L
File no.15
“Watari..”
“Cosa
c’è L? Che cos’hai?”
I segni rinvenuti sulla sua schiena, la tendenza ad isolarsi dagli altri coetanei e soprattutto quell’assurda, inconcepibile e tristissima indifferenza verso tutto ciò che riguardava anche solo lontanamente il contatto fisico nei confronti delle altre persone, facevano pensare che il ragazzo fosse stato maltrattato.
Perché tutto di lui, e mi duole molto ammetterlo, portava la gente a questa terribile quanto ovvia conclusione.
Eccetto un piccolo ed insignificante particolare: continuava a negare con sorprendente sicurezza di se che quei tagli profondi non erano stati provocati dai suoi genitori. Anzi, si irritava molto anche se solo provavamo a domandarglielo.
“Loro non erano quel tipo di persona, chiaro?” Sibilava guardandoci negli occhi con uno sguardo troppo maturo per la sua età. “Non mi avrebbero mai fatto del male.”
E la domanda a quel punto ci risultava incredibilmente spontanea: “Chi diavolo era l’artefice di tale mostruosità?”
Difficile dare una risposta valida, poiché il ragazzo si rifiutava categoricamente di fornire qualsiasi tipo di informazione riguardante il suo tragico passato.
Se ne stava semplicemente lì, inginocchiato sul quel pavimento gelido in pieno inverno, a risolvere difficilissimi se non impossibili giochi psicologici e puzzle da chissà quanti pezzi completamente bianchi. Le ampie vetrate a fargli da sfondo in quella chiesa gotica, frequentata da nessuno, eccetto che da poche persone veramente credenti.
Gli altri bambini dalla loro parte, di certo non miglioravano la situazione osservandolo in modo curioso e, nella maggior parte dei casi, prendendolo in giro per il suo aspetto “strambo”. Si divertivano no so come a deriderlo per la sua stranezza, legata principalmente al modo di camminare, di sedersi e di mangiare.
Perché
L era strano.
Perché
L era troppo
intelligente per la sua età
Perché
L non aveva
amici.
“Wammy-san, gradirei avere dei giochi più difficili di questi..” Mi sussurrava senza distogliere lo sguardo dal pavimento e ignorando completamente le offese recatogli dietro.
“Non sono alla mia altezza..”
E di fatti mi bastava buttare lo sguardo sul pavimento di marmo per notare con stupore varie montagne di cubi di Rubik risolti, puzzle da mille pezzi completati e altri rompicapo irrisolvibili per qualunque essere umano normale. Aggettivo, con il quale non era proprio corretto definirlo.
Una volta, dopo quella strana richiesta , ricordo che gli domandai per quale motivo non provasse a giocare con gli altri bambini dell’orfanotrofio. Lui mi rispose annoiato voltando leggermente la testa:
“Perché anche loro, Wammy-san, non sono alla mia altezza.”
Spazio
autrice:
Lo so che è corta, ma
sappiate che l’ho già finita tutta e
perciò pubblicherò un capitolo al giorno se ne
avrò il tempo.