore legge gli stessi libri che leggevi tu qualche anno fa e, tieniti forte, il mio impiego nel mondo sarà quello di fare l’Alchimista. Non chiedermi che reddito hanno gli alchimisti, ma se ti si rompe qualcosa te lo posso aggiustare nel giro di venti secondi!” non sarebbe stata assolutamente male.

Incisiva, sufficientemente esplicativa, senza ombra di dubbio da infarto del miocardio.

Tuttavia, lo ammetteva con se stesso, credibile come gli asini volanti.

Sbadigliando più per noia che per sonno sbuffò, decidendo di adottare la più classica forma del “qui tutto bene, scuola tutto bene, professori strani ma tutto bene. Tu?” battendo il record della sorella, concludendo tutto in nemmeno mezza riga di testo. Dopotutto chiedeva solo per gentilezza, non che si aspettasse veramente una risposta a cui, sempre per educazione nei confronti della famiglia, avrebbe dovuto rispondere nuovamente.

E, senza offesa per la madre, ma uno scambio di mail con la sorella maggiore non era la sua massima aspirazione.

Decise dunque di chiudere il programma e, osservando l’orologio, prese la solenne decisione di risistemare quel computer a modo suo. Cominciando, per esempio, a scaricare della musica… o meglio, scaricando il programma per scaricare la musica, dato che quel PC era più vuoto del suo stomaco.

Tanto, non si sarebbe riaddormentato comunque.

 

Il giorno dopo la sua espressione a lezione diceva solamente una cosa: “letto, cuscino, buonanotte”.

Se ne stava seduto al banco, ascoltando le varie chiacchiere mattiniere di Ino e Sakura senza tuttavia sentirle davvero. Non si ricordava nemmeno quando aveva dato loro il permesso di chiamarlo per nome, il che è tutto dire.

Le normali quattro ore di lezione erano passate senza che se ne accorgesse, mentre il maestro Kakashi spiegava qualcosa su un tratto dei cerchi alchemici con la sua solita flemma. Aveva preso appunti piuttosto confusionari, dato che non aveva ancora ripreso tutti gli argomenti dei primi due anni, ma almeno aveva fatto del suo meglio per stare attento, fra uno sbadiglio e l’altro.

Pensandoci attentamente, aveva passato quattro ore al computer, prima di scendere a colazione.

Computer che ora sembrava un po’ più il suo e un po’ meno uscito da uno scatolone.

Si era completamente scordato del sogno, della ragazza, di Agatha e del suo sonnambulismo. Anzi, aveva appositamente fatto in modo di  non pensarci, cercando di dimenticare.

Non era tipo da perdersi in pare mentali che potevano non avere né capo né coda.

<< Inuzuka! >> si sentì poi chiamare, interrompendo i suoi pensieri.

Alzò il volto in direzione della porta, notando che la classe era quasi vuota e solo qualche compagno si attardava a chiacchierare ai banchi. Era già suonata la campana? E quando?

Là, in piedi accanto allo stipite, Naruto Uzumaki aveva alzato una mano in sua direzione. Aveva in mano una specie di scatolone in legno scuro e, al polso destro (la mano con cui tratteneva quella scatola) pendeva una sportina bianca di plastica. Lui si alzò, lasciando come al solito la cartella in classe e avvicinandosi al biondo.

<< Yo, Uzumaki >> salutò, portando una mano al viso per coprire l’ennesimo sbadiglio.

<< Yo, Inuzuka >> rispose a tono il biondo << dormito poco? >> aggiunse subito dopo.

Kiba aprì un occhi durante lo sbadiglio, aspettando di terminarlo prima di rispondergli << dormito male >> disse, sfregandosi gli occhi con la mano destra << incubi >> aggiunse in spiegazione, rimanendo però sul vago.

La reazione che ebbe Naruto lo lasciò interdetto, semplicemente perché non se la aspettava. Prima lo osservò stranito, per poi abbassare lo sguardo e puntare le iridi azzurre sull’angolo della porta. Inconsciamente poi fece un passo indietro, incontrando lo stipite della porta. << Mi… dispiace >> aggiunse infine, sorridendo imbarazzato.

Ma che aveva capito? Che stesse pensando a quella storia di Agatha?

<< Guarda che non è colpa del… beh, di quello >> chiarì subito Kiba << ultimamente mi capita di fare sogni… strani. Ma credo sia a causa del cambio di ambiente. Insomma, sono nella scuola da poco tempo… >> aggiunse, infilandosi le mani in tasca come al solito.

Naruto sembrò sollevato e, a riprova di questo, sospirò profondamente. << Meno male >> disse poi, sorridendo allegro. << Bene, ora andiamo a pranzo che sto morendo di fame! >> esordì, prendendo Kiba per un gomito e, ridacchiando, cominciò a tirarlo in corridoio.

<< Uzumaki, so camminare anche da solo! >> sbottò il castano mentre veniva letteralmente trascinato per il corridoio, sotto gli sguardi talvolta interdetti e talvolta divertiti di quelli che incrociavano.

<< No! Poi va a finire che ti perdi di nuovo! >> lo sfotté il biondo, continuando a tirarlo.

Kiba, per tutta risposta, gli diede un pizzicotto sulla mano, cosicché il biondo fu costretto a mollarlo per cause di forza maggiore. << Ahio! Fa male! >> si lamentò, massaggiandosi il dorso della mancina.

<< Uomo avvisato mezzo salvato >> ribatté Kiba, ricominciando a camminare affiancandosi al biondo. << Piuttosto, non stai con Uchiha oggi? >> chiese soprapensiero, seguendo l’altro lungo il corridoio prima di svoltare lungo il ponte sospeso.

Veniva chiamato “ponte sospeso” perché era un corridoio letteralmente sospeso sopra il giardino interno, che lo attraversava per tutta la lunghezza, connettendo l’edificio delle classi ad un edificio più piccolo, dove vi era la biblioteca. Poteva essere raggiunto anche dal basso, tramite due corridoi che andavano paralleli al piano terra, ma sicuramente la camminata sul ponte era molto più apprezzabile. Entrambi i lati del ponte erano fatti per di finestre, dal soffitto a punta fino al pavimento, e la stabilità alla struttura era data da una particolare sospensione ad arco stile Golden Gate Bridge, però al contrario. Due enormi archi, infatti, univano le due estremità del ponte, da cui partivano diverse corde in acciaio che di collegavano al tetto e trattenevano il corridoio in una immobilità perfetta, anche in caso di tempesta. Geometricamente, era come se il ponte sospeso fosse la corda di una semi-circonferenza.

Poteva essere anche romantico, sotto certi punti di vista.

<< Non pranziamo mai insieme >> rispose Naruto con semplicità, voltando il capo in sua direzione << Sasuke solitamente mangia con il Signore delle Mosche e altri della nostra classe. Credo sia una specie di cosa tipo “pranzo con gli amici e cena insieme” Ma è abitudine, più che altro >> terminò, arrivando velocemente alla fine del ponte sospeso.

Ah, dunque Uchiha non era allergico ai rapporti sociali…

<< Il Signore delle Mosche? >> chiese però Kiba, alzando un sopracciglio.

<< Shino Aburame >> rispose velocemente Naruto, annuendo come se fosse una cospirazione solo fra loro due << Quello con cui abbiamo pranzato l’altra sera. è un Esper ed è in classe con Shikamaru. Comanda gli insetti come vuole, è roba da non credere… >>

Certo, parlava la reincarnazione della Volpe a Nove Code…

<< Ah. Abilità… >> ci pensò sopra un momento << …schifosa. Stavo per definirla interessante ma mi manca il coraggio per farlo >> ribatté il castano, mostrando la lingua in segno di disprezzo.

<< Già, concordo… >> aggiunse Naruto, guidandolo ora diritto lungo la porta esattamente di fronte alla fine del ponte sospeso. Con una leggera pressione sulla maniglia il biondo la aprì, cominciando poi a salire la scalinata semibuia che gli si era presentata davanti.

<< Dove porta? >> chiese Kiba seguendolo, salendo i gradini giusto dietro di lui.

<< Lo vedrai >> rispose Naruto, arrivando velocemente alla fine di quella scalinata, dopo una leggera curva a 90° della stessa.

Una volta che Naruto ebbe aperto anche la seconda porta, un fascio di luce esterna lo investì in pieno, facendogli chiudere gli occhi per un istante. Una volta che si fu abituato alla luce, la visione di un cielo azzurro e soleggiato tipico settembrino si scontrò con quella di un terrazzo non molto largo, ma sufficientemente grande per permettere a un gruppo di amici di riunirsi per pranzare insieme.

La veranda sarà stata ampia circa tre metri per quattro e dietro di loro, ovvero a livello della porta da cui erano entrati, il tetto di quello che doveva essere l’edificio della biblioteca scolastica era formato da tegole di cotto color blu, molto particolari, con un crocefisso dorato in cima ad una piccola torretta.

Probabilmente avevano ripreso lo sfondo cromatico della chiesa, elaborata in un stile gotico in un tipo pregiato di marmo dalle sfumature azzurre, soprattutto in giornate limpide come quella.

Uno volta che il suo sguardo si fu completamente abituato alla luce, Kiba poté finalmente vedere a quale “gruppo” si riferiva Naruto quando, qualche giorno prima, lo aveva invitato ad unirsi a “loro”. Sulla destra, seduto a gambe incrociate, un ragazzo grasso e dai capelli lunghi dal colore castano chiaro sgranocchiava un pacchetto di patatine. Aveva la giacca della divisa completamente slacciata, la cravatta assente, ma si poteva vedere benissimo una croce in oro appuntata sopra lo stemma. Un Esorcista, anche se non lo sembrava affatto. Cos’è’ che esorcizzava esattamente, i pacchetti di Cipster?

Dalla parte opposta, steso a terra con le braccia portate dietro la nuca, Shikamaru “ciuffo ad ananas” Nara osservava le nuvole che, pigramente, si rincorrevano nel cielo nella piacevole brezza di fine mattina.

<< Yo raga! >> salutò allegramente Naruto, alzando in aria la mano con lo scatolone e la sportina << il cibo per i campioni! >> aggiunse poi, attirando l’attenzione degli altri due.

<< Ti prego Naruto, sembra la pubblicità della Friskies… >> commentò Shikamaru, alzandosi quasi faticosamente dalla sua posizione distesa, osservando solo adesso Kiba, in piedi a fianco del biondo. << Oh, Inuzuka >> commentò solamente, alzando una mano in segno di saluto.

<< Nara >> salutò cortesemente Kiba, alzando la mano sinistra a sua volta. Un leggero venticello muoveva la giacca delle loro divise e faceva ondeggiare i capelli del ciccione, dato che erano sicuramente i più lunghi.

<< Finalmente Naruto, sei in ritardo! >> esordì invece l’altro ragazzo, allungando subito le mani verso il biondo << hai preso il mio pranzo, eh? Ichiraku ha preparato la mia bistecca preferita anche oggi? >> cominciò a domandare, osservando Naruto come se dovesse mangiarselo al posto del pranzo, se non glielo consegnava subito.

<< Per chi mi hai preso, animale! Io non sono il tuo cameriere! >> ribatté il biondo, alzando la scatola nera sopra la sua testa << prima le dovute presentazioni >> aggiunse poi, girandosi in direzione di Kiba.

<< Dato che Shikamaru lo conosci già… >> cominciò dunque il biondo << …ti presento Choji Akimichi, ha la nostra età. Choji, questo è Kiba Inuzuka, il novellino degli Alchimisti >> disse tranquillamente Naruto, indicando Kiba con il pollice.

Sospirò rassegnato. Per quanto ancora doveva essere chiamato “novellino” in quella cavolo di accademia?

Osservò Choji con espressione rassegnata, convincendosi mentalmente a sfoderare un sorriso abbastanza credibile. Perché veniva trascinato sempre in giro, perché?

<< Piacere >> disse quello, sorridendo << puoi chiamarmi Choji se ti va, a me non interessa >> rispose allegro.

Kiba rimase sorpreso per un attimo. Nonostante la stazza, quel tizio sembrava buono come un pezzo di pane e, di certo, non appariva pericoloso e/o potenzialmente omicida e/o un mezz’angelo/mezzo demone frustrato con crisi da sterminatore.

Beh, essendo un Esorcista la sua particolarità poteva essere solamente quella di vedere le cose ultraterrene, no?

<< Ah, grazie. Anche tu chiamami pure Kiba >> rispose, automatismo di cortesia, e Naruto prese la palla al balzo: << allora anche io! >> disse contendo, circondandogli le spalle con la mano libera dall’ingombro del pranzo << tu chiamami Naruto. E anche Shikamaru, ovvio! >> aggiunse subito, coinvolgendo con un sorriso anche il quarto membro, che definire svogliato era una presa per i fondelli. Shikamaru si limitò ad un’alzata di spalle.

Bene, quelle quattro persone erano passate autonomamente al livello “amici” senza nemmeno sapere come.

Beh, almeno avrebbe avuto qualcosa da dire all’ennesima telefonata della sua madre schiavista e militarista.

<< Naruto, vorrei pranzare prima dell’anno nuovo >> intervenne poi Shikamaru, distogliendolo dai suoi pensieri.

<< Esatto Naruto, io ho fame! >> aggiunse Choji, facendo segno con la mano di passargli il tanto agognato pranzo.

<< Va bene, va bene! Asociali! >> disse poi il biondo, distaccandosi dalle spalle di Kiba e indicandogli il posto alla destra di Shikamaru, ultimo per chiudere il cerchio.

Dopo essersi seduto, in contemporanea a Naruto alla sua destra, sorrise. Fare parte di quel gruppetto lo faceva sentire come quando, alla scuola pubblica, Zuzu lo aveva trascinato sul terrazzo con un panino al latte e una lattina di coca da dividere. Si sentiva parte… della scuola, in un certo senso, e non solo come comune essere umano dal senso dell’orientamento ancora nullo, vagante per i corridoi in cerca di qualcosa di indefinito e con la fortuna talmente assente da incontrarsi tutti i soggetti più pericolosi in circolazione.

Diamine… questa descrizione gli calzava proprio…

Si voltò poi verso Naruto, ora intento ad aprire i vari sacchetti e scatole. << Bene bene, le ordinazioni per i signori >> cominciò, scherzando, il biondo. << Shikamaru, per te il solito bento(*3) misto. Ichiraku mi ha detto che oggi ci ha messo le omelette perché aveva finito il salmoneA dire ilm >> disse, estraendo dal sacchetto una scatolina in legno nero, che passò poi a Shikamaru.

Il moro rispose con un semplice “mhdi approvazione, sfilando il coperchio e prendendo le bacchette che Naruto gli stava passando. All’interno vi era da una parte riso, dall’altra un misto di insalata e altre verdure spezzettate, uova sode tagliate ordinatamente, gamberetti ben ripuliti e cinque omelette con prosciutto e formaggio.

Sembrava molto invitante.

<< Kiba, Ichiraku ha detto che ami la carne di pollo, così ti ha preparato un panino con insalata di pollo >> disse Naruto rivolto in sua direzione, consegnandogli il resto del contenuto della sportina in plastica.

<< Sì, va benissimo! >> rispose Kiba, estraendo subito la mezza baguette debitamente avvolta dalla carta stagnola. Quel cuoco era fenomenale, si ricordava persino i suoi gusti da quell’unica volta che gli aveva chiesto il panino al pollo al posto della minestra… incredibile.

<< Per me, il mio ramen di miso! >> esclamò poi il ragazzo, estraendo dalla scatola in legno nero una ciotola con un pezzo di pellicola sopra. << Tesorino mio adorato, farai presto parte di me… >> disse, strusciandosi contro la ciotola per qualche istante, prima di passare all’ultimo ragazzo. << Choji, per te il solito chilo e mezzo di carne grigliata >> disse, avvicinandogli il resto della scatola.

Kiba faticò ad ingoiare l’ultimo boccone, rischiando seriamente di strozzarsi con il pollo e l’insalata che gli stava attorno. Quanta carne aveva detto che si ingoiava quel bidone?!

<< Come fai a strafogarti con tutta quella roba? >> chiese senza tatto, osservando Choji con occhi sgranati inforchettare cinque fette di carne e metterle in bocca.

<< Per Choji è normale >> intervenne Shikamaru, evidentemente abituato allo spettacolo << ci farai l’abitudine >> concluse solamente, sotto l’annuire convinto di Naruto, anche lui con la bocca piena di ramen.

<< …sì, certo… >> anche se, a dire il vero, non ne era affatto convinto. << Piuttosto Uzum… Naruto >> si corresse solamente all’ultimo istante, facendo sorridere il biondino << come faceva Ichiraku a sapere che venivo a mangiare con voi? >> chiese.

<< Gliel’ho detto io >> rispose semplicemente lui, risucchiando l’ultimo spaghetto di miso. << Avevo intenzione di invitarti, così gli ho detto di preparare anche qualcosa per te >> aggiunse allegro.

<< Noi non mangiamo mai in mensa >> si aggiunse Shikamaru, osservandolo con la sua solita faccia scocciata << era questo che volevi chiedere? >> chiese, afferrando con le bacchette un po’ di riso e portandoselo alla bocca.

Ma come diavolo faceva sempre, quello?!
<< …un giorno mi dirai come fai a leggermi nel pensiero >> gli rispose il castano, Shikamaru sorrise appena.

<< La mensa è troppo rumorosa >> rispose per lui Choji, che aveva già divorato tutta la carne. << gente che va e che viene, un chiacchiericcio continuo in sottofondo, gli urletti isterici delle ragazze… dopo un po’ fanno venire mal di testa >> aggiunse, massaggiandosi la pancia con la mancina.

<< Abbiamo trovato questo posto per caso >> disse poi Naruto, per continuare il discorso << e dunque ci riuniamo qui a mangiare. A cena non possiamo, dato che è buio, ma per il pranzo è l’ideale >> terminò, sorridendo allegro.

Più li guardava, più capiva che, nonostante le loro diversità, erano veramente amici. Ognuno conosceva i gusti culinari dell’altro, si accettavano per quello che erano e, ne era sicuro, tutti e tre sapevano molte cose l’uno dell’altro.

Eh sì, sembrava veramente il gruppetto della scuola pubblica… con l’unica differenza che ora era in compagnia di uno stomaco stile buco nero, di un demone sanguemisto e di un ragazzo di cui, pensandoci meglio, non sapeva ancora nulla.

Beh, sempre meglio di niente, no?

 

La giornata passò velocemente. Al pomeriggio aveva nuovamente le ore libere, che passò in biblioteca a cercare di avanzare con il programma dei primi due anni.

Aveva Combattimento il lunedì e il giovedì. Venne inoltre a sapere che solamente il terzo e quarto anno facevano due volte a settimana mentre, forse più fortunati, erano quelli del primo e secondo anno, che la facevano solamente una volta a settimana.

Al sabato però si faceva Combattimento al mattino, in quanto non vi erano lezioni teoriche. O almeno, la sua classe non aveva nemmeno quello, al sabato.

Perciò aveva tutto il fine settimana libero, il che non era malvagio.

Come al solito tornò in camera verso le 18, doccia veloce, indossò un paio di jeans scuri e una maglia a mezza maniche azzurra e, tranquillamente, si diresse a cena.

Questa volta mangiò in compagnia di Choji e Naruto, mentre di fronte a lui Sasuke mangiava seriamente al fianco di quell’ Aburame di cui gli aveva parlato Naruto. Sì, doveva essere proprio il “signore delle mosche”… osservandolo, poteva veramente dire che, a confronto, Sasuke era la reincarnazione dell’allegria.

E il perché portasse gli occhiali da sole anche a tavola rimaneva per lui un mistero.

Una volta terminato il suo purea di patate con quella strana fetta di carne che non sapeva cos’era, ma era buona, ritornò in camera lentamente, sbadigliando.

Aveva ancora qualche ora di sonno da recuperare e cominciavano a farsi sentire tutte quante.

Aprì svogliatamente la porta della camera con l’apposita chiave, buttando poi la stessa sul comò a destra e richiudendosi la porta alle spalle, appoggiandovisi sopra con la schiena in un eccesso momentaneo di stanchezza.

Doveva smettere di spostare in continuazione in suo orologio biologico, non poteva dormire perennemente così poco. Certo, quella è una cosa che si può fare durante le vacanze estive, ma quando c’è di mezzo la scuola non è consigliabile, sua madre aveva ragione almeno su questo aspetto.

…ok, stava dando ragione a sua madre. Doveva veramente dormire, altrimenti sarebbe finito ad abbracciare la sorella nel giro di ventiquattro ore, e la cosa lo inquietava grandemente.

Ma parli del diavolo…

Con una melodia famigliare il cellulare, lasciato sulla scrivania prima della doccia, prese a squillare prepotentemente e a vibrare al contempo, emettendo un rumore sordo a contatto con il legno. Sbuffando appena si diresse in quella direzione, afferrando l’apparecchio e leggendovi nel display la scritta “Mamma” lampeggiare insieme al segnale di chiamata.

Sospirando seccato spinse il tasto verde della tastiera, portandosi il telefono all’orecchio e ritornando verso la porta, poggiandovi sopra la schiena ancora una volta. << Pronto? >> chiese retoricamente, rispondendo.

<< Kiba? >> si sentì dall’altra parte.

<< No, il fantasma formaggino >> ironizzò appena, scivolando gradatamente sulla porta e sedendosi a terra. Ma che cavolo di domande faceva?

<< Smetti di fare lo stupido, moccioso >> fu la risposta secca della madre, Kiba sorrise appena. << Come stai? >> chiese poi la donna, l’aria simulata di chi chiama solamente per farti un enorme favore.

<< Come oggi a mezzogiorno mamma, cosa vuoi che cambi in mezza giornata? >> rispose irritato, alzando inconsciamente il tono della voce << mi chiami ogni dodici ore, come vuoi che vada? >> aggiunse, fissando con astio la gamba in metallo del letto.

Dio, non credeva che fosse anche così piattola, sua madre!

<< Io ti chiamo quando mi pare e piace, figlio degenere >> …ecco, per l’appunto.

Militarista fino al midollo, dannata despota!

<< Sì, nulla in contrario, ma potresti far cadere questo “quando mi pare e piace” a distanze maggiori delle dodici ore di routine? Che so, una volta a settimana, per esempio? >> azzardò, immaginandosi già la risposta…

<< Te lo sogni >> …che arrivò puntuale.

<< Scommetto che Hana non ha il “privilegio” di sentirti così spesso, vero mammina? >> chiese, calcando con ironia quelmammina” in modo da smuovere il caratteraccio da contadino di campo che aveva sua madre.

<< Tua sorella non è sempre raggiungibile, e poi lei è adulta, può cavarsela da sola >> rispose la madre, sottintendendo ovviamente “tu sei ancora minorenne, ti metterai in contatto con me anche a costo di venire lì di persona a prenderti a calci nel culo”. Certo, sua madre lo avrebbe detto in modo un po’ più colorito, ma il significato di base era quello.

Doveva dire la verità, aveva anche sfiorato l’idea che sua madre si sentisse in colpa per averlo mandato in quel posto sperduto in terra di nessuno e, per compensare questo senso di colpa, il suo subconscio voleva sentire come se la passava per auto-giustificarsi della scelta di aver mandato il figlio in culo al mondo solamente per il bene della figlia maggiore.

Ma già alla parola “subconscio” aveva avuto il suo dubbio, e arrivando al sinonimo “coscienza” per concatenamento logico aveva scartato l’ipotesi a priori.

Sua madre non aveva una coscienza, poco ma sicuro.

Di una sola cosa era sicuro: avrebbe dovuto ricordarsi di spegnere quel dannato cellulare.

<< Allora Kiba, hai mangiato bene? A scuola tutto ok? I tuoi voti? Dormi abbastanza? >>

Eccole. Le domande da madre incallita, sparate a raffica quando meno te le aspetti e che, in linea con il carattere della donna, pretendevano risposte brevi e concise.

Aveva una sua opinione per tutto ciò. Era probabile che quando una donna diventava madre, nasceva in lei una sorta di complesso che la portava a preoccuparsi più per la maglia di lana dei figli che, magari, della casa che andava a fuoco.

Sospirò nuovamente. Le donne erano quella categoria assurda che non avrebbe mai capito.

<< Sì, mamma, sì… >> rispose esasperato << anzi, ho perso parecchio sonno ieri, per quel fatto che ti ho detto. Se non ti spiace vado a dormire, ok? >> rispose annoiato, alzando gli occhi al soffitto.

Adesso sarebbe partita con la ramanzina a raffica, ne era sicuro. A sua madre non piaceva essere ignorata, maledetto lui che rispondeva senza pensare.

Tuttavia, dall’altra parte arrivò solamente silenzio.

<< …mamma? >> chiese dunque lui, per sincerarsi che stesse ancora parlando con qualcuno e non con se stesso.

<< Kiba… hai fatto degli incubi ultimamente? >> chiese poi lei, il tono serio e lento come se, tutto d’un tratto, parlassero di cose serie. << E’ per questo che non dormi? >> aggiunse poi, sempre con la stessa intonazione.

Il suo cuore perse un battito.

Come faceva a saperlo? Anzi, lo sapeva veramente di quei suoi sogni strani (oddio, lo stava ammettendo…!) oppure vi era qualche altro motivo per quella domanda?

A tutti i bambini capita di fare degli incubi da piccoli, e lui ammetteva che ci aveva perso il sonno molte volte, però… adesso era… perché lo stava chiedendo?

<< M-Ma no, ti pare? >> tentò poi di simulare, sorridendo in maniera talmente colpevole che, se sua madre fosse stata davanti a lui, gli avrebbe letto in faccia la parola “falso” scritta in lettere cubitali.

<< …sei sicuro? >> rispose lei.

Sicuro?! No, santo nettare benedetto, no!

Ma cosa doveva dirle? “Mamma ho sognato che si suicidava una ragazza e, la notte dopo, è successo davvero”?!

Era da ricovero! E sua madre non ci avrebbe pensato due volte a prenderlo per il colletto e mandarlo in clinica, o da qualche strizza-cervelli che seguiva alla lettera la teoria psicanalitica freudiana! Lo aveva spedito lì, no? Quella era una prova tangibile del potenziale di sua madre!

Doveva dissimulare la cosa, doveva nasconderla. Non ci credeva nemmeno lui, santo cielo!

<< Sicuro, mamma. Ho solo perso tempo dietro al computer che abbiamo in dotazione in ogni camera, per quello non ho dormito >> rispose. Beh, mezza verità è sempre meglio di una bugia.

La donna sembrò riflettere su quelle parole ma, come previsto, il lato di madre prese il sopravvento: << Quante volte ti ho detto di staccarti da quel coso? Devi dormire, altrimenti in tuo cervello va in pappa! >> rispose risentita.

Scampato pericolo… o solamente rinviato a data da destinarsi?

<< Lo so mamma, prometto che starò più attento all’ora la prossima volta >> rispose come sempre, mentendo come sempre. Era finalmente fuori dal raggio di pericolo di sua madre, poteva stare al computer anche fino all’alba e figuriamoci se non lo faceva!

<< Va bene. Ora vai a dormire, domani hai lezione >> disse lei, salutandolo duramente ma, in fondo, con un briciolo di gentilezza.

Ma dai, anche le iene avevano un istinto materno?

<< Buonanotte >> la salutò lui, chiudendo la telefonata e abbandonandosi con il capo sulla porta, gli occhi chiusi.

Gli aveva fatto prendere un mezzo infarto.

Sbadigliò sonoramente, mantenendo però gli occhi chiusi.

Dannazione, avrebbe dormito anche lì dov’era, abbracciato alla porta.

Ora che ci pensava, era già la terza volta che non vedeva Shikamaru a cena…

Anzi, non lo aveva mai visto… a cena…

Un piccolo rumore attirò poi la sua attenzione, facendolo sobbalzare appena con il capo.

Un rumore metallico, acuto. Era il suono, sì, di un campanello.

Unito ad una risatina cristallina proveniente da… sì…

Da davanti a lui.

…davanti a lui?!

Aprì gli occhi di scatto, seguendo anche con lo sguardo quel suono così penetrante da dare quasi fastidio.

Una ragazza.

No, non “una”… la ragazza. Se ne stava lì davanti a lui, fluttuando nell’aria e sorridendo maliziosamente, con la sua vestaglia bianca, i capelli biondi raccolti in una treccia e i polsi di color scarlatto.

E rideva. Rideva con lo stesso tono del suono dei campanelli di cristallo.

<< Come… come hai fatto a… ? >> cercò di chiedere, bloccato contro la porta più per la sorpresa che per altro. Quella ragazzina sembrava uno spettro… doveva essere un… per forza, un sogno!

Ma, a dire vero, sembrava dannatamente reale e sicuramente poco normale.

Lei non rispose. Si limitò solamente ad avvicinarsi a lui, le punte dei piedi che sfioravano appena il suolo della camera ricoperto in moquette, arrivandogli a poca distanza dal volto; fu lì che poté distinguerli con precisione, quegli occhi dall’iride dorata e dalla pupilla allungata e stretta. Occhi selvatici, occhi demoniaci.

Rise di nuovo, allungando una delle sue mani bagnate di sangue a sfiorargli la maglia e, solleticandogli il collo con l’indice, lo inserì al suo interno.

Era gelida. La sensazione sgradevole di un pezzo di ghiaccio che scivola sulla pelle. Gli provocava dei brividi che non sapeva se definire di freddo, di terrore o magari di entrambi.

Poi lei, sorridendo ancora con quell’espressione di maliziosa follia, afferrò fra pollice ed indice il crocifisso in argento che si era persino dimenticato di stare ancora indossando, estraendolo dall’interno della maglietta lentamente e lasciandolo poi ricadere sul suo petto, al sicuro sul cotone color cielo.

Poi, parlò. Con quella voce melodiosa che aveva sentito solamente la notte prima, nel sogno in cui lui e lei erano la stessa, indissolubile persona.

<< Oggetto particolare per essere portato con così tanta naturalezza… >> disse, muovendo appena le labbra perfette nel pronunciare tali parole. Poi lo guardò, prima attentamente, poi sorridendo compiaciuta. << Ma tu non sai nemmeno chi sei… >> aggiunse, risollevandosi dalla posizione semi-piegata, ritornando eretta.

Che cosa aveva appena… detto?

<< Che cos… >> ma non fece in tempo a pronunciare la domanda che, con una risatina cristallina, la ragazzina lo superò e trapassò la porta, sparendo oltre essa come se il legno scuro non fosse mai stato sul suo cammino.

<< Ehi, aspetta! >> gridò Kiba, alzandosi velocemente e partendo all’inseguimento.

Aprì la porta con forza ma, al posto di vedersi comparire il corridoio dei dormitori, si ritrovò in un viale alberato. Sotto ai suoi piedi correva una stradina sterrata con ai lati piante di mughetto e, arrampicate sui sottili tronchi dei pioppi, filamenti rampicanti facevano sbocciare bianche campanule dalle sfumature rosa e azzurre. Oltre agli alberi, solo campagna.

Si guardò attorno febbrilmente, alla ricerca anche di un solo suono, di una minuscola parola, di un ronzio d’ape.

Ma, oltre al vento che spirava fra le fronde dei pioppi, non si sentiva nulla.

Poi, una risata cristallina proveniente dalla sua sinistra.

E, da lontano, la figura bianca, dorata e scarlatta della ragazzina che, saltellando come se danzasse sull’acqua, procedeva velocemente lungo la strada, voltandosi di tanto in tanto per osservarlo.

Per invitarlo a seguirla.

Cosa che, per Dio, avrebbe fatto.

Dovevano esserci scritte due parole sulla sua tomba, quando sarebbe stata la sua ora. “E se”.

E se avesse detto “fanculo alla ragazzina”?

E se avesse deciso di svegliarsi e farla finita lì?

…ormai era troppo tardi per perdersi nei “se” e nei “ma”.

Veramente troppo, troppo tardi.

“Alea iacta est” (*4) da quel preciso istante.

Corse.

E, ridendo, la ragazzina ricominciò a saltellare senza fatica lungo la strada, molti metri avanti a lui ma sempre visibile.

Lei sapeva qualcosa, lei aveva capito qualcosa.

Magari lei aveva il potere di mettere fine a quegli incubi maledetti che lo facevano svegliare immerso nel terrore e in un bagno di sudore ogni notte.

<< FERMATI! >> gridò, stringendo i denti e aumentando la velocità per quello che le sua gambe gli consentivano.

Ma la ragazzina rise con più gusto e, lanciandogli solamente un’occhiata sbieca, aumentò la velocità.

Poi, improvvisamente, con un saltello un po’ più calibrato volò sulla sinistra, imboccando quella che doveva essere una capezzania sterrata lungo un campo di granturco.

Una volta rallentato a sufficienza per non rischiare di stamparsi sul tronco di un pioppo, voltò a sua volta.

E la campagna sparì, sostituita da mura calde e baciate dal sole, dipinte di bianco ed intervallate da porte scorrevoli in legno chiaro.

Conosceva quel posto e, soprattutto, il suo profumo di mughetti e calendule. Segnavano, ogni anno, la fine dell’anno scolastico e lui, che aveva un olfatto per alcuni versi superiore agli altri, poteva sperare nelle imminenti vacanze estive.

Quello era il corridoio del primo piano della sua vecchia scuola e, là in fondo, a livello dell’ultima classe, la ragazzina aspettava, le mani dietro la schiena, lo osservava, invitandolo con lo sguardo a seguirla.

Invito che non venne rifiutato.

Ormai parlare era inutile, doveva solamente prenderla e costringerla a dirgli quello che sapeva. Era stanco di essere sondato da loro come se fosse un fenomeno da baraccone, era veramente stanco!

Era un umano, diamine! Cosa c’era di così interessante in un comunissimo umano?!

<< Ma che domanda stupida! >> disse poi quella, facendo espandere la sua voce musicale per tutto il corridoio.

Kiba boccheggiò, osservandola stranito. Lo aveva sentito? Aveva sentito quello che pensava?

<< Certo, altrimenti non ti avrei risposto, no? >> aggiunse lei, ridacchiando allegra, come se si stesse divertendo.

E, saltando appena di lato, passò oltre la finestra, planando nel cortile della scuola, in mezzo ad alberi di ciliegio ormai sfioriti e dalle fronde verdi di vita.

Scattò in avanti, affacciandosi al davanzale per vederla esattamente in mezzo al cortile, probabilmente aspettandolo, mentre lo osservava ridacchiando con quella sua voce da Campanellino Trilly.

A mali estremi, estremi rimedi.

Fece tre passi indietro, finchè con il tallone destro non toccò il muro, poi prese la rincorsa e, chiudendo le ginocchia al petto e le braccia davanti al viso, si lanciò contro il vetro, infrangendolo, e lanciandosi nel vuoto.

Ma non fu la caduta che si era immaginato. Atterrò praticamente subito, scivolando per qualche gradino lungo quella che, adesso, era una scala. Una scala fatta di vetro trasparente che portava, a vederlo da lontano, su un lago fatto da acqua talmente cristallina e pura da risultare completamente trasparente.

Senza nemmeno dirlo sulle rive di quello specchio d’acqua crescevano i mughetti.

E, al centro del lago, ancora lei.

Non demorse, riprendendo a correre, scendendo i gradini anche due a due nel tentativo di non perderla di vista.

Però lei, questa volta, sembrava rimanere ferma.

Una volta arrivato alla fine della scala si lanciò direttamente sulla superficie acquosa, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che magari non potesse camminarci sopra, o della possibilità di annegare. Tuttavia, proprio come poteva fare quella ragazzina, anche lui poggiò il piede su quella che era una superficie solida, camminando con lo sguardo fisso sulla bionda, che ora lo guardava con espressione seria e decisa, tuttavia inquietante.

Si fermò a qualche metro da lei, ansimando per la corsa. In un sogno non era normale provare fatica, ma di questo non se ne curò minimamente.

<< Chi sei? E cosa intendevi poco fa? >> chiese, alzando la voce in modo che potesse sentirlo chiaramente.

La ragazzina non si mosse, né parlo, né respirò.

Kiba digrignò i denti. << RISPONDIMI! >> sbottò poi, molto vicino a perdere la pazienza.

Lei tacque, piegando il volto in una smorfia.

Sussurrò qualcosa che lui non sentì.

Alzò il volto, puntando quegli strani occhi gialli sui suoi, facendogli venire alcuni brividi di paura lungo la schiena e, d’un tratto, urlò.

E, a differenza della sua risata cristallina, il suo urlo aveva la potenza del tuono.

<< FUORI DAL MIO SOGNO! >>

 

Si risvegliò di scatto, aprendo gli occhi e portandosi d’istinto le mani alle orecchie, per proteggerle della violenza di quell’urlo.

E, senza sapere né come né per quale motivo, si ritrovò in piedi nel bel mezzo del cortile interno.

L’aria fredda della notte gli penetrava nelle ossa attraverso la pelle e il cotone azzurro della maglietta, unendo ai tremiti di paura anche brividi di freddo. La luna risplendeva nel cielo, illuminando a sufficienza l’ambiente circostante, composto di ombre.

Come accidenti ci era arrivato nel cortile? Quando lo aveva fatto? Era nella sua camera solamente poco prima, gli aveva anche telefonato sua madre, aveva parlato con lei, non se lo era sognato!

Qual’era? Qual’era il sogno e quale la realtà?

Agitato, con il respiro mozzato in gola da un’angoscia che non riusciva a tramutare in razionalità, si guardò intorno febbrilmente, voltando ripetutamente il capo in direzioni diverse, non sentendo nient’altro che il respiro frammentario e le pulsazioni assordanti del suo cuore impazzito.

e quella voce:

<< E’ inutile che ti guardi intorno, sono proprio di fronte a te >>.

Fece nuovamente scattare il capo, facendo un barcollante passo indietro guidato dall’istinto di sopravvivenza. Davanti a lui, come nel sogno, la ragazzina dai capelli biondi lo osservava in tralice… ma era diversa.

I capelli erano sciolti e le ricadevano davanti al busto, sulle spalle, in boccoli sfilati e spettinati. La vestaglia era macchiata di sangue, probabilmente il suo, e le mani colavano lo stesso liquido vitale da alcuni tagli sui polsi, facendolo gocciolare a terra. Era scalza sul cemento e gli occhi, di quel colore giallo dorato dalla pupilla allungata, lo fissavano con astio.

<< Tu, impiccione… >> cominciò poi a parlare, avanzando di un passo al suo indietreggiare di un ugual numero di passi. << Ho visto il tuo sogno, ti ho visto! Se non fosse stato per te avrei potuto togliermi la vita in pace e magari questa volta ci sarei riuscita! >> sputò con rabbia, la voce cristallina macchiata dalla frustrazione. << Agatha aveva fatto la scelta giusta, rapida e indolore, invece di sperare inutilmente che le ferite non si rimarginassero più. Ma mi rifiuto di morire spiaccicata sul cemento di un cortile! >>

Non riusciva a parlare. Con tutte le cose che voleva chiedergli, ogni minima, singola parola rimaneva bloccata in gola.

E, nonostante si tenesse le braccia, non si accorgeva minimamente di stare tremando.

<< Ma dovevi arrivare tu! >> proruppe poi la ragazza, i denti che, sotto il labbro, sembravano sempre più appuntiti… sempre più assomigliavano a delle zanne sottili ma letali.

<< Tu con la tua potenza spirituale ridicola, a ficcanasare nei miei pensieri. Avrei potuto morire in pace, invece di continuare questa vita da cavia di laboratorio… SEI SOLAMENTE UN IMPICCIO! >> urlò e, come nel sogno, quella voce ebbe la violenza di un tuono.

Nuovamente si tappò le orecchie con le mani, gemendo di dolore. Quei suoni erano troppo forti.

Chiuse gli occhi solamente per un minuto ma, quando li riaprì, la cosa che si ritrovò davanti gli fece tremare anche le gambe.

La ragazzina, il volto completamente teso in una smorfia mostruosa ed animalesca, conservava di umano solamente la forma del corpo. I denti si erano tramutati in vere e proprie zanne, gli occhi fissi su di lui non chiedevano altro che ucciderlo, l’aspetto animalesco di quel volto solcato da segni profondi sulla pelle… e, intorno a lei, una specie di energia che avrebbe potuto definire un aura, o del chakra, stava pian piano conferendole una forma diversa, una forma animale: orecchie rotonde ma piccole e, dietro la schiena, ondeggianti nella notte si formarono sei code dal colore giallo intenso che, sbattendo l’una contro l’altra, provocavano scoppi come tuoni e facevano comparire scariche elettriche allo stesso voltaggio dei fulmini.

Kiba aveva combattuto contro molte cose, in vita sua.

Aveva affrontato, per ordine del suo clan, veri e propri branchi di cani randagi, inselvatichiti fino a divenire scaltri e temerari lottatori per la sopravvivenza.

Aveva affrontato le zanne dei lupi, fronteggiandoli con freddezza.

Aveva tenuto testa alle gang di teppisti che gironzolavano dalle parti della sua scuola, tornando a casa pesto e pieno di lividi, ma pur sempre vincitore e orgoglioso di essersi battuto.

Ma non c’era paragone con tutto quello. Non c’era paragone nell’affrontare una cosa soprannaturale che nemmeno si conosceva.

La ragazza, zittendosi per un secondo, aprì le mani fino a portarle con i palmi rivolti verso l’esterno.

E, esalandola con un istinto omicida portentoso, la sua energia spirituale divenuta persino visibile andò a raggrupparsi attorno alle dita delle mani, mentre intorno a lei vi era un costante bagliore di scariche elettriche.

Incrociò lentamente le mani davanti agli occhi e, in quel momento, le sue unghie diventarono artigli pronti a strappargli le carni.

<< Ora muori, Michael >> soffiò lei, preparandosi all’attacco.

Kiba aveva combattuto contro molte cose in vita sua.

Ma per la prima volta si era reso conto di essere finito in una situazione più grande di lui.

E, in mezzo al terrore, di una sola cosa era sicuro: lui sarebbe morto lì.

 

 

Chapter No. 2 ~ End.

 

 

*1 - “amichette chit-chat”: le amiche di chiacchierata della maggior parte della popolazione femminile del pianeta (XD). “chit-chat” da quello che ho potuto capire, è un dispregiativo derivato dall’inglese “chatting”, ovvero sparlare.

*2 - Edward Cullen (vampiro) e Jacob Black (licantropo) sono due personaggi della serie “Twilight” scritta da Stephenie Meyer.

*3 - il bento è il classico “cestino del pranzo” giapponese. Ce ne sono di molti tipi ma solitamente lo si prepara a casa mettendoci ciò che uno desidera. Il riso è però una componente fondamentale.

*4 - Alea iacta est: famosa frase latina che Svetonio attribuisce a Giulio Cesare nel suo De Vita Caesarum. Cesare l’avrebbe pronunciata una volta superato il Rubicone dando il via alla Prima Guerra Civile. La traduzione più comune è “il dado è tratto”.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Yoko Hogawa