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Autore: Gondolin    19/07/2008    1 recensioni
Se ancora vivo nel vostro ricordo lo devo ad Omero, ma leggendo il suo poema spesso dimenticate che anch’io sono stato (purtroppo?) un uomo. Ho amato, vissuto, ho sofferto e pianto, e soprattutto ho lottato.
{Achille/Patroclo}
Genere: Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IO, TETI

Zeus, signore dell’Olimpo, era molto irritato nei miei confronti. Avevo rifiutato le sue profferte amorose per non fare un torto alla sua sposa, Era dalle bianche braccia, che era la mia madrina. Ma nonostante il mio rifiuto egli avrebbe insistito, ottenendo infine ciò che voleva poiché era molto potente, se non fosse stato per una profezia. A quell’epoca era frequente che uomini e dei ricevessero dagli oracoli avvertimenti di ogni sorta sulla loro vita futura. La profezia che ricevetti riguardava mio figlio: sarebbe stato più potente di suo padre. Zeus non volle correre rischi; sapeva bene quello a cui sarebbe andato incontro con un figlio troppo potente: egli stesso aveva detronizzato suo padre, Crono. Giurò che se lui non avesse potuto avermi, nessuno degli immortali avrebbe potuto, e così decise che sarei dovuta andare in sposa ad un mortale. Nel frattempo Era, venuta a conoscenza di ciò che era avvenuto, in segno di gratitudine convinse Zeus che se proprio avessi dovuto sposare un mortale, questo sarebbe stato il più nobile tra loro. La scelta cadde su Peleo, re di Ftia, figlio di Eaco, sovrano dell’isola di Egina, e di Endice, figlia di Scirone. Dopo alterne vicende Peleo e suo fratello Telamone erano stati costretti ad abbandonare la loro patria. Telamone si era stabilito a Salamina, dove aveva sposato Glauce, la figlia del re, ed ereditato il trono. Aveva avuto da lei un figlio, Aiace, che avrebbe poi combattuto a Troia. Peleo, invece, era stato accolto da Attore, re di Ftia, e poiché questi non aveva figli, alla sua morte gli aveva lasciato il regno.

Gli dei dell’Olimpo avevano quindi deciso del mio matrimonio senza che io ne sapessi nulla. Il centauro Chirone conosceva Peleo da lungo tempo poiché in gioventù gli aveva salvato la vita e aveva previsto che io mi sarei opposta a quelle nozze. Non serviva l’abilità divinatoria di un centauro per scoprirlo! Infatti non ne fui affatto felice: non volevo dover restare vedova e seppellire i miei figli; nessuna madre lo vorrebbe, ma io sono una dea e loro sarebbero stati mortali. Non solo: essere costretta ad un tale connubio minava il mio prestigio di dea. Se solo qualcuno si fosse azzardato a farmi una simile proposta mi sarei infuriata. Chirone quindi suggerì a Peleo stesso dove trovarmi: vi era un’isoletta della Tessaglia dove spesso mi recavo a dorso di un delfino per riposare in una grotta nascosta da un boschetto. Egli quindi si nascose là e m’attese; poi, quando fui immersa nel sonno, mi fu addosso con un balzo. Io non mi lasciai sopraffare e lottammo a lungo, in silenzio. Mi trasformai in fuoco, acqua, leone e serpente, ma Peleo era stato avvertito da quel disgraziato di un centauro e non allentò la presa; allora giocai la mia carta più disperata e dando fondo a tutte le mie energie mi tramutai in una gigantesca seppia per spruzzargli addosso una nube d’inchiostro, ma nemmeno allora egli cedette. In onore di quella mia trasformazione quel luogo ora si chiama Capo Seppia. Ci accasciammo sfiniti. Peleo era coperto di graffi, lividi, scottature ed inchiostro. Ero persino ammirata per come aveva sopportato i miei attacchi eppure non potei trattenere una risata al vederlo così malridotto. Rise anche lui, di gioia, penso, per avermi sconfitta, ma non mi offesi. Sono convinta che Afrodite ci avesse messo lo zampino perché Peleo iniziava a piacermi. Però sapevo che non sarebbe durata a lungo: presto sarebbe stato afflitto dall'amara vecchiaia e poi sarebbe sceso nelle case muffite di Ade.

Il nostro matrimonio fu celebrato con sfarzo; per compensarmi di aver dovuto sposare un mortale tutti gli dei olimpici parteciparono alla festa grandiosa che si svolse in quell'occasione, seduti su dodici splendidi troni. La cerimonia fu celebrata sul monte Pelio, vicino alla grotta di Chirone. Le nove Muse, figlie di Apollo, accompagnavano coi loro strumenti e col canto la danza di cinquanta Nereidi, mie sorelle. Ganimede, il mortale che per la sua bellezza era stato rapito da Zeus e reso immortale, quella sera sostituiva Ebe, coppiera degli olimpi, versando in ogni calice ambrosia dorata. Non aveano tardato a diffondersi le voci sul fatto che Ganimede non fosse un semplice servitore, e il volto corrucciato di Era mostrava che anche lei le avava udite. Il mio sposo appariva fiero e bello, e sorrideva, felice degli onori che gli erano concessi. Non potei fare a meno di essere grata alla mia madrina per aver fatto in modo che avessi un marito tanto nobile. Peleo ricevette numerosi doni nuziali: da Chirone una lancia la cui asta di frassino del Pelio era stata lavorata da Atena in persona e la punta forgiata da Efesto, dagli dei tutti una splendida armatura d'oro e da Poseidone due cavalli immortali di nome Balio e Xanto, figli del Vento dell'Ovest e dell'Arpia Podarga.

Mentre venivo unita in matrimonio a Peleo Era stessa resse per noi la fiaccola nuziale, e numerosi centauri incoronati di erbe tenevano nelle mani torce d'abete per augurarci buona fortuna. Un alito di vento notturno faceva leggermente ondeggiare le fiamme e scuoteva il mio prezioso abito intessuto di fili d'argento.

Ma purtroppo quell'armonia si spezzò presto. La terribile Eris, dea della discordia, non era stata invitata a causa del suo proverbiale brutto carattere. E proprio per questo aveva preso il mancato invito come un terribile affronto. Nel mezzo del banchetto, mentre tutti brindavano allegri, ecco apparire la nera figura ammantata di Eris. Tutti tacquero, in terribile imbarazzo e temendo una sua sfuriata, ma lei, sdegnosa, si limitò a gettare a terra una mela d'oro, prima di sparire nuovamente. Quella mela, però, mosse una valanga. Sul frutto dorato infatti stava scritto Alla più bella, titolo che da sempre si contendevano Era, Atena ed Afrodite. Non appena Peleo l'ebbe raccolta ed ebbe letto la scritta che vi era incisa, le tre gli si fecero intorno ed iniziarono a litigare ferocemente per il possesso del prezioso dono. Potevo notare l'imbarazzo del mio novello sposo nel trovarsi in mezzo ad una simile discussione, ma non potevo fare molto. Quelle tre potevano spaventare anche un uomo coraggioso come lui. Eris aveva ottenuto il suo scopo: la festa era rovinata. Ma Zeus, molto seccato, le interruppe -Continuando a becchettarvi in questo modo non risolverete nulla- tuonò -Pochi giorni fa un principe è stato abbandonato. Una famiglia di pastori lo crescerà, e quando sarà più grande avrà uno spirito nobile e puro. Sarà lui a decretare chi di voi sia la più bella: un principe mortale- e fece un cenno col capo per sottolineare che quella era la sua decisione, e nessuno doveva obbiettare. Noi dei per certi versi vi somigliamo, nelle passioni del nostro cuore, ma viviamo in eterno e sappiamo aspettare con pazienza. Una ventina d'anni sarebbero trascorsi in fretta.

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Grazie a Pluma per la recensione.

E mi raccomando, commentate numerosi!

Qui ancora non siamo entrati nel vivo della storia, quindi non preoccupatevi se sembra un po' noiosa, credo che migliorerà.

Sono disponibile per eventuali chiarimenti su tutti nomi e le assurde parentele di dei ed eroi, mi rendo conto di aver vomitato sulla pagina mezzo dizionario mitologico^^

  
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