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Autore: Easily Forgotten Love    19/07/2008    1 recensioni
Sia chiaro da subito che non sogno di fare il musicista rock. Non mi ha mai interessato davvero seguire le orme di mio padre, anzi. Avevo, credo, quattro anni quando per la prima volta sono entrato nel salotto di casa, dove mia madre stava prendendo il the con un gruppo di amiche, ed ho annunciato a tutti che da grande avrei fatto il medico.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Dovevo essere impazzito. Non me lo sarei spiegato altrimenti.
Fatto sta che era una pazzia radicata, perché, mentre aspettavo ritto davanti alla porta che qualcuno mi aprisse dopo aver suonato il campanello, non mi venne nemmeno per testa di voltarmi ed andare via.
Gab aveva qualcosa di sbagliato in sé. Riuscire a convincermi con quel bel discorso sul “tutti prendiamo una delusione, l’importante è provarci” sarebbe stato impossibile per chiunque altro: suggerire un suicidio come metodo per indurre qualcuno a superare i propri limiti non è ammissibile, dare retta a quel suggerimento è impensabile.
Sentii uno scalpiccio affrettato da dietro la porta e la voce di Cody – Dio! riuscivo anche a riconoscere la sua voce attraverso il legno ed il muro adesso! – annunciò a qualcuno che “apriva lui”. Rabbrividii e, stavolta sì, pensai anche di fuggire.
“Troppo tardi.”
La porta si aprì sul viso sorridente di Cody, così sereno e rilassato da sembrare perfino più bello, nonostante i capelli legati nella coda sfatta e l’aria trasandata “di casa”.
-…ciao.- mi apostrofò riconoscendomi, evidentemente sorpreso da quella visita.
-Ciao. Scusami se ti rompo,- esordii affrettatamente. Cody infilò a forza un “non rompi, tranquillo” nel mio discorsetto predigerito, ma io non mi lasciai fuorviare o interrompere.- sto per chiederti un grosso favore.- dissi invece.
Lui non mutò il proprio stupore, ma si ricordò delle regole della buona educazione e mi fece spazio per invitarmi ad entrare.
-Dimmi tutto.- mi incitò quando ebbi accettato e, varcata la soglia, lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.- Andiamo in cucina, che è il posto decente di casa.- aggiunse intanto, spostandosi per primo.
Nel seguirlo gettai un’occhiata all’enorme salotto che si apriva sulla mia sinistra e mi dissi che il suo concetto di “decente” ed il mio non coincidevano. O in alternativa la sua cucina era una reggia.
Ma non era vera nessuna delle due cose, come scoprii infilandomi con Cody nello spazio colorato e luminoso che ospitava la cucina, più semplicemente la parola “decente” in linguaggio di Cody significava una roba tipo “familiare, accogliente, caldo e profumato”, perché la cucina di casa mi diede tutte queste sensazioni assieme. Probabilmente dipese anche dalla presenza sorridente delle due donne che la occupavano; una Cody me la presentò come sua madre ed io pensai che era bellissima anche se, ad essere strettamente onesti, non lo era nel modo palese ed arrogante in cui lo sono le donne “belle” di oggi.
Ci accoccolammo sugli sgabelli che circondavano il tavolo-isola al centro della stanza ed io mi decisi a buttare fuori la bugia con la quale mi ero presentato alla porta.
-Non sono riuscito a risolvere gli esercizi di preparazione al compito di algebra di domani.- mentii con tranquillità.- Siccome Gab mi ha detto che te la cavi molto bene nelle materie scientifiche, speravo che magari avresti potuto darmi una mano.
-Tanto devi ripetere anche tu, Cody, no?- s’informò sua madre venendo verso di noi con latte e biscotti.
-Lo stavo già facendo.- assentì lui indicando i libri ed i quaderni abbandonati sul tavolo accanto a sé.
Gli buttai un’occhiata trasversale e non dissi nulla.
-Beh, io e Magda abbiamo messo su la cena, per cui adesso vi lasciamo a studiare ed usciamo.- continuò la madre di Cody.- Così potrete lavorare tranquilli.
-Suo marito non è in casa, Sig.ra Molko?- domandai istintivamente.
Lo sguardo di Cody si rabbuiò di colpo ed io mi morsi la lingua, rendendomi conto di aver appena fatto una gaffe. Ma lei recuperò in fretta la situazione al mio posto, allungando una mano ad accarezzare la testa del figlio e sorridendomi dolcemente mentre mi rispondeva.
-E’ nello studio, ma se vuoi andare da lui ti conviene aspettare che si faccia più tardi. Non ama essere disturbato quando lavora.- mi spiegò. Scoccò un bacio sulla fronte di Cody, scostando la frangia dagli occhi del figlio, ed io osservai divertito quest’ultimo comportarsi come un moccioso di sei anni e fare letteralmente le fusa sotto il suo tocco. Mi trattenni a stento dal ridere e ringraziai mentalmente la signora quando, rimettendosi dritta, aggiunse con una breve strizzatina d’occhio.- Non fare il geloso, ci sta che i fan di tuo padre vogliano un autografo. Accompagna Luke da lui, dopo.
-Bah!- commentò aspro Cody, ma non disse di no e, quando lei fu uscita, quell’ombra rapida che avevo visto addensarsi nel suo sguardo era già svanita del tutto.- Allora!- esordì in tono decisionista.- Mano ai libri, Perrington, non posso permettermi di toppare questo compito!
Siccome avevo, appunto, mentito, gli esercizi di algebra li avevo già svolti tutti ed anche in modo abbastanza semplice. Preso dall’euforia non pensai che così avrei finito per tradirmi, ma quando Cody s’impantanò su un paio di equazioni – per le quali avevano avuto già parecchie difficoltà con Gab, mi disse – io ritenni naturale spiegargliene i passaggi e lui ritenne ovvio, a quel punto, che il motivo per cui fossi andato a casa sua non era certo lo studio ed il ricevere aiuto.
-Se ci tieni tanto a questo autografo, andiamo a fartelo fare!- rise chiudendo libri e quaderni non appena anche l’ultimo esercizio fu svolto.
Arrossii. Pensai di smentire, ma sapevo da solo che poi avrei dovuto trovare un’altra scusa che giustificasse la balla che mi ero inventato e quella dell’autografo era decisamente più comoda allo stato dei fatti.
Cody si alzò, facendomi segno di seguirlo, ed insieme attraversammo praticamente tutto il pianterreno della villa, che così silenziosa, vuota ed immensa mi sembrò parecchio tetra e mi spiegò la vera ragione per la quale Cody preferiva stare in cucina piuttosto che altrove. Ci fermammo davanti ad una porta isolata, lui bussò, aprì ed entrò in rapida successione.
-Papà?- chiamò affacciandosi al battente.
Mi sporsi anch’io, incuriosito, e fui investito da un parlottare rapido e nervoso in un francese impeccabile, salvo per l’accento dichiaratamente anglosassone.
Brian Molko parlava al telefono con qualcuno, camminando avanti ed indietro per una stanza enorme, bellissima e fredda. Lo studio era completamente arredato in legno laccato di nero, pelle e acciaio, il pavimento in parquet era parzialmente coperto da un pesantissimo tappeto persiano, dai colori cupi, e nella stanza aleggiava profumo di tabacco ed una musica leggerissima, jazz, che si sposava delicatamente all’ambiente; rimasi di stucco davanti alla fila ordinata di chitarre, sistemate contro una parete, così come rimasi a bocca aperta nel riconoscere una sequela di volti “famosi” nelle foto appese contro un’altra parete e sistemate in mezzo ai premi…
-Cody, non ora!- sentii arringare, quando Brian Molko si fu voltato verso di noi ed ebbe colto di sfuggita l’immagine di suo figlio e di me fermi sulla soglia della stanza.
Riprese a parlare con l’individuo al telefono quasi subito e Cody provò inutilmente a protestare.
-Papà, è una questione di un secondo…
-Non ora!- ribadì lui indicando la porta per dirci di uscire.
-Vabbè, ma magari aspettiamo che tu finisca…
-Cody, esci e chiudi la porta.- ordinò secco lui.
Cody fece come gli era stato detto, uscì e richiuse la porta con un sospiro paziente.
-Mi dispiace.- mi disse mentre tornavamo indietro, ci infilammo nel salotto vuoto cercandoci un angolo dove rifugiarci.- Quando ha da fare diventa intollerante con chiunque.- provò a giustificare, arrampicandosi sullo sgabello del piano ed incrociando le gambe sotto il sedere.-Vuol dire che ti farò fare l’autografo stasera e poi te lo porto domani a scuola.
Io mi sistemai per terra, vicino a lui, seduto su uno dei tre gradini che portavano al “palchetto” che ospitava il pianoforte.
-E’ il tuo?- chiesi incuriosito, allungando una mano ad indicare lo strumento. Ricordavo di averne visto un altro, completamente bianco, sistemato in un angolo dello studio di suo padre.
Cody rise.
-E’ il pianoforte di casa!- esclamò.- Lo suona anche mio padre quando capita.
Alzai il viso per fissare lo sguardo sugli attestati incorniciati dietro le sue spalle.
-…eh…ma quelli sono tuoi.- realizzai leggendo il nome sulla carta pergamena. Cody arrossì e si voltò a fissare la parete ad occhi sgranati, nemmeno fosse la prima volta che la vedesse.- Mi hai mentito quando hai detto di essere una schiappa.- proseguii io in tono amaro.
-Ehm…è che non sapevo cosa dire…non sono molto bravo a consolare la gente ma tu sembravi starci proprio male e…- confessò balbettando.
Sorrisi mestamente.
-Non importa.- scrollai le spalle. Mi tirai in piedi e mi avvicinai a lui, tentando di tirar fuori un sorriso un po’ più convincente.- Almeno per farti perdonare suonami qualcosa!- pretesi scherzosamente.
Cody sorrise come me, voltandosi e stendendo le gambe sotto il piano e le dita sui tasti candidi. Ci pensò su, probabilmente scegliendo cosa suonare, ma poi lo vidi illuminarsi ad un’idea improvvisa, fissarmi con aria interrogativa ed alzarsi di scatto, ordinandomi di non muovermi finché non fosse tornato. Uscì di corsa dal salone, salendo le scale a due a due e rimpiombando al piano di sotto in tempo record e con in mano un quaderno musicale. Sedette di nuovo al pianoforte e lo aprì davanti a sé, cominciando a suonare.
Ed a cantare.
Non ricordo di preciso tutte le parole ed i versi. Era una canzone strana, un po’ triste, nonostante la musica fosse trascinante, veloce e bellissima. Cody era meravigliosamente a proprio agio nel muoversi sul piano, le sue dita scorrevano decise, picchiando con precisione, ed era bravo anche nel modulare la voce, che somigliava solo in modo vago al timbro particolarissimo che era di suo padre. La canzone parlava apparentemente di una ragazza, di un amore, di una storia nata e cresciuta in un tempo immensamente lungo, ma era solo apparenza, perché a sentirla bene ci si rendeva conto che parlava di qualcosa di più complicato. Qualcosa che aveva a che fare con “gli altri” in generale, con la capacità di capirli, accettarli ed arrivare ad amarli, con la difficoltà insita nel conoscere qualcuno per davvero.
Era un testo profondo, stridente rispetto al motivo così rapido ed adrenalinico, sembrava diversa da qualsiasi cosa io avessi mai ascoltato, tanto che rimasi a bocca aperta fino alla fine, cercando di capire se mi piacesse, se dovessi piangere o ridere, o semplicemente se mi fosse indifferente e mi disorientasse con quella sua ambiguità.
Cody terminò le note al piano poco dopo aver spento la voce nell’ultimo verso strascicato, si voltò in attesa ed io mi ritrovai con la testa invasa da talmente tante domande, da non riuscire a formularne nessuna.
-…non ti piace.- arguì lui mostrandosi sinceramente deluso.
-…direi che un “sì” o un “no” sarebbero ugualmente riduttivi.- cercai di spiegare.- E’…stupenda…ma è anche così…
-Strana?- mi domandò lui apertamente.
-Non lo so.- sbuffai incapace di esprimermi.- Cody, è la cosa più difficile che abbia mai sentito.- confessai.- Cos’è?- chiesi subito dopo.
-Una cosa che ho scritto io.- sussurrò lui talmente piano che feci fatica a sentirlo ed arrossendo tanto violentemente che pensai sarebbe bruciato in autocombustione.
Evitò il mio sguardo sgranato ed allibito e si voltò nuovamente al piano, posandoci su le mani come se avesse bisogno di trarne forza e sostegno.
-Per il concorso.- dedussi istintivamente.
Lui scosse il capo in modo frenetico, fissandomi come se avessi detto la più grande cavolata della mia vita, ma il suo terrore rendeva chiaro che quello che pensava era ben diverso.
Così presi la mia decisione.
-Cody, devi tornare nella band e dovete partecipare a quella gara.- dissi seccamente, incrociando le braccia sul petto e fissandolo con decisione.
Lui parve completamente disorientato, così immensamente fragile che per un momento ebbi difficoltà serie a ricollegarlo al ragazzo risoluto e sicuro di sé che avevo conosciuto fino a quel momento. Mi domandai se suo padre dallo studio fosse riuscito a sentire quello che il figlio era stato capace di fare, perché io – se fossi stato in lui – non avrei mai voluto perdermi nemmeno una nota di una simile meraviglia.
-Tu hai veramente la musica nel sangue!- asserii ricordando le parole di Gabriel la sera del litigio tra suo fratello e Cody.- E’…mostruoso!- affermai trovando difficoltà enormi per cercare le parole nella mia testa. Parole che fossero effettivamente specchio di quello che sentivo e che era troppo profondo perfino per me- Sì, mostruoso- ribadii con convinzione – che qualcosa del genere sia sprecato perché tu non hai il coraggio di vivere la tua vita fino in fondo!
-Non è questo il problema…- mormorò lui abbassando lo sguardo, ferito e sorpreso.
-Invece direi che è esattamente questo il problema.- sussurrai io quietamente, amareggiato.- Direi che non ce ne sono altri di problemi.
Cody non ribatté nulla. Io lo guardai ancora un momento, rendendomi conto di aver toccato un nervo scoperto sul serio. Uno che faceva un male cane, peraltro. E non avevo nemmeno il diritto di farlo, ad essere onesti, perché io Cody non lo conoscevo e quello che sapevo di lui era che i suoi occhi mi facevano impazzire, che se solo provavo a fissarli mi sentivo morire dentro, ma anche che tutta la sua vita – quell’ombra scura che gli era passata sul viso quando in cucina avevo parlato di suo padre – non faceva parte della mia. E quindi non avevo il diritto di arrivare lì e sputare le mie sentenze, non ero un suo amico. Non ero nemmeno un suo conoscente. Non ero proprio nessuno.
-Io vado.- dissi scendendo dal palchetto e dirigendomi verso la cucina.
Cody non mi venne dietro ed io recuperai da solo le mie cose e le infilai nello zaino, uscendo poi dalla porta sul retro.
La serratura era rotta, fece difficoltà quando tentati di aprirla, mi assicurai che fosse ben chiusa dietro di me ed andai via.
***
 
-Zio Stefan, ho bisogno del tuo aiuto.
Devo dire due cose al riguardo.
La prima è che non ricorro sistematicamente agli altri quando ho bisogno di qualcosa, anche se in questa storia sta sembrando il contrario sono un tipo autosufficiente di solito. E ci tengo pure alla mia autosufficienza.
La seconda è che zio Stefan non è mai stato capace di negarmi nulla e se, biecamente, mi rivolgevo a lui era proprio perché sapevo di aver vinto da subito.
Lui rise sommessamente nel telefono, ignorando il mio tono preoccupato e teso ed aspettandosi la solita ragazzata di sempre: “papà non mi fa andare ad un concerto”, “mamma non vuole che resti fuori questo finesettimana”…
-Devi parlare con i giudici di un concorso musicale, perché loro poi non parlino con papà dicendogli che io la mia band ci siamo iscritti.- riferii trafelato, senza prendere pause nel timore di ripensarci e buttare giù.
-…tu e chi?- ripeté lui mettendo immediatamente da parte le risatine complici ed ammiccanti.
-…suono in una band rock.- sussurrai pianissimo.
-Ah.- fu il suo unico commento.
Io respirai a fondo e, quando capii che si aspettava qualcos’altro, andai avanti.
-Papà non lo sa.- ammisi.- Lo sa solo mamma e mi copre anche lei. Il nostro bassista ci ha iscritti ad un concorso musicale ed io ci ho litigato ed ho mollato il gruppo.
-Tipico dei geni Molko.- m’interruppe brusco lui.
Notai la vena arrabbiata nella sua voce, ma finsi di non sentirla.
-Sì, ma il punto è che non voglio mollare la band!- continuai istericamente.- Cioè, non voglio nemmeno diventare un musicista,- affermai precipitoso- ma suonare mi piace e…- mi bloccai, sentendo il fiato mancarmi, ripensai a Luke. Alla canzone. Alle sue parole.- ho scritto una canzone per questo concorso, ed è importante.- ammisi a mezza voce.
Zio Stefan respirò molto profondamente. Così profondamente che pensai che stavolta il “no” sarebbe arrivato eccome. Ed infatti la sua prima risposta fu un diniego molto cauto e ragionevole.
-Cody, fare le cose alle spalle di tuo padre non è il modo migliore per riuscire ad averci un dialogo.- obiettò lentamente.- So che a volte può essere complicato parlare con Brian, ma ti assicuro che è una persona estremamente sensibile e se sapesse di questa cosa…ci resterebbe molto male.
-Vuoi dire della band?- borbottai io.
-Sì.
-Se gliene fosse fregato qualcosa per davvero se ne sarebbe accorto. Non ho mai dovuto fare i salti mortali per impedirgli di venirlo a sapere…semplicemente lui si disinteressa quasi del tutto alla mia vita.- spiegai piatto.
Zio Stefan respirò ancora.
-Non posso farlo comunque.- mi disse.
-Oh, andiamo!- biascicai io lamentevole.- E’ solo una band scolastica ed un concorso di quartiere!
-Non è né per la band né per il concorso, Cody. È perché voglio bene a tuo padre e non me la sento di fargli questo.- mi scoccò secco.
Sospirai. E sentii Stefan farmi eco nello stesso modo sconsolato, segno che già iniziava a cedere.
-Inoltre…- borbottò contrariato.- se tuo padre lo scopre mi ammazza…
Risi sottilmente, rendendomi conto che era un “sì” travestito e pensai a qualcosa da dirgli per farmi perdonare almeno un po’, ma lui mi prevenne, ordinandomi in modo quieto ma deciso:
-Promettimi che gli dirai tu della band.
-Dopo il concorso.- contrattai.
Zio Stefan si prese tempo e poi cercò ancora di farmi tornare sui miei passi.
-Sarebbe meglio prima, Cody. Sarebbe meglio subito.
Scossi il capo, anche se lui non poteva vedermi, e spiegai.
-Devo farlo da solo, zio. Devo vedere cosa riesco a fare da solo, papà non è capace di lasciarmi camminare con le mie gambe. È l’unico modo che conosce per dirmi che ci tiene a me…- ammisi in un sussurro stentato.
-…so che me ne pentirò.- soffiò lui arrendendosi del tutto ed io risi ancora e lo ringraziai, chiudendo la telefonata.
Ora veniva la parte difficile.
Quella davvero difficile.
Almeno per il mio “amor proprio”.
Mike era a scuola, mi disse Gab, potevo trovarlo al solito posto: che voleva dire che lo avrei trovato nel campetto dietro la palestra insieme con i suoi amici. Mi ripromisi di pretendere almeno che la mia umiliazione non fosse pubblica, ma non dovetti strapparlo a nessuna orda di balordi, perché quando arrivai era da solo – effettivamente nel campetto dietro la palestra – e stava leggendo Kafka sdraiato su una delle panchine che circondavano la linea del campo.
Mi avvicinai a passo spedito, lui era talmente immerso nella lettura che dovetti affacciarmi sul suo viso ed oscurargli completamente il sole perché si degnasse di abbassare il libro ed accorgersi di me. Mi scrutò un momento inespressivo e poi sogghignò e si tirò a sedere.
-A cosa devo l’onore, Molko?- mi chiese ironicamente, immaginando che quello fosse il mio momento di “tornare strisciando”.
Non reagii alla provocazione. Infilai la mano nel tascapane e tirai fuori un block notes su cui avevo ricopiato la canzone: testo e musica. Glielo sventolai sotto il naso tenendolo tra due dita ed annunciai incolore.
-La canzone per il concorso.
Lui allungò meccanicamente la mano ed io ritirai la mia e sfilai via il block notes prima che lo afferrasse.
-Non così in fretta, Mike.- lo apostrofai.- Ci sono delle condizioni.
Fece una smorfia ed un grugnito estremamente contrariati, scoccandomi un’occhiata svogliata.
-Sentiamo.- mi concesse.
-Mio padre non deve saperlo. A quelli del concorso ho pensato io,- dissi sibillino- ma tu dovrai fare in modo che la cosa passi inosservata con tutto il resto del mondo. Non m’interessa sapere come lo farai, ma mio padre non deve sapere di questa cosa.- ribadii conciso.
Mike annuì. Poi mi fissò seriamente e chiese brusco:
-Possiamo farci almeno un po’ di pubblicità? Sai, il solito giro per non perdere il sostegno di cui godiamo, quanto meno.- pretese.
Ci pensai su. Finora “il solito giro” era stato sufficientemente discreto da permettermi di mantenere il mio anonimato. Acconsentii con un cenno del capo ed allungai nuovamente il block notes. Mike me lo strappò di mano di malagrazia e buttò uno sguardo alle note trascritte in fretta ed ai primi due versi del testo.
Sogghignò ancora, sollevandomi in faccia due occhi che non promettevano nulla di buono. Ed infatti quando affondò fece un male fottuto.
-Potremmo andare sotto il naso di tuo padre con i manifesti del concerto, Cody,- asserì lentamente ed in modo studiato- e lui nemmeno si accorgerebbe di noi.
Incassai il colpo molto peggio di quello che pensassi. Storsi le labbra, mordendomele a sangue per ricacciare indietro tutta la rabbia che provai, e strinsi i pugni scrutandolo da sotto la saracinesca arruffata della frangetta.
-Sei proprio uno stronzo, Mike.- sussurrai, voltandomi subito dopo per tornare sui miei passi senza rivolgergli altro saluto che quello.
 
Allora, la storia entra nel vivo…sei di “vivo” si può parlare XDDD
Il nostro cucciolo sembra essersi deciso a percorrere la strada di babbo ç_ç (che, peraltro, è sempre più fastidioso ed isterico U_U) e Luke ci prova, almeno, a farsi valere.
Vedremo, vedremo…
 
Nel frattempo, a nome dell’Easily, si ringraziano del sostegno tutti i lettori e le lettrici, ma in particolare si manda un saluto affettuoso ed un abbraccio forte forte a: Erisachan, Ginnyred e Fteli per aver trovato il tempo di dirci la loro.
 
Un bacio ed alla prossima :**********
  
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