”Maybe
a thief stole your heart
Or maybe we just drifted apart
I remember
driving
In my daddy's car to the airfield
Blanket on the hood, backs
against the windshield
Back then this thing was running on momentum, love and
trust
That paradise is buried in the dust ”
“If
you're wondering why
All the love that you long for eludes you
And people
are rude and cruel to you
I'll tell you why
You
just haven't earned it yet, baby
You just haven't earned it, son
You just
haven't earned it yet, baby
You must suffer and cry for a longer time
You
just haven't earned it yet, baby”
Dopo
il loro primo incontro, John e Sherlock vennero spinti l’uno verso l’altro con
la speranza, mal celata, dei propri genitori, di far nascere un’amicizia che con
il tempo si sarebbe tramutata in un amore.
Dal
canto loro i bambini erano ben felici di passare quanto più tempo possibile
insieme.
Sherlock non aveva mai avuto un vero
amico, escluso ovviamente il contorto rapporto che lo legava a Mycroft e che si
era parzialmente interrotto quando il giovane si era prima Unito a Gregory e poi
era partito per Cambridge, anche a causa del suo carattere restio e diffidente
che lo portava ad evitare tutti coloro che giudicava inferiori a
sé.
La
sua enorme intelligenza, già fin troppo sviluppata in giovane età, gli aveva
impedito di vivere un’infanzia convenzionale insieme ai suoi pari, confinandolo
in una “torre d’avorio” fatta di esperimenti, libri e taccuini su cui annotava
tutte le proprie deduzioni( aveva imparato fin troppo presto quanto poco queste
venissero apprezzate dagli adulti).
Finché
John non era entrato nella sua vita.
John
con il suo sorriso sempre pronto, i suoi grandi occhi blu capaci di essere
sorridenti l’attimo prima e confusi trenta secondi dopo, la sua risata accennata
quasi si vergognasse di far sentire agli altri che trovava divertenti le
“oltraggiose” battute di Sherlock.
John,
che ascoltava i suoi pensieri e le sue deduzioni e li trovava brillanti, degni
d’attenzioni.
Durante
l’anno scolastico i due ragazzi potevano vedersi soltanto durante i week end
passando insieme poche ore in cui Sherlock cercava di recuperare tutto il tempo
perduto, parlando velocemente per mettere John al corrente delle sue ultime
scoperte e correndo da un lato all’altro dell’ enorme casa perché John potesse
vedere con i suoi occhi i cambiamenti che erano avvenuti dall’ultima volta che
era stato lì.
John
era una persona estroversa, solare e spigliata, capace di far amicizia con un
estraneo con poche parole, quindi Sherlock era consapevole che l’altro aveva
molti amici nella scuola che frequentava durante la settimana, ragazzi e ragazze
che avevano un contatto giornaliero con John, osservarlo cinque giorni la
settimana ma incapaci di notare le piccole differenze che avvenivano sul suo
volto o di stabilire quali avvenimenti ne rafforzavano o contribuivano a
cambiarne il carattere.
Soltanto
Sherlock. Nessuno conosceva John come lui.
Dal
canto suo John, malgrado cercasse di nasconderlo ai propri genitori e a Harry
aspettava con ansia quei fine settimana, desideroso di passare quanto più tempo
con Sherlock, di allontanare la mente dalla scuola, dalla propria famiglia e di
affidarsi alle cure di colui che un giorno sarebbe diventato il suo Alpha, ma
che al momento era il suo migliore amico.
Quegli
incontri andarono avanti per tre anni, con la stessa spensieratezza e la stessa
serenità che accompagnava la loro età.
All’età
di 10 anni, Sherlock aveva completamente annullato la differenza d’altezza fra
di loro, in modo che i due ragazzi potessero guardarsi in volto senza che l’uno
dovesse alzare leggermente la testa.
-E’
una caratteristica Alpha: essere alti e imponenti per proteggere il proprio
Omega.
Dimostra
che mi prenderò cura di te al meglio delle mie capacità-gli disse Sherlock
chiaramente soddisfatto.
-Speriamo
che cresca anche tutto il resto-commentò ironico John, 12 anni ed un orgoglio
ben radicato nel suo animo.
Quelle
parole avevano portato Sherlock ad arrossire violentemente e avevano portato il
biondo ad abbassare lo sguardo, colpevole di aver infranto una regola non
scritta fra di loro.
Entrambi
erano consapevoli che in un futuro lontano John sarebbe “appartenuto” a
Sherlock, che il suo Marchio sarebbe stato ben visibile sul collo di John, e
soprattutto che il suo primo Estro avrebbe provocato delle reazioni inaspettate
in entrambi che avrebbe creato un legame più forte della loro amicizia; ma al
momento entrambi preferivano evitare quell’argomento, specialmente la parte
fisica della loro Unione, non ancora pronti ad immaginare quella parte del loro
futuro.
C’era
ancora tempo per pensare a quello che sarebbe successo quando la biologia
avrebbe messo loro i bastoni fra le ruote.
Per
il momento erano amici. Ed erano inseparabili.
Sherlock
si stupiva ogni volta che John si mostrava interessato ai suoi esperimenti e gli
faceva i complimenti per le sue deduzioni, e allo stesso tempo, John continuava
a chiedersi quando sarebbe arrivato il momento in cui Sherlock avrebbe aperto
gli occhi e si sarebbe reso conto di quanto fosse banale ed ordinario John
Watson, ribellandosi alla decisione dei loro genitori interrompendo così ogni
loro rapporto.
Era
stato proprio grazie a quel legame cosi stretto che era bastato soltanto uno
sguardo perché Sherlock si accorgesse di qualcosa di diverso in
John.
Era
arrivato al Manor come al solito per trascorrere il week end, ma il suo volto
era teso, la mente distratta dietro pensieri lontani dalle mura alte dell’enorme
villa, incapace di prestare attenzione al fiume di parole che come ogni volta
Sherlock aveva riversato su di lui fin dal suo arrivo.
Ferito
nell’orgoglio e segretamente convinto che John avesse trovato qualcuno più
interessante di lui, Sherlock si era chiuso nella propria camera da letto, senza
chiedere a John di accompagnarlo, lasciandolo vagare per il giardino immerso nei
propri pensieri, finché il biondo non aveva bussato timidamente alla porta della
stanza ed era rimasto sulla soglia in attesa di un gesto che gli permettesse di
entrare.
-Hai
intenzione di restare lì impalato tutto il pomeriggio?-gli aveva domandato
Sherlock continuando a voltargli le spalle.
La
porta della stanza si era chiusa, seguita pochi istanti dopo dai passi pesanti
di John per la camera finché questi non aveva raggiunto il letto e vi si era
seduto sopra, le gambe leggermente aperte ed i piedi poggiati sul
pavimento.
Per
un lungo istante il silenzio era calato opprimente fra i due ragazzi, fino a
quando John aveva alzato lo sguardo su Sherlock, ancora ostinatamente
concentrato sul lavoro davanti a sé, ed aveva preso un respiro
profondo.
-Ti
devo delle scuse-aveva iniziato.
Gli
occhi di Sherlock si erano allontanati dal microscopio, ma il moro aveva
volutamente tenuto la testa bassa consapevole che se avesse alzato lo sguardo
sul volto di John, il moro si sarebbe intimorito e avrebbe smesso di
parlare.
-So
di non essere stato di grande compagnia finora…E di averti trattato male… Sono
davvero un pessimo Omega-aveva commentato fra i denti.
Una
protesta era nata istantanea sulle labbra di Sherlock, ma facevano appello al
suo autocontrollo, il ragazzo la bloccò prima che potesse trovare
voce.
-Mia
madre…-aveva iniziato John, bloccandosi per sciogliere il nodo evidente che gli
serrava la gola- Mia madre è malata-
Finalmente
gli occhi blu ghiaccio di Sherlock si erano sollevati sul volto di John,
incontrando all’istante il suo sguardo, accompagnato da un affettuoso sorriso
accennato.
Malgrado
il bambino stesse cercando di mostrarsi forte, Sherlock notò il battito cardiaco
accelerato, le mani serrate a pugno per cercare di controllare la rabbia che
quella situazione portava con sé, il pomo d’Adamo in costante movimento che
combatteva contro la tempesta d’emozioni che in quel momento imperversava in
John, e poi notò i suoi occhi: i sinceri occhi blu oceano che in quel momento
sembravano ancora più limpidi a causa delle lacrime trattenute a
stento.
Fu
grazie a quei piccoli indizi che capì ciò che John non aveva avuto il coraggio
di dire ad alta voce.
Cynthia
Watson stava morendo.
Inconsciamente
Sherlock aveva fatto un cenno d’assenso con il capo.
-C’è
qualcosa che posso fare?-gli aveva chiesto.
John
gli aveva sorriso, deglutendo nuovamente prima di
parlare.
-Nessuno
può fare niente-aveva poi risposto.
Per
tutto il fine settimana Sherlock fu insolitamente silenzioso, restando al fianco
di John, una mano in quella del biondo, facendogli sentire la sua presenza senza
però essere eccessivamente soffocante, convinto che il compito di un buon Alpha
fosse quello di rassicurare il proprio Omega ogni volta che questo mostrasse
segni di infelicità o di stress.
Per
i tre mesi successivi, durante la malattia di Mrs. Watson, Sherlock decise di
comportarsi come al solito, deciso a distogliere la mente di John da quello che
succedeva a casa, al progressivo peggioramento della salute di sua madre,
desideroso di concedergli qualche ora di relax(per quanto effimero), ogni volta
che erano insieme: continuò a parlargli dei propri progetti, a mostrargli i
propri progressi con le api ed lo coinvolse in un gioco di deduzioni,
invitandolo a puntare il dito in mezzo alla folla, scegliendo una persona a
caso, perché Sherlock potesse scoprire tutti i suoi segreti nel giro di pochi
istanti, provocando le risate incontrollate di John.
Finché
un giorno non accadde l’inevitabile.
Un
mercoledì pomeriggio la macchina degli Watson si fermò davanti al Manor e John
scese mestamente dal sedile posteriore, accompagnato da una
sconosciuta.
Sherlock
gli andò incontro come al solito e, dopo aver osservato le spalle curve e gli
occhi arrossati di John, capì che Mrs. Watson era
morta.
Senza
parlare, aveva stretto una mano in quella di John e si era avviato verso
l’enorme giardino, seguito mestamente dal biondo.
Avevano
camminato a lungo, allontanandosi finché nessuno affacciandosi da una delle
tante finestre del Manor avrebbe potuto vederli, arrivando accanto ad un salice
piangente i cui lunghi rami ricurvi toccavano il terreno con la grazia e
l’eleganza di una ballerina classica.
Sherlock
si era seduto a terra, tirando giù con sé anche John, entrambi con la schiena
contro il tronco del grande albero ed aveva lasciato cadere il silenzio fra di
loro, interrotto soltanto dal canto intermittente dei
grilli.
-Raccontami
qualcosa Sherlock-si era sentito chiedere all’improvviso, dopo un lasso di tempo
imprecisato.
Il
moro si era voltato leggermente verso l’amico, osservando gli occhi blu oceano
fissi sul cielo sgombro di nuvole, notando per la prima volta le nocche della
mano destra graffiate(deve aver preso a pugni il muro per sfogare la rabbia ed
il dolore), domandandosi quale argomento avrebbe potuto risollevare l’animo
triste di John.
Senza
quasi rendersene conto, Sherlock aveva dischiuso le labbra e aveva iniziato a
parlare, disquisendo sullo spazio, del Sistema Solare, dei vari pianeti e delle
loro diverse caratteristiche, continuando poi con le costellazioni e delle
stelle più famose che costituivano la Via Lattea.
Durante
il suo discorso, in silenzio, John si era avvicinato a lui e aveva abbandonato
la testa contro la sua spalla destra ed in silenzio, mentre Sherlock era
impegnato a dimostrare la possibilità di vita su Marte, John aveva iniziato a
piangere.
In
silenzio, con pudore, cercando di non dare fastidio.
Fu
soltanto quando le sue spalle iniziarono ad essere scosse da violenti singhiozzi
che Sherlock si accorse dello stato d’animo dell’amico e, senza interrompere il
suo discorso, aveva attirato John a sé, muovendosi in modo da poter circondare
le spalle tremanti di John con un braccio, portando così il biondo a nascondere
il volto contro il collo niveo dell’altro.
All’istante,
le braccia di John si erano serrate contro la vita sottile del bambino,
aggrappandosi a lui in cerca di sostegno, protezione e aiuto, chiedendo al
proprio Alpha di non abbandonarlo e allo stesso tempo chiedendogli perdono per
quel momento di debolezza.
Sherlock
non seppe mai quanto tempo trascorsero in giardino sotto il salice piangente, ma
quando finalmente i singhiozzi di John cessarono, il bambino che Sherlock aveva
conosciuto tre anni prima era scomparso, lasciando precocemente il posto
all’uomo che John sarebbe diventato con il tempo.
Quella
sera, mentre osservava John dormire nel letto singolo sistemato accanto al suo,
Sherlock aveva cancellato dal suo cervello ogni minima nozione sullo spazio e
sul Sistema Solare, lasciando intatto il ricordo del volto sconvolto dal dolore
di John.
Immerso
nelle tenebre della notte, Sherlock promise a sé stesso che da quel momento in
poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare che John soffrisse di
nuovo.
_________________________
Avvertì
la loro presenza non appena entrarono dalla porta del
cafè.
I
suoi occhi blu ghiaccio si mossero veloci verso l’entrata, distogliendo lo
sguardo all’istante, concedendo a padre e figlia l’intimità ed il tempo di cui
avevano bisogno per le ultime raccomandazioni, deciso a concedere ad Amelia
tutto il tempo di cui aveva bisogno per approcciarsi a
lui.
Aveva
atteso quel momento per otto lunghi anni, non avrebbe permesso alla curiosità e
all’impazienza di rovinare tutto; quindi concentrò la propria attenzione sulla
tazza di ceramica bianca posata a poca distanza dalla sua mano destra,
accarezzandone il manico con la punta dell’indice e del medio, notando
l’impercettibile alone marrone chiaro di caffeina attorno ai bordi che non era
scomparso neanche con i potenti detergenti industriali ed i frequenti
lavaggi.
Due
minuti e trentasei secondi dopo, un’ombra si materializzò davanti al suo
tavolino, portandolo ad alzare lo sguardo.
Ferma,
davanti alla sedia vuota di fronte alla sua, Amelia lo fissava in silenzio e per
i successivi quindici secondi padre e figlia si osservarono, imbarazzati e
incapaci di spicciare parola.
Ricordando
le buone maniere che sua madre aveva cercato inutilmente di insegnargli,
Sherlock si alzò in piedi, troneggiando sopra di lei e incurvò
impercettibilmente le labbra nell’accenno di un sorriso.
Forse
rassicurata da quel gesto cavalleresco o dal suo “sorriso”, Amelia uscì
dall’immobilità che l’aveva colpita fin da quando si era avvicinata al tavolo e
dischiuse le labbra in un lieve sorriso tipicamente Watson, che portò il cuore
di Sherlock a mancare un battito.
-Salve.
Sono Amelia Victoria Watson-si presentò con voce chiara e
ferma.
Sherlock
fece un cenno con il capo.
-Ed
io sono Sherlock Holmes. Piacere di conoscerti.
Prego,
siediti-le disse indicandole la sedia vuota davanti alla
bambina.
Amelia
si slacciò il cappotto blu notte e lo sistemò ordinatamente sulla spalliera
della sedia, rivelando un paio di sneakers rosa dei jeans neri ed una camicia
bianca coperta da un cardigan rosa in tinta con le scarpe.
-Ero
certo che tuo padre ti avrebbe accompagnato al tavolo-le disse, scegliendo di
iniziare la conversazione con un argomento neutro.
La
bambina annuì.
-Voleva
farlo...Ma io gli ho ricordato che ho 9 anni e tre quarti e non ho bisogno di un
accompagnatore.
E’
seduto laggiù-disse voltandosi leggermente sulla sedia per indicare la sezione
del cafè vicino alla porta.
-Due
tavoli alla nostra destra, poco distante dalla porta, dove può vedere bene sia
me che te, ma soprattutto il tuo volto, in modo da intervenire se dovessi aver
bisogno d’aiuto-elencò Sherlock con sicurezza.
Amelia
tornò a voltarsi verso di lui e lo fissò per qualche istante sorpresa, un lampo
di curiosità negli occhi, prima di abbassare lo sguardo sul tavolo( devono
averle detto che fissare troppo a lungo una persona è
maleducazione…Mycroft!).
-Deve
avere la vista di un falco…-commentò.
Sherlock
accennò un sorriso, contagiando anche la bambina.
-Qualcosa
del genere. Vuoi qualcosa da bere?-le domandò ricordandosi il comportamento più
adatto in certe situazioni.
Amelia
annuì.
-Un
succo di mela, per favore-rispose in maniera estremamente
educata.
Sherlock
si alzò dalla propria sedia e si diresse verso il bancone, lanciando un’occhiata
di sottecchi a John e notando che il biondo lo stava osservando a sua volta, prima di concentrarsi sul proprio
compito.
Con
voce estremamente educata ordinò del succo di mela per Amelia, osservando
velocemente la cameriera e scoprendo la sua infelice relazione con un cugino di
secondo grado e i debiti universitari che non era in grado di ripagare con il
lavoro part-time al cafè che la portavano a considerare un secondo lavoro in un
locale notturno.
-Ecco
a te-disse una volta tornato al proprio tavolo e restando in silenzio qualche
istante mentre Amelia prendeva qualche sorso dal proprio
bicchiere.
Osservandola,
Sherlock si disse che era impossibile che il suo patrimonio genetico avesse
preso parte alla creazione di quella bambina: ogni più piccola cosa, partendo
dal colore dei capelli alla punta del naso, per finire alle mani piccole, era
esclusivamente John.
C’era
stato un tempo in cui la versione maschile di quel patrimonio genetico
scorrazzava per Holmes Manor senza nessun pensiero per la testa, spensierato e
felice di trovarsi insieme al proprio migliore amico…al proprio futuro
Alpha…
-Com’è
andato l’allenamento di calcio?-le domandò allontanando quei pensieri dalla
mente.
Amelia
alzò le spalle.
-Sarebbe
potuto andare meglio-commentò.
-Come
mai?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la fronte.
-E’
venerdì…Il venerdì facciamo sempre il peggior allenamento: tutti sono
concentrati sul fine settimana e cosa faranno in quei due giorni, e non si
impegnano abbastanza durante l’allenamento-spiegò quasi fosse un dato di
fatto.
-Può
essere noioso, lo capisco-concesse Sherlock.
-Davvero
noioso!-confermò Amelia calcando sull’ultima parola.
Il
detective accennò un nuovo sorriso confrontandosi finalmente con la prima vera
prova della presenza dei suoi geni nella bambina; pochi istanti ed il suo
sorriso si accentuò ancora di più quando si rese conto che era una delle
caratteristiche che facevano imbestialire John.
-Quindi
tu sei il mio padre Omega-disse la bambina, riportando la sua attenzione sul suo
volto.
Sherlock
la fissò qualche istante, notando la sua esitazione e l’imbarazzo ad affrontare
quell’argomento e allo stesso tempo il bisogno di ottenere una
risposta.
-Sì,
sono io-confermò.
Questa
volta toccò ad Amelia osservarlo per qualche istante in silenzio, e Sherlock
sperava di scorgere nel suo volto qualche rassomiglianza, qualche piccolo
particolare che confermasse le sue parole e quelle di
John.
-Sei
identico alle foto su internet- disse alla fine, prima di bere un altro sorso
dal proprio bicchiere.
-Vedo
che hai fatto una piccola ricerca su di me-le disse il
moro.
Amelia
annuì.
-Era
più facile-si limitò a commentare.
-Vostro
padre non parla mai di me?-le chiese sinceramente curioso.
-Sei
davvero un detective?-gli domandò lei evitando di rispondere alla sua
domanda.
-Consulente
detective-precisò automaticamente Sherlock-Quando Scotland Yard ha bisogno di un
aiuto, quindi la maggior parte delle volte, vengono da me e io risolvo i loro
casi-
-Quindi
lavori con Scotland Yard?-
-Soltanto
con la Sezione Omicidi-disse ancora.
Amelia
restò in silenzio qualche istante, chiaramente pensierosa, le labbra premute
l’una contro l’altra, mentre le dita della mano destra giocherellavano
nervosamente con il polsino del cardigan della mano
sinistra.
-Quindi
ti preoccupi di arrestare i criminali-concluse.
-Io
fornisco le prove che serviranno agli agenti di Scotland Yard per arrestare i
criminali, ma si può dire che la tua affermazione è corretta-affermò
Sherlock.
-E’
pericoloso?-gli domandò ancora la bambina.
Sherlock
prese un respiro profondo e rifletté qualche istante, indeciso se dire la verità
o meno: se si fosse limitato a svolgere il proprio lavoro fra le quattro mura
del proprio appartamento, osservando i files e conducendo esperimenti non
sarebbe stato un lavoro pericoloso, ma il 99,9% delle volte, Sherlock si gettava
a capofitto nell’inseguimento del sospettato…
-Il
più delle volte-ammise, scegliendo di essere sincero.
-Quindi
perché lo fai?-gli chiese Amelia, la fronte leggermente corrucciata per la
confusione.
“Per
l’ebbrezza dell’inseguimento… Per l’adrenalina che mi scorre nelle vene ogni
volta che un’omicida o uno stupratore o un bombarolo viene arrestato grazie a
me…Per evitare che la mia mente marcisca a causa della
noia”
-E’
il mio lavoro.
Così
come tuo padre aiuta le persone facendo di tutto perché guariscano e vivano il
più a lungo possibile, io faccio del mio meglio perché la città sia sicura-le
rispose, sperando che fosse la risposta più giusta.
-E’
divertente?-gli domandò ancora la bambina.
“Oh
Dio si…”
-Qualche
volta-
Amelia
annuì e con un lungo sorso finì il
proprio succo di mela.
-Come
va la scuola?-le chiese Sherlock, cambiando argomento.
Ancora
una volta, Amelia alzò le spalle.
-Bene.
Matty, mio fratello, ti direbbe che è noiosa, ma a me piace-rispose con una
sincerità che poteva essere trovata soltanto nei bambini.
-Quali
sono le tue materie preferite?-
-Inglese,
Storia e Biologia-rispose prontamente lei.
-E
tuo fratello invece? Quali sono le sue materie preferite?-tentò il detective,
senza grandi speranze.
Amelia
abbassò per un’istante lo sguardo sul proprio polsino prima di incontrare
nuovamente i suoi occhi.
-Forse
dovresti chiederlo a lui…-rispose in tono dolce, chiaramente
imbarazzata.
Sherlock
le sorrise, rassicurandola che quel rifiuto non l’aveva indispettito in nessun
modo ed annuì.
-Hai
ragione…Ok, mi hai già detto che giochi a calcio, qual è il tuo ruolo?-le
domandò cambiando nuovamente argomento, deciso a superare in fretta quel momento
d’imbarazzo.
Per
qualche secondo Amelia lo guardò incerta, quasi non fosse sicura se potesse
fidarsi di lui o meno, prima di rilassarsi nuovamente.
-Sono
il portiere. Papà e lo zio Greg dicono che sono anche abbastanza brava-commentò,
alzando le spalle per l’ennesima volta, in un gesto pieno di insicurezza- Ti
piace il calcio?-gli domandò poi.
Sherlock
sorrise a sua volta.
-Non
posso dire di essere un fan appassionato, o un conoscitore esperto delle
regole.
C’è
stato un periodo, quando eravamo giovani, che ero capace di sedere sul divano
accanto a tuo padre per tutta la partita, ascoltandolo mentre gridava insulti
all’arbitro o alla squadra avversaria, o mentre esultava per la vittoria del
Chelsea-le raccontò.
Amelia
aggrottò la fronte a quelle parole.
-Perché?-
Sherlock
mosse entrambe le mani sul piano del tavolino, incapace di trovare una
spiegazione sensata.
-John
ama il calcio ed io amo lui-rispose semplicemente alla
fine.
Dopo
quelle parole Amelia restò in silenzio per un lungo istante, fissandolo quasi lo
vedesse per la prima volta e fu allora che Sherlock capì: quella semplice frase
aveva creato un piccolo terremoto interno nelle convinzioni della
bambina.
Sherlock
se ne era andato quando lei e Matthew erano in fasce, quindi l’unica spiegazione
possibile era che l’Omega aveva smesso di amare suo padre e aveva deciso di
abbandonare lui ed i loro cuccioli.
A
distanza di otto anni, Sherlock era lì davanti a lei, a parlare dei propri
sentimenti per John al presente, come se fossero più vivi e forti che mai…Quindi
cosa aveva spinto l’Omega ad abbandonarli?
-Cos’
altro avete fatto insieme?-gli domandò all’improvviso chiaramente
curiosa.
“Siamo
andati all’inferno e ritorno più e più volte…E nel percorso siamo diventati
adulti e l’unica persona davvero indispensabile per
l’altro”
-Una
volta, tuo padre avrà avuto 18 anni, all’improvviso ha deciso che voleva
imparare a cucinare.
Io
ovviamente fui la sua cavia-le raccontò.
-Cosa
successe?-gli domandò curiosa Amelia.
-Fu
un’esperienza orribile!-si limitò a rispondere l’uomo.
-Papà
sa cucinare molto bene!-ribatté la bambina correndo prontamente in difesa del
padre.
Sherlock
annuì lentamente.
-Non
metto in dubbio che ora la sua cucina sia decisamente migliorata, ma se non
ricordo male quella era la prima volta in cui tentò di cucinare la
pasta.
Malgrado
le istruzioni ben chiare sul libro di cucina uscì così dura che la usammo come
sassolini nel laghetto delle oche a Regent’s Park-le raccontò, ricordando
l’espressione esasperata e delusa di John di fronte al cibo immangiabile, il
modo in cui erano riusciti a risollevare le sorti di quella giornata grazie
all’improvvisa idea di portare i granitici pezzi di grano duro al parco e
compararli ai sassi che asfaltavano i vialetti di Regent’s Park in una gara nel
laghetto.
Amelia
rise.
Una
piccola cascata di risate squillanti che accelerò i battiti cardiaci di Sherlock
e che scatenò un inaspettato calore sul suo volto: era questo che John provava
tutti i giorni stando a contatto con lei e Matthew?
-Già…E
non apriamo il discorso dolci!
E’
sempre stato una nota dolente per John…L’ultima volta che ha provato ha fare un
dolce abbiamo dovuto lasciare l’appartamento per una notte a causa della puzza
di bruciato-le raccontò ancora il moro con un leggero sorriso sulle
labbra.
Amelia
continuò a ridere per qualche altro minuto, finché le sue risate non scemarono
lentamente ed il suo viso ritornò serio, gli occhi fissi sul volto di Sherlock,
permettendo così all’uomo di prepararsi psicologicamente per quella che, senza dubbio, sarebbe stata
una domanda molto importante.
-Lo
amavi?-gli domandò infatti la bambina.
Sherlock
annuì senza la minima esitazione.
-Lo
amo ancora. Tuo padre è l’unico uomo che abbia mai amato-le confessò
sincero.
Amelia
abbassò lo sguardo, portandolo nuovamente sul proprio polsino, ricominciando a
tormentarlo fra le dita nervose e per qualche istante i due restarono in
silenzio, finché la bambina parlò nuovamente, evitando accuratamente di
incontrare i suoi occhi blu ghiaccio.
-Allora
perché te ne sei andato?-gli chiese.
Sherlock
espirò rumorosamente dal naso, cercando le parole più semplici per spiegare il
suo rapporto con John.
Vent’anni
di amicizia e di vita in comune…Vent’anni di amore e di
liti…
-E’
complicato…-disse, malgrado odiasse lui stesso quelle
parole.
Amelia
gli rivolse un piccolo sorriso ironico.
-Papà
dice sempre la stessa cosa-commentò.
-Ti
prometto che un giorno cercherò di spiegarlo sia a te che a tuo fratello, se
vorrà ascoltarmi-le disse sporgendosi leggermente in avanti sul piano del
tavolino.
Amelia
annuì impercettibilmente, ancora chiaramente confusa, poi l’attimo dopo
dischiuse le labbra per fare una nuova domanda ma cambiò idea l’istante
dopo.
Decisamente
arrabbiata con sé stessa, scosse la testa e tirò indietro le spalle con un gesto
che Sherlock aveva visto fare tante volte a John in passato e incontrò il suo
sguardo.
-Te
ne sei andato per colpa nostra?-gli domandò alla fine.
Un’inaspettata
immobilità s’impossessò del corpo di Sherlock a quelle
parole.
Era
davvero questo quello che pensavano i suoi figli?
Analizzò
velocemente le proprie parole, frustrato perché in possesso soltanto di dati
parziali( chissà
cosa ha detto loro John durante questi anni…No, John non avrebbe mai detto nulla
di intenzionalmente meschino o maligno su di lui ai loro figli!)
e capì perché Amelia gli aveva fatto quella domanda: aveva appena ammesso di
aver sempre amato John, che i suoi sentimenti non erano cambiati, nonostante il
passare degli anni e la lontananza, l’unico elemento di “disturbo” era stata la
nascita dei gemelli e due mesi dopo, Sherlock se ne era
andato.
-Voglio
essere onesto con te-iniziò con voce seria, ma allo stesso tempo con una vena di
dolcezza al suo interno-Credo che sia il mimino che tu possa aspettarti da me
dopo tutti questi anni…
Fu
un’idea di tuo padre quella di avere dei cuccioli.
Io
non ne ero convinto, ma avrei fatto qualsiasi cosa per John e così
acconsentii.
Quando
scoprimmo che ero incinto, tuo padre era al settimo cielo per la felicità, ma io
no-confessò.
Amelia
continuava a fissarlo con un’espressione illeggibile sul volto, senza perdere
neanche una parola del suo discorso.
-So
che può sembrare crudele, ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era tutto ciò
che non avrei potuto più fare a causa della gravidanza, tutto ciò che mi era
vietato perché ora non era più soltanto il mio corpo, ma anche il vostro e
dovevo proteggervi e pensare a voi prima di tutto.
Durante
la gravidanza John passava ore a parlare al mio stomaco, a voi, oppure mi
guardava con quel suo meraviglioso sorriso capace di illuminare un’intera stanza
e io sapevo che era felice… Veramente felice come mai prima d’ora e tutto grazie
a me, ed ero capace di crogiolarmi in quella felicità, contento per aver fatto
nascere quel bellissimo sorriso sul suo volto senza sforzo, soltanto grazie al
mio essere Omega.
Ero
soddisfatto di averlo reso felice…- disse interrompendo la frase a metà prima
che i suoi pensieri traditori si tramutassero in parole.
(Averlo
reso l’uomo più felice della Terra dopo tutte le delusioni e la sofferenza che
aveva provato a causa mia; dopo tutte le volte che lo avevo amareggiato con il
mio comportamento…).
Un
lieve sorriso incurvò le labbra di Sherlock mentre nella sua mente nuove
immagini felici si sostituivano a quelle tristi di poco
prima.
-Quando
voi siete nati ed… eravate perfetti.
La
cosa più bella che avessi mai visto-le disse sostenendo il suo
sguardo.
-Vi
ho amato dal primo momento in cui ho posato il mio sguardo su di voi e non ho
mai smesso. Malgrado tutto quello che è successo nel corso degli
anni-concluse.
Padre
e figlia si fissarono per qualche istante in silenzio, venendo a patti con il
discorso di Sherlock, finché Amelia non dischiuse nuovamente le
labbra.
-Mi
racconterai quello che è successo un giorno?-gli chiese in un
sussurro.
Sherlock
annuì.
-Te
lo prometto-
Amelia
annuì a sua volta per poi alzarsi in piedi e fermarsi accanto alla
sedia.
-Devo
andare-disse recuperando il cappotto dalla spalliera della
sedia.
-Grazie
per essere venuta-le disse alzandosi in piedi a sua volta.
-Grazie
per essere stato onesto-rispose Amelia cogliendolo di
sorpresa.
La
bambina finì di abbottonarsi il cappotto e fece per allontanarsi verso il tavolo
dove John era in attesa, ma dopo due passi si voltò e cercò nuovamente lo
sguardo di Sherlock.
-Ti
vedrò di nuovo?-gli domandò, una leggera nota d’insicurezza nella
voce.
Sherlock
le sorrise rassicurante.
-Ogni
volta che vorrai-
Dopo
qualche istante Amelia annuì.
-Arrivederci
Sherlock-lo salutò per poi voltargli le spalle e avviarsi verso
John.
Sherlock
la osservò andar via, incontrando per un breve istante lo sguardo blu oceano di
John, prima che i due si allontanassero insieme verso l’uscita, un’unità
compatta da cui lui era escluso.
-Ciao
love-
____________________________
-Allora?
Com’è andata?-
Matthew
si complimentò con sé stesso quando riuscì a trattenere la sua curiosità ed il
fiume di domande che premeva per uscire dalle sue labbra per ben tre minuti dopo
il ritorno di Amy dall’ incontro con l’Omega.
Suo
padre si era fermato nell’ufficio al 221C, consapevole di dover lasciare qualche
minuto ai due gemelli per parlare in solitudine dell’incontro, senza la sua
presenza fra i piedi, dando così a Matthew la libertà di fare tutte le domande
che altrimenti avrebbe censurato.
Amelia,
per nulla sorpresa dalla domanda, appese il proprio cappotto all’attaccapanni
accanto alla porta voltandosi verso il fratello con un sorriso eccessivamente
affettuoso.
-Ciao
Amy. Come stai?
Oh,
ciao Matty! Grazie
per averlo chiesto…- disse la bambina in tono ironico.
-Smettila!
Lo
sai che odio fare conversazione a vuoto-le ricordò prima di ricominciare con le
sue domande- Com’è andata? Cosa vi siete detti? Lui com’è?- chiese a raffica in
un solo fiato.
-A
quale domanda devo rispondere per prima?-domandò a sua volta Amelia, andando a
sedersi sul vecchio divano.
-Non
importa, basta che rispondi!-disse Matthew andandole dietro e sedendosi sulla
poltrona dall’alto schienale che da sempre era di fronte a quella di suo
padre-Per favore…-aggiunse l’attimo dopo.
Amelia
lo fissò qualche istante, prima di lasciarsi scappare un
sospiro.
-Ok…All’inizio
ero un po’ spaventata, prima di incontrarlo, e papà non era per niente
d’aiuto!
Anzi
credo fosse più nervoso di me: continuava a dirmi che avrei dovuto fargli un
cenno appena mi fossi sentita a disagio, che era ad un tavolo di distanza, che
sarebbe venuto in mio soccorso…
E
poi l’ho visto-raccontò la bambina incrociando le gambe sul
divano.
-Assomiglia
alle foto che abbiamo visto?-le domandò Matty senza distogliere lo sguardo dal
volto della sorella.
Amelia
sembrò pensierosa per alcuni istanti prima di annuire.
-Un
po’; è più vecchio, più…maturo.
Non
so come spiegarlo, ma credo sia dovuto alle esperienze fatte durante questi
anni-gli disse.
-Cosa
ha fatto?-chiese ancora Matty.
Malgrado
non gli facesse piacere ammetterlo, era estremamente curioso nei confronti di
quell’uomo.
Avrebbe
voluto cancellare la sua esistenza, continuare a vivere la sua vita come aveva
fatto finora, con la sua famiglia, ma aveva bisogno di sapere se
quest’uomo(il
suo padre Omega)
poteva essere una minaccia.
Per
sé stesso, per Amelia e soprattutto per suo padre.
-Io
ho ordinato un succo di mela e lui un caffè, ma non lo ha bevuto…Ed abbiamo
parlato.
Mi
ha chiesto della scuola, della squadra di calcio, ma non con un tono
accondiscendente, era davvero interessato alle mie
risposte...-
-Ti
ha chiesto di me?-le domandò suo malgrado, mordendosi la lingua l’attimo dopo,
quasi volesse punirsi per quell’eccesso di curiosità.
Lo
considerava una causa persa visto non aveva voluto
incontrarlo?
Amy
annuì.
-Un
paio di volte.
Ma
ho evitato di rispondere perché so che non ti avrebbe fatto piacere-rispose la
sorella.
Questa
volta toccò al bambino fare un cenno d’assenso.
-Ottima
scelta. Come ha reagito?-
-Ha
preso atto della cosa, ma era evidente che fosse ancora curioso sul tuo conto e
un po’ dispiaciuto-rispose sincera lei.
Un
suono ironico scappò dalla gola di Matty sorprendendo
entrambi.
-Dispiaciuto?
Che cosa si aspettava?-le domandò, una punta di acidità nella
voce.
Amelia
lo fissò con affetto per qualche istante, prima di alzare le
spalle.
-Non
si aspettava nulla, ma questo non significa che debba essere contento per come
stanno le cose-gli fece notare.
Matthew
evitò di farle notare che se l’Omega si trovava in quella situazione era
soltanto per colpa delle sue scelte sbagliate, certo che quell’affermazione
avrebbe aperto un lungo dialogo che sarebbe potuto finire in malo
modo.
-Ha
risposto alle tue domande?-le chiese invece.
Amelia
annuì.
-Lui…Lui
è stato molto onesto, proprio come papà e mi ha detto che lo amava molto e che
lo ama ancora adesso…E io gli credo, perché potevo vederlo chiaramente dai suoi
occhi ogni volta che parlava di papà…-
-Che
vuoi dire?-domandò il bambino aggrottando la fronte.
-Ogni
volta che pronunciava il nome di papà, o mi raccontava qualcosa del loro passato
insieme, c’era una luce nei suoi occhi, un sorriso quasi infantile sulle sue
labbra-cercò di spiegargli Amy.
-Allora
perché se ne è andato?-rimarcò Matty.
-Gli
ho fatto la stessa domanda e anche lui, come papà, dice che è una storia
complicata e che un giorno, se vorremmo ascoltarlo ci racconterà tutto, ma che
era un argomento troppo difficile per un primo incontro-spiegò velocemente la
bambina.
Matthew
annuì lentamente: in fondo non si era aspettato una risposta
diversa.
-Ti
ha detto altro?-le domandò poi incontrando nuovamente il suo
sguardo.
Amelia
restò in silenzio qualche istante, chiaramente incerta se condividere l’ultima
parte della loro conversazione con il fratello: non aveva mai nascosto nulla a
Matty, ma era consapevole che il fratello non vedeva di buon occhio l’Omega,
infatti era stato contrario fin dal principio al suo incontro con
l’uomo.
Doveva
davvero raccontargli cosa le aveva confidato rischiando così di peggiorare la
situazione?
Alla
fine espirò profondamente e, presa la propria decisione fissò il volto del
bambino.
-Ha
detto che malgrado non se ne sia andato per colpa nostra, ha ammesso che se
fosse dipeso da lui noi non saremmo qui ora-gli confidò.
-Lo
sapevo!-disse Matthew ricordando la conversazione avuta una settimana prima con
lo zio Mycroft, prima che un’espressione costernata si dipingesse sul suo
volto-Ha cercato di liberarsi di noi?-
In
fondo dall’Omega poteva aspettarsi
di tutto.
Amelia
scosse la testa con forza.
-No!
Mi ha raccontato che all’epoca fu papà il primo a volere dei cuccioli e che lui
ha acconsentito soltanto perché lo amava, non perché fosse desideroso di avere
dei cuccioli a sua volta.
Però
ha affermato anche che ha cambiato idea non appena ci ha visto, subito dopo il
parto…Ha detto che si è innamorato di noi a prima vista-concluse chiaramente
affaticata da quel discorso.
Matthew
rise amaramente, cercando di far trasparire tutta la propria incredulità ed il
proprio scetticismo per le parole della sorella.
-Questo
non cambia il fatto che se l’è data a gambe due mesi dopo-commentò alzandosi in
piedi, bisognoso di scaricare la tensione.
-Ha
detto che i suoi sentimenti per noi non sono cambiati-aggiunse Amy, senza
cercare di incontrare il suo sguardo.
-Ah
si? Dov’è quest’amore?
Non
posso vederlo, non posso toccarlo, non posso neanche
sentirlo!
So
che papà ci ama perché lo dimostra ogni giorno fin da quando ho memoria, ma non
mi interessa se un estraneo all’improvviso professa il suo amore eterno per me o
per te-le disse con voce secca.
-Noi
non conosciamo tutta la storia Matty…-tentò di fargli notare la
bambina.
-Cambierebbe
il quadro generale delle cose?-le domandò lui voltandosi verso
Amelia.
La
bambina alzò le spalle, decisa a tenergli testa.
-Forse.
Oppure no. Non lo sappiamo ancora-
-Quindi
è per questo che lo vedrai di nuovo?-la incolpò quasi fosse un crimine
imperdonabile.
Amelia
sospirò: era ormai evidente che si sarebbero trovati sempre su due posizioni
diverse riguardo quell’argomento.
La
bambina era sinceramente confusa: da una parte c’era il suo personale
risentimento verso l’Omega, l’uomo che le aveva dato la vita e che si era lavato
le mani di lei e di suo fratello alla prima occasione, senza mai voltarsi
indietro e chiedersi cosa ne era stato di loro.
Dall’altra
c’era Sherlock, l’uomo elegante e distinto che aveva incontrato quel giorno,
chiaramente interessato a lei, disponibile al dialogo che non si era tirato
indietro a nessuna delle sue domande, cercando di darle una risposta anche
quando l’argomento era spiacevole.
Possibile
che nella stessa persona convivessero due anime così diverse fra
loro?
-Sono
incuriosita…E sinceramente non capisco come tu possa voltare le spalle a tutte
queste informazioni e ignorarle completamente quasi non ti riguardassero-
commentò.
-Perché
lui ci ha fatto del male!-sbottò Matthew, sorprendendo sua sorella e sé
stesso.
Possibile
che fossero tutti così ciechi in quella famiglia? Come potevano fidarsi di
quell’uomo, con quale coraggio gli permettevano di insinuarsi nuovamente nelle
loro vite?
Amelia
spalancò gli occhi e lo fissò in silenzio, chiaramente desiderosa di allungare
una mano e confortarlo, ma consapevole che anche un minimo gesto avrebbe
complicato ancora di più le cose.
-Ha
fatto del male a tutti noi! A me, te, papà! E sono certo che lo farà di nuovo se
gli diamo un’altra opportunità-continuò con voce più
controllata.
Amelia
sospirò leggermente triste.
-Dovresti
avere un po’ di fiducia…Ci deve essere del buono in lui se papà lo ha scelto
come Compagno.
Non
è mica uno stupido-gli fece notare Amy.
Matthew
scosse la testa.
-No,
ma quando si sono incontrati per la prima volta erano
bambini-commentò.
Per
qualche istante nel salotto scese il silenzio, lasciando ai gemelli il tempo di
riflettere su quello che si erano detti finora, cercando un punto d’incontro,
una possibile soluzione temporanea ai loro problemi, finché non apparve evidente
che almeno per il momento la situazione era irrisolvibile.
-Vuoi
restare da solo per un po’?-domandò Amelia rompendo il
silenzio.
Matthew
scosse la testa, avvicinandosi al pianoforte e lasciando scivolare la punta
delle dita sulla tastiera coperta.
-No,
ho bisogno di pensare…Credo che suonerò qualcosa per un po’-le disse senza
guardarla.
Ancora
una volta Amelia annuì, sistemandosi meglio sul divano, in modo da avere una
perfetta visuale del pianoforte e seguendo con lo sguardo mentre Matty si sedeva
di fronte allo strumento e sollevava il coperchio che proteggeva i
tasti.
-Lo
so che ci ha fatto del male-parlò nuovamente Amelia, poco prima che il bambino
iniziasse a suonare- Ma questa potrebbe essere l’occasione che stavamo
aspettando…
Vuole
far parte di questa famiglia, vuole dimostrarci di esserne degno… Il minimo che
possiamo fare è concedergli una chance-
L’istante
dopo il silenzio fu sostituito dal suono grave della
musica.
_____________________________
Un
diverso cafè, un nuovo incontro.
Due
giorni dopo il suo primo incontro con Amelia, Sherlock era seduto ad un altro
tavolino in uno dei tanti Starbuck nel centro di Londra, in
attesa.
Nelle
quarantotto ore precedenti aveva scambiato vari messaggi con John, alcuni
insignificanti, a cui non aveva ricevuto risposta, che servivano soltanto per
informare il biondo della sua giornata, ed altri, a cui aveva ricevuto risposta,
in cui aveva chiesto a John di vedersi nuovamente.
Fin
dagli anni Ottanta, con l’avvento dei primi cellulari, Sherlock era sempre
riuscito a procurarsene un paio, uno per sé ed uno per John, in modo da essere
sempre in contatto anche quando erano distanti.
Con
il passare degli anni, la sua capacità di stare al passo con la tecnologia aveva
superato quella di John, che non era mai riuscito a superare la sua innata
avversione per tutto ciò che non fosse “ strettamente necessario” , ma erano
sempre riusciti a tenersi in contatto.
Fino
a otto anni prima.
Seduto
a quel tavolino, Sherlock si ritrovò incredibilmente felice di poter nuovamente
raggiungere John soltanto premendo un tasto sul proprio telefono, come era
solito fare anni addietro.
Era
un piccolo passo verso la normalità.
Alzando
lo sguardo verso la porta del cafè, Sherlock vide la figura compatta di John ed
un sorriso istantaneo incurvò le sue labbra; John si guardò attorno per qualche
istante nel cafè prima di incontrare il suo sguardo e muoversi nella sua
direzione.
-Ciao-lo
salutò una volta fermo davanti a lui.
Sherlock
inclinò la testa in un gesto di saluto.
-Ciao
John. Grazie per essere venuto-lo salutò a sua volta il
moro.
Il
dottore annuì.
-Nessun
problema. Hai già ordinato?-gli domandò indicando con il pollice della mano
destra la cassa e la piccola fila di persone in attesa.
-No,
stavo aspettando te-
-Ok…Torno
subito-rispose John avviandosi verso la cassa.
-Nero…-gli
disse Sherlock.
-Con
due cucchiai di zucchero. Lo so-disse John completando la frase e lanciandogli
uno sguardo sopra la propria spalla destra.
Sherlock
accennò un sorriso e si sistemò nuovamente sulla sedia, cercando una posizione
comoda, cercando di controllare i battiti leggermente accelerati del suo
cuore.
Due
minuti dopo, John era di nuovo davanti al tavolo, una tazza in ogni mano,
sistemando quella nella mano sinistra di fronte a Sherlock, prima di sedersi di
fronte al moro.
Per
alcuni istanti i due uomini sorseggiarono i loro drink in silenzio, evitando lo
sguardo dell’altro, consapevoli che una volta iniziata la conversazione, la
relativa tranquillità fra di loro si sarebbe spezzata.
-Allora…Eccoci
qui-disse Sherlock, stanco di quel silenzio carico di
sottintesi.
John
annuì, lo sguardo sulla tazza che stringeva fra le mani.
-Già…Ho
visto che sei di nuovo sui giornali-gli disse senza nessun’inflessione
particolare nella voce.
Sherlock
alzò le spalle, la tazza a mezz’aria.
-Credo
fosse inevitabile-commentò prima di prendere un sorso di
caffè.
L’
aspetto mediatico era una parte che
aveva sempre odiato del proprio lavoro: ogni volta che era stato possibile, si
era mantenuto nell’ombra, lasciando che altri si prendessero il merito delle sue
intuizioni e del suo lavoro.
Odiava
i giornalisti e le loro domande idiote, pronti ad avventarsi sulla notizia del
giorno senza, alle volte, fare i dovuti riscontri.
La
stampa era stata una pedina importante nel piano di Moriarty, convincendo
l’opinione pubblica che il “Grande” Sherlock Holmes non era altro che una frode
grazie ad articoli in prima pagina, titoli eclatanti e il dossier di
quell’insulsa “giornalista” Kitty Riley.
-Com’è
tornare nel mondo dei vivi?-gli domandò John riportando i pensieri di Sherlock
al presente e incontrando finalmente il suo sguardo.
-Noioso-rispose,
facendo nascere un lieve sorriso sul volto di John- Al momento sto firmando una
montagna di documenti.
Diciamo
che per ora sono nel mezzo: per alcune istituzioni sono di nuovo vivo, mentre
per alcune sono ancora morto, malgrado mi vedano sulle prime pagine dei giornali
o su tutti i notiziari-spiegò.
John
si strofinò la fronte con la punta delle dita.
-E’
davvero strano il modo in cui ne parli…-commentò prima di scuotere leggermente
la testa, cercando di allontanare i pensieri negativi dalla propria
mente-Mycroft ti sta aiutando?-gli domandò poi.
Questa
volta toccò al moro scuotere la testa.
-Anthea-rispose
portando John ad annuire –Il mio caro fratello ha dimostrato chiaramente fin
dall’inizio dove fosse la sua lealtà.
Ma
per una volta sono d’accordo con lui-aggiunse prendendo un altro sorso di
caffè.
Un
lungo silenzio seguì quelle parole, portando John a riflettere su quanto fossero
cambiati gli equilibri della loro famiglia, anche se ad un occhio esterno tutto
sarebbe potuto risultare uguale.
Mycroft,
da sempre attento alle esigenze e ai bisogni di Sherlock, specialmente dopo che
questi si era Presentato come un’Omega, aveva permesso che un’altra persona la
gestione della sicurezza del detective.
Non
avrebbe potuto scegliere un metodo più eclatante per dichiarare la scelta in
quella difficile situazione.
-Amelia
mi ha detto che eri nervoso-disse Sherlock, interrompendo il silenzio e
riportandolo al presente, consapevole dei pensieri che si affollavano nella
mente dell’uomo.
Al
solo sentire il nome della bambina, John accennò un
sorriso.
-Amy
è una bambina davvero sincera... –commentò.
-
Alle volte anche troppo-gli venne in aiuto Sherlock.
John
annuì, il sorriso sulle sue labbra che s’ingrandiva ad ogni cenno del
capo.
-Già.
E’
vero, ero abbastanza nervoso per via del vostro incontro.
Era
preoccupata anche lei anche se non ha voluto
ammetterlo-aggiunse.
-Che
idea ti sei fatto da dove eri seduto?-gli domandò il moro sinceramente
curioso.
Aveva
sempre apprezzato le opinioni di John in passato, ricevendo nuovi spunti di
riflessione da piccoli commenti o dal punto di vista “terribilmente normale”
dell’uomo, ed ora ne aveva bisogno più che mai considerato che nessuno conosceva
Amelia bene quanto John.
-Eravate
entrambi molto educati…-iniziò John, portando entrambe le mani sul piano del
tavolino ed intrecciando le dita.
-Ti
aspettavi una scenata per caso?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la
fronte.
Il
biondo sospirò, alzando le spalle, mostrando per la prima volta la propria
confusione e lo smarrimento che accompagnava ogni suo gesto in quella
situazione.
-Non
lo so…Come ti ho detto la prima volta che ci siamo visti, i bambini non parlano
mai di te quindi non sapevo davvero cosa aspettarmi-gli rispose
sincero.
-Ma
sei sollevato del fatto che siamo riusciti ad avere una conversazione
pacifica-continuò per lui il detective, lo sguardo penetrante fisso sul suo
volto.
-Certo
che sì! E’ anche tua figlia e voglio che tu la conosca-confermò John cercando di
controllare l’effetto che quegli occhi blu ghiaccio avevano da sempre su di
lui.
Sherlock
inarcò quasi impercettibilmente le labbra, abbassando il proprio sguardo sulla
tazza dinanzi a sé prima di portarla alle labbra e bere un lungo sorso di
caffè.
-A
prima vista non si direbbe che è mia figlia…Poi quando inizi a parlare con lei,
ti ritrovi a sorridere senza nessun motivo ed il tuo cuore si riempie di gioia
ed è allora che…-disse interrompendosi bruscamente senza terminare la
frase.
John
abbassò leggermente la testa, cercando di intercettare il suo
sguardo.
-Cosa?-gli
chiese cauto.
Sherlock
scosse la testa.
-Niente-
-Che
c’è Sherlock?-domandò ancora John.
Il
moro rialzò la testa all’improvviso, buttando fuori un respiro rumoroso e
incontrando finalmente lo sguardo del compagno.
-Vedere
Amelia seduta di fronte a me, sentirla parlare di argomenti comuni che per lei
erano importanti e che avrei definito banali se fosse stata un’altra persona,
tranquilla e serena, mi ha fatto pensare a te.
A
quando eravamo bambini ed ero capace di starti ad ascoltare per ore di quello
che ti era successo durante la settimana…
Così
vivo e pieno di energie…-disse censurando per la seconda volta i propri
pensieri.
Colpito
in pieno da quell’inaspettato fiume di parole, John deglutì rumorosamente,
cercando di riportare i battiti del proprio cuore nella norma, mentre una parte
del proprio cervello cercava una soluzione al ronzio fastidioso che imperversava
nelle sue orecchie.
Perché
Sherlock doveva ogni volta rendergli la vita così complicata? Perché doveva
uscirsene con frasi così affettuose mentre lui stava facendo tutto il possibile
per non ricadere per l’ennesima volta nella sua trappola, quando era impegnato a
schivare il suo sguardo, il suo sorriso, l’effetto che le sue deduzioni
brillanti avevano da sempre su di lui?
Perché
ogni volta che voleva essere furioso con Sherlock Holmes, e questa volta aveva
un’infinità di motivi, all’uomo bastavano poche parole per abbattere le sue
difese?
-Amelia
è la tua copia, con l’aggiunta della grazia innata di una ragazza-aggiunse
ancora Sherlock.
A
quelle parole John non riuscì a trattenere un sorriso.
-Aspetta
di vederla arrabbiata poi cambierai idea sulla sua “grazia”- commentò
ironico.
Sherlock
si unì al suo sorriso.
-So
come affrontare un Watson furioso-
John
annuì lentamente.
-Già…-disse
semplicemente senza allontanare lo sguardo da quello di
Sherlock.
-Parlando
di Watson furiosi: come sta Matthew?-gli domandò il moro cambiando
discorso.
Cercando
di prender tempo alla ricerca della risposta più adatta, John sospirò per poi
alzare le spalle.
-Bella
domanda…Al momento Matthew sta evitando di affrontare il problema o anche solo
di pensare ai possibili cambiamenti dovuti al tuo ritorno.
E’
decisamente testardo come te…-commentò, prendendo la tazza di tea in una mano e
sollevandola a mezz’aria.
-Io
non sono testardo!-ribatté con voce quasi infantile il
moro.
L’unica
reazione che ottenne con quelle parole fu l’inclinazione ironica del
sopracciglio destro di John e l’accenno di un sorriso, sfortunatamente coperto
dalla tazza.
-Ok,
forse un po’…-concesse l’attimo dopo.
John
si lasciò andare ad una lieve risatina divertita prima di ritornare
serio.
-Sono
ancora convinto che presto la sua curiosità avrà la meglio sulla testardaggine e
finirà per farmi qualche domanda o deciderà che vuole
incontrarti.
Dobbiamo
solo essere pazienti-aggiunse.
Sherlock
annuì.
Se
c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi tre anni era che tutto accadeva
al momento giusto e non, come era aveva fermamente creduto durante il corso
della sua vita, quando lui era annoiato.
Era
un’importante lezione di vita acquisita dopo ore passate ad una finestra in una
lurida camera di Mumbai in attesa che un ragazzino di sedici anni, mago del
computer, si trovasse nel posto giusto al momento giusto in mezzo al fiume di
persone che affollano le strade a qualsiasi ora del giorno e della notte,
inconsapevole di essere un bersaglio mobile.
Oppure
su una banchina della metropolitana a Napoli alle prime ore del mattino, dove il
suo crimine doveva essere compiuto in pochi istanti: il tempo di una veloce
spinta di fronte ai vagoni del treno, in modo da non lasciare scampo alla sua
vittima.
-Non
ho fretta, ho imparato ad essere paziente-si limitò a
commentare.
John
lo fissò attentamente, cercando di carpire qualche informazione in più
dall’espressione del suo volto, chiedendosi ancora una volta cosa era accaduto
in quei tre anni in cui tutti lo avevano creduto morto, prima che la sua
attenzione si concentrasse su un altro particolare.
Un
piccolo particolare che per molti sarebbe sembrato insignificante, ma che per
John era una riscoperta, quasi un ritorno al passato.
-Riesco
a sentire il tuo odore-gli disse, scoprendo sorpreso il tono arrocchito della
propria voce.
Sherlock
annuì.
-Lo
so-
Inconsciamente
John respirò profondamente, quasi volesse immagazzinare quell’odore peculiare
nella sua memoria per quando si sarebbe ritrovato solo.
-E’
così strano…Anche quando eravamo ragazzi sono riuscito a sentirlo soltanto
brevemente-commentò.
L’ultima
volta che Sherlock gli aveva permesso di sentire il suo odore risaliva a quasi
undici anni prima, nei i giorni precedenti e quelli durante l’Estro in cui
avevano concepito i gemelli.
Anche
se la parte primordiale del suo cervello sarebbe stata in grado di riconoscere i
sintomi dell’Estro, nessun’ Alpha si sarebbe mai accoppiato con un Beta,
consapevole che questi non avrebbe potuto concepire e soprattutto non sarebbe
sopravvissuto all’accoppiamento.
-Era
ora di uscire allo scoperto-rispose Sherlock.
-Perché?-domandò
John, ritirando le mani dal tavolo e posandole sulle cosce, consapevole
dell’effetto che l’odore di Sherlock, il suo legittimo Omega, stava avendo sul
suo corpo.
-Te
l’ho detto.
Voglio
dimostrarti che sono pronto a stare con te completamente e senza remore; inoltre
so che il mio comportamento in passato ti ha ferito, più di quanto hai mostrato
all’esterno, e questa è una colpa che dovrò espiare fin quando sarà
necessario-gli disse con voce seria, ma allo stesso tempo
serena.
John
scosse la testa, leggermente preoccupato dal significato nascosto di quelle
parole.
-Non
devi espiare nessuna colpa…-gli ricordò.
-Lo
so. Sono io che voglio farlo.
Voglio
mostrarti che questa volta non ti deluderò-
Il
dottore sospirò leggermente scoraggiato, lasciando vagare la mente al passato
per qualche istante, ricordando un giorno in particolare, risentendo nelle sue
orecchie le proprie parole neanche le avesse dette poche ore prima, rivedendo
nella propria mente la reazione incredula di Sherlock e l’espressione sofferente
che si era dipinta sul suo volto quando lo aveva visto voltargli le
spalle.
L’ultima
immagine che aveva avuto di lui per otto lunghi anni.
-Tu
non mi hai deluso-gli disse senza incontrare gli occhi di ghiaccio del
detective- Lo sai che è così.
Anzi
sono io quello che dovrebbe riparare agli errori commessi in
passato-commentò.
-Smettila!-
lo rimproverò fermamente Sherlock sporgendosi leggermente sul piano del
tavolino, cercando di incontrare il suo sguardo finché dopo qualche istante di
tentennamento, John cedette ed incontrò nuovamente gli occhi del compagno- Tu
hai fatto la cosa giusta! Non ti ho mai incolpato per quello che è successo-gli
disse sincero.
John
annuì, affondando lo sguardo negli occhi dell’altro, prima di gettar fuori un
respiro che aveva trattenuto inconsapevolmente, subito investito dall’odore
peculiare e penetrante di Sherlock.
-Dio,
quanto mi è mancato il tuo odore…-commentò il biondo, arrossendo leggermente
l’istante dopo, rendendosi conto delle sue parole.
Sherlock
accennò un sorriso.
-Vuoi
avvicinarti un po’?-lo stuzzicò, abbassando di un ottava il tono della
voce.
John
si lasciò andare ad una piccola risatina imbarazzata di fronte ai suoi piccoli
tentativi di approccio e sorrise.
-Un
passo alla volta-gli disse, senza escludere possibili cambiamenti nei prossimi
incontri.
Il
moro annuì.
-Un
passo alla volta-convenne.
L’istante
dopo John era in piedi accanto alla propria sedia, lo sguardo che dall’alto in
basso fissava gli occhi di Sherlock.
-Sarà
meglio che vada-gli disse.
-Grazie
per il caffè- rispose Sherlock ricordandosi le buone maniere su cui tante volte
lui e l’Alpha avevano discusso- Ci sentiamo?-gli domandò cercando di nascondere
quella vena di insicurezza che sempre accompagnava quei
momenti.
John
sorrise ed annuì.
-Certo-rispose
prima di allontanarsi verso la porta.
L’istante
dopo Sherlock aveva il cellulare fra le mani, impegnato a comporre un messaggio
per John.
Non
dimenticarti che preferisco i messaggi alle telefonate
-SH
Il
detective ebbe appena il tempo di finire la propria tazza di caffè, ormai
fredda, e di alzarsi in piedi diretto a sua volta verso l’uscita, che il suo
cellulare gli vibrò nelle mani.
Non ho dimenticato nulla che ti riguardi
Sherlock Holmes -JW
______________________________
Il
progetto di scienze andava consegnato fra due giorni e Matthew, a causa dei
cambiamenti avvenuti nel suo nucleo famigliare, ancora non aveva avuto il tempo
di fare le dovute ricerche.
Amy
aveva deciso di fare coppia con Poppy, la sua migliore amica, documentando la
gravidanza della madre di quest’ultima fin nei minimi dettagli, ma Matthew,
aveva considerato il progetto troppo semplice fin da quando Amy gliene aveva
parlato la prima volta decidendo così di seguire una strada
diversa.
Alla
fine, dopo aver scartato numerose possibilità, anche per colpa di suo padre che
gli aveva fatto notare quanto queste fossero troppo avanzate per una classe
composta da bambini di nove anni, Matthew aveva ripiegato sulla mappatura
della lingua.
Ne
aveva parlato con suo padre e questi aveva contattato la zia Molly chiedendole
se poteva dargli una mano nel suo “esperimento”.
Fortunatamente
la zia Molly aveva proprio quello di cui aveva bisogno: un cadavere donato alla
scienza da cui avrebbero potuto estrarre la lingua senza che qualcuno potesse in
seguito presentare qualche rimostranza.
Quel
pomeriggio Matthew entrò nell’obitorio del Barts con la stessa sicurezza con cui
un altro pre-adolescente sarebbe entrato in un campo da calcio o in una
piscina.
Suo
padre,lo zio Greg e la stessa zia Molly, lo avevano portato lì molte volte, e in
quel posto insolitamente silenzioso, e impregnato di odori chimici Matthew si
sentiva a suo agio.
-Ciao
zia Molly!- disse ad alta voce, superando le porte dell’obitorio, muovendo lo
sguardo nei grandi padiglioni alla ricerca della donna.
Molly,
una Beta dai capelli e dagli occhi castani e dalla corporatura esile, alzò lo
sguardo dal tavolo di lavoro su cui era leggermente chinata e gli rivolse un
sorriso.
-Ciao
tesoro! Come stai?-gli domandò venendogli incontro.
Matty
alzò le spalle.
-Bene,
pronto per mettermi al lavoro-commentò, accettando l’abbraccio ed il lieve bacio
che la donna gli posò sulla guancia destra.
Molly
sorrise.
-Lo
so, ho parlato con tuo padre riguardo al tuo progetto di scienze-gli disse la
donna dirigendosi verso uno dei vari “loculi” refrigeranti dove erano contenuti
i cadaveri.
-Hai
quello di cui ho bisogno?-chiese il bambino togliendosi il cappotto ed i guanti
e abbandonandoli su un tavolo da lavoro libero.
Molly
annuì aprendo la porta di una celletta isolante.
-Beh,
non potevo lasciarti giocare con la testa di un uomo morto, per ovvie ragioni,
perciò ho estratto la lingua al posto tuo- disse tornando verso di lui con un
contenitore di acciaio su cui era sistemata la lingua e parte della mascella di
un ignoto donatore.
Matty
osservò l’oggetto del suo esperimento prima di alzare le
spalle.
-Non
capisco i motivi della tua reticenza nel farmi estrarre la lingua da solo, ma
per questa volta mi accontenterò-commentò.
-Matthew
hai una vaga idea di cosa succederebbe se tuo padre o tuo zio Mycroft
scoprissero che ti ho lasciato estrarre chirurgicamente parte della mascella di
un cadavere?
Tuo
padre è il primo a stimolare la tua curiosità scientifica, ma credo che anche
lui ti metterebbe un freno in
questo caso-gli fece notare.
Il
bambino sbuffò.
Suo
padre era il suo primo sostenitore: fin da quando era bambino aveva fatto di
tutto per mettere in evidenza la sua dote scientifica, comperandogli il suo
primo set da “piccolo chimico”, permettendogli di frequentare il laboratorio e
le lezioni di Anatomia del suo
vecchio amico Mike Stamford e di girare indisturbato nell’obitorio della zia
Molly, ma sfortunatamente c’erano delle volte in cui la sua giovane età giocava
a suo sfavore.
Proprio
come in quel caso.
-Va
bene-concesse alla fine.
Molly
accennò un sorriso.
-Ti
prendo un camice di laboratorio e tutto quello di cui avrai bisogno ci mettiamo
al lavoro-
Nell’ora
successiva, Matty lavorò senza nessun’interruzione, esaminando l’ “esemplare”
dinanzi a sé per registrare le prime osservazioni, iniziando poi a fare dei
piccoli tagli precisi con il bisturi per raccogliere un campione da esaminare al
microscopio.
Era
talmente concentrato sul proprio lavoro da registrare soltanto marginalmente
l’avvertimento della zia Molly che lo informava che si sarebbe allontanata
soltanto per pochi minuti per prendere qualcosa da mangiare alla
caffetteria.
Fu
soltanto quando le porte dell’obitorio si aprirono rumorosamente annunciando
l’arrivo di un nuovo ospite che Matty alzò lo sguardo dal proprio
lavoro.
-Molly
ho bisogno…-una voce profonda e leggermente autoritaria risuonò nei gradi
padiglioni.
Matthew
posò lo sguardo sull’uomo fermo a pochi passi dalla soglia e capì all’istante di
chi fosse.
Capelli
neri corti dalle punte arricciate, zigomi alti e pronunciati, una bocca a cuore
perfettamente disegnata, un lungo cappotto scuro che copriva un completo
elegante e chiaramente firmato.
L’
Omega.
-Oh…-disse
l’adulto, sorpreso quanto lui di trovarsi uno di fronte all’altro- Salve,
sono…-aggiunse l’istante dopo.
-Lo
so chi sei-lo interruppe Matty senza allontanare lo sguardo dal volto del
moro.
Sherlock
annuì.
-Giusto.
Cercavo Molly-gli disse tornando a voltare lo sguardo per
l’obitorio.
-E’
andata a prendere qualcosa da mangiare-lo informò il bambino, allontanando a sua
volta lo sguardo e concentrandosi nuovamente sul proprio
lavoro.
L’uomo
alzò le spalle.
-Vorrà
dire che dovrò pensarci da solo-disse fra sé e sé avvicinandosi ad un tavolo da
lavoro e spogliandosi del proprio cappotto come aveva fatto Matty un’ora
prima.
Con
la coda dell’occhio Matty lo osservò estrarre varie sostanze e campioni dalle
tasche del cappotto e sistemarle accanto al microscopio, prima di avvicinare a
sé una fila di provette, reagenti chimici e vetrini.
“Si
comporta come se fosse il padrone di casa!” pensò il bambino leggermente
stizzito dal comportamento dell’adulto.
Suo
padre gli aveva sempre insegnato che, quando non erano a casa, prima di fare
qualcosa doveva sempre chiedere il permesso all’adulto più
vicino.
Erano
le buone maniere e Matthew era certo che fossero valide anche per gli
adulti!
Deciso
ad ignorare la presenza fastidiosa nella stanza, Matty si focalizzò nuovamente
sul proprio lavoro, cercando di prelevare un campione di tessuto del muscolo
longitudinale inferiore.
-Lo
stai facendo nel modo sbagliato-risuonò la voce saccente
dell’uomo.
Matty
alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock.
-Invece
no-rispose prima di corrugare la fronte- Tu non sai neanche cosa sto
facendo…-aggiunse pronto a spiegargli il proprio progetto e a mettere in mostra
il proprio sapere.
-Certo
che lo so-ribatté prontamente l’altro- Vuoi catalogare i muscoli ed i nervi
della lingua.
Ma
facendo l’incisione che stai per fare, in quella sezione specifica, avresti
reciso anche il muscolo genio-glosso e di conseguenza avresti perso informazioni
importanti-gli spiegò.
A
quelle parole Matthew corrugò ancora di più la fronte.
-Ci
sono soltanto 8 muscoli nella lingua ed io ne ho già trovati
4!-
Perché
gli stava ancora rispondendo?
Doveva
concentrarsi sul proprio progetto se voleva finire in tempo prima dell’ora di
cena.
Sherlock
scosse leggermente la testa.
-Impossibile-replicò
con calma serafica nella voce-Un muscolo, il palato-glosso è stato danneggiato
durante l’estrazione, quindi è impossibile ricavare dati attendibili da
questo.
Tre
muscoli sono di tipo intrinseco quindi muscoli fibrosi e l’unico modo per notare
le varie differenze è con un’attenta analisi al microscopio-spiegò
Sherlock.
Matthew
sbuffò chiaramente seccato.
-Allora
vorrà dire che preleverò dei campioni di tessuto e li esaminerò a casa con il
microscopio-replicò deciso a non cedere di fronte
all’uomo.
-Perché
aspettare quando qui hai a disposizione tutti gli strumenti di cui hai
bisogno?-
Ancora
una volta il silenzio scese pesante nell’obitorio, mentre le due copie carbone
l’uno dell’altro si osservavano in silenzio, entrambe determinate a non
concedere neanche un piccolo passo all’altro.
-E’
un progetto per la scuola?- domandò alla fine Sherlock.
Matty
annuì, riportando lo sguardo sul campione umano posizionato a pochi metri di
distanza sul tavolo.
-Per
scienze. So che ho fatto la scelta più giusta quando ho deciso di catalogare i
muscoli della lingua quindi non ti permetterò di insinuare dubbi nella mia
mente…-iniziò partendo all’attacco.
-Non
era assolutamente questa la mia intenzione.
E’
davvero un’ottima idea, anzi se devo essere onesto sono un po’ geloso perché
alla tua età non mi era concesso fare questo tipo di esperimenti, ma
fortunatamente tuo padre ha una mente più aperta del
mio…-commentò.
-Non
parlare di mio padre-lo rimproverò il bambino con voce
ferma.
Sherlock
annuì lentamente.
-Va
bene, mi dispiace- gli disse prima di restare in silenzio qualche istante- Hai
bisogno di aiuto?-gli chiese poi.
-Posso
aspettare che zia Molly ritorni- rispose Matty senza la minima
esitazione.
Sherlock
alzò le spalle.
-Considerato
il tempo che ci vuole da qui alla caffetteria credo che Molly sia tornata
indietro, ci abbia visto insieme e abbia deciso di lasciarci un po’ di
privacy…Se così la vogliamo chiamare-gli fece notare alzandosi in
piedi.
Il
bambino abbassò lo sguardo sul piano da lavoro e espirò
profondamente.
-Non
va bene…-mormorò.
-Dipende
da quale prospettiva guardi la situazione-gli fece notare
l’adulto.
Chiaramente
infastidito dalla presenza dell’adulto che stava rovinando quella che fino a
poco prima era stata un perfetto pomeriggio di studio all’obitorio, ma davvero
desideroso di ottenere il meglio per la propria ricerca, Matthew
sbuffò.
-Eh
va bene, ti andrebbe di darmi una mano con la mia ricerca?-gli domandò a denti
stretti.
Sherlock
accennò un sorriso.
-Ne
sarei felice-
-Ma
di soltanto una parola non legata ai muscoli della lingua e ti buttò fuori-lo
minacciò il bambino con un’espressione seria in volta.
Sherlock
annuì in segno d’assenso prima di avvicinarsi al tavolo dietro quale era seduto
il bambino.
Per
le due ore successive padre e figlio lavorarono insieme, principalmente restando
in silenzio o scambiandosi poche informazioni necessarie allo sviluppo della
ricerca.
Molly
ritornò nell’obitorio trenta minuti dopo che i due avevano iniziato a lavorare
insieme e, trovandoli assorti nel loro lavoro, si limitò a salutare Sherlock e a
sistemare una bottiglia d’acqua e un sandwich a poca distanza da Matthew, prima
di rifugiarsi nel proprio ufficio.
Malgrado
non se ne rendessero conto, padre e figlio erano in perfetta sincronia, quasi un
motore perfettamente oliato: Sherlock sapeva già quale sarebbe stata la prossima
richiesta o mossa del bambino prima ancora che questi aprisse bocca,
anticipandolo e facilitando così il loro lavoro.
-Credo
che abbiamo finito-commentò Matthew finendo di scrivere le ultime osservazioni
sul proprio taccuino prima di sistemarsi meglio sulla sedia e stirare i muscoli
intorpiditi della schiena.
Sherlock
annuì, allontanandosi a sua volta dal microscopio e seguendo con la coda
dell’occhio i movimenti del bambino mentre questi prendeva il proprio cellulare
fra le mani e spediva un veloce messaggio (Starà
avvertendo John che può venire a prenderlo).
L’attimo
dopo gli occhi di Matthew erano ancora una volta fissi sul suo volto,
chiaramente incerti su cosa dire.
-Immagino
che dovrei ringraziarti per l’aiuto che mi hai dato-disse
tentennante.
Sherlock
inclinò la testa verso di lui in un mezzo inchino.
-Figurati-
-Ok-commentò
il bambino alzando le spalle, più sereno per essersi tolto quel peso- Addio-lo
salutò, tornando a concentrare la propria attenzione sui propri
libri.
Matty
raccolse tutto il proprio materiale ed i suoi libri e li infilò confusamente nel
proprio zainetto, prima di metterlo su una spalla e prendere il cappotto
nell’altra mano, dirigendosi poi verso la porta dell’obitorio, senza rivolgere
un’ulteriore sguardo al detective.
Nel
breve intervallo di tempo in cui Sherlock si ritrovò da solo nel silenzio
dell’obitorio la sua mente intrattenne velocemente l’idea di riprendere
l’esperimento che lo aveva condotto fin lì e che era stato bruscamente
interrotto per quella strana esperienza “padre-figlio”, ma quando fece per
avvicinarsi nuovamente al proprio tavolo da lavoro, le porte dell’obitorio si
aprirono lasciando entrare ancora una volta Matthew.
Sherlock
incontrò lo sguardo del bambino e restò in attesa: ciò che aveva ricondotto
Matthew sui propri passi era scritto fin troppo chiaramente nell’espressione
battagliera del suo volto, ma per una volta, Sherlock restò in attesa senza
lanciarsi come al suo solito nelle sue classiche deduzioni che, questa volta,
avrebbero finito per mettere la parola fine al suo rapporto con
Matthew.
-So
che hai conosciuto mia sorella-iniziò il bambino.
Sherlock
annuì.
-Esatto-
Matthew
fece un paio di passi nella stanza e posò il proprio cappotto sul primo tavolo
libero.
-Lei
è la persona più importante della mia vita. Insieme a papà ovviamente- continuò-
E non permetterò a nessuno di far loro del male-
-Non
è nelle mie intenzioni-lo rassicurò il detective.
-Perché
sei tornato?-gli domandò fissandolo con due occhi duri e
penetranti.
-Voglio
riparare ai miei errori-rispose sincero Sherlock.
-Credi
davvero sia possibile?-si sentì chiedere.
Il
detective alzò le spalle, mostrando in quel gesto tutta la speranza e la sua
ignoranza nei riguardi del futuro.
-Uno
può sempre sperare, no?-
Matthew
lo fissò per qualche istante, soppesando quello che era stato detto finora,
l’atteggiamento di Sherlock, chiedendosi cosa avrebbe potuto dire per
scoraggiare definitivamente i tentativi di riappacificazione
dell’uomo.
L’Omega
era una minaccia per la sua famiglia.
Certo,
ora si mostrava docile e gentile per entrare nelle grazie di suo padre e di sua
sorella, ma Matthew sapeva benissimo di cos’era capace, aveva letto tutto il
materiale sull’uomo su cui era riuscito a mettere le mani e ne era uscito fuori
il ritratto di una persona maleducata, insensibile, che non si fermava di fronte
a nulla pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Era
davvero questo il tipo di Omega che suo padre voleva
accanto?
-Non
mi fido di te-gli disse.
Sherlock
annuì lentamente.
-Lo
so-
-Se
fossi un po’ più grande o se soltanto papà e Amy mi dessero ascolto ti sarebbe
proibito di vederli di nuovo-lo avvertì.
-Devi
lasciarmi il beneficio del dubbio-gli fece notare Sherlock, per nulla colpito
dalle sue parole.
-Lo
so che non ti fidi di me, o che non ti piaccio.
Lo
vedo chiaramente sul tuo volto, in ogni piccolo gesto del tuo corpo-continuò
parlando con voce calma e profonda- Ed io potrei parlare per ore e ore, cercando
di convincerti che amo tuo padre che farei di tutto per evitare di fargli del
male un’altra volta, ma so che non mi crederesti-
-Quindi
cos’hai intenzione di fare?-gli domandò Matty con un tono di sfida nella
voce.
-Te
lo dimostrerò…Anzi te lo sto già dimostrando-replicò
Sherlock.
Un’espressione
scettica si disegnò sul volto di Matthew a quelle parole.
Ma
chi voleva prendere in giro quell’Omega?
-Ah
davvero?-
L’uomo
annuì in maniera quasi solenne.
-Hai
dato un’occhiata a tuo padre negli ultimi giorni?-gli chiese a sua
volta.
Matty
alzò le spalle.
-E
allora?-
Un
sorriso si dipinse inaspettatamente sulle labbra piene di Sherlock, portando
Matty ad incurvare la fronte.
-Sei
un ragazzo brillante Matty, davvero, ma non sei ancora al massimo delle tue
capacità, altrimenti avresti notato i piccoli cambiamenti avvenuti in tuo padre
ultimamente.
Da
quando l’ho visto l’ultima volta, la settimana scorsa, la sua pelle ha ripreso
colore, i suoi occhi non sono più così infossati, e non ha più quell’aria
afflitta che lo accompagnava durante il nostro primo incontro-elencò prontamente
come sempre.
-Mio
padre non ha l’aria afflitta!-replicò con forza Matty, pronto a difendere l’uomo
dall’Omega.
-Un’Alpha
che non ha la minima idea di dove si trovi il suo Omega è soggetto ad attacchi
di panico, depressione e insonnia; sono sicuro che se cerchi a fondo fra le sue
cose nell’armadio troverai ancora qualcuno dei miei vestiti, conservati con cura
per preservare il mio aroma…-disse Sherlock con calma.
-Papà
non farebbe mai una cosa del genere!-ribatté ancora una volta il bambino,
chiaramente irritato.
Perché
l’Omega stava raccontando tutte quelle bugie? Che gusto c’era a sminuire la
figura di suo padre?
Per
l’ennesima volta, Sherlock gli rivolse un sorriso triste.
-Tu
vedi ma non osservi.
Quando
me ne sono andato voi eravate ancora piccoli, quindi è chiaro che non hai mai
notato niente, inoltre sono sicuro che dopo otto anni John sarà più sicuro di sé
stesso e maggiormente capace di nascondere i sintomi.
Ma
non puoi giudicare una relazione lunga trent’anni soltanto da un piccolo passo
falso- gli fece notare.
-Un
passo falso? Tu ci hai lasciati!-gli ricordò Matty alzando leggermente la voce,
prima di chiudere momentaneamente gli occhi e respirare profondamente- Ecco
perché non volevo incontrarti o affrontare questo discorso con te…-gli
disse.
L’attimo
dopo due identiche paia di occhi blu ghiaccio si incontrarono: uno era sereno,
malgrado la seria conversazione, l’altro invece era furente, gli occhi vivi e
cristallini.
-Tu
non capisci quello che abbiamo passato, quello che papà ha sofferto per colpa
tua! TU…-
-Invece
ti sbagli-lo interruppe bruscamente Sherlock, facendo un piccolo passo in avanti
verso il bambino.
-
Come ho detto tu vedi ma non osservi.
Un’Omega
che lascia spontaneamente i propri cuccioli due mesi dopo il parto è condannata
a morte certa.
I
miei istinti mi facevano a pezzi per non essere lì con voi, che avevate bisogno
di me, ed il mio prescelto Alpha, che amavo e che mi avrebbe protetto sempre e
da qualunque pericolo-gli disse senza lasciarsi scappare lo sguardo del
bambino.
-Ma
la mia mente razionale sapeva che se fossi rimasto avrei rovinato le vite di
tutti e quattro.
Lasciarvi
è stato la scelta migliore per tutti noi e vostro padre, con il suo cuore
generoso e la sua anima coraggiosa, lo ha capito anche se questo ha avuto delle
forti ripercussioni su tutti e due.
-Sarei
dovuto morire subito dopo essermi allontanato da voi, ma se sono ancora qui è
sempre grazie a tuo padre-concluse.
Cercando
di dare un senso al fiume di parole che lo aveva investito Matty respirò
profondamente, corrugando allo stesso tempo la fronte.
-Non
capisco…-
-Un
forte legame empatico fra un’Alpha ed il suo Omega resta tale fin quando l’Alpha
lo permette.
Quindi
non importa quanto possano essere stati duri quei primi giorni o quelle prime
settimane per vostro padre, lui sapeva che per me sarebbe stato cento volte
peggio ed è rimasto forte perché restassi in vita attraverso il nostro
legame-gli spiegò.
Padre
e figlio si fissarono per l’ennesima volta in quell’interminabile pomeriggio e
dopo alcuni istanti entrambi espirarono rumorosamente, quasi
all’unisono.
-Non
puoi giudicare la mia relazione con tuo padre soltanto dalla nostra rottura,
perché non è mai stata una vera rottura.
E’
vero, non ero presente lì con voi, e pagherò il prezzo della mia scelta per
molto tempo ancora, ma così come
vostro padre sapeva che io ero vivo e stavo bene, a mia volta attraverso il
nostro legame empatico io sapevo che voi due eravate amati e al sicuro e che
stavate bene.
E’
per questo che non mi arrendo!-gli disse facendo un’ulteriore passo in avanti
verso il bambino.
-Ti
dimostrerò che per me non c’è niente di più importante di te di tua sorella e di
tuo padre e che questa volta sono tornato per restare.
Ci
vorrà del tempo, è vero, ma se è di questo che hai bisogno per credere alle mie
parole allora sono disposto a concederti tutto il tempo di cui hai
bisogno-
Matty
annuì e dopo alcuni istanti di immobilità in cui si perse nei propri pensieri,
recuperò il proprio cappotto e si avviò verso la porta
dell’obitorio.
-Buona
fortuna!-gli disse senza voltarsi, in un tono quasi
ironico.
Sherlock
si concesse un sorriso a quelle parole.
-Mi
piacciono le sfide! Specialmente quando il premio finale è così
sostanzioso…-commentò.
L’attimo
dopo Matty se ne era andato, ma Sherlock era sicuro di aver lasciato al bambino
molto materiale su cui riflettere fino al loro prossimo
incontro.
Se
c’era una cosa che gli Holmes amavano era un confronto ad armi pari… Ci sarebbe
stato da divertirsi.
Salve a tutti!!!
Innanzitutto Buona Pasqua, anche se con una settimana di ritardo! XD
Come state? Avete fatto delle buone vacanze? Le mie sono state abbastanza tranquille, tendenti alla noia, ma personalmente non ho mai amato molto la Pasqua, molto meglio il Natale(soprattutto dopo aver vissuto a Londra, l'atmosfera natalizia ti entra nelle vene e non ti abbandona fino al 31 dicembre).
Comunque...Eccoci qui con un nuovo capitolo dell' OmegaVerse, e devo scusarmi per tutto il tempo intercorso fra un capitolo e l'altro, non mi ero sinceramente resa conto che fossero passate tutte queste settimane!
Fortunatamente l'altra Sherlock fic che sto scrivendo è quasi completata, quindi potrò concedere maggiore attenzione a questa :D
Alcuni passi avanti importanti li abbiamo fatti in questo capitolo: entrambi i bimbi hanno incontrato il "terribile" Omega e come c'era da aspettarsi ci sono state delle reazioni completamente diverse.
Inoltre volevo aggiungere una piccola postilla riguardo al compito di Matty per biologia: so che tecnicamente ad un bambino di 9 anni non verrebbe mai in mente di sezionare e catalogare i muscoli della lingua, ma in questo caso stiamo parlando di un Holmes quindi i parametri sono leggermente diversi.
Ho preso spunto da un sito in cui si elencavano vari esperimenti scientifici da poter fare con i propri figli in tt sicurezza: l'idea di partenza era fare la mappatura della lingua con sapori diversi concentrandosi così sulle papille gustative, ma per Matty e la grande intelligenza Holmes sarebbe stato troppo "banale".
Inoltre ho raccolto tutte le informazioni possibili mentre scrivevo quel frammento, ma in caso avessi sbagliato qualche termine o muscolo, chiedo umilmente scusa!
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e mi scuso per eventuali errori di battitura o di ortografia.
Le canzoni utilizzate in questo capitolo sono: "Little by little" degli Oasis per il titolo, "The way we were" e "You just haven't earn it yet" rispettivamente dei The Killers e dei The Smiths.
Ed ora i ringraziamenti:RomanceInBlack(Grazie per i complimenti!L'argomento Mpreg non è ancora stato affrontato del tutto, però prometto che quando succederà sarà fatto con eleganza e cercando di non offendere nessuno...Sono perfettamente d'accordo con te: ci vogliono più Mystrade! PEr me Myc è un personaggio talmente complesso che è impossibile apprezzarlo a pieno soltanto con poche battute o inquadrature, anche se queste ce lo fanno adorare!),Holie(Qualsiasi dubbio sull'OmegaVerse non farti scrupolo: chiedi e sarò felice di aiutarti! Per ora oltre al piccolo bignami all'inizio del primo capitolo, posso dirti che la società in cui vivono è la stessa in cui viviamo noi, ma mentre noi teniamo in maggiore considerazione il sesso Primario= Maschio/Femmina, loro si concentrano su quello Secondario= Alpha/ Beta/Omega),Damon_Soul93(Grazie per i complimenti! Non sei assolutamente perversa fidati...Anche io all'inizio ero molto molto scettica,ma credo fosse dovuto al diverso fandom, perchè quando ho letto la prima OmegaVerse su Sherlock sono entrata nel tunnel e ancora non ne vedo l'uscita XD... Come Sherlock ha detto a Matty non giudicare la loro relazione dalla fine: ok Sherlock ha fatto qualcosa "contro natura", ma andando avanti con la storia vedrai le varie sfumature e ciò che lo ha spinto a quella scelta...Sinceramente non capisco come si possa guardare Mark Gatiss e immaginarlo crudele e senza cuore! E' un tale cucciolone *_*),Luuuuuuuuuuuula(Benarrivata!!!! E grazie per i complimenti! Ahahahah Parafrasando le parole di Jessica Rabbit "Non sono io che li descrivo bene, sono loro che sono sono adorabili e dolcissimi", soprattutto Sherlock, ho quest'idea che sia uno spilungone con una massa di ricci incontrollati sempre davanti gli occhi...Che mi dici di questo primo confronto fra padre e figlio?),Music_lou(La tua recensione mi fa davvero piacere,perchè è davvero un onore essere riuscita a convertire un lettore che solitamente non lascia mai un commento, quindi ti ringrazio dal profondo del mio cuore ^_^ Inoltre mi fa piacere averti tenuto compagnia in una giornata di pioggia, so quanto possono essere noiose...Anche io nell'ultimo anno ho letto molte Omegaverse con e senza Mpreg, sempre in inglese, e mi ha dato fastidio il fatto che non ci fosse neanche un esempio di questo filone nella nostra lingua, quindi perchè non rimediare?Sono felice ti piacciano i capitoli lunghi perchè io sembro incapace di scrivere capitoli al di sotto delle 40 pagine XD Ti ringrazio anche per i complimenti su "Come what may"! *_*),Little Fanny(Grazie per i complimenti!Ho riflettuto a lungo su come impostare il confronto fra Sherlock e John, essendo da sempre contraria alla scelta troppo softy di Sir ACD di far svenire John al ritorno di Sherlock dopo La caduta; mi sono chiesta se anche in questo caso Sherlock si meritasse un paio di pugni,ma poi mi sono resa conto che la cosa che lo avrebbe spaventato maggiormente, invece della violenza, sarebbe stata la possibilità di perdere tutto proprio ora che era ad un passo dal tornare a casa: Moriarty e Moran sono morti, ha messo da parte le sue paure e vuole ricostruire la sua famiglia, ma basterebbe una parola da parte dell'Alpha per rendere nullo il loro Legame, almeno agli occhi della legge...Meno male che John è irreparabilmente innamorato di Sherlock!).
Bene per il momento è tutto io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo appuntamento...
"You'll never walk alone"
Baci,Eva
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