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Autore: LadyTsuky    26/04/2014    3 recensioni
Si erano sempre detti che il loro amore era eterno...
Avevano sempre pensato che avrebbero vissuto una vita perfetta. Insieme, loro due e nient'altro.
Ma non sarà così, quell'unione verrà spezzata.
Spezzata dalla stessa Usagi.
Detterà distanza al suo amato uomo, per l'amore che prova per lui...
Deciderà di dimenticarlo e di non rivederlo mai più...
Questo si era ripromessa quella notte gelida.
Ma lei lo ama, lo ama più dell'aria che respira, più del suo cuore che batte... ma è stata costretta.
Si, costretta. Costretta dalla dura realtà che la circonda e che non può cambiare. Costretta dalla gente che non capisce cosa significhi veramente amare una persona. Costretta dal proprio istinto di sopravvivenza..Perchè, riuscire a vivere senza l'uomo per il quale il tuo cuore batte, è la più dura delle torture.
Sarà difficile dimenticarlo perchè ormai la sua vita è cambiata. Come è possibile cancellare il suo volto se..se...lui è sempre dentro di lei? Come?
Usagi non è certo l'unica vittima degli scherzi del fato, anche Mamoru scoprirà la faccia oscura della vita e incontrerà non poche difficoltà. Perchè la ama, e non vuole perderla. Spezzerà il patto dell'amata scoprendo i regali della vita.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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 Terminetor vs Coniglietto 




Avevo sputato la notizia così velocemente che il mio cervello non ebbe nemmeno il tempo di rielaborare l’accaduto. Ero ferma. Fissa. Fredda. Morta?
No, ancora no, perché il mio cuore batteva così forte e veloce che era impossibile non sentirlo.
Sentivo perfino le mie orecchie pulsare sotto l’imperterrito comando del centro del mio corpo. Trattenevo il respiro, e i miei poveri polmoni bruciavano…
No, non potevo essere morta..non lo ero infatti.. Ma nel profondo del mio cuore lo desideravo un pochino. Risparmiare agli altri sofferenza inutile, per una decisione e basta.
 Forse non ero morta fisicamente, ma dentro lo ero di sicuro… quelle decisioni che stavo prendendo stavano uccidendo pian piano il mio cuore e la mia anima.
Ma la cosa che mi spezzava più il cuore era mia madre… vederla in quello stato davanti ai miei occhi, era come essere trafitti nel bel mezzo dello stomaco.
 Quella donna che avevo davanti rispecchiava me stessa. Non sbatteva nemmeno le palpebre per lo stupore. I suoi grandi occhi neri erano sgranati a dismisura. I miei pizzicavano maledettamente. Ferma, e impietrita, ai miei occhi sembrava che non respirasse.
Per un momento la paura che provavo con così tanta violenza lasciò posto al nulla...
Nulla, assolutamente nulla. Un buco nero aveva risucchiato dentro di me tutto quello che poteva prendere.
Una calma temporanea che lascia solo uno sprazzo di lucidità al tuo cervello. L’unica cosa che poteva permettersi di pensare in quel momento era: “L’ho uccisa? L’ho veramente uccisa? Non ci credo, l’ho uccisa… si, l’ho decisamente uccisa. Ti rendi conto Bunny? Sei diventata un’assassina! Assassina, assassina! Una madre assassina ecco cosa sei!”
E più me lo ripetevo, più volevo sprofondare nel terreno. Giù, giù sempre più giù. Quel tanto agognato momento era arrivato, ed io non ero riuscita nemmeno a dire o fare qualcosa, preparare lei e me. Anzi, io mi ero preparata un pochino, ma lo sapevo che alla fine non ero assolutamente pronta. Non ero pronta a rivelare le mie pene. Ne a me stessa ne alle persone più care. E questo, mi mandava in tilt non poco.
Quello che avevo appena fatto era stato un colossale errore.
Non riuscivo più a leggere nulla nei suoi occhi. E lo sguardo raggi x divenne vitreo. Potevo definire mia madre più che andata.
Ecco.
Lo scorrere del sangue e l’adrenalina forse era qualcosa che mi incitava almeno a dire qualcosa, sistemare la situazione, speravo di non peggiorarla. Ma mi soffermai ancora una volta su mia madre, e quello sguardo che mi era davanti, fece cambiare subito idea, alla mia venuta eroica. Come dell’acqua gelata caduta per sbaglio addosso. Improvvisa e fredda erano gli aggettivi giusti.
Poi pensai “ Forse è tutto frutto della mia immaginazione e non è successo niente no? Forse sogno e non mi sono ancora svegliata, si, non sono ancora sveglia, mi dovrei dare un pizzicotto ma non ne ho la forza” 
L’immobilità era il mio stato fisico, ma quello mentale era più che laborioso. Mille idee e giustificazioni passeggiavano per la mente in cerca di una via d’uscita dalle mie corde vocali, che puntualmente non rispondevano ai comandi.
Volevo chiudere gli occhi, riaprirli e scoprire che tutto quello che stava accadendo era solo uno stupido scherzo. Si, uno scherzo del destino. Come faceva a non esserlo?
In realtà questo, non era ne un sogno da cui risvegliarsi, ne uno scherzo. Era solo una maledetta verità. Un bel pugno in faccia regalatomi dalla vita in pratica. E aggiungerei dalla sfiga. Dalla vita e dalla sfiga. Che accoppiata vincente.
Avevo sconvolto la mia vita, e quelle delle persone a cui volevo più bene e che più amavo.
 
Shingo era lì che mi guardava. Pupille dilatate, bocca socchiusa, forchetta caduta nel piatto ancora fumante e nessuna parola usciva dalla sua gola. L’unica volta in cui avevo visto mio fratello in quello stato era stato….vediamo…veramente non è mai successo!
Questa era la prima volta in cui la sottoscritta ha lasciato il fratellino senza parole. Un meritatissimo wow qui ci sta proprio.
E io che speravo in lui, e nelle sue solite battutine sprezzanti, ma questa volta non ci potevo contare. Avevo abbattuto anche lui con la mia rivelazione.
Si può essere più idioti di me? No! Perché? Perché sono la prima fra tutti ecco, e nessuno mi deve fregare il posto! Chiaro? Ma chi vado a prendere in giro? Sto perdendo i pochi neuroni che mi rimangono con questa faccenda.
 
Eravamo precipitati in uno stato di totale mutismo.
Io fissavo mamma. Mamma fissava me e poi papà, papà e poi me. Shingo? Shingo era ancora in quello stato e mi osservava con attenzione. Non mi ero mai vergognata tanto come in quel momento. Mi sentivo molto un batterio in un vetrino del microscopio.
Tutti quegli sguardi che chiedevano spiegazioni.
Odio essere al centro dell’attenzione. Lo odio lo odio lo odio!
L’unico calmo della situazione era mio padre, che aveva ancora la mia mano fredda tra le sue. Quella mano la doveva lasciare subito, non meritavo tutta quella gentilezza da parte sua. Dopotutto stavo distruggendo la “calma familiare”.
Ho sempre pensato che mio padre fosse un alieno. Un essere umano non può incarnare tutta quella gentilezza. Nessuna persona rimarrebbe così calma e pacata nel sapere che la figlia è rimasta incinta del suo ex, per giunta inconsapevole del fatto. Eppure è rimasto tranquillo. Non mi ha schiaffeggiato, be nessuno credo che se lo aspetti, e non mi ha cacciato di casa, non mi ha maledetta dicendomi che ero una figlia ingrata, e non mi ha detto che è deluso da me, no, non ha fatto nulla di tutto questo. Quando gli ho raccontato tutto, lui, mi ha presa fra le sue braccia, mi ha accarezzato i capelli, lo faceva sempre quando ero bambina, e mi ha consolato e rassicurato. Mi ha detto che può capitare a tutti, che non era stato un mio errore, che forse qualcuno di più potente voleva tutto ciò, che non mi dovevo preoccupare perché c’era lui e ci sarebbe sempre stato. L’aveva detto lui.
Il mio papà.
Il mio migliore amico.
L’unica persona che in quel momento era lì  e mi sosteneva. Come quando si è piccoli e si impara a camminare, io sto imparando a camminare una seconda volta, ma ero caduta e ho paura di riprovare. Ma papà era lì con me e mi teneva la mano, non cadrò con lui, perché mi tiene la mano…
 
Il mio papà infuriato è uno spettacolo che non posso definire nemmeno raro. A dir la verità nei miei diciannove anni di esistenza non l’ho mai visto infuriato. Forse un po’ alterato, ma mai infuriato, infuriato.
Strano?
Forse.
Ma l’unica risposta che posso darvi è che è sempre stato così. Un tipo calmo rilassato, positivo e giocherellone. Un tipo da Peace and Love in poche paroleDescrivere mio padre è come descrivere l’alterego di mia madre.
Fiamme fuoco e manganello in mano è più adatto a descrivere lei. E ogni volta che poteva si serviva del suo fidato cucchiaio di legno. Maledetto cucchiaio! È sempre stata solo scena, ma la fifa che faceva venire ad una bambina di sei anni era vera. Ogni volta che la vedevo con quell’arma in mano correvo a rifugiarmi tra le braccia del mio adorato papà, e lui veniva sgridato da Terminetor, perché era troppo permissivo secondo i suoi gusti.
Ecco perché, questa reazione da parte sua era l’ultima nella mia lista. Avevo pensato al peggio, ma non a questa reazione “apparentemente” calma. E dico “apparentemente” perché è l’unico avverbio che posso permettermi. E mia madre, è tutto fuorché “apparentemente” calma. Posso giurare sul mio nome vero che è la verità.
Un difetto che avevo preso da lei  era questo: L’impulsività. Una brutta bestia che a noi donne Tsukino scorreva nel sangue. Se non fosse per questo difetto sarebbe stata la prima a sapere tutto, prima di mio padre, che dovrebbe essere escluso tra le chiacchiere “da donne“. Ahimè questa era stata una scelta azzardata, ma ormai il latte era stato versato e non potevo piangere.
Situazione attuale?
Papà calmo, Shingo e mamma fuori gioco.
Forse facevo in tempo per una corsetta a casa di Rei e chiederle rifugio.
 
“ Bunny scherzi vero?” e uno Shingo fra l’incredulo e il divertito mi fissava. Era ritornato fra noi. Insieme al suo sorrisetto idiota che mi faceva imbufalire ogni volta che glielo vedevo in faccia.
 
A quella domanda non uno, non due, ma ben tre enormi macigni mi caddero in testa. Retoricamente intendo.
Diamine! Forse invece di lettere dovevo prendere scienze e arte dello spettacolo, come Minako, così potevo avviarmi verso la via del cabarè.
Io mi chiedo? Ma una benedettissima volta che sono seria perché tutti credono che io stia scherzando?
Solo perché qualche volta mi concedo uno scherzetto o qualche battuta non significa che scherzi in continuazione no? Non funziona così? Insomma lo fanno tutti, chi è portato e chi no…poi, pensandoci bene, quelle battute che faccio non è che facciano poi così ridere…diciamo che dietro quella mia filosofia contorta alla fine, molto alla fine, si capisce.
 
Adesso ti metti a parlare di battutine? Siamo in una situazione critica e tu che fai? Parli a vanvera.
Non è parlare a vanvera mia cara! È la situazione che mi fa perdere il filo del discorso.
Si e del cervello.
Fai meno la sarcastica.
 
In un momento di follia volevo infilzare la mia forchetta, ancora candida in uno dei suoi occhi, la mia mano era pronta sulla posata quando…
 
“ Qua..quando …quando?” e quella voce quasi inudibile si fece largo nella silenziosa stanza.
Ecco dovevo continuare. Anche lei mi guardava. E nostri sguardi si incrociarono così intensamente che non riuscì e staccarmi da quel contatto.
Mio padre lasciò la mia mano e si voltò verso mamma. La sua espressione era come una pugnalata al mio povero cuore. Adesso tutti puntavano lo sguardo su di lei.
“ Usagi. Quando.” era più decisa, più ferma. Ok non era una domanda ora. Era uno specifico ordine. Un ordine che non accettava un no come risposta. Posso capirla, dopotutto voleva sapere cosa diamine stava succedendo a sua figlia.
 La sua voce era irremovibile. Dura come un sergente. Ecco come la chiamavo a volte. Sergente. Le si addiceva.
Mi sentì all’istante un soldato che aveva sbagliato un esercizio e adesso doveva essere sgridato dal suo sergente. Da lei. Da quella donna che poteva andare in escandescenze da un momento all’altro.
Non sembrava sul punto di piangere, solo la voce la tradiva. Un po’ roca e graffiata. I suoi occhi non erano bagnati ma più neri della pece quasi liquidi e intensi, asciutti e un po’ rossi. E le sue guance stavano iniziando a colorarsi di rosso. Brutto segno.
Aveva capito. Lo si vedeva dallo sguardo. La sua espressione sconcertata aveva dato posto alla sua espressione pre-furiosa. Non furiosa. Almeno, non lo era del tutto, era solo sul punto di diventarlo. Ero certa che quel segreto, quella mia innocua frase, gli si era conficcata nel cervello e adesso la stava martoriando. Come una lenta tortura, piano piano sempre più in dentro più nel profondo. Più ci pensavi e più quel pensiero era forte..sempre più fastidioso e insistente.
Quel pensiero per me era essere stata idiota. Idiota fin dall’inizio. L’avevo detto prima no?  Forse non dovevo innamorarmi di lui, ma l‘amore non è anche pazzia? Forse non dovevo cercarlo in ogni uomo che incontravo o vedevo per strada. Forse, una benedettissima volta, dovevo seriamente dimenticarmi di lui e andare avanti.
 
Poi mi soffermai sul suo ordine.
Quando.
Cosa quando?
Quando è successo tutto?
La risposta è semplice. Tre giorni fa.
Oppure voleva sapere quando sono rimasta incinta?
Be non ho fatto i calcoli ma potevo semplicemente dire che lo avevo scoperto solo da tre giorni. E come tempo è davvero poco. Almeno per una mia considerazione personale.
O peggio, forse intendeva quando ho lasciato LUI. Il lui che non riuscivo nemmeno a pronunciare nei miei sogni più profondi.
Ma la risposta era sempre la stessa.
Tre giorni. Tre brevi giorni fa.
Tre, tre, tre. Quel numero mi perseguitava…
“ Usagi esigo una risposta!” non aveva urlato, ma in quel silenzio così intenso quelle parole mi erano sembrate urlate a squarciagola. Volevo fare la mossa delle tre scimmiette, non vedo, non sento, non parlo, qualcosa di immaturo…e una mossa per risparmiarmi la sua sfuriata.
Ok, ok adesso si era leggermente infuriata. Anzi, ritiro il leggermente.
Era infuriata.
 In piedi e infuriata.
In piedi più infuriata non è una buona cosa.
E peggio ancora, ero davanti a lei.
Seduta.
Lei in piedi e io seduta.
Quindi lei aveva pochi secondi in più di vantaggio e io?
No mi dispiace. Nessuno.
La nota positiva in quella situazione era solo le mani sui fianchi. Perché? Perché almeno non aveva in pugno un coltello per conficcarmelo dritto in fronte.
ESAGERATA? Si me ne rendo conto anche io, ma tenete a mente il difetto di prima. Con mia madre non si è mai abbastanza al sicuro quando è infuriata.
Deglutì. Adesso il sergente esigeva una risposta. Ok. Ma almeno poteva specificare no?
“ Ehm..cosa ..qua..quando?” grandioso la mia vigliaccheria è tornata a galla. Vedi ci mancava la voce tremante… almeno ero riuscita a parlare. Qualche passo avanti lo fa la ragazza vedete?
 
Non ti chiami coniglio? Fai quello che sai fare meglio. Scappa.
 
Sbuffò impazientita. Ma brava adesso sbuffa. Signor sergente, mi perdoni, ma non sono ancora brava a leggere nella mente delle persone.
“ Usagi ti sto chiedendo quando è successo tutto questo!” una ruga nel bel mezzo della sua fronte spuntò come una riga uscita per sbaglio su un foglio bianco e candido. Potevo vedere le saette che mi stava per lanciare.
Ma cosa?
“ Potresti essere più chiara?” chiesi più sicura e irritata anche io dall‘argomentazione vaga che mi stava chiedendo. Potrei dire che stava esigendo più che chiedendo. Di certo, non mi stava aiutando a rimanere calma.
La sua risposta è più che limpida. Occhiata infuocata! Mi abbrustolì con un semplice sguardo.
“ Quando lo hai lasciato?” ancora quel tono che non ammetteva il mio silenzio. Be gli avrei dato quello che chiedeva.
“ Intendi quando ho lasciato Mamoru?”
 
E chi se no? Sei proprio stupida non c’è che dire.
Scusa ma è la situazione a farmi rimbecillire.
 
“ Esattamente.”
Una risposta calma. Con occhi infuocati ma con voce calma. Troppo calma.
“ Tre…tre …giorni fa”
Respira Bunny..o morirai prima di dare alla luce tuo figlio.
“ Tre giorni fa?” non era più calma era incredula.
“ Si ”
“ Da quando…da quando….allora…ecco perché volevi stare sempre sola..” era più un’affermazione che una domanda e stavano arrivando le lacrime. Appoggiò una mano sulle labbra come a fermare il tremore che non riusciva a controllare delle sue labbra rosee e piene.
“ Ti prego mamma..non, non pia-” o lo avrei fatto anche io.
 
Una persona più lunatica di lei? Assolutamente nessuno. Passa dallo stato catatonico all’incredulità, alla furia, dopodiché ritorna all’incredulità e passa immediatamente alle lacrime. E poi dovrei essere io quella incinta.
 
“ Non piangere?! E questo quello che mia figlia mi sta chiedendo? Come fai a chiedermi di non farlo! La mia bambina è incinta e per di più ha lasciato il padre del bambino!”
 
E il premio per la peggiore giornata dell’eternità va a…. rullo di tamburi prego!
Va a Usagi Tsukino! Un grosso applauso per la vincitrice!
Complimenti a me!
 
“ Come hai fatto? Come sei riuscita a …” fece sussurrando
 
Rimanere incinta? Mamma ma cavolo e hai due figli!
Allora quando due persone si vogliono molto, molto, molto bene….
 
“ Usagi intendo…” bloccò la mia favoletta mentale e mi obbligò a rispondere.
“ È stato un mio sbaglio…” affermai e abbassai lo sguardo sulla mie dita.
Regole del bravo soldato: mai, mai, mai fissare negli occhi mamma infuriata, se non vorrete ritrovarvi senza un arto.
Non stavo certo affermando che mio figlio era un errore, questo mai. Resta il fatto che avevo fatto davvero una cavolata.
“ Questo è certo.”
A grazie. Non sono così sbadata fino a quei livelli.
“ Se stai pensando che ho dimenticato di prenderla ti sbagli di grosso.” attaccai. Era da tempo che usavo quella pillola, e non avevo mai saltato un giorno.
“ E allora come hai fatto? Di sicuro la tua sbadataggine ti avrà portato a dimenticarla o scambiata con un’altra pillola”
Ecco. Andava sempre a pensare alle cose più catastrofiche.
“ Mamma ho solo fatto un piccolo errore…” mi azzardai ad alzare lo sguardo e assistere alla mia fine.
“ Piccolo errore? Un bambino non è mai un errore!” si accese come un pezzo di carbone adente.
“ Diamine non ho mai detto che mio figlio è un errore!” mi arrabbiai anche io sbattendo i pugni sul tavolo e facendo volare la forchetta.
“ E allora?”
“ Se mi fai finire ti spiego”
“ E allora fammi capire!”
 
Alleluia! Potevo alzare le braccia al cielo.
 
“ Io l’ho presa la pillola anticoncezionale, e non l’ho scambiata con un’altra”precisai.  Mi fermai per guardarla in faccia e cogliere ogni sua espressione. Aveva cambiato posizione. Braccia incrociate sotto il petto e le labbra serrate. Perfetto almeno non mi avrebbe interrotto.
“ Quando ho preso la pillola qualche ora dopo ho dovuto prendere un antibiotico, ma mi ero dimenticata di averla già presa.” continuai cauta “E questo antibiotico ha annullato l’effetto della pillola, non sapevo che avesse avuto questo effetto e quindi ecco qui..” tutte sante parole del dottor Ishicaki.
“ Un antibiotico? E per cosa?” mi sbaglio o quella era una punta di sottile sarcasmo?
 
Gliel’avevo detto? Mh credo proprio di no.
 
“Ehm…be…ecco..non è importante”
Perché deve fissare il suo pensiero su cose inutili?
“ Usagi dimmelo”
Secondo ordine in meno di un quarto d’ora.
“ È proprio necessario?”
“ Per me lo è! Dai dimmelo.”
“ Non ti servirà saperlo.”
Già, non me lo ricordo nemmeno.
“ Usagi”
“ Era solo per uno stupido mal di denti, ma non mi ricordo bene, forse era influenza…oppure era per la tosse. Non ricordo è passato un po’ di tempo.”
“ E tu non mi hai detto niente?”
Che cosa? Adesso devo dirti quante volte vado a fare la pipì?
Al diavolo lei e la sua stupida mania del controllo.
“ Perché te la prendi tanto?” sbottai irritata.
“ Perché non sapevo assolutamente niente! Perché tu non me l’hai detto tre giorni fa!”
“ Ho avuto le mie ragioni e adesso che ci penso ho fatto bene a non dirtelo prima” mi alzai anche io stizzita.
“ Cosa? Mia figlia prende antibiotici, pillole anticoncezionali, lascia il fidanzato e non mi dovrei preoccupare? Tu hai mal di denti-”
“ Credo che fosse più influenza” la corressi prontamente.
“ Fatto sta è che me l‘hai nascosto! Ti lasci con Mamoru e non me lo dici! Mi hai mentito! ”
Mentito? È alterazione della realtà cara mamma.
“ Perché dovrei raccontarti tutto quello che faccio? Ti ricordo che stai parlando del mio corpo e della mia vita! Quindi lascia decidere me per favore, non c’è bisogno che ti avvisi di ogni cosa che faccio! Se prendo un antibiotico se lascio il mio ragazzo se sto male oppure se non faccio nulla sono solo fatti miei!” riuscì a dirlo tutto in un fiato.
“ Fatti tuoi? Se sei ancora una bambina!”
O certo usciamo il discorso del “sei ancora una bambina” questo qui non attaccava nemmeno quando avevo quindici anni!
“Che va all’università!” risposi velocemente.
“ Ti rendi conto? E adesso? Senti Usagi come cavolo ti è venuto in mente di lasciare quel povero ragazzo?”
Almeno una cosa era certa..non stava minimamente pensando a mio figlio. Come dovevo interpretare questa cosa?
“ Anche questa scelta ha dei motivi che non starò qui a raccontare” affermai incrociando le braccia sotto il seno.
“ Perché?”
“ Mai sentito parlare di privacy?”
“ Usagi!”
“ Mamma!”
“ Smettila immediatamente!” ringhiò appoggiando le mani sul tavolo.
“ Bene la smetto ma tu smettila di urlare”
“ NON STO URLANDO!” poi rimase in silenzio e si rimise al suo posto, in evidente imbarazzo.
 
Un sorrisino era tentato ad uscire sul mio viso ma lo bloccai all’istante, perché sapevo bene le conseguenze, e non volevo tirare troppo la corda o mi sarei ritrovata fuori dalla porta di casa al freddo sotto la neve. E con il mio bambino.
 
“ E adesso? Cosa farai?”  continuò agguerrita.
 
Si è ripresa in fretta vedo.
 
“ Ho già in mente qualcosa” risposi con calma. Affondai la forchetta nel cibo tentando si mangiare qualcosa.
“ Potresti dirmi questo qualcosa per cortesia?” il suo sopracciglio alzato mi intimava di continuare e la richiesta era ben accetta. Poteva solo accontentarsi di una risposta enigmatica.
“ Forse è meglio che io cambi aria” feci con nonchalance.
“ Cosa?”
“ Mamma ti sto dicendo che me ne vado” continuai calma.
“ COSA?!”
L’ urlo arrivò forte e chiaro ai miei timpani e scommetto anche agli altri.
“ Ti prego mamma non fare quella faccia” dissi sulla soglia della disperazione. Le tante attese urla che mi ero aspettata per tutte quelle ore erano arrivate. E non so se potevo dire ‘finalmente’ oppure rimanere in un silenzio mentale.
“ Che cosa? E quale faccia dovrei fare sapendo che mia figlia se ne vuole andare via, lontano da casa sua!?” tuonò sempre lei con quella punta di isteria che non le mancava mai.
“ Ormai ho deciso!” feci ferma, non poteva ancora dettare legge nella mia vita!
Insomma ero anche maggiorenne quindi potevo considerarmi abbastanza matura per affrontare un viaggio! Da sola.
“ Sei impazzita!” disse con voce ancora più alta.
“ No, ti sbagli sono lucida” avevo addosso una strana sensazione,  più lei si incavolava più io mi calmavo. Strano no?
“ Non se ne parla proprio! Tu rimani qui!” disse in modo categorico, sbattendo con furia un pugno sul tavolo.
“ Cosa sentono le mie orecchie? È un ordine questo?” domandai assottigliando lo sguardo.
“ Se per te sembra un ordine non mi importa ma tu rimani qui” fece ferma sostenendo il mio sguardo.


Puntino mio copriti le orecchie, anche se credo che tu ancora non le abbia, ma comunque non ascoltare quello che sto per dire!
Ma porca di quella maledettissima miseriaccia! Adesso faccio un matricidio!
 
“ Ho diciannove anni! Sono maggiorenne e adulta quindi non hai nessun diritto su di me!” ricambiai furiosa, mi sentivo la faccia in fiamme per la rabbia
“ Sull’adulta non ci conterei proprio! Dato che sei rimasta in-”
Si bloccò colta da quello che stava per dire ed io non riuscì a non fermarmi.
“ Incinta? È questo che stavi dicendo? Questo secondo te è un atto di immaturità? Sai, sono abbastanza grande da accettare le conseguenze di quello che ho fatto! E poi mio figlio l’ho desiderato fin dall’inizio!” glielo urlai in faccia con le mani appoggiate sul tavolo e il mio viso a pochi centimetri dal suo.
Il mio povero cuore stava per collassare, ma continuai perché doveva capire che non sempre lei aveva ragione su tutto. “ E poi cara la mia mamma se ricordi bene anche tu sei rimasta incinta a diciannove anni o sbaglio?”
“ E questo cosa centra?”
“ Centra e come! Mettiti nei miei panni. Tu  cosa avresti fatto al mio posto?”
“ Farei delle scelte che farebbero bene al bambino”
“ Allora non c’è nulla di sbagliato nella mia scelta”
“ Si che c’è!”
“ E cosa ci sarebbe di sbagliato?”
“ Se andrai via non conoscerà mai suo padre!”
 
Colpita.
 
Affondata.
 
E annegata.
 
Coniglietto tua madre sa giocare bene le sue carte.
 
Rimasi senza parole.
Si, questa era l’unica cosa che non volevo sentire.
 
Crescerà senza un padre.
Senza di LUI.
Senza il mio Mamo.
Senza il suo papà.
 
Questa faccenda era ancora una fresca ferita e speravo che si rimarginasse in fretta.
 
“ Usagi tesoro, ti prego, ascoltami, rimani qui ancora per un po’, almeno finché il bambino non crescerà e  poi potrai partire se vuoi, ma adesso è troppo presto, sia per te che per il piccino.” continuò lei con tono più pacato.
“ No che non lo è. Adesso è il momento giusto” dissi staccandomi dal tavolo e risiedendomi a braccia incrociate.
Si questo era il momento ideale, per me, per il mio puntino e per LUI. Nessuno doveva essere a conoscenza del mio piccolo puntino. Nessuno dei Chiba soprattutto.
“ Come farai? Lo sai che un bambino è un impegno grandissimo ed è costoso, se rimarrai qui noi ti potremmo aiutare e potresti continuare i tuoi studi”
“ Lo sapevo che saresti finita a parlare di questo! Nella tua testa c’è solo la scuola! Sempre  la scuola, la scuola la scuola! Ma ti rendi conto di quello che dici? Io sono incinta e tu pensi solo a quella maledetta università! Sai che ti dico? La mollo! Mi sono stufata di stare dietro a dei libri inutili, preferisco andarmi a cercare un lavoro vero e non perdere tempo dietro alla carta! Io ho deciso! Me ne vado di qui il prima possibile!”
“ Ti prego calmati!”
“ No che non mi calmo! Mi sono davvero rotta le scatole delle tue prediche e dei tuoi ordini e della tua mania del controllo, della tua idea della mia maturità inesistente e dell’università! Basta!” mi alzai in fretta e furia e uscì immediatamente dalla stanza.
“ Usagi, Usagi dove vai?” lei mi seguì imperterrita nel continuare quella discussione assurda. Mi prese per un polso e io mi arrabbiai ancora di più.
“ Lasciami!” urlai con tutta la voce che mi era rimasta. Volevo piangere nella mia camera ma lei me lo impediva. Gli occhi pizzicavano terribilmente ma lei voleva ancora continuare.
“ Non scappare non abbiamo ancora finito!” urlò stropicciando la sua espressione.
“ Io si! Quindi lasciami!” avevo già un piede sullo scalino. Pronta per la fuga.
“ Tesoro mio se terrai il bambino avrai bisogno di noi” disse allentando la presa senza lasciarmi
“ Me la caverò” risposi fredda, almeno, ci misi tutto il mio impegno per sembrarlo.
“ Ci vuole un po’ di più di un me la caverò per crescere un figlio Usagi” disse addolcendo il tono mascherando male un commento sarcastico, e accarezzandomi una guancia “ Amore sii ragionevole, io alla tua età non ero sola, avevo tuo padre al mio fianco!”
“ No!” strappai la sua mano dal mio viso con violenza e strattonai il mio polso dalla sua presa, mi girai e proseguì verso la mia stanza.
“ Usagi Tsukino! Fermati!”
“ No! Io non parlo con te! Non voglio parlare con una stronza!” urlai senza nemmeno pensare a quello che dissi.
Con quelle parole la spiazzai sul serio e non riuscì a rispondere alla battuta che gli avevo lanciato. Mi voltai con scatto quasi felino e proseguì la mia corsa verso il mio porto sicuro.
Ogni passo una lacrima scendeva, e ogni passo mi lacerava il cuore. Era da tanto che quelle parole volevano uscire da me, ma non avevo mai abbastanza coraggio per affrontarla e adesso, che questo puntino mi aveva dato la forza di farlo, non ci ho pensato due volte e le ho sputate così come mi venivano in testa.
“ Aspetta Usagi!” un ultimo grido di disperazione.
Non fece in tempo a continuare che io gli sbattei la porta in faccia chiudendola a chiave.
“ Usagi non puoi fare così! Apri!” urlava da dietro la porta per farsi sentire, mentre tentava di aprirla inutilmente. “ Usagi!”. La maniglia si alzava e si abbassava freneticamente. Sicuramente non sarebbe sopravvissuta nemmeno cinque minuti di più alla furia di mia madre.
No, non le avrei mai aperto.
No, non avrei ceduto mai e poi mai a quelle sue urla inutili.
No, non le avrei mai più parlato…non ora..non ora che il mio cuore piangeva e si spezzava sempre di più. Appoggiai la fronte sul freddo legno di noce della porta e chiusi gli occhi.
Lo so, adesso non dimostravo per nulla i miei diciannove anni. Ma non me ne fregava assolutamente nulla. Doveva capire. Doveva accettare tutto questo. Come ero stata costretta a farlo io.
“ Usagi…Usagi..” pian piano la sua voce si affievoliva e sentivo qualche singhiozzo che riusciva a oltrepassare la barriera di legno che ci divideva. Se sperava di convincermi con le lacrime aveva del tutto sbagliato. Fuori strada. Ormai sei fuori strada mamma.
Strinsi forte gli occhi per rimandare indietro le lacrime che prepotentemente spingevano per uscire e trattenni il fiato per non farmi sfuggire un inopportuno singhiozzo. Se mi avesse sentito anche un solo singhiozzo lei avrebbe ceduto e sarebbe riuscita a buttare giù la porta a suon di calci. E se mi fossi abbandonata a quel pianto tanto agognato, non sarei più riuscita a fermarmi.
Quella che doveva piangere ero io non lei.
Solo io potevo farlo. Riaprii lentamente gli occhi e scivolai giù fino a toccare con il sedere il parquet.
 
Egoista ed egocentrica…
“ Ikuko vieni” la voce calma di mio padre arrivò alle mie orecchie..“ Lasciala tranquilla..”
“ Kenji ho bisogno di parlarle adesso” piagnucolò una giustificazione, un qualcosa che la tenesse ferma davanti alla mia porta.
 “ È troppo arrabbiata per parlare Ikuko, sicuramente domani, quando sarà più tranquilla, potrete continuare..”
“ Ma-”
“ Ikuko ti prego vieni..” il suo tono fermo, eliminava il no dalle risposte di mia madre.
 
Si allontanarono, lo capì dal silenzio che regnò subito dopo. Questa si che era una catastrofe. Una catastrofe enorme…e l’indomani si prospettava magnifico dalle parole appena dette da mio padre. Sicuramente mamma avrebbe continuato da dove l’avevo interrotta io, e avrebbe forzato sulla mia permanenza qui a Tokio.
Ma come potevo rimanere qui? In questa città piena di ricordi pronti a trafiggere la mia anima? E soprattutto la mia psiche.
No non dovevo cedere a nessuna tentazione o sarei caduta in un baratro profondissimo.
Mi stesi sul letto, e affondai la testa sul cuscino, volevo sprofondare in un sonno profondissimo, almeno per dimenticare tutto questo, ma come una sveglia sul cellulare anche quel pensiero si sarebbe fatto vivo nei miei sogni….
 
 
***
 
 
Ho sete. Tanta sete. Ma non voglio alzarmi… ho dimenticato il mio bicchiere con l’acqua e adesso mi tocca scendere giù.
No non voglio…
Ma  ho sete.
Sto morendo.
A pensarci bene ho anche fame. Non ho toccato cibo, quindi il mio stomaco reclama cibo. Di bene in meglio.
 
Alzai la testa dal mio cuscino, ancora un po’ inumidito dalle lacrime amare versate prima, e osservai la sveglia a forma di pollo. Le tre. Le tre di notte e io sono sveglia. Ultimamente è così. Precisamente da tre giorni. Da quando tutto questo mi ha schiacciato. Spero che non diventi una brutta abitudine.
Prima Mamoru, poi suo nonno, poi il bambino e poi mia madre.
Si, la vita che desiderano tutti insomma.
Un problema dietro l’altro. Sbuffai e mi rigirai.
 
La sete aveva vinto. Dovevo bere a tutti i costi. La gola secca desiderava con tutta se stessa dell’acqua.
Scesi dal letto scivolando piano piano, prima un piede e poi l’altro, e meno attiva di uno zombie scesi ad uno ad uno gli scalini. Molto lentamente, e devo dire che non stavo usando proprio un passo “felpato”, era più elefantesco. Gi occhi socchiusi e la testa che girava, non aiutavano di certo. Il buio regnava in casa, e qualche maledetto mobile si era messo in mezzo alla mia strada. No, non era colpa mia! Era colpa loro che si materializzavano davanti a me! Gli spigoli poi, mi odiavano con tutto il loro cuore di legno che non hanno, sicuramente l’indomani mi sarei ritrovata con dei bei tatuaggi viola sui fianchi.
Andai a tentoni in cerca della cucina, e dopo qualche minuto e qualche incontro ravvicinato con il divano e le varie poltrone, si almeno sul morbido sono cascata, finalmente arrivai alla mia meta.
Quella stanza che qualche ora prima era stata spettatrice della mia furia di donna incinta qual ero.
Mi bloccai sulla porta appena notai una seconda figura nella stanza. Ero sulla soglia della cucina quando focalizzai, dal buio quasi penombra che mi era concessa, la sua chioma blu che si fondeva con il buio della casa. La luce in quella stanza era soffusa e sentivo l’inconfondibile profumo di camomilla. Non si era minimamente accorta della mia presenza. Meglio così, almeno me la sarei svignata senza problemi. Non riuscì ad andarmene subito ma mi soffermai sulla sua figura. Era appoggiata sul tavolo, un braccio disteso sul piano e il pugno chiuso mentre l’altro sosteneva  la testa, vedevo il suo bellissimo profilo, così giovane eppure…
 
Era pensierosa, i suoi occhi neri fissavano un punto imprecisato della stanza, e sembravano molto stanchi..una nuvoletta di vapore usciva dalla tazza a forma di coniglio…
So cosa state pensando mia madre è fissata con i conigli, e vi do pienamente ragione.
Ero decisa a fare dietro front, perché non riuscivo a sopportare ancora quell’aria di tristezza che si era venuta a creare in quella stanza, ma il mio stomaco rovina il mio piano mandandolo gentilmente a quel paese con rumori poco raffinati per una signorina come me, che attirarono all’istante la sua attenzione.
Immersi il mio sguardo nel suo, e me ne pentì all’istante.
Sommariamente dopo nemmeno tre millesimi di secondo. Erano bagnati, come le sue guance. Prima sfilettata al cuore. Soffriva, e questa era l’unica cosa che non volevo, quindi aggiungiamoci anche una seconda che non fa mai male.
 
“ Tesoro?..che ci fai sveglia?” disse sorpresa appena puntò gli occhi sulla mia figura. Asciugò frettolosamente le prove del delitto e tentò una smorfia di rassicurazione come a dire “ Tutto ok”. Certo. Se è tutto ok io sono la regina dell’Inghilterra. Come darla a bere?
Si facciamo anche le metafore sull’acqua tanto che ci sei Bunny.
“ Avevo sete..così..sono scesa” sussurrai incrociando le mani sul grembo, e abbassando all‘istante lo sguardo su di esse, in quel momento tutto il mio interesse era solo per loro.
Si prospettava un silenzio lungo e imbarazzante..
Il primo di tutta la mia vita con mia madre. E posso assicurarvi che è vero.
 Come  sempre entrambe cercavamo una giustificazione, alle volte inutile.
 
 
Hai interrotto il suo momento di solitudine, che figlia, sempre sotto le scatole stai.
Senti chi parla qui quella che rompe le scatole sei tu, e devo aggiungere anche, che sei davvero fastidiosa.
Faccio del mio meglio.
 
“ Ah…” uscì un suono strozzato..quasi come rotto dal pianto che soffocava davanti a me, tirò su con il naso si asciugò di nuovo le guance con entrambe le mani e sorridendo disse “ Aspetta che ti predo un bicchiere e ti verso dell’acqua”
Come se non fosse successo nulla, come se qualche minuto prima non avesse  pianto.
Come se qualche ora prima non gli abbia mai detto che lei fosse davvero stronza.
Avevo sempre pensato a lei come una donna forte e testarda, e io,  volevo essere come lei. L’ho sempre voluto, ma non ci sono mai riuscita, e credo che non ci riuscirò mai, invece di prendere il suo esempio mi rifugiavo in un posto sicuro, in me stessa, nella mia camera, in un angolo, dovunque purché nessuno mi venisse a disturbare, per poter piangere e sopportare sommessamente la situazione, in santa pace. E adesso che vedevo questa parte di mia madre, ammettere questa sua debolezza davanti ai miei occhi mi aveva un tantino shoccata. Riportata sul pianeta terra e aperto finalmente gli occhi. Perché non ero l’unica che soffriva in questo schifoso mondo ma anche la mia forte testarda e coraggiosa mamma. Il pensiero che una parte umana era rimasta intatta dentro di lei si insinuava sempre di più nella mia testa. Forse non era lei a cambiare, ma ero io, io che giorno dopo giorno mi rendevo conto che il tempo dei giochi per me era finito da tanto e lo stavo scoprendo solo adesso.
Si alzò dalla sedia appoggiando entrambe le mani sul tavolo per far leva ma io la bloccai immediatamente.
“ No mamma rimani seduta faccio io..” non so nemmeno come lo dissi, se in tono acido pacato o arrogante e infastidito. In quel momento il cavo cervello-bocca era staccato del tutto, diciamo anche le orecchie.
“Posso farlo io...” replicò calma.
 
Mi avvicinai al lavello e presi un bicchiere, aprì il rubinetto e lo riempì d’acqua.
Feci tutto come un automa,  mi concentrai solo su quello, al vetro freddo e bagnato, allo scrosciare dell’acqua e alle goccioline che cadevano giù per terra. Non volevo pensare ad altro, solo a quell’azione. A quella semplice azione. Ma la testa non voleva collaborare, e poi l’ora inusuale dava il suo contributo. Come si dice? La notte porta consiglio, e a me, più che consigli, stava portando dei veri e propri tomi di saggezza, 101 modi per distruggere la vita agli altri e come allegati i sensi di colpa, che non mancano mai. Oppure la cavolata che si dice ogni volta che si litiga, magari a mente più fresca. Be la mia mente più che fresca era gelata, sudavo freddo.
Pensare a mia madre, pensare a lei che piange per me, per questa situazione assurda, per il mio comportamento e per come l’avevo trattata. Me lo ripetevo nella testa come una cantilena, una filastrocca che deve essere recitata alla propria maestra.
Che figlia ingrata. Gliene avevo fatte tante, ma questa era la peggiore di tutte, e la prima in classifica tra l‘altro. L’unica cosa positiva che mi tirava su era il mio piccolino.
Il senso di colpa, stava arrivando leggermente in ritardo, stava facendo il suo effetto, peggiore di tutti gli altri.
Avevo il bicchiere in mano e fissavo il liquido trasparente che giaceva al suo interno. Calmo e tranquillo, quanto lo invidiavo.
Invidiavo qualunque cosa che non avesse un cervello. Il mio lavorava perfettamente in quel momento, ed era l’ultima cosa che volevo fare alle tre di notte. Pensare filosoficamente al mio futuro. Invece di dormire mi facevo le pippe mentali più colossali della storia. Ecco cosa mi aveva portato a scegliere lettere. Erano una mia consolazione, non ero l’unica che si martoriava il cervello con idee spacca meningi.
Non avevo il coraggio di guardarla negli occhi, mi vergognavo troppo. Una figlia che fa piangere la madre. Una figlia disgustosa. Io sono disgustosa.
Avevo i brividi, e la pelle d’oca stava arrivando troppo in fretta. Strinsi la presa sul bicchiere, e sentì la pelle sulle mie nocche tirare, le vidi bianche. Ero furiosa. Furiosa non con mia madre, ma con me. Con me stessa e con la mia stupida idea di raccontare tutto. Forse dovevo fuggire di casa e basta. Preparare tutto e partire nel bel mezzo della notte senza fare tante cerimonie. Di nascosto. Come una ladra. Era stata una delle mie prime idee, perché sono troppo codarda, ma il buon senso ha prevalso sulla mia battaglia interiore e alla fine mi ero decisa ad affrontare il famoso discorso, che il giorno precedente si era concluso con le mie urla e quelle di mia madre.
 Ma se veramente avessi avuto il coraggio che tanto desideravo, nel prendere tutto e partire all’avventura, sicuramente l’avrei fatta soffrire ancora di più, sparendo dalla sua vita in quel modo così vigliacco. Conclusione? Avrebbe sofferto in entrambi i casi, e con lei anch’io, quindi ero e mi ritrovavo per l’ennesima volta a un nuovo punto di partenza.
 
“ Usagi io…ecco io…ti ..ti..devo parlare” disse sottovoce, come per non spezzare il silenzio che c’era tra di noi. Come una bambina che stava ammettendo il suo disastro e si preparava alle urla della madre. Adesso ci eravamo anche scambiate i ruoli.
Questa frase me l’aspettavo in fondo, ma non riuscì a non sorprendermi.
 
Wow tua madre balbetta, Bunny sentila come tentenna! Hai visto fai paura anche a tua madre.
Senti Abby taci.
Abby? Ma che razza di nome è?
Ormai ho deciso che ti chiamerai così! Qualche problema? O preferisci che ti chiami Petunia? Come la zia di Harry Potter?
Preferisco Abby.
Bene, vedo che sei ragionevole oggi.
Mi sono arresa dopotutto sono anche stanca.
Di solito non dovresti essere sempre sveglia? Se no perché ti chiamano voce della coscienza, e la coscienza non va mai a riposo o si?
Sono alternativa io.
Be se lo dici tu.
Tua madre aspetta.
Non eri stanca?
Ti crederà sorda se continui così, dille qualcosa.
 
Ogni volta Abby deve interrompere i miei pensieri. Nemmeno la mia testa mi lascia in pace…
Davvero facevo così paura? Non capisco, faccio ridere e poi come per magia spavento le persone…mah
Avevo un brutto, anzi bruttissimo presentimento. Sapete no, la faccenda del sesto senso eccetera, eccetera.. E sicuramente adesso che i miei sensi erano più sensibili, scusate il gioco di parole, il presentimento lo sentivo molto più amplificato.
Bene, il mio senso diceva che quel discorso sarebbe finito peggio di come era iniziato. Forse con qualche vaso in meno in casa. Non lo volevo continuare, perché sicuramente sarei ritornata di nuovo in camera mia sbattendo la porta, e credetemi essere svegliati alle tre di notte da una pazza isterica non è bello.
 
“ Usagi ti prego guardami” una silenziosa supplica. Non un ordine, come era abituata a fare, ma una semplice e silenziosa supplica.
 
Mi dispiace signora ma sua figlia vuole che ammiri ancora un po’ il suo meraviglioso lato B.
Ma non hai un tasto per mettere pausa? Anzi meglio quello per l’arresto almeno mi riposo.
Uffa che ragazza rompi scatole!
Senti Petunia dei miei stivali, o la finisci o la finisci.
 
Feci un profondo respiro e mi girai lentamente, sempre con il bicchiere in mano e la guardai. Avvicinai il bicchiere alle labbra con entrambe le mani, come se da li a poco quell’oggetto si sarebbe sgretolato tra di esse.
Iniziai a bere avidamente, avevo sete ma quell’acqua non mi dissetava affatto, ne volevo ancora. Quando mi sentì finalmente dissetata, appoggiai il bicchiere sul bancone dietro di me e fissai silenziosamente la donna che si era appena avvicinata.
 
“ Bambina mia…io..non so davvero da dove cominciare…” abbassò il capo e prese le mie mani nelle sue. Erano calde e morbide. Un po’ umidicce. Un nodo alla gola iniziò a torturarmi lentamente. Non riuscì a nascondere a me stessa il poco sollievo che mi diede quel contatto così semplice.
“ Ecco io…ti vorrei chiedere scusa ma sicuramente non mi perdonerai così facilmente. Sei una ragazza testarda, ti conosco bene, ma ci provo lo stesso, dopotutto tentar non nuoce.” alzò lo sguardo e vidi che stava piangendo.
Un’altra sfilettata al mio povero cuore, ormai pieno di cerotti. Volevo piangere anche io…e i miei occhi erano d’accordo, perché stavano diventando già lucidi.. Il labbro tremulo e sarei potuta scoppiare da un momento all’altro.
“ Oh mamma..” non ci pensai e mi gettai tra le sue braccia che mi accolsero amorevolmente, subito, senza esitazione. Avevo aspettato tre giorni per quell’abbraccio, tre lunghissimi giorni, l’attesa era stata davvero logorante, ma quando sentì il calore della mia mamma dimenticai tutte le lacrime che avevo versato in quelle settantadue ore di agonia. L’attesa per me era la parte più dura.
“ Amore mio…perdonami..” disse stringendo la presa.
“ No, mi devi perdonare tu…sono davvero una figlia schifosa…” piagnucolai nell’incavo del suo collo.
“ Non devi dire una cosa simile! La colpa è solo mia, non sono riuscita a capirti fin da subito, e questo non riesco a perdonarmelo…” ci staccammo quel poco per guardarci in viso e sorridere. Visto? Ci bastava solo rimanere sole e chiarirci con due parole e basta, il mio presentimento si era sbagliato di brutto.
“ Adesso basta piangere se no piange anche il piccino” affermò mia madre sorridendo e accarezzando amorevolmente il mio grembo. Dal suo sguardo capì che anche lei desiderava il suo nipotino quanto lo desideravo io, sicuramente sarebbe stata una nonna perfetta, anche se la vedevo un po’ troppo giovane come nonnina, dopotutto aveva solo trentotto anni.
“ Va bene” risposi ricambiando il sorriso e asciugandomi la guancia con il palmo della mano.
 “ Vieni andiamo a sederci” mi prese per mano e ci andammo a sedere una vicina all’altra.
Guardai la sua tazza ancora fumante e l’odore che inebriava mi fece venire la nausea, stavo già facendo conoscenza con i sintomi della gravidanza. Appoggiai la mano libera sulla bocca come a fermare quel senso orribile, anche se non serviva a nulla, e chiusi gli occhi per concentrarmi su altro.
“ Amore sei pallida come un fantasma vuoi mangiare qualcosa?” sentì la sua mano calda sulla mia guancia.
“ No!” mi trattenni dall’urlarlo, dopotutto era notte fonda.
“ Lo sai che devi mangiare per due adesso, dai ti preparo qualcosa, oggi no hai toccato cibo” disse dolcemente. Sembravo davvero una bambina.
“ No davvero mamma, non ce ne bisogno” l’ultima cosa che potevo fare in quel momento era mangiare. Sarebbe rispuntato dopo cinque minuti in un altro stato, poco “invitante”.
“ Usagi..” e il suo tono lagnoso non mi risparmiò come sempre.
“ Mamma ti prego ho un po’ di nausea, il cibo sicuramente peggiorerebbe la situazione” un ‘fiuuù’ mentale mi sfuggì.
“ Va bene, vuoi ancora dell‘acqua? O forse è meglio del tè? ”
“ No no…” mi si chiuse lo stomaco
“ Anzi meglio che ti prepari un po’ d’acqua con lo zucchero, si..si come diceva sempre la nonna.”
“ Mamma grazie del pensiero ma davvero adesso passa” stavo sul punto di crollare e alzare bandiera bianca.
“ Va bene tesoro”
 
Wow che facilità, la fissai quasi incredula, convincere mia madre con questa maestria, che non è mia ammetto con riluttanza, la prima volta in diciannove anni ragazzi! Be non la prima in tentativi, ma diciamo la prima che vinco con successo. Da scrivere sul libro dei primati. Mia madre è un tipo testardo, quindi per convincerla è davvero un’impresa più che ardua, quasi impossibile nei rarissimi casi che si è verificata una vittoria allora si è stati davvero graziati.
 
“ Usagi davvero vuoi lasciare l’università?” domandò mia madre tristemente.
Bene. Perché il discorso va a finire sempre li?
“ Vorrei solo un periodo di pausa, tutto qui.” risposi fissandomi le unghie, sciatte e anonime quanto me.
Si era quello che mi serviva. Un lungo lunghissimo periodo di pausa, da tutto, oltre che dall‘università.
“ Eppure lì sembravi così felice…così..così tranquilla. Avevi conosciuto anche qualche ragazza no? Come mai questo cambiamento? La stavi frequentando ancora da poco.” parlare di questo argomento la rattristava molto, dato che anche lei aveva lasciato l’università ancora prima di cominciarla, ma causa la mia entrata in scena.
“ Lo so, ma vorrei davvero staccare la spina, non voglio frequentare l‘università se non me la sento, mi capisci mamma?” sospirai ripensando a tutto quello che stava per accadere e a tutto quello che stavo per lasciare.
“ D’accordo, se adesso non ti senti di continuare per me va bene” sorrise stringendo la presa sulla mia mano.
Cosa? Ho sentito bene o è stato frutto della mia immaginazione? Ha detto che per lei va bene?
“ Sicura di sentirti bene?” chiesi incredula.
“ Certo perché?” fece con tono sorpreso.
“ Perché ho sentito che sei d’accordo con me, o evidentemente ho sentito male io e credo proprio di si, oppure sta per incominciare l’apocalisse mamma” risposi alla sua sorpresa alzando pochissimo la voce per far notare il mio giustificato sgomento.
“ Tesoro ho semplicemente detto che per me va bene tutto qui” ribadì tranquilla.
Aprì e richiusi la bocca subito dopo. La mia incredulità era a livelli galattici.
“ Questo non accade mai è un evento più unico che raro.” sussurrai con gioia, e potevo sicuramente sentire le mie labbra incurvarsi in un sorriso.
“ È stato tuo padre a convincermi” fece passandosi una mano sul viso.
“ Papà?” mi sorpresi di quell’uscita inattesa del mio mitico papà, cosa aveva fatto questa volta? Un incantesimo su mamma?
“ Si ho subìto una delle sue colossali strigliate” sorrise al ricordo. Si sistemò meglio sulla sedia e accavallò le gambe.
“ Non ci credo” dissi muovendo a destra e a sinistra la testa.
“ Devi, dopo mi sono sentita malissimo”
“ Continuo a non crederci”
“ Lo so, tuo padre è troppo buono con voi due ma con me è diverso” fece quasi offesa.
“ In che senso?” la interrogai curiosa.
“ Le strigliate non le fa a voi due ma le fa a me in compenso” disse incrociando le braccia sotto il petto.
“ Ma dai” esclamai incredula, era assolutamente impossibile, il mio papà non riuscirebbe nemmeno a sgridare un povero cane,
“ Si, ogni volta mi fa sentire in colpa, come oggi”
“ Ti ha detto lui di chiedermi scusa?” chiesi spaventata come se un fulmine mi avesse colpita in pieno, il tono di delusione non riuscì a mascherarlo molto bene. Era troppo bello per essere vero!
“ No, assolutamente! Mi ci ha fatto arrivare da sola!” rispose come se la mia domanda l’avesse scandalizzata, e invece di aver detto quella frase, sembrava che avessi detto la più brutta fra le parolacce.
“ Ah..”
 
Per fortuna! Ci stavo davvero rimanendo male, quelle scuse poi non sarebbero state più sincere ma costrette. E a me quel pensiero dava un po’ fastidio. Se non erano sincere le scuse per me non valevano assolutamente.
 
“ Allora dove sei diretta?” se ne uscì così dal nulla quella domanda. Come se mi avesse chiesto sul tempo di oggi o se mi sentivo bene. Con una tranquillità che mi stupì non poco.
 
Come di già? Non me l’aspettavo così presto questa domanda.
Abby anche io non me l’aspettavo.
“ Los Angeles” tentai di imitare la sua tranquillità.
“ Los Angeles? Così lontano?”
 
Si..è un po’ lontanino come posto, ma è l’unico che mi ha sempre attirato, e non dico per il cinema e per la gente famosa o per le boutique super lussuose. Ma il punto era proprio questo. La lontananza. Era quello che mi serviva assolutamente.
“ Vado a stare da zia Yumiko” precisai.. La mia pazza zia era l’unica che poteva aiutarmi adesso, e lei aveva accettato il mio SOS. Ignara della presenza di un nipotino. Lo so è un comportamento sleale, ma per amor della mia quiete psicologica voglio aspettare un pochino. Glielo avrei detto con più calma. E soprattutto glielo avrei detto di persona e non attraverso un messaggio o una telefonata o una fredda mail. Per me questa cosa è davvero importante.
 
“ Da quella pazza che mi trovo per sorella minore?” sorrise, e notai da quel tono che era sollevata anche se lo disse in modo fintamente drammatico.
“ Si…” stavo sul punto di ridacchiare.
 
Oh Yumiko, la mia unica zietta preferita. La mia pazza zia, una bomba sempre sul punto di esplodere, e io le volevo bene come se fosse una seconda mamma.
Poteva essere addirittura considerata una mia coetanea tanto era giovane, dato che aveva la veneranda età di trent’anni, anzi ventinove anni. Ammiravo la sua capacità nel trovare il lato positivo in tutto, e speravo un po’ nel suo ottimismo anche in questa faccenda. Il suo lato infantile contagiava anche i muri, e la sua inesauribile allegria, rendeva magicamente tutti intorno a lei felici. In due paroline era il mio alter ego. Ma la cosa che più mi affascinava in lei era il suo modo di agire con la gente e il suo amore incondizionato verso il prossimo e verso il suo lavoro.
Lei  aveva trovato fortuna  proprio lì, dall’altra parte del mondo, a Los Angeles, la culla di Hollywood dove tutti gli aspiranti registi speravano nella loro conquista e affermazione in quel campo, e anche zietta ci era riuscita. Con la sua caparbietà e la sua tenacia e testardaggine, tratto di famiglia, aveva trovato il suo posto nel mondo. Ma questa scelta l’aveva portata oltre che al successo anche alla solitudine dalla propria famiglia, che non sosteneva i suoi stessi sogni, e l’unica che l’aveva sempre appoggiata era stata mia madre. La sorellona, che la copriva ogni volta con i guai che combinava, la sorellona che la aiutava a superare i suoi problemi, la sorellona che le aveva pagato il biglietto di sola andata per l’America, per la scuola d’arte che la sua sorellina desiderava frequentare e non poteva senza il permesso dei genitori, la sorellina che tra le lacrime e singhiozzi le aveva giurato che doveva per forza diventare una regista a tutti i costi, perché era quello il suo destino. Così mamma era riuscita, con la sua abile parlantina, a far accettare ai nonni la scelta della loro secondogenita, e aggiungo con molto disappunto. Ma la mia zia non si fece scoraggiare dai musi lunghi dei suoi genitori e con le poche valige andò a conquistare il suo agognato sogno, e adesso era una tra le più brave registe del mondo hollywoodiano.
Così noi eravamo cresciuti con una zia che mandava mail lettere cartoline  e regali dall’America. Ci veniva a trovare ogni volta che poteva e sempre portava con se regali di ogni genere.
Non so se era una sfortuna o una fortuna ma ogni volta che era con noi giocavamo al gioco di chi sa più parole, e alla fine nolente o volete io e mio fratello avevamo imparato alla perfezione l’inglese.
Non passava giorno che comunicassimo e quei tre giorni non le avevo nemmeno parlato..e adesso che ci penso non le ho nemmeno risposto all’ultima mail!
 
“ Oddio spero solo di trovarti viva” sorrise ripensando alla sorella.
“ Sicuramente, e adesso che mi ricordo nell‘ultima mail ti saluta”
“O davvero? E ti ha detto come sta?”
“ Si, mi ha detto che sta bene e che senza di lei i suoi ragazzi sarebbero persi”
“ Si come sempre, io non so come faccia a rimane lucida in quel posto così caotico”
“ E già, ma credo che prima o poi ci si faccia l‘abitudine non credi?”
“ Anche questo” si alzò dal posto e prese in mano la tazza poggiata sul tavolo. Si venne a creare un po’ di silenzio che venne subito interrotto dalla sua domanda.
 
“ Partirai presto?” mi dava le spalle e sicuramente lo faceva per non farmi vedere la sua espressione triste.
 
Socchiusi gli occhi e sospirai tristemente, ammettere che mi sarebbe mancata era dura.
 
“ Si fra qualche giorno” risposi con il suo stesso tono di indifferenza.
 
Andò vicino al lavello e aprì il rubinetto.
 
“ E hai preparato tutto?” continuò con voce più flebile, segno che prima o poi sarebbe scoppiata a piangere.
 
“ Nulla” mi accarezzai le braccia per scacciare un brivido.
“ Sei sempre la solita” ridacchiò e le sentì tirare su con il naso, poco finemente.
 
Mi alzai non riuscendo a stare ferma e non mi bloccai quando tentai di dire “ Mamma ti prego..non…piangere”
“Scusami tesoro, è difficile per me accettare tutto questo” si passò una mano sulla guancia per spazzare via le nuove lacrime e io la strinsi in un abbraccio.
“ Anche per me” sussurrai debolmente. Anche per me era difficile. Anche per me era difficile accettare l’idea di separami da tutti loro. Dalle mie amiche dai miei familiari e da lui. Soprattutto da lui.
“ Oh Usagi!” mi strinse anche lei nell’abbraccio e io la consolai accarezzandole la schiena, come faceva lei con me quando ero più piccolina. “ Ho già visto andare via troppe persone, e sapere che fra poco te ne andrai anche tu via…io..io..no..non..riesco a sopportarlo”
 
Mi sfuggirono poche lacrime a sentire quelle parole, che erano più forti di una pugnalata al centro del mio stomaco. Quella era la verità. Non riusciva a sopportare la lontananza di un’altra persona che amava, prima sua sorella e adesso sua figlia. Entrambe dall’altra parte del mondo. Quello che stavo facendo era davvero meschino, ma era l’unica cosa che potevo fare e che ritenevo giusta.
 
“ Ce la sto mettendo tutta bambina mia credimi…ma più ci penso, e più il groppo che mi stringe la gola non riesce a scendere, e al solo pensiero che il mio piccolo coniglietto se ne vada via così presto..io..io non ce la faccio” continuò lei stringendomi ancora di più, e singhiozzando come una bambina.
Mi stringeva forte a se come se fossi la sua ancora di salvezza, come se da un momento all’altro sarei diventata polvere, come se fossi il suo salvagente…come se fossi..come se fossi la sua bambina…perché era quello che ero ancora per lei..ero ancora la sua bambina…la sua bambina che fuggiva troppo presto..che la lasciava troppo presto..lei non era pronta, ma doveva esserlo, doveva esserlo anche per me…perché lei era la mia mamma.
La situazione le stava sfuggendo via dalle mani, e il controllo che aveva avuto per tutto quel tempo, adesso stava svanendo.
Nemmeno mi arrabbiai quando mi chiamò coniglietto, quel tanto odiato soprannome…
Mi sarebbe mancato anche lui.
“ Lo so mamma, lo so, anche per me è così”
“ Tu sei ancora la mia bambina è difficile lasciarti andare, ma lo devo fare perché ormai vuoi allontanarti da questo posto e devo solo accettare le tue scelte, se per te questa  è quella giusta”
 
Si staccò da quell’abbraccio e mi accarezzò dolcemente la guancia accennando un sorriso. Io per lei ero ancora la sua piccola bambina come ogni madre considera la propria figlia.
Mamma..oh mamma…
 
“ Mi dispiace così tanto mamma!”
“ Dispiace anche a me, ma è così che deve andare” mi rispose sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“ Cosa posso farci? È successo tutto così in fretta che non so se sia un incubo o la realtà” continuai presa dalla paura.
“ Tesoro lo so che sei spaventata ma davvero diventare mamma è la cosa più bella che ci sia, e te lo posso dire io!”
“ Si e sono felice ma anche triste” abbassai il viso puntando lo sguardo sulle mie ciabatte. Poco attraenti ammetto.
 
Sospirò, e si appoggiò sul ripiano da lavoro, guardai l’orologio erano quasi le tre e venti del mattino. Cavolo come era passato velocemente il tempo!
 
“ Usagi perché hai lasciato Mamoru?” quella domanda così seria e improvvisa mi spiazzò all’istante. Eppure non dovevo essere così sorpresa no?
 Me  l’aveva già posta precedentemente.
Ma anche se l’avevo già sentita, non riuscì a non sobbalzare impercettibilmente.
 Era semplice come domanda e nemmeno tanto complicata da dover rispondere con una risposta adatta lunga otto fogli, ma nella mia condizione, sembrava che mi avesse chiesto di recitare il secondo Atto di Romeo e Giulietta per intero a memoria senza copione. E credetemi a mala pena ricordo la trama.
 
“ Perché era la cosa giusta da fare” semplice e concisa, era tutto quello che potevo permettermi in quel momento.
 
“ È successo qualcosa di grave?”
 
Gli avrei risposto di no, facendo un segno negativo con la testa, dicendo che non era nulla. Ma in fondo la mia partenza per l’America, era più di un nonnulla no?
negando ogni sua possibile congettura avrei solo peggiorato la situazione facendola preoccupare ancora di più. E quando vidi i suoi occhi, ancora lucidi per il pianto di poco fa, non riuscì a dire qualche balla a casaccio e optai per la pura verità. Perché dopotutto era qualcosa di grave, almeno per me e non si meritava di essere messa all’oscuro di tutto.
 
“ Perché sarebbe un male per me per lui e per nostro figlio”dissi accarezzando la pancia ancora piatta e distogliendo lo sguardo dal suo.
 
Mi sentivo ancora strana a pronunciare quelle parole. Mio figlio. Ancora non me ne capacitavo.
“ In che senso? Perché sarebbe un male? Cosa è successo per farti cambiare idea così?”
 
Cosa le potevo dire? Che il nonno di Mamoru ci stava mettendo il bastone fra le ruote e aspettava un mia caduta per infangare il buon nome dei Chiba? No no…che con la mia presenza avrei distrutto la vita del mio amore eterno? Ecco forse quella era cosa giusta da dire.
 
“ Ti prego Usa-chan parlami”
“ Mamma tu sai che il nonno di Mamoru è un’importante imprenditore nel settore farmaceutico vero?”
“ Certo che lo so ma questo cosa centra?”
“ Centra il fatto che non ero desiderata affatto dal Signor Chiba” non che quello mi pesasse così tanto.
“ Cosa?”
“ Io non sono una ragazza adatta al nipote, io..io non sono un importante  figlia di qualche medico di alto rango, il mio nome non è nulla per lui…io per la famiglia Chiba non sono nessuno” dissi con le lacrime agli occhi, mordendo forte il labbro e respirando a fondo. Ripensare a quella scena, che mi aveva distrutto sia fisicamente che mentalmente faceva male al cuore.
“ Ma amore mio che dici?”
“ Mamma ti dico la verità”
“ Spiegami che cosa è successo con calma”
“ Ho origliato una conversazione fra il nonno di Mamoru e lui e ho scoperto che la loro azienda sta avendo dei problemi e per superarli, Mamoru dovrebbe sposare la figlia di un importante imprenditore che potrebbe risollevare la situazione”
“ O mio Dio…” l’avevo lasciata senza parole ancora una volta…
 
Si era il momento di dire che la vita mi tirava dei brutti scherzi.
 
“ Quindi l’hai lascito per suo nonno?”
“ L’ho lasciato per non mandarlo in banca rotta, l’ho lasciato perché lo amo troppo, l’ho lasciato perché so che era la cosa giusta, e anche se adesso io sto soffrendo e credo che anche lui stia soffrendo, ma spero che non lo faccia, un giorno entrambi riusciremo ad avere la nostra felicità e lui si sposerà con quella donna e renderà felice anche suo nonno.” finì tristemente il mio discorso asciugandomi una guancia.
 
“ Figlia mia hai davvero tanto coraggio sai?”
“ Perché dici questo?”
“ Perché ami così tanto quell’uomo da lasciarlo con la consapevolezza che soffrirai molto, e anche per amor suo e della sua famiglia “
“ Io l’ho fatto solo per lui”
“ Lo so ed è qualcosa di assolutamente meraviglioso, ma non credi che non facendogli sapere della tua gravidanza potresti farti odiare da lui?”
“ Mamma se lui venisse a sapere di questa gravidanza ritornerebbe da me e addio patrimonio per l’azienda!”
“ Va bene va bene”
“ Oh mamma!”
“ Tesoro mio…”
 
Si quella era la cosa giusta da fare la cosa giusta da fare la cosa giusta da fare….
   
 
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