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Autore: _Arika_    19/07/2008    2 recensioni
-Conosci i Sayan?
Lektar sembrava leggere i miei pensieri. Mi scrutava in attesa che dentro di me prendessi una decisione.
Decisi di mantenere una linea il più corretta possibile.
-Non credo di poterti dire davvero come li conosco- dissi –Però vengo da talmente avanti nel tempo che non credo di poter essere un pericolo per voi. Io non sono una Sayan, se questo può tranquillizzarti, ma sono sicura che l’avessi già capito. E’ anche vero quanto ho detto prima, e cioè che la mia razza è molto debole, quindi non credo di poter essere un pericolo. E in ogni caso io NON VOGLIO, essere un pericolo.
Lektar si avvicinò di nuovo e si risedette sul cubo bianco.
–Quindi li conosci da vicino, se dici che è per via del divario temporale che non puoi essere un pericolo.
Anuii lentamente. –Li conosco bene. Ma nel mio mondo credo che loro siano molto diversi da come credo siano nel vostro.
-Sono esseri crudeli e sanguinari?
-No.
-Allora sì, sono molto diversi.
Genere: Drammatico, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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LA GUERRA DEI MONDI



DISCLAIMER: Vegeta e Bulma sono personaggi del manga Dragon Ball di Akira Toriyama. Tutti i fatti narrati sono però fantasia dell’autrice. Questa storia non persegue scopo di lucro quindi non si può intendere nessuna violazione delle norme riguardanti il diritto d’autore.
E’ possibile riprodurre parti, personaggi o trama della storia solo con il consenso dell’autrice.


Seconda parte: CANDIDO



La stanza del risveglio era bianca in ogni cosa, così splendente da accecare gli occhi. Così pura e candida da sembrare la nuvola di un paradiso artificiale.

-MMM...

Il mio corpo sprofondava, in un tessuto morbido che non aveva un che di familiare.


Dov'ero?


Una voce alle mie spalle mi costrinse a voltare il capo.

-Ti sei svegliata prima del previsto...

Una voce calma, modulata, estremamente rilassante. Una nota di perfezione nella declinazione di termini e locuzioni.

-Dove sono?

Quella stanza era bianca, così bianca da non poter pensare.

E la figura dietro e me si stagliava candida e perfetta come facesse parte del locale stesso.

Lunghi capelli di un azzurro che non era il mio, ma quello degli zaffiri. Delle pietre lucenti. Con occhi il cui colore i diamanti avrebbero invidiato se fossero stati vivi.

-Non hai nulla da temere, sei in una camera di Ristorazione.

E quella voce.

Calma.

Fluente.

Bellissima.

-Io mi chiamo Jasper. Sono stato io a portarti qui.


---


La creatura pare indenne. Le reazioni nelle pupille e lungo gli arti indicano coscienza appannata solo da un lieve e fisiologico stordimento.

I raggi sopra il corpo ne percorrono i moti, il battito dell'organo centrale, il flusso dei condotti plasmatici.

La creatura volta il capo e le iridi color cobalto mostrano intelligenza e circospezione, nonostante la confusione.

-Dove sono?

Una voce morbida. Essere di sesso femminile. Essere di razza poco evoluta. Di quelli al cui interno ancora è presente la distinzione fra maschio e femmina a rendere difficoltoso il riprodursi.

Esseri inadatti al potere di essere dei. Incapaci di controllare se stessi e il mondo tramite il potere del potersi moltiplicare senza freno alcuno a parte il proprio inconscio.

Esseri inferiori.


Come quelle bestie.


-Io mi chiamo Jasper. Sono stato io a portarti qui.

Lingua universale del quadrante settentrionale. Cadenza perfetta e modulazione della voce in sintonia con l'atmosfera.

Calma e tranquillità.

La creatura non ha nulla da temere. Finchè resta lì con loro.


---


Risvegliarsi in quel luogo bianco per un Sayan era l'inferno.

Un inferno bianco come la luna dell'ozaru. Un inferno in ogni caso.

Vegeta strinse gli occhi tentando invano di sollevare il braccio.

Catturato dagli Skatos. Incatenato sopra un tavolo.

Sarebbe stata la sua fine. Lo sapeva ed era inutile cercare vie d'uscita.

Non si sarebbe arreso. Di sayan partiti per distruggere la città ne aveva visti troppi. Di Sayan tornati ne aveva visti pochi.

Solo due in venticinque lunghi anni di esistenza.

Sarebbe morto in quella stanza.

Ipotesi da sempre contemplata, a tempo indeterminato ma pur sempre contemplata.


Nella mente di una scimmia.


Solo un sayan come tanti altri. Soltanto una, di quelle mille stupide scimmie.

Stupide scimmie, razza bastarda venuta fuori da un pianeta che nessuno ricordava. Razza di schiavi, fin da quando l'universo aveva avuto memoria di registrarli.

Vegeta scosse il capo prima a destra poi a sinistra.

Dannazione.

Il rumore lento e scricchiolante delle ossa in ricomposizione suonava spaventoso e inquietante al tempo stesso.

Perchè un'anestesia?

In un moto involontario la lingua percorse accanto al labbro l'estremità del lungo sfregio che gli attraversava il volto. Un gesto familiare per una ferita familiare.

Un momento di riflessione, prima che tutto avesse inizio.


---


Mi misi a sedere sul lettino continuando a fissare la creatura.

Quella stanza mi creava confusione. Percepivo nell'aria un che di artificiale, come una nota di purezza in più che rendeva innaturale in luogo chiuso.

La macchina del tempo, ora ricordavo, dove diavolo ero finita?

-Io...

Cosa potevo dire?

Che mi ero persa nello spazio? Che venivo dalla Terra?

Che non sapevo nulla di quel luogo?

-Io...credo di essermi persa...

E quella creatura che mi fissava. Gli occhi talmente chiari da sembrare rivestiti di una lente bianca.

Davanti a lui provavo una soggezione che era estranea anche a me stessa.

In viaggio su Namek avevo urlato in faccia a ragazzini muniti di armi come il miglior guerriero di un esercito terrestre. Avevo visto Freezer senza timori, quando pure Vegeta alla sua vista si era contratto come colpito da una frusta.

Avevo visto distruzione, morte, androidi, Sayan e alieni.

Ho visto cose che voi umani, mi venne da pensare.

Ma davanti a quel Jasper la parola mi moriva in gola.

In quel volto così calmo leggevo l'espressione di un vecchio amico, di una nonna che ti prepara il tè dopo non averti visto per lungo tempo. I suoi gesti fluidi mi invitavo ad alzarmi in piedi, a dirgli se sentivo dolore a qualche parte, ma quel contegno e quella dedizione mi innervosivano e spaventavano come avessi davanti un leone intento a fissarmi.

Senza sapere un leone cosa fosse.

Era di una bellezza disumana, pensai fissando gli occhi candidi.

Forse quella era la sensazione che si provava a vedere Dio.


---


La città del Blu era così chiamata perchè il cielo ad di sopra di essa era sempre calmo e terso. Del pianeta Eos, posizionato a nord della Cometa Rossa, solo la città del Blu e poche altre erano abitate dagli Skatos, nonchè rese abitabili dalla loro scienza insuperabile.

La città del blu era anche chiamata "la città della Sfera" dagli abitanti della galassia intera. Sulla torre centrale del campo d'istruzione, infatti, una grande sfera rifletteva in cielo una sostanza dissipatrice, grazie alla quale dei tre soli, due incessantemente riscaldavano gli edifici e il popolo della città.

Gli skatos vivevano di luce, e solo grazie ad essa la loro inumana intelligenza poteva produrre nuove idee.

La luce del globo intero era quindi riservata alle poche città abitate e alle strade per collegarle.

In tutto il resto del pianeta dimoravano i Sayan.


Nella stanza del riposo, Jasper chiese a Bulma se provasse dolore a qualche parte, ben consapevole che la creatura avrebbe negato, dato che le macchine dicevano il suo corpo fosse integro in ogni punto.

La donna negò, scuotendo leggermente il capo.

Jasper vide un barlume in quegli occhi che gli piacque e al tempo stesso non gli piacque.

Non era una sayan, le chiome troppo chiare e il corpo troppo debole la rendevano fisicamente innocua persino contro di lui, che non avrebbe saputo fronteggiare uno scontro corporale nemmeno con un piccolo di quelle scimmie, ma il riflesso indagatore degli occhi mostrava chiaramente una mente capace di forza critica e razionale quanto bastava per non essere totalmente innocua.

In ogni caso al creatura era smarrita.

E lui conosceva bene tutto ciò che lei ignorava.

-Non ho intenzione di chiederti da dove vieni, perchè credo tu sia ancora troppo confusa per rispondermi. Posso chiederti però qual è il tuo nome?

Jasper vide la donna rilassarsi un poco. Il tono con cui parlò fu la prova del ritorno di un minimo di carattere originale.

-Mi chiamo Bulma.

Precisa. Corretta. Una voce decisa ma squillante, simbolo di un carattere aderente al proprio sesso ma non per questo inferiore al maschio.

L'inflessione dei termini gli era però totalmente estranea.

La donna era umanoide come lui, ma non vi era razza cui riuscisse a ricondurre quel tipo di cadenza.

Le donne di Salem erano talvolta di quei colori, ma l'intelligenza limitata le portava a esprimersi in modo stentato, per lo più attraverso gesti o versi. Al contrario le femmine per pianeta 9 avevano una cadenza certe volte simile a quella della donna, ma la più alta lui avesse visto non superava il metro e venti, e le corna arricciate sulla sommità del capo erano requisito indispensabile per vivere sul pianeta degli Scavatori di Rocce.

Avrebbe indagato la provenienza della donna quanto prima, per quel momento l'importante era che fosse innocua.

E non mostrasse l'intenzione di nuocere ad alcuno.

-Bene, Bulma. Ti ho chiesto il nome perchè trovo poco lusinghiero rivolgermi a qualcuno attraverso pronomi o intercalari. Immagino tu sia ancora stordita da quanto ti è accaduto, quindi pensavo di farti fare un veloce giro dell'edificio in cui ci troviamo e poi mostrarti la tua stanza. Potrai riposarti quanto vorrai. Quando starai meglio parleremo di te e risponderò a ogni tua domanda. Il programma è di tuo gradimento?

La donna stette un attimo in silenzio, poi, evidentemente rendendosi conto di non avere altra scelta se non restare su quel lettino e non vedere neanche quel poco lui volesse mostrarle in quel momento, acconsentì a seguirlo in corridoio.

Jasper camminò sentendo gli occhi intelligenti della donna registrare ogni cosa in quel percorso.

La portò alla stanza quanto prima, mostrandole giusto il corridoio e il grande salone sull'ala meridionale dell'edificio.

-Questa è la sala principale, quando avrai voglia di parlare vieni pure qui. Se non ci sarò io non ti preoccupare. Tutti sanno del tuo arrivo.

Vide la donna irrigidirsi.

-Verranno subito a chiamarmi.


---


La camera che avevano preparato per me era bianca esattamente come l'altra, solo un po' più grande e con un letto più grande e comodo.

Come avevo notato prima, anche lì non vi erano finestre. La luce forte era artefatta, proveniente da una serie di quel che sembravano tubi al neon appesi al soffitti con fili sottilissimi.

Mi sedetti sul giaciglio morbido continuando a guardarmi intorno.

Pensa Bulma, pensa...

Tutti sanno del tuo arrivo...

Al ricordo di quella frase un brivido mi corse lungo la schiena.

Mi fissai i piedi nudi con una sensazione di frustrante nervosismo.

Fino a quando non mi avessero detto qualcosa in più non avrei potuto fare nulla. Ero in balia di quelle strana creature dagli occhi bianchi.

Non sapevo neanche se nominare i Sayan avrebbe potuto sortire qualche effetto.

E soprattutto, in ogni caso, non sapevo se l'effetto avrebbe mai giocato a mio favore.


---


Lo Skatos di nome Jasper entra nella stanza sorridendo. Sento le sue labbra tirate in un sorriso anche se la posizione mi impedisce di vederlo.

-Vedo che ti sei svegliato.

La sensibilità in tutto il corpo è tornata poco fa. Stringo un pugno due o tre volte per controllare sia tutto a posto.

-La macchina disgregatrice di molecole è dolorosa e mi dispiace, ma devi capire che non potevo permetterti di distruggere la città.

Quella sua voce suadente la riconosco troppo bene. Quando ammazzai suo padre il suo urlo mi colmò di gioia. Gli Skatos sono tutti uguali, capelli bianchi e occhi uguali. Lo stesso tono gentile da spavento. Gli stessi modi di chi crede che chiederti scusa mentre muori possa servire a lenire il male.
Lo stesso tono da esseri superiori.
A cosa non lo sa nessuno.

-Puoi anche cavarmi gli organi uno ad uno. Non otterrai niente da me.

Sono una scimmia ma ho uno orgoglio.
Non sarò mai schiavo di un popolo che tutto insieme non saprebbe vincermi su un campo di battaglia.
Sono una schifosa scimmia che vive nel buio che voi avete pensato fosse bene ritagliarle.
Ma non sarò mai schiavo di nessuno.


Di uno Skatos men che mai.


  
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