Note dell’autrice:Questa storia
è nata da una mia voglia improvvisa di scrivere una fiction ambientata
in un’epoca passata, quando non esistevano ancora le comodità che
possiamo permetterci oggi, quando la gente per portare a casa un pezzo di pane
era costretta anche a spezzarsi la schiena dal tanto lavoro, quando la vita per
le persone era difficile… e forse, allo stesso tempo, facile. Non ho idea
se la Storia Universale avrà
un qualche riscontro sulla Storia dei personaggi, ora come ora è una
storia senza tante pretese che però vorrebbe
raccontare qualcosa di importante: una storia d’amore qualunque, che
spero possa riuscire a toccare il
vostro cuore.
È
scesa la neve, divina creatura
a visitare
la valle.
È
scesa la neve, sposa della stella,
guardiamola
cadere:
Dolce!
Giunge senza rumore, come gli esseri soavi
che temono di far male.
Così scende la luna, così scendono i sogni....
guardiamola scendere.
Pura! Guarda la valle tua, come sta ricamandola
di gelsomino soffice.
Ha
così dolci dita, così lievi e sottili
che sfiorano senza toccare.
G.
Mistral
“È scesa la neve”
I
Giorni d’estate
Maggio 1755
Villaggio di Bedlington, Wansbeck
(1)
L’estate s’era decisa ad arrivare,
raggiungendo persino le sperdute campagne del Wansbeck, riportando alla vita la
terra divenuta secca e priva calore nel periodo invernale.
L’inverno era stato particolarmente rigido quell’anno e troppo a lungo
aveva trattenuto tutti noi nella sua gelida morsa di ghiaccio e neve; sembrava
quasi voler durare per sempre e marzo non fu tanto diverso da febbraio,
così come aprile non lo fu da marzo.
Venti gelidi provenienti dal nord avevano
infuriato impietosi nella brughiera e nella campagna, strappando dai rami i
fiorellini appena nati gettandoli a terra senza alcun ritegno, mentre la neve
per un desiderio irrazionale e crudele era caduta fino alla fine di marzo,
ghiacciando anche i primi accenni di primavera e di nuova vita che con coraggio
erano spuntati da quel manto freddo e crudele. Ma
adesso era finita.
Con
l’arrivo di maggio la stagione calda s’era
finalmente decisa ad uscire allo scoperto, portando un po’ di allegria e
colori nei prati e nelle campagne assieme al promettente caldo di
un’estate ormai prossima; con la bella stagione anche le mandrie adesso
potevano uscirsene fuori dalle stalle e trascorrere le
loro oziose giornate nei pascoli verdi, mugghiando tranquille e beate al riparo
dei muretti di pietra.
Per quanto mi riguardava, ero
più che mai propensa a godermi fino all’ultimo istante il caldo
tepore del sole sul viso, seduta comodamente sull’erbetta verde e fresca,
giocherellando con i ciuffetti fragranti, passandoli tra le dita e magari
raccogliendo qualche fiore da portare a casa, l’ombra della quercia
secolare era una panacea nelle ore più calde della giornata e dalla sua
posizione strategica – sopra la collina – era perfetta come ‘torre’
di vedetta, ottima per osservare il villaggio poco distante dai pascoli, oppure
per dare un’occhiate alle greggi di pecore, cosa che mi
stavo curando assolutamente di non
fare: era una giornata troppo bella per essere
sprecata a tenere d’occhio un branco di ovini puzzolenti e noiosi…
ma la coscienza ricordò a me stessa che ero pagata per tenerli
d’occhio, perciò non potevo permettermi alcuna distrazione.
Sbuffai contrariata e mi misi lunga
distesa sotto l’ombra della grande quercia,
crogiolandomi tra i canti estatici degli uccelli e godendomi appieno quel
piacevole tepore estivo; non mi era mai piaciuto badare al bestiame, ma se
questo poteva evitarmi una giornata intera immersa fino al gomito in compiti
come: spolverare, cucinare, lavare i panni o una qualsiasi faccenda avesse a
che fare con mansioni femminili… avrei anche accettato di fare la
guardiana di porci anche tutta la vita, piuttosto!
Non che non fossi in grado di svolgere lavori tipici da donna come ad esempio rammendare calzini o camicie, ma non lo trovavo per niente edificante; al contrario di mia sorella, che trascorreva la maggior parte delle sue giornate tappate dentro casa a cucinare e rammendare, io amavo l’aria aperta: sentire l’aria fresca sul viso, assaporare il profumo dei fiori, persino starmene distesa all’ombra di un albero a contemplare le nuvole passare velocemente nel cielo estivo era bello. Non c’era proprio paragone.
Dovevo essermi addormentata;
quando sentii una voce maschile chiamarmi a gran voce balzai immediatamente a
sedere, provando un lieve stordimento mentre la testa
prese a girarmi come una trottola. Me la presi tra le mano
e la infilai tra le ginocchia, aspettando alcuni secondi, intanto la voce
continuava a chiamarmi con insistenza, senza darmi il tempo di rispondere:
<< Maddy! Maddy! Maddy! >> continuava a ripetere.
<< Che c’è?
>> urlai io di rimando, senza accennare a sollevare la testa.
I passi adesso
erano più vicini e il ragazzo in pochi secondi fu vicino a me, sotto
l’albero.
Quando la testa
smise di girare su sé stessa decisi di alzarla
verso la persona che aveva continuato a invocare
Il mio nome a gran voce, come
uno scongiuro.
Il viso arrossato
per la corsa fino alla cima della collina, le labbra dischiuse in un costante
boccheggiare senza respiro, gli occhi scuri ed espressivi di John Maverick non
mi abbandonavano un secondo, quasi volesse farmi
capire quello che voleva dirmi attraverso di essi.
Mi stiracchiai languidamente e sospirai, sentendomi appagata e rilassata, gli sorrisi tranquillamente. << Ehi,
John, che ci fai qui? Non dovresti essere nei campi assieme a tuo padre? >> domandai.
<< Lo stavo facendo! >> sbottò lui e il viso si arrossò ancora di più per la rabbia. Strinse i pugni contro i fianchi, quasi avesse voluto trattenersi dal picchiarmi, ma la sua era solo una facciata: John aveva diciassette anni ma aveva ancora un viso infantile e nonostante fosse un ragazzo era più alto di me di appena una decina di centimetri, tra l’altro non si sarebbe mai permesso di picchiarmi, perché non glielo avrei mai permesso.
John inspirò ed espirò più volte, quando ebbe ritrovato la calma riprese a parlare. << Ero venuto a controllare che non ti fosse accaduto nulla, ma adesso che ti ho vista… capisco tutto. >>
Lo guardai piccata, aggrottando le sopracciglia, allora mi alzai da terra ed iniziai ad assettarmi con cura l’ampia gonna di cotone grezzo, togliendo i pezzetti di rami che si erano attaccati e anche le foglie verdi della quercia. << Di che parli? >>
John roteò gli occhi e poi indicò bruscamente l’ampio raggio dei campi che si stendeva a perdita d’occhio all’orizzonte; la maggior parte degli uomini del villaggio era intenta a mietere il fieno maturo e giallo, altri invece erano tornati a prendersi cura dei campi adesso che la bella stagione era tornata; John avrebbe dovuto essere assieme a suo padre…
<< Le pecore che dovevi tenere d’occhio sono arrivate fino al campo… e adesso stanno scorrazzando allegramente sotto il naso degli altri! Per questo sono venuto a cercarti! Credevo che ti fosse accaduto qualcosa di male! E invece tu… >>, fece una smorfia di puro disgusto, << te ne stavi in panciolle sotto la quercia… a dormire. >>
Le pecore erano
scappate? Stava scherzando?... no, a vedere il
tratteggio duro della sua mascella e gli occhi ricolmi di rabbia, doveva essere
maledettamente serio.
<< Oh, mio Dio… allora
mi sono davvero addormentata?
>>
<< Così sembrerebbe
>>, disse lui sarcastico.
<<
Accidenti, e adesso che faccio? Mia sorella mi ammazza se lo
scopre! >> Mi misi le mani tra i capelli ed iniziai a scompigliarmeli
nervosamente, sperando di trovare una soluzione.
John borbottò qualcosa di incomprensibile, poi mi afferrò la mano ed iniziò a correre a precipizio lungo la collina.
<< Dove mi porti? >> sbottai dando dei forti strattoni cercando di liberarmi da quella morsa. Ma era inutile.
John non si voltò a guardarmi. << Dobbiamo riportare indietro le pecore scappate, altrimenti saranno guai. >>
Era più
grande di me di un anno, eppure sin da piccolo a volte assumeva un
atteggiamento dispotico e autoritario nei miei confronti, quasi avesse avuto dei diritti inalienabili su di me; certo, ogni
volta che cercava di alzare la cresta nei miei confronti avevo sempre avuto
cura di rimettere quel galletto superbo al suo posto… ma tuttavia lui
stesso mi aveva fatto notare che le pecore non sarebbero tornate indietro da
sole, perciò occorreva sbrigarsi, e al più presto.
Trovammo quei
maledetti ovini impudenti al ruscello, intenti ad abbeverarsi placidamente
nelle fresche acque gorgoglianti oppure a brucare le erbette fresche che
crescevano vicino alla riva, incuranti del fatto che avrebbero potuto mettermi
nei guai con mio padre, o peggio… mia sorella.
John si raccolse il calzoni malandati fino al ginocchio, guardò per
alcuni istanti quell’acqua indubbiamente gelida, nonostante fosse maggio
inoltrato, poi prese a saltellare come una rana da un masso all’altro,
cercando di raggiungere quelle stupide pecore che, nonostante i nostri sforzi
per recuperarle, continuavano
Ad abbeverarsi e
a brucare il muschio fresco che cresceva vicino ai massi scivolosi.
Scivolò
sul sasso cui aveva appena appoggiato il piede, ondeggiò pericolosamente
per alcuni secondi, prima di ristabilire un minimo di controllo su quella
superficie scivolosa. << Dio… >>, fece per lanciare un
imprecazione, ma si fermò subito.
<< John, forse… >>
<< Taci,
Maddy! Hai già fatto abbastanza, non ti pare?
>> sbottò a denti stretti, senza guardarmi negli occhi.
Imbecille pensai tra me e me; mi sistemai meglio la gonna e mi sedetti su un tronco marcio, aspettando che finisse di guadare il ruscello, lanciandogli delle occhiate annoiate, di tanto in tanto.
Non so quanto tempo impiegò, sempre troppo per i miei gusti; ci mancava solo un ultimo masso, e questo era completamente ricoperto di muschio verde…
<< John, aspetta… >>
Non feci in tempo.
Appena appoggiò la scarpa consunta sul
sasso, il piede cedette sotto quella scivolosa superficie verde, perse
l’equilibrio, ritrovandosi in acqua, bagnato fino ai calzoni.
La sua dipartita
contro quel nefasto nemico suscitò la mia ilarità e, ne
sono sicura, anche quella delle pecore. Quando affondò nella superficie
ciottolosa del rigagnolo sollevò spruzzi su
spruzzi d’acqua, accompagnati da un urlo sorpreso e spaventato da parte
sua; risi come se non fossi in grado di smettere, mi vidi costretta persino ad
afferrarmi la pancia con le mani per attenuare i dolori che sentivo, ma non
serviva a niente, continuavo a
sghignazzare senza sosta.
Quando cadde in
acqua, l’imprecazione che aveva trattenuto solo pochi
minuti prima, uscì dalla sua bocca, la urlò a gran voce
come se chi fosse nei paraggi fosse obbligato ad ascoltarlo, e io non smettevo
di ridere. Mi lanciò delle occhiate di fuoco, quasi avesse
voluto incenerirmi con solo l’aiuto degli occhi ma come era
prevedibile, non serviva a nulla.
Vedendo
che l’avevo offeso – e parecchio –, con tutte quelle risate,
mi tappai la bocca con le mani, soffocando il continuo scroscio di risa e
trasformandolo in una serie di singhiozzi isterici e ripetuti.
<< Ridi, ridi pure! >> sbottò lui una volta uscito dall’acqua.
<< Ho cercato di
dirtelo >>, ansimai io, sentendo le costole scricchiolare contro
le stecche del corpetto per quelle continue risate soffocate e quelle
precedenti. Mi calmai un poco, riacquistando così una parvenza di serietà,
con le nocche mi asciugai le lacrime che stavano
colando dagli occhi, gli sorrisi allegra. << Ho cercato di avvertirti, ma
tanto non mi avresti ascoltato. >> Scrollai le
spalle, come se fosse un dato di fatto.
Conquistai
un’altra occhiata truce e malevola da parte sua, ma non ci feci caso. John si levò la camicia di lino grezzo e
prese a strizzarla con le mani: il suo petto glabro e magro era pieno di
goccioline che brillavano al sole quasi il suo petto fosse stato cosparso di
preziosi diamanti, i capezzoli gli si erano irrigiditi per l’acqua gelida
e lui non faceva che borbottare imprecazioni a tutto spiano, incomprensibili
alle mie orecchie.
Distolsi lo
sguardo, concentrandomi sulle pecore dalla parte opposta del ruscello: si erano
allontanate almeno due metri, rispetto a quando le avevamo trovate.
John mi
lanciò un’occhiata di tralice e gli ricambiai guardandolo con la
coda dell’occhio; mi parve di scorgere un sorriso sulle sue labbra
infantili. << Non mi dire! >> esclamò, improvvisamente
allegro. Si passò il palmo della mano sul viso umido, i capelli scuri
adesso gli si erano attaccati al viso e al collo quasi fosse stati
mescolati al miele; finì di strizzare la camicia logora e adesso
bagnata, poi se la appoggiò sulle spalle magre e ossute, si gonfiò
il petto quasi fosse stato un galletto superbo. << Non mi dire! Madelaine
Newbery… ti senti a disagio? >> il tono della sua voce aveva un che
di esultante e canzonatorio nei miei confronti.
Scossi brevemente
la testa, istupidita da quell’affermazione. << Perché
dovrei? >>
I suoi occhi
scuri si dilatarono, forse per la sorpresa, o per l’incredulità.
<< Come sarebbe a dire ‘perché dovrei’? >>
Con gli occhi tornai sulla sua figura magra, ancora a petto nudo. Oh, adesso capivo…
Sorrisi. <<
Credimi John… potresti mostrarti a me anche senza calzoni… ma non
otterresti niente di più che un ‘Oh’ da parte mia. >>
Le sue guance
magre presero colore ancora una volta, mentre un’espressione rabbiosa e
di sdegno nei miei confronti si faceva strada nei suoi occhi. <<
‘Oh’? >> disse incredulo.
<< Diresti solo ‘oh’?
>> L’ostilità era quasi palpabile e fu difficile trattenere
un sorriso.
<< Esatto >>, replicai
convinta. << Stai insinuando che il tuo uccellino è cresciuto,
negli ultimi anni? >> domandai ingenuamente, inclinando la testa di lato.
Il colore delle sue guance si fece ancora più scuro, diede un’ultima strizzata alla camicia e se la rimise, borbottando insulti incomprensibili. << Ha! Per quel che mi importa! >>
<< Come se non sapessi che a te, gli uomini non interessano! >>
Quell’improvvisa
affermazione mi lasciò interdetta, soprattutto perché non riuscii
a capirne il senso. Aggrottai le sopracciglia confusa
e poi mi avvicinai un po’ di più a lui, guardandolo dal basso
verso l’alto, nonostante in realtà non ce ne fosse bisogno, lui
distolse lo sguardo e allora io gli girai attorno, guardandolo in viso.
<< Chi è stato a
dirlo? >>
Mi guardò in tralice e increspò le labbra, ma non disse nulla.
<< John… >> Odiavo le frasi dette a metà: se si iniziava un discorso era perlomeno educato terminarlo, invece John era del tutto intenzionato a farmi perdere la pazienza, gli tirai un pugno all’avambraccio magro, lui gridò per la sorpresa e poi si allontanò con un balzo.
<< Sei impazzita? >> Prese a massaggiarsi il braccio, mentre i suoi occhi cercavano di incenerirmi con la sola forza del pensiero.
Piegai le braccia
sui fianchi e lo guardai severa, del tutto intenzionata a farlo parlare.
<< Allora, sentiamo. Cos’è questa storia che non sarei interessata agli uomini? >> Dovetti usare un
tono di voce più duro di quanto volessi; John mi lanciò
un’occhiata piena di risentimento, e per un attimo pensai non mi avrebbe
dato alcuna risposta.
<< Lo sanno tutti, ala
villaggio… >> borbottò a mezza voce.
<< Cosa? >>
<< … Che vuoi restare
zitella. >>
<< Non è vero!
È una bugia! >> esclamai sdegnata.
Avevo solo sedici
anni e in tutta sincerità non pensavo ancora al matrimonio, oppure ad
accalappiare un uomo… ma evidentemente le donne anziane avevano avuto da
ridire a proposito: la maggior parte delle donne del villaggio si maritavano in
giovane età, la maggior parte delle volte accadeva che avessero appena
compiuto quindici anni… ma per me era
un’età piuttosto delicata, il mio primo pensiero la mattina non
era pensare al fabbisogno dell’uomo che condivideva con me il letto
oppure crescere con cura la sua prole. Ero giovane e – che quelle fossero
d’accordo o meno – ero ancora una ragazzina; il matrimonio non era
ancora nei miei pensieri.
<< Solo perché non
sono ancora chiusa in casa a sfornare figli e a cucinare, non significa che gli
uomini non mi interessino! >> sbottai infastidita.
John sgranò gli occhi
all’invero simile per la sorpresa e il suo viso si arrossò ancora
di più.
<< Bada a quello che dici,
ragazzina! >>
<< Non fare la voce grossa
con me! >> lo redarguii io con voce acida.
Voltandomi di nuovo verso
quelle maledette pecore, piegai il pollice e l’indice, portandoli poi
alle labbra; bastò un fischio breve, e subito
i tre ovini rizzarono attenti le orecchie e, nel giro di qualche secondo, me le
ritrovai appresso, tutte belanti e bagnate mentre premevano contro le mie
sottane, quasi stessero cercando qualcosa. Con le pecore di nuovo al mio
seguito, ero pronta a tornare indietro.
John mi rivolse
un’occhiata sgomenta e sorpresa, io invece mi limitai a scimmiottare una
riverenza da gran dama, sollevai l’orlo logoro della gonna e lui ebbe
modo di vedere un pezzo della seconda sottana, arrossì vistosamente e
stornò lo sguardo, scatenando la mia ilarità.
*
<< Ventisette, ventotto,
ventinove… trenta! >> esclami trionfante dopo aver terminato la
conta.
Aggiungendo le pecore che
erano scappate e le tre trovate al ruscello, adesso il gregge era al completo.
John sbuffò
rumorosamente. << Non ci vedo nessun motivo per esultare >>, disse
brusco.
Lo fulminai con
lo sguardo. << Solo perché tu
non sei riuscito a riportarle indietro da solo, mentre una povera donna
come me, invece, c’è riuscita alla grande! >>
Mi guardò
di sbieco e arricciò le labbra, quasi avesse voluto ribattere, alla fine
scosse la testa e lasciò perdere. << Sei sempre,
ad avere l’ultima parola. >>
<< Mi sembra ovvio
>>, dissi conciliante.
Diedi
un’occhiata al
sole in cielo: le nuvole avevano iniziato a scurirsi, divenendo poso a poco di
un colore roseo con alcuni cenni più scuri, il cielo adesso era del
colore stesso del sole, quasi che un pittore distratto li avesse colorati in
ugual modo, quella palla infuocata, che rendeva il giorno caldo e piacevolmente
afoso; adesso non scottava più così tanto e nemmeno bruciava gli
occhi se la si guardava. Era ora di tornare.
Mi diedi una rapida assettata alla gonna
e con le dita cercai di pettinarmi i capelli, talmente scompigliati e intrigati
da sembrare un nido d’uccelli, John aspettò in silenzio poco
distante da me, quasi la troppa vicinanza gli desse fastidio.
<< Hai finito? >> mi
chiese burbero.
<< Certo. >>
Con
l’ennesimo fischio, incitai il numeroso gregge a seguirmi e queste
ubbidienti come dei pulcini che seguono la chioccia,
presero a camminare belando allegramente, sapendo che, una volta tornate nel
loro ovile avrebbero ricevuto una generosa dose di foraggio e erba medica.
Io e John non parlammo molto durante il ritorno, più perché
lui era chiuso in un silenzioso riserbo nei miei confronti ed io mi
accontentavo del continuo belare allegro del gregge, seguito anche dai suoni
dei loro campanacci.
Giungemmo al
villaggio che il cielo adesso era come una pozza uniforme di sangue
mentre il sole spariva poco a poco
verso le colline, finendo chissà dove; la prima stella della sera era
già sorta, era davvero tardi.
Mi sorpresi molto
quando John si offrì di portare a casa lui le pecore, ma accettai, visto
che i ritardi non erano visti molto di buon occhio, a
casa mia.
Il piccolo
cottage dove vivevamo era appena fuori dal villaggio,
bastava percorrere la strada che utilizzavano i carri da fieno per portare il
foraggio al mercato oppure a portarlo nelle stalle, perciò non era
difficile camminare sulla strada già battuta dalle ruote.
Presi a correre
lungo la strada secca e polverosa, incurante che la mia corsa sollevasse una
quantità considerevole di polvere e che si attaccasse inevitabilmente
all’ampia gonna dell’abito; nel giro di poco il piccolo profilo del
cottage in pietra entrò nella mia visuale: non eravamo mai stati ricchi
e anche il fatto che fossimo costretti a vivere in cinque in una casa
così piccola poteva essere davvero un problema, ma a noi andava bene
anche così, non eravamo abituati a vivere in spazi ampi.
Il cottage era
costruito appena fuori dalla strada, completamente
immerso nel verde dei campi, un basso muretto in pietra segnava l’inizio
della proprietà accompagnato poi da alcune piante aromatiche come il
prezzemolo o l’erba cipollina e con l’aggiunta di qualche fiore di
campo e delle erbacce, nati senza che qualcuno glielo chiedesse, ma poi curati
da mia madre quasi fossero state le rose più belle del mondo. A
prendersene cura adesso era Elisa, mia sorella, da quando nostra madre era morta.
Le luci erano
già accese e alcune candele erano state appoggiate dietro le
tende davanti alle finestre, forse Papà aveva messo Fletcher di guardia
alla finestra, in modo che potesse avvisarlo del io ritorno, ma adesso sembrava
non esserci nessuno.
La porta d’ingresso
cigolò rumorosamente quando la aprii, annunciando il mio ritorno.
<< Sono to… >>
<< Era ora! >> La voce
dura di Elisa mi accolse all’ingresso, facendomi sobbalzare.
Mia sorella era
davanti alla porta da dove ero appena entrata, gli occhi verdi oscurati dalla
rabbia e le labbra piene e sensuali increspate quasi si stesse trattenendo da
urlare come una pazza. i capelli biondi erano raccolti
alla meglio sulla testa per impedire che le cadessero davanti agli occhi mentre
cucinava, il grembiule che quella mattina era intonso prima che uscissi di
casa, adesso era come se il colore bianco e il pulito, non li avesse mai
conosciuti. Mi puntellai timidamente da un piede
all’altro, lo sguardo ostinatamente piantato a terra.
<< Ti avevo detto di tornare
a casa presto, perché avevo bisogno di aiuto per la cena! >> disse
brusca.
<< Me ne sono dimenticata
>>, ammisi a malincuore.
Roteò gli
occhi esasperata e sbuffando come una teiera piena d’acqua bollente.
<< Madelaine, ti deciderai
ma a crescere, una buona volta? >> La sua voce era stanca, come se fossi
stata un caso disperato.
A
quell’affermazione avrei potuto arrabbiarmi e
ribattere a quelle parole, ma si dava il caso che Elisa avesse completamente ragione e, soprattutto,
non era saggio contraddirla quando era arrabbiata; persino Erial – suo
marito – sapeva di doverla lasciar sfogare quando era in collera.
<< Mi dispiace, Elisa.
Prometto di ricordarmene, la prossima volta. >>
<< Ah, Maddy! La prossima volta, la prossima volta!
esiste sempre e solo il futuro, per te? non riesci proprio a pensare al
presente?! >>
Non replicai nemmeno
stavolta.
<< Almeno hai portato a casa
i soldi? >> Una piccola luce speranzosa brillò nei suoi occhi
azzurri.
Oh, no! avevo dimenticato di
riscuotere il denaro dal proprietario del gregge!
<< Ehm, io… >>
Se possibile, chinai ancora di più la testa, pronta all’ennesima
tirata da parte di mia sorella.
<< LI HAI DIMENTICATI?!
>> strepitò incredula, vedendo i miei tentennamenti. Il suo urlo
fu talmente forte che se avessimo avuto i vetri alle finestre, questi avrebbero
vibrato.
<< Elisa, aspetta…
>>
<< Madelaine, quei soldi ci
servono, lo capisci? >> Sembrava si stesse rivolgendo a me come se fossi
stata una pazza, e mi infastidii.
<< Sì che lo so!
>> sbottai piccata.
<< E allora perché
non hai preteso subito il pagamento? >>
<< Perché…
>>
Mi mordicchiai il labbro
inferiore, restia a parlare a Elisa di John.
<< Perché? >>
<< Perché le pecore le ha
riportare indietro John! >> ammisi alla fine con esasperazione.
<< John? >>
Una voce bassa e rauca mi
giunse lontana e lieve come un soffio nel vento. Papà.
Corsi subito nel
piccolo salotto che fungeva anche da camera da letto. Mia sorella aveva deciso
di accogliere il marito nella propria casa per non lasciarmi completamente sola
a prendermi cura di Papà e Fletcher, la camera che una volta era stata di Papà e Mamma andò a Elisa e al
consorte, Fletcher dormiva in salotto sul pavimento e con un materasso fatto di
stracci vecchi, io invece dormivo su di un piccolo letto malandato in
una piccola stanza vicino
alla piccola cucina.
Papà era
sdraiato sul suo ‘letto’ con tre cuscini – tutti quelli che eravamo riusciti a reperire – e imbacuccato
Con almeno cinque coperte,
ovvero tutte quelle che avevamo in casa, tutte sgualcite e che in inverno ti
riscaldavano a malapena, ma adesso era impossibile sentire freddo, con la
calura di maggio.
Mi inginocchiai a terra
accanto a lui e gli toccai il viso segnato dalla vecchiaia e dalla malattia, Papà
tossì.
<< Papà, ti senti
bene? >> domandai, aggrottando le sopracciglia.
Lui mi sorrise, nonostante si
vedesse appena, sotto quella folta barba. << Sto meglio, Maddy. Non ti
preoccupare. >>
Sorrisi e sospirai quando lui
mi accarezzò dolcemente la testa. Non mi ero del tutto abituata al fatto
che fosse così gentil, insomma, si sa come sono i padri, o meglio, so
come era il mio prima!
Ha educato me e i miei
fratelli in un modo autoritario e gentile al contempo, con il pugno di ferro e
il guanto di velluto, come si suol dire.
Non l’ho
mai considerato una persona ingiusta, anzi il più delle volte è
sempre stato buono con me, Elisa e Fletcher, non ci ha mai puniti a caso, solo
perché gli andava… ma, ragazzi! quando ce
lo meritavamo ci faceva vedere i sorci verdi! Non ho mai conosciuto –
grazie a Dio – una persona che usasse la cinghia
così, ogni colpo che andava a segno bruciava come se fossi finita dritta
all’inferno e il mio povero sedere gemeva assieme a me ad ogni colpo,
chiedendo pietà; era anche vero però che io, essendo testarda
come un mulo di natura, mi limitavo a qualche guaito di disapprovazione e
niente più. Solo quando il supplizio terminava, io mi riabbassavo
dignitosamente la gonna e camminavo impettita dentro casa, e lì mi
aggrappavo alle gonne di mia madre e scoppiavo in un pianto disperato, mentre
lei mi accarezzava la testa con dolcezza, sussurrandomi parole di consolazione.
Quando il vaiolo
si portò via nostra madre, Papà smise di alzare le mani su di
noi. Non lo fece nemmeno una volta, anche se facevamo
qualche danno, lui si limitava a sgridarci: io, Elisa, Fletcher, chi di noi
avesse combinato un danno, veniva ammonito severamente e, se il danno combinato
era serio, magari veniva spedito a letto senza cena, ma niente di più.
<< È stato il figlio di Rufus a darti una mano con le
pecore? >> mi chiese, senza smettere di passare la mano ruvida e callosa
tra i ricci scarmigliati della mia testa. Annuii.
Un fischio prolungato
richiamò la nostra attenzione, e io voltai la testa. Appostati sulla
soglia del salotto, con gli abiti logori e impolverati e con addosso
l’odore di terra e il fetore pungente di maschio non lavato, Fletcher ed
Erial annunciarono il loro ritorno a casa.
<< John Maverick, eh?
>> domandò mio fratello con un ghigno divertito. << Che
dici, Maddy, dobbiamo preoccuparci che chieda la tua mano entro la fine
dell’estate? >>
La battuta – per niente
divertente – di Fletcher fu accompagnata da uno scroscio di risate,
persino Elisa, adesso meno furibonda, si mise a ridere, e lo stesso fece
Papà.
Scattai in piedi con un balzo
e in poche falcate raggiunse Fletcher, ancora impegnato a prendermi in giro;
senza dargli il tempo di reagire gli assestai un gran calcio allo stinco, e lui
uggiolò come un cane per il dolore, prendendo a saltellare come uno
zoppo.
<< Ma dico, sei impazzita?
>> strepitò furioso.
Io in tutta
risposta sollevai con fare altezzoso il mento, e lo ignorai. << Cosa dovrei dire io allora. Hai già diciannove anni e
non hai ancora trovato moglie! Se non altro, nel caso nessuno volesse chiedere
la mia mano, ho sempre John come rimpiazzo! >>
mi cacciai indietro un ricciolo di capelli dandomi un’aria di contegno.
<< Povero John se dovesse
prenderti in moglie! >>
Altro scoppio di ilarità, stavolta più forte e meno
contenuto. Sentii le guance farsi più calde e come minimo ero diventata
rossa come un pomodoro, alzai il pugno puntandolo verso il soffitto. <<
Bada a te, Erial Pacy, se non vuoi rimetterci un occhio! >> dissi
minacciosa.
<< Guai a te se ti azzardi a
toccare mio marito! >> protestò immediatamente mia sorella,
parandosi davanti ad Erial, quasi avesse voluto fargli da scudo.
Io e mia sorella
ci stavamo per lanciare in uno scontro all’ultimo sangue, contando di
aggiungere alle parole graffi e morsi, e magari pugni, essendo abituata a
litigare con dei maschi avevo imparato a difendermi usando le mani e Fletcher
mi aveva insegnato a tirare qualche gancio; se mai ce ne fosse stato bisogno,
Elisa era spacciata.
Proprio mentre la
nostra discussione mortale ebbe inizio, qualcuno bussò alla porta,
interrompendo ogni cosa. Erial andò alla porta. Aspettammo tutti quanti
in silenzio che il visitatore se ne andasse, o
entrasse, non avevo idea di cosa potesse succedere; quando sentii un
‘grazie’ da parte di mio cognato, capii che il visitatore
non si sarebbe
trattenuto.
Erial tornò subito in
salotto, e tra le mani reggeva un piccolo sacchetto di cuoio completamente
gualcito, un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
<< Il caro John è
passato apposta per portarci i soldi che Maddy aveva dimenticato. Si vede che
è proprio innamorato, eh? >> disse guardando mio fratello, il
quale ricambiò con un sospiro trasognato e gli occhi sognanti.
<< Oh, Maddy… >>
disse, come se fosse stato un perfetto ragazzo innamorato.
<< SMETTILA FLETCHER!
>> sbraitai, puntando il pugno dritto verso di lui. << Non ti
è bastato quel calcio? >>
<< Maddy ti amoo,
credi a meee… se non sei, il
mio cuore batte solo per tee! >> cantilenò lui, con una voce
talmente stonata che avrebbe ucciso un sordo.
Evidentemente, non gli
bastava.
*
La notte fu davvero breve e
non riuscii a dormire. Sarebbe spuntata l’alba di lì a poco.
Avevo immaginato di dormire fino a tardi, come facevano le donne che appartenevano all’aristocrazia che passavano la notte tra banchetti e balli continui, e rincasavano a mattina già inoltrata, svegliandosi poi a metà pomeriggio; non era la mia massima aspirazione di vita alzarmi a un orario così indecente, però in fondo in fondo pensavo che sarebbe stato divertente, provarci almeno per una vola. Non ebbi successo.
Forse stavo davvero per addormentarmi, stanchissima per la notte passata praticamente in bianco, riuscivo a vedere il sonno vero e proprio affacciarsi dallo stato di dormiveglia in cui versavo da parecchie ore ormai… ma fui interrotta.
Fui strappata
bruscamente alla realtà quando un paio di mani
estranee mi tolsero di dosso la coperta, lasciandomi con addosso solo la
camiciola di lino che usavo per dormire in estate, e le gambe nude in mostra.
Cacciai uno strillo sconcertato, cercando qualcosa con cui coprirmi, ma non
riuscivo a trovare le lenzuola, perché?
<< Svegliati pigrona. Il sole è già alto. >>
Riconobbi la voce
di Elisa, ma non riuscii a distinguere la sua figura,
che era poco più che una massa di indumenti resa sfocata e confusa dal
sonno, mi strofinai gli occhi e nel giro di poco riuscii a distinguere i
dettagli del suo viso.
<< Ma che… >> Mi
coprii la bocca, soffocando uno sbadiglio. << … che ore sono?
>>
<< Il sole è alto
già da due ore, faresti meglio a vestirti! >> sbottò lei e
subito dopo, con un turbinare di sottane azzurro chiaro, se ne tornò in
cucina.
Mi grattai la
testa, sentendomi ancora intontita dal sonno e dal fatto che non avevo praticamente dormito, reprimendo un altro sbadiglio mi
decisi ad alzarmi e andai alla finestra e tirai lo spesso strato di stoffa che
fungeva da tenda, il sole mi accecò. Chiusi immediatamente gli occhi e
diedi le spalle a quella luce abbacinante, a tentoni mi diressi verso la sedia dove
appoggiavo sempre i vestiti; la trovai.
Dopo aver
indossato il corpetto e le sottane mi diedi una spazzolata ai capelli –
anche se non li resi presentabili – e uscii dalla stanza.
Elisa mi accolse
nella cucina gettandomi addosso un grembiule bianco e
ordinandomi di indossarlo, me lo legai attorno alla vita ma non senza
brontolare qualche insulto silenzioso; detestavo indossare i grembiuli, e lei
lo sapeva. Lo sapeva benissimo.
<< Tieni. >>
Mi gettò
il borsellino in cuoio che John ci aveva portato la sera prima, lo afferrai al
volo e le monetine che vi erano dentro tintinnarono piacevolmente.
<< Vai al villaggio a comprare un
po’ di latte e qualche uovo per la cena >>, disse
perentoria riprendendo a muoversi nel piano cottura con una velocità sorprendente,
nonostante la sua mole.
<< Sicura che, ehm, non devo
fare altro? >>
<< Perché me lo chiedi?
>> disse, visibilmente sorpresa dalla mia domanda.
Scrollai le
spalle. << Be’, insomma… sai com’è, il
bambino… >>
<< Oh! >> esclamò
lei, come se si fosse ricordata solo in quel momento di essere in attesa.
Si tastò
appena il ventre gonfio e pieno come un pomodoro maturo, sorridendo dolcemente
quando in tutta risposta, il bimbo dentro di lei scalciò.
<< Non preoccuparti, ci
vorrà ancora un po’ di tempo prima che il piccolo nasca; ma, se
proprio ci tieni… >>
<< Ehm… >>
<< Questa volta vedi di non
startene in giro a bighellonare per il villaggio, e vedi di non spendere
più del necessario magari comprando del cibo che non ci occorre. Quando torni a casa vedrò di tenerti occupata con
qualche faccenda domestica. Ora che ci penso: le camicie di Erial
e Fletcher devono essere rammendate, lo stesso i calzini di Papà, poi
sarebbe il caso che dessi una rassettata anche alla casa. Siamo poveri, ma non
viviamo mica in un porcile! E poi… >>
<< Ho capito, ho capito!
>> esclamai disperata. << Vedrò di essere a casa presto, non
ti preoccupare! >>
Afferrai con un
gesto rapido della mano il cesto di vimini che mi stava porgendo e corsi fuori
di casa.
L’aria del mattino era
piacevolmente fresca, in quel caso anche troppo nonostante fosse maggio, fui
felice di avere indossato lo scialle di cotone, il sole non era completamente
alto nel cielo e quindi era anche impossibile che facesse caldo, una leggera nebbiolina
veleggiava leggera sulla strada sterrata, gli alberi ai fiochi raggi solari
rilucevano di rugiada quasi fossero stati carichi di
pietre preziose e lo stesso si poteva dire dell’erbetta tenera e verde
che cresceva sul ciglio della strada. Diedi una lieve annusata a
quell’aria fresca e umida e mi avviai lungo la strada battuta.
Nonostante fosse
ancora presto Bedlington era già in pieno fermento nei preparativi della
nuova giornata di lavoro, nell’aria assieme al profumo di erba bagnata si
avvertiva con piacere anche il buon odore di pane appena sfornato mescolato a
quello di fieno appena falciato, così come si poteva udire il rumore
delle secchiate d’acqua che venivano tirate su dal pozzo della piccola
piazza per essere portate in casa e messe a bollire per preparare il tè.
Lungo la strada
incontrai la vecchia Etta, una delle donne più
anziane del villaggio. La salutai e lei ricambiò con un sorriso rugoso e
sdentato, poi procedette per la sua strada: aveva la schiena curva come una
collina e il viso segnato da una ruga per ogni sentiero che aveva percorso
durante la sua lunga vita; ognuno dei suoi passi lenti sembrava costarle una
fatica immane.
Le donne più giovani
era già al lavoro da tempo così come quelle che, nonostante
l’età avanzata, erano ancora in grado di rendersi utili, ma
ugualmente considerate delle donne anziane.
Il lattaio di
Bedlington non era un vero lattaio. Possedeva un cottage fuori
dal villaggio, dato che le sue mucche da latte producevano gran
quantità di latte ad ogni mungitura, Maurice prendeva quello in eccesso
e lo vendeva al villaggio, sperando di ricavarne qualche scellino. Assieme al
cestino per le uova Elisa mi aveva dato anche un secchio apposta per il latte,
mentre le uova le chiesi alla figlia acquisita della vecchia Etta, quando la
incontrai al villaggio.
Una volta sbrigati i compiti assegnatimi da mia sorella mi
ritrovai seduta sulla piattaforma in sassi del vecchio pozzo di pietra, con un
secchio stracolmo di latte in una mano e un cestino con delle uova nell’altra;
il sole s’era fatto più caldo e fui costretta a ripiegare lo
scialle dentro al cestino intrecciato sopra le uova fresche. Sentendo la gola
seccarsi per la sete feci calare la corda alla cui estremità c’era
un vecchio secchio consunto, lo calai dentro al pozzo e grazie ad una ruota
arrugginita tirai la corda, ottenendo della buona acqua fresca in pochi
secondi, raccogliendola poi con un mescolo di metallo; il liquido fresco
entrò nella mia gola calda annaffiandola gentilmente e scorrendo sempre
più giù, qualche goccia d’acqua sfuggì dal mescolo e
mi scivolò lungo il collo, raggelandomi.
Una volta sazia
mi passai il palmo della mano sulle labbra umide e sospirai di contentezza.
<< Non dovresti bere
così velocemente… >> Una voce maschile e attraente
richiamò la mia attenzione. << Potrebbe venirti il mal di pancia,
poi. >>
L’acqua che
avevo appena ingurgitato rischiò di uscirmi nuovamente dalla bocca per
lo spasmo di emozione che provai, vedendolo. Avevo detto che cercare un marito per ora non mi interessava…
ma avrei potuto facilmente cambiare idea, se a farmi la proposta fosse stato
William MacDonald, il figlio dell’unico possessore di una locanda in
tutta Bedlington.
<< Will… >>
Tossicchiai imbarazzata, sentendo la voce venirmi meno per l’imbarazzo.
William Cameron
era scozzese; la sua famiglia si trasferì nella
piccola contea del Wansbeck all’epoca della Grande Sommossa che aveva
portato l’esercito scozzese di Bonnie Prince ad una colossale disfatta.
Stando alle voci delle vecchie comari, il nonno di Will non era un sostenitore
del principe, e nonostante il laird (2) del clan Cameron decise di sostenere la causa Stuart,
William Cameron prese moglie e figli e scappò dalla Scozia, raggiungendo
questo piccolo villaggio nella speranza di ricominciare tutto capo, per
sé e per i suoi eredi.
Will aveva venti
anni. Nonostante fossero coetanei era più alto di Erial,
nonostante lui stesso fosse un uomo di altezza non indifferente; aveva i
capelli scuri come le ali di un corvo, divisi in morbide onde tenute
costantemente ferme da un legaccio di cuoio, gli occhi di un verde caldo e
profondo… e un sorriso che lasciava profondamente il segno. Il sorriso conscio e un poco impudente di un uomo che sa di poter
ottenere ciò che vuole.
<< Vedo che sei mattiniera,
Maddy >>, disse sistemandosi meglio i sacchi di farina che portava sulle
spalle, il suo sorriso mi spezzò il cuore, lasciandomi confusa e un poco
stordita.
Non mi fossi
dovuta preoccupare di controllare l’improvvisa ondata di
emozioni che la sua sola vista aveva scatenato dentro di me, avrei anche
potuto azzardare ad un saluto cordiale, ma l’unico risultato che ottenni
furono smozzichi di parole dette a metà, il viso accaldato per
l’emozione e il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.
<< Ciao… Will.
>>
Sorrise di nuovo
e io temetti di non arrivare viva al giorno successivo. Per alleviare la
tensione che sentivo, mi passai un ricciolo ribelle dietro l’orecchio,
guardando rigorosamente il terreno polveroso e pieno di sassi.
<< Devi, ehm, fare delle
commissioni per tuo padre? >> chiesi, trovando finalmente il coraggio di
parlare.
Scrollò le
spalle larghe con indolenza. << Abbiamo finito la farina per fare il
pane, così sono andato a prenderne un po’ dal mugnaio. >>
<< Ah. >>
Il principio di
conversazione che avevamo avviato morì subito con quel mio commento
completamente inutile.
<< Io invece sono venuta a
prendere del latte e qualche uovo! >> esclamai senza trovare nulla di
intelligente da dire.
Will
lanciò un’occhiata curiosa al secchio pieno di latte, dentro al
quale iniziavano a radunarsi delle mosche golose, mentre le uova erano nascoste
dal mio logoro scialle. << Vedo. >>
<< Adesso però credo
di dover tornare a casa >>, mi affrettai ad aggiungere, conscia che se mi
fossi trattenuta un minuto di più, Elisa mi avrebbe fatta a pezzi e
servita con il brodo a colazione.
Aggrottò
le folte sopracciglia nere. << Devi? >>
Annuii
vigorosamente e mi passai ancora una volta un rissaiolo dietro
l’orecchio. << Allora, ehm… ci vediamo. >>
Raccattati il
cestini intrecciato e il secchio con entrambe le mani e tenendo la testa bassa
lo sorpassai, avviandomi verso l’uscita del villaggio.
<< Maddy!
>>
Il cuore mi
balzò dritto in gola appena la sua voce profonda e maschia chiamò
il mio nome; girai appena la testa. << Sì? >>
<< Sarai presente alla festa
di Litha? >>
Il solstizio
d’estate era la festa che celebravamo durante il periodo caldo, per
augurarci un buon raccolto e cibo abbondante da conservare poi nel periodo
freddo, c’era anche un piccolo banchetto e musica e danze per divertirci
tutti assieme, facendo bagordi fino a tardi, un lusso che potevamo concederci
solo poche volte durante l’intero anno. Io adoravo la festa di Litha.
<< Certo che ci sarò,
perché? >>
Il sorrisetto consapevole
e un po’ spudorato affiorò sulle sue labbra piene e sensuali.
<< Mi stavo giusto chiedendo se avessi già un cavaliere per la
festa. >> I suoi occhi brillavano di una luce che non conoscevo.
Mi sentii
arrossire fino alla punta dei piedi e boccheggiai alcune parole sconnesse che
non riuscii a capire.
<< No, non ce l’ho.
>>
Mi girai e corsi
via, lasciandolo solo.
Tornando a casa da villaggio, mi sentii
finalmente tranquilla, non avendo il bel viso di Will davanti agli occhi, ma la
mia testa era piena di lui, sembrava non esserci spazio per niente e nessun
altro.
La sua voce, il
suo viso, il suo magnifico corpo… c’era solo lui, e il ricordo
della sua risata.
Note :
1)
Wansbeck è un piccolo distretto locale della contea del
Northumberland, Inghilterra.
2)
Laird è una parola in gaelico scozzese usata per indicare
l’uomo che guida il clan.