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Autore: FairyCleo    28/04/2014    5 recensioni
"Lo aveva visto giocare con suo figlio, lo aveva sentito ridere con i suoi amici di sempre, ma nei suoi occhi aveva letto un dolore profondo e un senso di mancanza che solo lui sembrava in grado di comprendere. Per tutti gli altri non c’era niente di diverso o di strano in quella serata trascorsa alla Capsule Corporation. Gli amici di una vita avevano continuato a fare ciò che avevano sempre fatto senza capire, o peggio ancora fingendo di non capire che Trunks avrebbe voluto trovarsi altrove. E questo, non era un pensiero che stava toccando solo lui".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Un po' tutti, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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VI Parte
 
Non erano stati in grado di evitare l’onda d’urto conseguente allo spaventoso boato che avevano udito poco prima. Goku era stato il primo a rendersi conto di quanto effettivamente stava avvenendo, ed era stato per puro istinto se si era gettato addosso al suo compagno, cercando in tutti i modi di fargli scudo con il proprio corpo. Solo in seguito si era reso conto di dover proteggere anche se stesso, ma a quel punto, anche dopo aver aumentato esponenzialmente la propria aura per far sì che le macerie si disintegrassero al contatto con essa, la sua schiena era già stata ridotta ad un ammasso di carne sanguinolenta e di brandelli di abiti ridotti in cenere.
Vegeta non era stato né in grado di reagire prontamente, né in grado di fare qualcosa per aiutare Goku. Era rimasto, fermo, immobile sotto il suo peso, chiudendo gli occhi con forza e sperando con tutta l’anima che quegli attimi di terrore finissero presto. E, in effetti, così era stato. Dopo l’immane esplosione, un silenzio spettrale si era impossessato di quel luogo, silenzio per lui impossibile da udire dato il fischio continuo che stava sentendo.
“Ka-harot…” – aveva provato a biascicare Vegeta, stordito e confuso più che mai – “Goku!”.
Ma il saiyan più giovane non aveva risposto ed era rimasto immobile, evidentemente privo di sensi.
“Dannazione…” – aveva ringhiato il principe, chiudendo forte gli occhi nella speranza di riaprirli e di scoprire che tutto quello era solo un maledetto incubo. Forse, a quel punto, avrebbe potuto tornare a pensare lucidamente, cercando una spiegazione e una soluzione a quella situazione che non prometteva niente di positivo. Ma, ovviamente, non era servito a nulla. Vana era stata ogni speranza. Goku era ferito gravemente, e attorno a loro non regnavano altro che desolazione e distruzione.
“Kaharot!” – non si era reso conto di aver urlato. Come avrebbe potuto? Il suo udito era completamente fuori uso, e non gli era servito chissà cosa per capire che il liquido che sentiva colare dal condotto uditivo fosse sangue – “Kaharot! Svegliati! Andiamo stupido idiota! ALZATI!”.
Eppure, Goku non si era destato. La sua schiena continuava a sanguinare, e sembrava che il suo colorito stesse velocemente diventando sempre più pallido. Com’era possibile che una semplice esplosione avesse causato loro tanti danni Vegeta non era riuscito a spiegarselo. Il principe dei saiyan sapeva solo che stava per piombare nel più totale panico e che, al momento, poteva solo sperare che gli incubi rimanessero tali.
Aveva presto tre profondi respiri, cercando di riordinare le idee e di trovare una risposta alle mille domande che rimbombavano nella sua testa. Doveva provare a mettersi in piedi e a spostare Goku da lì, cercando di portarlo al sicuro e di recuperare anche il motivo per cui si trovavano lì. Non erano lontane. Ne era certo. Ma se non erano lontane, perché non riusciva ad individuarle? Che fossero finite sotto le macerie? Che fossero state distrutte da qualche masso precipitato su di loro?
“DANNAZIONE!” – nonostante lo stordimento, aveva sollevato Goku di peso e lo aveva caricato sulla spalla destra, prendendosi un istante per ritrovare l’equilibrio. Non poteva essere andato tutto per il verso sbagliato all’improvviso! Non dopo tutta la fatica che avevano fatto! Non dopo essere arrivati così vicini al raggiungimento del proprio obiettivo.
“Maledizione… Maledizione… Maledizione!”.
Stava in piedi appena. Si sentiva stordito oltre ogni modo, le gambe gli tremavano in maniera incontenibile, ma non poteva fermarsi a riposare. Non ancora. Non prima di aver portato l’idiota al sicuro. Respirare, però, era diventato quasi impossibile. Goku era pesante, certo, ma non era quella la ragione della sua difficoltà a controllare il proprio corpo. Stava accadendo qualcosa di strano, anche se non aveva idea di cosa si trattasse. Era come se lo stessero quasi avvelenando. Era stato dopo essere arrivato a quella conclusione che era crollato sulle ginocchia, cedendo sotto il peso di Kaharot. La sua gola si era chiusa all’improvviso, e gli occhi avevano cominciato ad arrossarsi e a lacrimare. A nulla era valso ogni tentativo di proteggere le vie aeree, sia le sue che quelle di Goku. Era troppo tardi, ormai, e Vegeta non aveva più dubbi. Era realmente stato avvelenato, e cominciava a credere di aver capito come ciò fosse accaduto.
“Go-Goku!” – aveva provato a dire, sollevando più che poteva la casacca sul suo viso per evitare che respirasse l’aria infetta che avevano attorno, ma era stato scosso da una serie di forti colpi di tosse, trovandosi prossimo a perdere i sensi. Potevano aver fallito così miseramente? Potevano davvero aver perso tutto in maniera così miserabile? Forse, se avesse deciso di porre fine al suo voto, forse, se avesse ripreso a combattere, sarebbe stato più scaltro, sarebbe stato più previdente, più pronto. Ma, nonostante la lotta, nonostante la sua forza di volontà, non era riuscito ad opporsi a quella forza così tanto più grande di lui. E, alla fine, Vegeta era crollato, prono, sbattendo il viso sul terreno secco e polveroso. L’ultima cosa che aveva visto, era stato il viso di Kaharot. L’ultima cosa che aveva visto, era stata un’ombra umanoide… E, quest’ombra, aveva sfoderato un sadico, terrificante sorriso.

 
*
 
Caldo. Avvertiva una tale sensazione di calore da non riuscire quasi a capacitarsene. Gli abiti che aveva scelto erano ormai zuppi del suo sudore e non avevano potuto non appiccicarsi sul suo corpo stanco e provato. Le membra gli dolevano, soprattutto le braccia, costrette in una posizione innaturale, e le ginocchia, ormai scorticate per il continuo sfregare contro la dura pavimentazione su cui era stato costretto a sostare.
Era stata con non poca fatica se aveva finalmente riaperto gli occhi, necessitando di qualche istante per mettere a fuoco quanto aveva attorno. E l’espressione assunta dal suo viso era stata solo un pallido sentore di quello che era il suo reale stato d’animo, un quadro sommario della sua sorpresa. Perché non erano stati i monti e i soli di Neo-Namecc ad accogliere il suo risveglio, bensì le fredde pareti asettiche di quella che aveva tutta l’aria di essere una prigione.
D’istinto, aveva cercato di sollevarsi nella speranza di ritrovare la libertà perduta, ma era stato tutto inutile: era stato incatenato tramite l’ausilio di due anelli di energia alla parete che si trovava alle sue spalle, e lo stesso valeva per le caviglie, ancorate però al pavimento. Il che lo aveva costretto il una posizione innaturale, inginocchiato, con le braccia tese all’indietro quasi all’altezza delle spalle e il busto piegato in avanti. Ormai, aveva perso quasi completamente la sensibilità alle mani, e il vano tentativo di liberarsi era stato solo terribilmente doloroso. Perché si trovava lì? Chi diamine lo aveva rapito? E che fine aveva fatto quell’idiota di Kaharot?
“DANNAZIONE!” – aveva urlato, cercando nuovamente di sfuggire a quella ferrea presa – “CHI HA OSATO FARMI UNA COSA DEL GENERE? CHI HA OSATO FARE UNA COSA DEL GENERE A ME! LIBERATEMI IMMEDIATAMENTE! MI AVETE SENTITO? ADESSO! OPPURE…”.
“Oppure che cosa, Vegeta?”.
La voce che aveva raggiunto le sue orecchie proveniva dall’alto, da un punto che si trovava esattamente dietro uno dei grandi neon che illuminavano quella stanza vuota e bianca, impedendogli di vedere a chi appartenesse. Inutile dire che questa sorta di mistero non aveva fatto altro se non accrescere i sentimenti avversi che Vegeta stava provando. Non si trattava solo di rabbia, di senso di impotenza, non affatto. Si trattava di questo e di una sensazione diversa, una sensazione che gli aveva fatto torcere lo stomaco, una sensazione che gli umani chiamavano ansia.
Senza neppure rendersene conto, aveva  ricominciato a tirare in avanti le braccia, stavolta con più forza, procurandosi sfortunatamente solo dei tagli sanguinanti sui polsi.
“Sai che tutto questo è inutile, Vegeta, non è vero?”.
“Tsk! Chi sei maledetto? Perché non mostri il tuo volto? Hai forse paura, codardo?”.
“Paura? Oh, no, Vegeta. Non sono io, tra noi due, quello che deve avere paura”.
Si era ritrovato per un breve istante immerso nel più totale buio, con la sola consapevolezza di essere lì, e di non essere solo, ma incapace di vedere da quale parte sarebbe sopraggiunto il pericolo, perché se il principe dei saiyan sapeva qualcosa, era che presto sarebbe sopraggiunto il pericolo. E il suo istinto non gli aveva mentito. L’improvvisa riaccensione delle luci aveva causato in lui un’inevitabile stordimento, e non aveva potuto evitare di mostrare sorpreso nel constatare che il suo nemico, o almeno colui che presumeva lo avesse imprigionato e avesse osato parlargli con tanta sfacciataggine, avesse un aspetto che non avrebbe neanche potuto lontanamente immaginare.
“Che ti prende, Vegeta? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”.
Se non fosse stato per la pelle leggermente più scura, per il suo metro e novanta di altezza  e per quei suoi spaventosi occhi rossi come il fuoco, avrebbe potuto credere che fosse un suo riflesso in uno specchio o che, in alternativa, fosse un suo gemello separato alla nascita. Ma non aveva uno specchio davanti a sé e non aveva avuto nessun fratello gemello. Quella non poteva essere altro se non la materializzazione di un incubo.
“Chi diavolo sei tu?” – non aveva potuto evitare di dirlo, incapace di staccare lo sguardo da quegli occhi così spaventosi – “Che cosa sei, tu?”.
Quella creatura, quell’essere, non aveva risposto immediatamente, evidentemente più interessato a scrutare chi aveva davanti, e questo non aveva fatto altro se non aumentare la già notevole irritazione di Vegeta. Come, come aveva potuto far sì che si trovassero in quella situazione? Come, se aveva cercato di fare tutto il possibile per fare presto? Come, se non aveva lasciato nulla al caso?
“Sei smanioso, Vegeta. Smanioso di sapere perché ti somiglio tanto, smanioso di sapere che fine abbia fatto il tuo caro amichetto, non è così? Non è per questo che il tuo cuore galoppa come un cavallo in corsa, saiyan?”.
“Taci” – aveva ringhiato il principe, cercando ancora una volta di liberarsi da quella morsa così dolorosa – “Dai fiato alla bocca solo per rispondere alle mie domande, razza di mostro. Mi hai sentito bene? Non ti permetto di prenderti gioco di me!”.
“Che bel caratterino!” – aveva commentato lui, sorridendo compiaciuto – “Ora capisco da chi ho preso il mio!”.
Un’altra stupida battuta, un’altra stupida presa in giro per nulla velata. Avrebbe tanto voluto scatenare la propria aura e la propria ira, ma non poteva farlo. Non poteva, altrimenti… Altrimenti…
“Sai, Vegeta, sei molto più interessante di quanto avrei mai potuto sperare. Cocciuto, altero, dalla forza fisica non indifferente, ed anche estremamente affascinante. Sono davvero felice che abbiano scelto i tuoi geni per darmi la vita”.
I suoi geni per dargli la vita? Aveva capito bene? Quel mostro aveva asserito di essere frutto dei suoi geni?
“Ma cosa diavolo vai blaterando? Parla immediatamente, oppure io… Io…” – ma Vegeta non aveva terminato la frase, perché un manrovescio lo aveva nuovamente stordito, facendogli sanguinare il naso ed un orecchio.
“Magari con questo riuscirò a farti tacere per un po’, anche se ho dei forti dubbi. Dunque, dove eravamo rimasti? Ah, certo, ai tuoi meravigliosi geni da cui sono nato a tua insaputa” – ciò detto, il suo riflesso leggermente diverso si era seduto a gambe incrociate proprio davanti a lui, lisciando le pieghe della casacca bianca a maniche lunghe che indossava  su pantaloni dello stesso, identico colore. Non indossava un’armatura, non indossava alcun tipo di protezione, e questo aveva portato Vegeta a due conclusioni decisamente differenti tra loro: o si trattava un perfetto idiota, o si trattava di un essere invulnerabile. In ogni caso, non avrebbe di certo abbassato lo sguardo. Gli avevano insegnato a scrutare negli occhi il proprio nemico, a farlo tremare solo tramite la scintilla che brillava in essi, e non aveva intenzione di mettere da parte quello che sapeva proprio in quella circostanza. Non adesso che si trovava completamente solo e in balia di un pazzo che aveva il suo stesso volto.
“Tu sapevi che sarei arrivato, Vegeta, non è così? Tu lo sapevi perché sono stato io a fare in modo che tu sapessi, che tu vedessi con i tuoi occhi, ma non con quelli con cui mi stai guardando, bensì con quelli della mente…” – non aveva potuto evitare che gli sfiorasse la fronte, facendolo rabbrividire: le dita di quella creatura sembravano fatte di ghiaccio, ed erano in netto contrasto con il rosso vivido delle sue pupille stregate.
“Ne so quanto prima” – aveva ammesso, cercando invano di sfuggirgli – “E poi, non credo ad una sola parola di quello che mi stai dicendo” – e doveva ammettere di essere stato davvero un pessimo bugiardo, perché non solo cominciava a credere ad ogni singola parola uscita dalla bocca di quel pazzo, ma cominciava anche a rimettere insieme tutte le tessere di quel puzzle che lo aveva condotto su Neo-Namecc prima e in quella prigione poi.
“Tu non puoi mentirmi, Vegeta. E sai perché non puoi farlo? Perché non puoi mentire a te stesso”.

 
*
 
“Dobbiamo fare presto” – aveva detto una voce che non era stato in grado di riconoscere, la voce di una donna.
“La dottoressa ha ragione. Bisogna sbrigarsi, o il soggetto morirà e sarà stato tutto inutile”.
Aveva aperto gli occhi a fatica, scoprendosi incapace di muovere le proprie membra. C’era qualcosa che copriva la sua bocca e il suo naso, qualcosa che lo stava aiutando a respirare, ed era certo che vi fossero una serie di aghi e di tubicini infilati in ogni orifizio del suo corpo, anche in quelli a cui nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi senza il suo permesso. Faceva freddo in quella stanza, su quel lettino, e le luci accecanti dei neon gli impedivano di vedere correttamente chi o cosa avesse intorno, ma, anche se non aiutato da questo handicap e anche se tutti i suoni erano ovattati, era certo di trovarsi in una sala operatoria. Come si fosse trovato lì era un autentico mistero. Ricordava con chiarezza di essere atterrato con la sua navicella su di uno dei tanti pianeti per lui tutti uguali che lord Freezer gli aveva ordinato di conquistare, ma come avesse fatto a trovarsi lì non riusciva proprio a ricordarlo. E perché non riusciva a muoversi, poi? Cosa gli avevano fatto quegli alieni? E cosa volevano fargli ancora?
“I campioni devono essere perfetti. Non possiamo permetterci di compiere errori. Il nostro lord non ce lo permetterebbe” – aveva detto una voce maschile, la voce che non poteva non appartenere ad un uomo anziano.
“E’ vero. Non oso immaginare cosa potrebbe accaderci se dovessimo fallire”.
“Noi non falliremo!” – era stata di nuovo la voce risoluta della donna a placare i loro animi e a dettare legge – “Sono anni che ci prepariamo per questo. Non falliremo. Le cose andranno esattamente come abbiamo pianificato. Ed ora, miei cari signori, proporrei di cominciare. Il tempo scorre e non possiamo permetterci di sprecarlo”.
E non ne avevano sprecato, di tempo, proprio come a lui non avevano risparmiato neppure un briciolo del più atroce dolore che avesse mai provato fino ad allora. La verità era che, nonostante fosse sedato, lui sentiva perfettamente ogni singola tortura a cui lo stavano sottoponendo. Vegeta aveva sentito le lame dei bisturi scorrere sul suo torace e la pressione dei divaricatori che separavano la sua pelle e i suoi muscoli. Per un istante, aveva creduto di perdere i sensi. Troppo intenso era stato il dolore che aveva provato e che continuava a provare, ma non poteva cedere, non poteva permettere loro di fare tutto quello che volevano – qualsiasi cosa fosse – con il suo corpo. Ma poi, alla fine, nonostante tutti i suoi migliori propositi, non aveva potuto resistere al dolore di quell’enorme ago che lentamente, troppo lentamente, era scivolato nel suo cuore pulsante estraendone il rosso nettare, e aveva ceduto, abbandonandosi al dolore e all’oblio.

 
*
 
Si era risvegliato in una radura, adagiato in una conca formata dalle ampie e nodose radici di un albero altissimo dalle foglie blu. Non aveva idea di come avesse fatto a trovarsi lì, e non aveva idea di cosa fosse accaduto prima di arrivarci. L’unica cosa che ricordava era una battaglia in corso, una battaglia in cui lui stava avendo la meglio.
Dove erano andati tutti? Avrebbe fatto meglio a trovarli e a portare a termine la missione prima che lord Freezer decidesse di non dargli il suo meritato e sudato compenso. Avrebbe pensato in seguito a come diamine avesse fatto a trovarsi lì, e perché avvertisse un certo fastidio proprio all’altezza del cuore.

 
*
 
Aveva sgranato gli occhi tanto da farli arrossare, perdendosi in quel ricordo così lontano che aveva rimosso completamente dalla propria mente. Usato. Era stato usato come una cavia da laboratorio, come un coniglio vivisezionato e poi abbandonato. Come era stato possibile che l’avesse dimenticato? Lui non aveva nessuna cicatrice sul proprio torace, eppure lo avevano squarciato come un vitello. Lui non aveva nessun segno… Eppure, aveva sentito nuovamente quel dolore al cuore, proprio come se gliel’avessero provocato in quel preciso istante, proprio come se l’ago lo avesse penetrato lì, senza possibilità di appello. E, se non fosse stato per l’essere che aveva davanti, sarebbe crollato, perdendo i sensi, e forse dimenticando di nuovo quanto aveva finalmente ricordato.
Aveva paura, Vegeta. Aveva davvero paura. Per se stesso e per chi avrebbe pagato le conseguenze di quella scoperta. Perché adesso, aveva capito. Adesso sapeva che quello che aveva davanti non era altri se non il frutto di un volgare esperimento fatto su di lui, con lui, a sua insaputa.
“Siamo di nuovo insieme…” – gli aveva sussurrato il suo clone all’orecchio, piano – “E questa volta nessuno potrà dividerci nuovamente”.

 
Fine parte VI
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Ed eccomi qui, con un solo giorno di ritardo rispetto a quanto avevamo pattuito. Sono stata abbastanza brava, no? Ditemi che sono stata brava, su! ;) Così poi sono contenta!
Dunque, sono tornata a casa dopo aver trascorso più di un mese intero in giro, e credo di poter essere molto più puntuale. Almeno me lo auguro! In ogni caso, questa sesta parte ci ha introdotto il nemico – più o meno – e quello che ha intenzione di fare per prima cosa. Temo per come andranno le cose, temo terribilmente.
Scappo! Vado a studiare!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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