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Autore: thegirlwiththebook    28/04/2014    4 recensioni
Tre cappuccini.- ordinò Zayn, osservando attentamente il ragazzo.
-Tre cappuccini al tavolo delle signore, Mark.- urlò Harry, tornando al banco e ignorando le bestemmie del suo datore di lavoro che, non proprio educatamente, gli ordinava di fare poco lo stupido e mettersi al lavoro.
Louis rimase in silenzio, prima che Liam Payne cacciasse un piccolo urlo, attirando l'attenzione di tutti, compre-sa quella di Harry che, velocemente, stava preparando il loro ordine. -Che cosa è appena successo? Esigo sa-perlo, Louis Tomlinson. Adesso.- ordinò, senza vergogna, mentre Zayn ridacchiava e Louis arrossiva.
-Quello è Harry … - bisbigliò il maggiore, mentre Zayn si girava ad osservare il riccio in questione.
-Bella scelta, amico.- lo prese in giro il moro, facendolo arrossire.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hey Girlssss,

odio postare all'inizio dei capitoli perchè buh, ho sempre paura di spifferare e anticipare quel che c'è scritto nel capitolo e buh, perdonatemi ma sarò veloce. Devo finire di studiare, quindi mi scuso immensamente per il ritardo e spero di non deludervi con questo capitolo, davvero D: La storia è tra le preferite e le seguite di un sacco di persone e, davvero, non so come ringraziarvi. Un grazie econorme anche a chi lascia sempre una recensione, anche solo per dirmi quanto siano dolci i personaggi. Lo apprezo tanto, davvero. E nulla, mettetevi comodi perchè son 7 pagine di word. Ah, e fate attenzione, ci sono delle rivelazioni importanti su Louis :) Nel prossimo saremo a gennaio, anche perchè il 31 succederà qualcosa che scoprirete solo nell'ultimo cappitolo OuO e no, non so quanto manca all'ultimo capitolo, sorry. 

Vi abbraccio forte. 

Lots of love. 

Iole xxxx

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-Prendi le candeline, Daisy, per favore.- bisbigliò Jay, facendo attenzione a non far cadere la torta che aveva accuratamente preparato. Erano le 9 del mattino in casa Tomlinson, e mentre il silenzio regnava sovrano e Phoebe stringeva un pacco colorato, Jay sorrideva felice, pregando le bambine di salire le scale il più silenziosamente possibile.

-Phoby, apri la porta, per favore.- chiese la donna, eccitata, mentre la bambina ubbidiva. –Tanti auguri a te, tanti auguri a te!- cantò la donna, subito seguita dalle bambine. –Tanti auguri a Louis, tanti auguri a te!- concluse, alzando il tono della voce, notando solo in quel momento la testa riccia di Harry sbucare fuori dalle coperte. Daisy e Phoebe urlano felici, saltando sul letto e facendo svegliare definitivamente i ragazzi.

-Non ho tredici anni, mamma, richiama le bambine, non devo andare a scuola.- sbuffò Louis, ancora dormiente, afferrando il piumino e trascinandoselo fin sopra la testa.

-E’ il tuo compleanno, Boo!- protestò Daisy, cominciando a saltare sul letto.

-Dobbiamo festeggiare! Sei vecchio ora!- aggiunse Phoebe, cercando di tirar via il piumino.

-Ora vi mordo!- gridò Harry, alzandosi di scatto e afferrando le bambine, facendole poi stendere. Jay sorrise, felice, osservando Louis tener ferme le bambine mentre Harry le mordeva sulla pancia e sui fianchi.

-Bambine cattive!- gridava Louis, solleticando il collo delle sorelle.

-Ma noi volevamo solo la torta!- si lamentò Daisy, ridendo a crepapelle.

-Uh, torta?- chiese Harry, retorico, smettendo di torturare le bambine. –Si meritano mica un po’ di torta, Lou?- aggiunse poi, fissando Louis.

Il maggiore finse di pensarci su. –Se solo avessero abbracciato il loro fratello preferito, nel giorno del suo compleanno poi!- e le gemelle risero, prima di avvolgere le braccia intorno al collo del fratello.

-Bene, bambine, ora tagliamo la torta, poi io e vostro fratello faremo una lunga chiacchierata, vero Louis?- sorrise Johanna, notando le guance di Louis colorarsi appena di rosso. –E spero tu sia vestito, Harry.- aggiunse, fissando il riccio che, sorpreso, non riuscì a trattenere una risata.

-Sono come mamma mi ha fatto, Jay.- sussurrò, quasi a scusarsi. La donna lo guardò, arrossendo appena, prima che Louis scoppiasse a ridere e la rassicurasse.

-Il tuo regalo!- si intromise Phoebe, sorridendo.

-Oh, avevo detto niente regali!- sbuffò Louis. Il ragazzo aveva ventitré anni, capiva i sacrifici che sua madre e il suo patrigno faceva per tirare avanti la famiglia.

Jay alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Era il compleanno di suo figlio, lo stesso che aveva cercato in tutti i modi di tenere unita la loro famiglia e lo stesso che aveva visto crollare sotto i suoi occhi. Era il suo ventitreesimo compleanno e, dannazione, Louis era una persona meravigliosa, un regalo se lo meritava. E allora –Posso sempre portarlo indietro e comprarmi un anello di diamanti.- propose, acida.

-Sì, ma se viene un infarto a tuo marito, io non lo curo.- aggiunse Louis, serio, scatenando le risate di tutti, afferrando quindi il piccolo scatolo che Phoebe gli porgeva.

-Lo hanno scelto le gemelle.- gli sorrise la donna, notando la sorpresa nel suoi occhi.

-E’ davvero stupendo.- bisbigliò Louis, osservando il piccolo ciondolo rotondo.

-Si apre.- lo infornò Daisy, indicandogli la piccola apertura sul lato destro.

-Grazie.- si affrettò a dire Louis, aprendo il ciondolo e notando la loro foto incastrata in uno dei lati del ciondolo. Mancavano Lottie e Fizzy.

-Ora, io e le gemelle torniamo in cucina e tagliamo la torta, così tu e Harry avrete tutto il vostro tempo per fare quello che dovete fare. Se non siete giù entro 5 minuti, chiamo la polizia.- e, detto questo, Jay si avvio verso la porta, seguita dalle gemelle.

-Mia madre è pazza.- bisbigliò Louis, ridendo appena.

-Abbiamo altri 4 minuti e trenta secondi.- lo informò Harry, tirandolo a se.

-Buon per no?- tentò Louis, non capendo dove Harry volesse arrivare.

-Buon Compleanno, Lou.- bisbigliò il riccio, poggiando le labbra su quelle di Louis.

E Louis sentì il cuore accelerare, sorridendo automaticamente. Era il 24 dicembre, non gli importava da quanto aveva conosciuto Harry o quanto avrebbe resistito. Per la seconda volta, però, si ritrovò a pensare che vivere sarebbe stato bello. Pensò che continuare quella vita con Harry sarebbe stato meraviglioso. Pensò che visitare Parigi insieme sarebbe stato stupido, non era per forza quella la città dell’amore, ma Barcellona sarebbe stata perfetta, magari anche in quei mesi, con il campionato ancora in corso. Magari avrebbe visto Messi, avrebbe portato Harry al campo e gli avrebbe insegnato come giocare a calcio o, semplicemente, Harry se ne sarebbe stato seduto sull’erba a fare il tifo per lui. E sarebbero andati in Italia, perché quasi nessuno ci va eppure tutti ne parlano. Avrebbero provato la pizza di Napoli, i tortellini, la cassata siciliana. Avrebbero vissuto. E magari Louis sarebbe diventato un dottore, avrebbe saputo come curare il cuore di Harry, oltre che fasciargli le braccia, avrebbe guadagnato abbastanza per regalarsi un viaggio in qualche stupida isola sperduta nel nulla, si sarebbe beato delle guance rosse di Harry e del suo imbarazzo nel ringraziarlo. Avrebbe fatto tante di quelle cose, se solo avesse potuto. E avrebbe continuato a baciare Harry, se Jay non avesse urlato ‘due minuti, Louis!’ e il riccio non si fosse staccato, scoppiando a ridere.

-Non avrai mai dei nipoti!- la minacciò Louis, stringendo Harry a se.

-Sopravviverò. Niente cose sconce in casa mia!- rispose la donna, e Louis fu sicuro che fosse appoggiata alla porta.

-Doris ed Ernest si sono formati da soli o sei la sostituta della Madonna?- chiese, cercando di restare serio.

Jay restò in silenzio per qualche secondo, tanto che Harry pensò che si fosse arrabbiata. –Questa me la sono meritata, ma tu avrai meno torta.- rise la donna, tornando in cucina.

-Il mio regalo!- sbottò Harry, alzandosi di scatto e cercando di ricordare dove avesse lasciato i suoi pantaloni.

-Dove vai?- chiese Louis, curioso, notando la figura esile di Harry vagare per la stanza.

-Chiudi gli occhi!- lo rimproverò il riccio, prima di tornare a letto. Louis obbedì, poggiando i piccoli palmi gelidi sul viso, in modo da coprire gli occhi. E sussultò, Louis, quando qualcosa di gelido entrò i contatto con la sua pelle. –Ecco fatto.- sorrise Harry, tornando ad abbracciarlo.

-E’ un aeroplanino?- chiese il ragazzo, afferrando il ciondolo tra le dita ed osservandolo bene.

Harry annuì. –Così, comunque vada, voliamo dove ci par. Insieme.- bisbigliò quindi, facendo girare Louis e mostrandogli il suo stesso ciondolo. Assottigliò lo sguardo, avvicinando i due aeroplanini e facendo vedere al maggiore come congiungessero, restando legati, come se sotto uno dei due ci fosse una calamita.

-Vorrei dirti che non dovevi, ma è una cosa dolcissima, e proprio non posso.- e mentre stava per baciarlo, Jay gridò d’avere già composto il numero della polizia.

***

Perché non gli aveva risposto? Erano ventiquattro ore esatte che Louis non gli rispondeva. Non lo sentiva dalla mattina di Natale, quando gli aveva telefonato per dargli gli auguri. Sapeva che sarebbe stato impegnato per via della famiglia ma credeva fosse riuscito a trovare almeno due minuti per rispondergli. Louis, Louis che controlla il cellulare ogni tre secondi, non gli aveva risposto, neanche quando il riccio gli aveva scritto che, o si muoveva a rispondergli, o si sarebbe ficcato nella prima auto a disposizione e sarebbe tornato in città. E quella mattina, dopo ventiquattro ore esatte, Harry aveva preso in prestito l’auto di sua zia ed era partito dalla Scozia alle sei del mattino. Si, insomma, forse non erano proprio le sei del mattino, forse erano le quattro, forse non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma era comunque partito e voleva arrivare da Louis il prima possibile. Insomma, doveva sapere che fine aveva fatto il suo ragazzo! La verità era che Harry aveva seriamente paura che a Louis fosse successo qualcosa e che lui non ci fosse stato quindi, appena intravide la casa del ragazzo, trattenne il respiro. Parcheggiò a qualche metro dalla casa rossa e cominciò a correre a più non posso. Erano le sette e trenta quando Harry bussò alla porta di casa Tomlinson ed erano le sette e trentuno quando Johanna, con gli occhi lucidi e delle occhiaie enormi, aprì e sorrise ad Harry.

-Ciao tesoro, sei qui per Louis?- chiese la donna, cercando di essere gentile. Harry si sentì mancare, chiedendosi se Jay fosse in quelle condizioni per Louis.

-E’ in casa?- chiese, tremando, mentre la donna annuiva. E allora lasciò che, meschinamente, un sospiro di sollievo lasciasse le sue labbra. –Jay, stai bene? State bene?- aggiunse, e quasi tremò al sorriso vuoto di Jay. La donna provò ad annuire ma, prima che Harry se ne rendesse conto, lo abbracciò, scoppiando in un pianto silenzioso. Il ragazzo restò sorpreso, ricambiando subito l’abbraccio, cercando di tranquillizzare la donna. Louis era a casa, ma cosa era successo? Cercò di scacciare i pensieri negativi, continuando a cullare la donna, ripetendo che non c’era da preoccuparsi, che tutto si sarebbe aggiustato. E Jay scuoteva la testa, perché le cose non si sarebbero aggiustate. Ma cosa doveva aggiustarsi, Jay? Parlami, parlami!

-Mi dispiace tanto Harry, scusami, non avrei dovuto.- si scusò la donna, allontanandosi appena ed asciugandosi gli occhi con la manica della felpa che indossava.

-Jay, cosa è successo?- chiese Harry, finalmente, tornando a trattenere il respiro.

-Lottie, ha litigato con Lottie. O meglio, Lottie mi ha praticamente detto di non volerlo salutare perché è malato. Le ho tirato uno schiaffo, Harry. E’ suo fratello, è sempre suo fratello! Mi ha detto di dimenticarmi di lei, mi ha detto di essere una pessima madre perché ho delle preferenze. Io non ho delle preferenze, Harry, io voglio solo che la nostra famiglia non cada a pezzi e Louis, Louis è stato l’unico ad aiutarmi sempre nel mantenerla unita! E’ la mia forza, Harry, e ne ha passate così tante che neanche immagini… ho avuto paura di perderlo tante di quelle volte, Harry, che fa male solo pensarci. E guardalo ora! Guardalo, il mio bambino, Harry! Non so neanche se arriverà al compleanno delle gemelle, all’ultimo dell’anno o anche solo a domani! Mi alzo con il terrore che possa non esserci più. I genitori devono andarsene prima dei figli! I genitori devono dover vegliare sui figli dall’alto, non il contrario! Io… Harry, io non sopporterei di perdere anche lui. E’ la mia vita, è mio figlio, è la mia ancora. E’ l’unico uomo della mia vita, l’unico che mi è stato davvero vicino sin dalla nascita. Mi è stato accanto quando aspettavo le bambine, quando aspettavo i gemelli. C’era sempre, Louis, e io non voglio che vada via.- e Harry l’abbracciò forte, Jay, perché quella donna stava cadendo a pezzi e non c’era nessuno a sostenerla. O meglio, c’era Louis, ma anche Louis stava cadendo a pezzi e si sentiva di dover far qualcosa.

-Jay, ascoltami bene perché non lo ripeterò una seconda volta.- cominciò, autoritario, allontanando la donna e tenendogli le mani ferme sulle spalle. –Louis andrà avanti, Louis si salverà, sarai tu a vegliare su di lui, non il contrario. Non gli succederà nulla, la chemio lo salverà, i medici lo salveranno. Andrà tutto bene, sono stato chiaro?- chiese, retorico, mentre Jay si limitava ad annuire.

-Va’ da lui, ti prego, va’ da lui.- lo implorò, e certo Harry non se lo fece ripetere due volte. Salì di corsa le scale e, senza neanche bussare, entrò in camera di Louis.

-Harry?- bisbigliò il maggiore, stentando a riconoscere la figura del riccio a causa del buio.

-Louis, non sei mica morto, sono le otto del mattino!- si lamentò il riccio, accendendo la luce ed aprendo le tende. –Ecco, ora va meglio. Hai cinque minuti per vestirti. Anzi, ieri era Natale, siamo tutti più buoni: ti do sette minuti. Non un secondo di più.- parlò velocemente, Harry, mentre si lasciava cadere sul letto di Louis.

-Non provarci nemmeno, non mi muovo di qui.- sbuffò il maggiore, sedendosi pigramente e poggiando la schiena al muro freddo.

-Sì che ti alzi! Ti sto invitando ad uscire.-

Louis aggrottò le sopracciglia. –Cosa?- chiese solo, credendo d’aver capito male.

-E’ un appuntamento, Louis, hai sei minuti ora.- sorrise il riccio, facendo spallucce.

-Non mi alzerò da qui Harry, sono di pessimo umore.-

E si alzò, Harry, afferrando il volto di Louis tra le mani e fissandolo negli occhi. –Okay, io so che tua sorella si è comportata davvero malissimo e tu hai tutte le tue ragioni per essere triste, ma mi sono svegliato alle quattro per venire qui, sono partito da Edimburgo e ho preso la macchina di mio zio senza permesso. Potrebbe venirgli un infarto, lo sa solo mia nonna e, guardami Louis! Sto morendo di fame! E non mi importa se tutti i negozi sono chiusi o che altro, possiamo imbucarci in qualche parco e rubare delle arance, ma io devo mangiare. Me lo merito, no?- chiese, retorico, facendo scontrare i loro nasi e sorridere Louis. –E tu non mi lascerai qui a morire di fame perché mi ami, era mezzanotte e tre minuti e tu hai detto d’amarmi.- aggiunse, notando il rossore sulle guance di Louis. –E anche io ti amo, ecco perché non ti lascerò affogare qui, nel tuo letto. Siamo intesi? E ora vestiti, sono rimasti tre minuti.- e Louis lo abbracciò, lo abbracciò e lo tirò giù con se, facendo scontrare il petto di Harry con il suo, respirando a fondo, quasi stesse trattenendo il respiro dal giorno prima. E Harry chiuse gli occhi, felice d’essere stato utile, felice che Louis, ora, sorridesse. Se avesse potuto, ci sarebbe rimasto tutta la vita in quelle braccia, Harry, ma chi era lui per decidere? Una strana malinconia lo avvolse, come il desiderio che Louis restasse suo per sempre. Doveva essere così, Louis doveva restare lì perché, senza Louis, lui non era niente. Che frasi da film, eh? L’innamorato che, senza la sua metà, si sente niente. Ma Harry era davvero così, Harry si sentiva davvero così. Era come se, fino a quel momento, avesse vagato da solo in giro per il mondo. A metà, aveva girato il mondo a metà: mezza faccia, mezzo busto, un solo braccio, una sola gamba, mezzo cuore. Mezzo Harry, ecco tutto. Eppure, ora sembrava completo, come se, mentre vagava per il mondo a metà, un’altra parte, forse anche lei vagante, gli fosse finita addosso, quasi fosse stato ferro e lui calamita. O forse era il contrario, perché quella mattina al parco, mentre Harry non era neanche metà, era solo un corpo vuoto, Louis lo aveva attirato a se. O meglio, aveva attirato il suo cuore, come se al posto degli occhi avesse avuto una calamita, cose se il cuore di Harry, invece che di pietra, fosse stato ferro. E aveva battuto forte quel giorno, il suo cuore, mentre le mani gli formicolavano. E, all’insaputa di Louis, Harry aveva sorriso, Harry era stato felice quando il maggiore era tornato. E si era lasciato curare, cosa che mai nessuno aveva fatto. O meglio, cosa che non aveva mai lasciato fare a nessuno. Ricordava tutte le volte che Gemma, supplichevole, lo pregava di farsi visitare da un dottore, lo pregava di smetterla. Non hai colpe, Harry!, gli diceva, ma Harry non poteva sentirla.

-Harry, grazie.- gli sussurrò Louis, aumentando appena la presa sulle sue spalle. Ed Harry si sentì felice, mentre gli ordinava di muoversi e, con un sorriso tremante, lasciò camera sua, passando a salutare le gemelle.

Ci penso io, amore, ti amo io se loro ora non ti vogliono.

Ti salvo io, amore, perché sei tu che stai salvando me.

Io, ci sono io, Louis.

E Louis lo sapeva.

***

-Hai una caffetteria, Harry, perché siamo in giro da tre ore?- sbuffò Louis, in un modo tanto divertente che Harry non potè evitare di ridere.

-Perché non ho le chiavi. E se stai per chiedermi dei 12 bar che abbiamo superato, non farlo. Non mi piacevano, troppo affollati.- rispose Harry, facendo spallucce.

-Siamo in macchina da un’ora, Harry. E’ tentato rapimento questo, ne sei consapevole?- Harry rise, alzando gli occhi al cielo, mentre Louis gli urlava di far attenzione alla strada. –Ma perché mi sono fatto convincere?- si disse Louis, mentre il semaforo rosso scattava e Harry rallentava.

-Perché mi ami, ed è questo che fanno le persone che si amano.- affermò il riccio, afferrando il mento di Louis ed avvicinandosi per baciarlo. –Quindi adesso sta’ in silenzio, dottore, siamo arrivati.- aggiunse, afferrando la mano di Louis. Parcheggiò l’auto, abbandonando di fretta la vettura per poter aprire la portiera a Louis che, intimidito quanto divertito, ringraziò per il gesto, mostrando un meraviglioso sorriso. Ma Harry sapeva che Louis gli stava nascondendo qualcosa, lo sentiva. L’abbraccio di quella mattina significava più di un semplice ‘grazie’ e non era semplicemente legato al litigio con Lottie. Harry sapeva che c’era qualcosa sotto, il problema era che non sapeva se voleva davvero scoprirlo. Si finse spensierato, almeno quanto Louis, afferrandogli la mano e mostrandogli il parco in cui andava sempre da bambino.

-Qui io e Gemma passavamo giornate intere.- sorrise, rivedendosi quasi bambino, sentendo ancora la sua stessa risata e quella di una piccola Gemma che, divertita, gli urlava di seguirla. Osservò Louis, notando come i suoi occhi azzurri scrutassero con attenzione ogni piccolo dettaglio di quella distesa verde. –Da quando non ci sono più le giostre, nessun bambino viene qua a giocare. E sai cosa? E’ diventato un po’ il mio rifugio, questo posto.-

-Ci vieni spesso?- gli chiese Louis, curioso, intrecciando le sue dita a quelle del riccio, cominciando a camminare sull’erba verde, osservando ammaliato i particolari di quel parco ormai abbandonato.

-Quando sono di cattivo umore o, semplicemente, quando sento il bisogno di dire qualcosa e non ne ho il coraggio.-

-E per quale motivo siamo qui?- azzardò Louis, capendo dove Harry volesse arrivare.

-Perché volevo condividere con questo parco la mia felicità.- sorrise il riccio, stringendo Louis a se. –E perché so che mi nascondi qualcosa.- aggiunse, aumentando la stretta. –E voglio saperlo, Louis.-

-Ti odio, ti odio tantissimo, Harry Styles.- sbuffò il maggiore, mentre Harry si lasciava cadere su una panchina e tirava Louis giù con se. –Devono operarmi.- disse d’un fiato, chiudendo gli occhi e sentendo le braccia di Harry correre a circondargli i fianchi. –E’ per il tumore: ho il tumore di Wilms, prende ai reni.- aggiunse poi, cercando di controllare la voce. –Dicono che bisogna provare così, che magari funziona. Credono si stia formando una macchia nera, mi spiegheranno tutto con calma il mese prossimo. Fisseremo la data e proveremo, dicono che magari ci sono più possibilità. E pensare che erano partiti con un’appendicite.- sorrise, freddo. –Era estate, Harry, era agosto ed ero in spiaggia a giocare. Daisy che si fingeva Piqué e Phoebe che si fingeva Valdès. Stavo tirando, Harry, stavo solo giocando con le mie sorelle, e sono caduto in ginocchio, un dolore fortissimo allo stomaco, poi dolore ovunque. Il giorno dopo mi dissero che era appendicite, ma l’appendicite non fa male così. Non era tanto stupido, Harry, e neanche i medici, solo che le possibilità con cui il tumore di Wilms prende gli adulti è rarissima. Già questo tipo di tumore è raro, inoltre colpisce per il novanta per cento dei casi i bambini. E l’ho beccato io, a ventidue anni.- sospirò, rassegnato. –E mi hanno detto che non era appendicite, mi hanno detto che era un tumore, un tumore rarissimo. E non voglio operarmi, Harry. Le chemio stancano sempre di più e non riesco a tenere più il ritmo ed è solo il secondo mese, Harry, il secondo!-

E tremò, Harry, stringendo Louis, cercando di assorbire tutti il suo dolore. –Non piangere, amore, non farlo. Andrà tutto bene, te lo prometto.- lo rassicurò, poggiando la testa nell’incavo del suo collo.

E Louis singhiozzò, scostandosi brusco, alzandosi e fissandolo. –Non andrà niente bene, Harry. Non è il mondo dei sogni, questo. Qui si muore per i tumori, le tue parole non fanno miracoli, nessuno fa miracoli. Ci crescono con l’idea che c’è un Uomo buono, da qualche parte, che ci salverà. Beh, perché vedo solo gente cadere al suolo? Perché io, Harry? Perché continuate a dire che andrà bene? Non è vero! Tutte invenzioni, come il ‘prega la sera, mi raccomando, che altrimenti Dio non ti ascolta e non ti salva’. Ho passato quanti anni a pregare, Harry? A tre anni ho pregato che papà non andasse via, e lo ha fatto. A quindici anni ho pregato che la mia famiglia non si separasse, e guardaci ora. A diciotto anni ho pregato d’essere felice, non so neanche se fosse una promessa a me stesso o una preghiera al grande Uomo che mamma tanto rispetta, ma in entrambi i casi non ha funzionato, perché sto per morire!- e pianse, Louis, stringendo i pugni e fissando il cielo, il disprezzo e la paura intrappolate nel mezzo del petto.

-Non ho mai pensato che le mie parole facessero miracoli, Lou. Ho pregato un uomo di non toccare mia sorella e lui lo ha fatto comunque, so che le parole non servono ma guardami, ti sembro un credente, io? Guardami, ho la faccia di uno che ha passato la vita a pregare? O ho la faccia di uno che non ha mai creduto in se stesso e nella felicità? Se te lo stessi chiedendo, la risposta è la seconda. Non ho mai pregato, ma mia madre lo ha fatto tutte le sere, anche quando finivo in ospedale. Ma sai cosa? Ad agosto mi sono comprato un tortino e una candela. L’ho chiamato ‘giorno della felicità’ mentre, con le braccia a pezzi, accendevo la candela per poi soffiare piano, spegnendola. Non so cosa mi fosse preso, ma ho sognato la felicità, ho desiderato essere felice. E sai cosa? Non so se sia stato questo Dio, il destino o una grandissima botta di culo, ma ti ho incontrato, Lou, e sei davvero la felicità che non ho mai avuto.- ed abbassò la testa, Louis, sentendosi in colpa per aver alzato la testa, sentendo gli occhi bruciare e le lacrime ricominciare a scendere per le parole di Harry. Perché, ancora una volta, si rese conto che mai nessuno gli aveva parlato in quel modo, mai nessuno lo aveva definito felicità. E si ricordò, stupito, che a tre anni non aveva pregato per far restare suo padre, aveva pregato per essere felice. E con quasi vent’anni di ritardo, Dio lo aveva ascolta. O, semplicemente, era Louis che se l’era meritata, quella felicità.

-Parlami, Lou.- lo implorò Harry, mentre Louis scuoteva la testa. Tempo un attimo e il viso di Harry fu schiacciato contro il tessuto del giubbotto del maggiore. Le braccia del riccio a stringergli i fianchi, gli occhi di Louis a perdere lacrime.

Amore distrutto, ecco tutto.

Amore senza speranza e senza un domani, ma pur sempre amore.

Amore di chi, tra le macerie, ha trovato la felicità.

Amore di chi non se la sente di mollare, ma non ha il coraggio di urlarlo.

Amore di chi, tra le bugie, diceva la verità.

Amore di chi, inconsciamente, sarebbe stato felice.

 

  
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