Hey Girlssss,
odio postare all'inizio dei capitoli perchè buh, ho sempre paura di spifferare e anticipare quel che c'è scritto nel capitolo e buh, perdonatemi ma sarò veloce. Devo finire di studiare, quindi mi scuso immensamente per il ritardo e spero di non deludervi con questo capitolo, davvero D: La storia è tra le preferite e le seguite di un sacco di persone e, davvero, non so come ringraziarvi. Un grazie econorme anche a chi lascia sempre una recensione, anche solo per dirmi quanto siano dolci i personaggi. Lo apprezo tanto, davvero. E nulla, mettetevi comodi perchè son 7 pagine di word. Ah, e fate attenzione, ci sono delle rivelazioni importanti su Louis :) Nel prossimo saremo a gennaio, anche perchè il 31 succederà qualcosa che scoprirete solo nell'ultimo cappitolo OuO e no, non so quanto manca all'ultimo capitolo, sorry.
Vi abbraccio forte.
Lots of love.
Iole xxxx
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-Prendi le
candeline, Daisy, per favore.- bisbigliò Jay,
facendo attenzione a non far cadere la torta che aveva accuratamente
preparato.
Erano le 9 del mattino in casa Tomlinson, e mentre il silenzio regnava
sovrano
e Phoebe stringeva un pacco colorato, Jay sorrideva felice, pregando le
bambine
di salire le scale il più silenziosamente possibile.
-Phoby,
apri la porta, per favore.- chiese la donna,
eccitata, mentre la bambina ubbidiva. –Tanti auguri a te,
tanti auguri a te!-
cantò la donna, subito seguita dalle bambine.
–Tanti auguri a Louis, tanti
auguri a te!- concluse, alzando il tono della voce, notando solo in
quel
momento la testa riccia di Harry sbucare fuori dalle coperte. Daisy e
Phoebe
urlano felici, saltando sul letto e facendo svegliare definitivamente i
ragazzi.
-Non
ho tredici anni, mamma, richiama le bambine, non devo
andare a scuola.- sbuffò Louis, ancora dormiente, afferrando
il piumino e
trascinandoselo fin sopra la testa.
-E’
il tuo compleanno, Boo!- protestò Daisy, cominciando a
saltare sul letto.
-Dobbiamo
festeggiare! Sei vecchio ora!- aggiunse Phoebe,
cercando di tirar via il piumino.
-Ora
vi mordo!- gridò Harry, alzandosi di scatto e afferrando
le bambine, facendole poi stendere. Jay sorrise, felice, osservando
Louis tener
ferme le bambine mentre Harry le mordeva sulla pancia e sui fianchi.
-Bambine
cattive!- gridava Louis, solleticando il collo delle
sorelle.
-Ma
noi volevamo solo la torta!- si lamentò Daisy, ridendo a
crepapelle.
-Uh,
torta?- chiese Harry, retorico, smettendo di torturare
le bambine. –Si meritano mica un po’ di torta,
Lou?- aggiunse poi, fissando
Louis.
Il
maggiore finse di pensarci su. –Se solo avessero
abbracciato il loro fratello preferito, nel giorno del suo compleanno
poi!- e
le gemelle risero, prima di avvolgere le braccia intorno al collo del
fratello.
-Bene,
bambine, ora tagliamo la torta, poi io e vostro
fratello faremo una lunga chiacchierata, vero Louis?- sorrise Johanna,
notando
le guance di Louis colorarsi appena di rosso. –E spero tu sia
vestito, Harry.-
aggiunse, fissando il riccio che, sorpreso, non riuscì a
trattenere una risata.
-Sono
come mamma mi ha fatto, Jay.- sussurrò, quasi a
scusarsi. La donna lo guardò, arrossendo appena, prima che
Louis scoppiasse a
ridere e la rassicurasse.
-Il
tuo regalo!- si intromise Phoebe, sorridendo.
-Oh,
avevo detto niente regali!- sbuffò Louis. Il ragazzo
aveva ventitré anni, capiva i sacrifici che sua madre e il
suo patrigno faceva
per tirare avanti la famiglia.
Jay
alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Era il compleanno di
suo figlio, lo stesso che aveva cercato in tutti i modi di tenere unita
la loro
famiglia e lo stesso che aveva visto crollare sotto i suoi occhi. Era
il suo
ventitreesimo compleanno e, dannazione, Louis era una persona
meravigliosa, un
regalo se lo meritava. E allora –Posso sempre portarlo
indietro e comprarmi un
anello di diamanti.- propose, acida.
-Sì,
ma se viene un infarto a tuo marito, io non lo curo.-
aggiunse Louis, serio, scatenando le risate di tutti, afferrando quindi
il
piccolo scatolo che Phoebe gli porgeva.
-Lo
hanno scelto le gemelle.- gli sorrise la donna, notando
la sorpresa nel suoi occhi.
-E’
davvero stupendo.- bisbigliò Louis, osservando il piccolo
ciondolo rotondo.
-Si
apre.- lo infornò Daisy, indicandogli la piccola apertura
sul lato destro.
-Grazie.-
si affrettò a dire Louis, aprendo il ciondolo e
notando la loro foto incastrata in uno dei lati del ciondolo. Mancavano Lottie e Fizzy.
-Ora,
io e le gemelle torniamo in cucina e tagliamo la torta,
così tu e Harry avrete tutto il vostro tempo per fare quello
che dovete fare.
Se non siete giù entro 5 minuti, chiamo la polizia.- e,
detto questo, Jay si
avvio verso la porta, seguita dalle gemelle.
-Mia
madre è pazza.- bisbigliò Louis, ridendo appena.
-Abbiamo
altri 4 minuti e trenta secondi.- lo informò Harry,
tirandolo a se.
-Buon
per no?- tentò Louis, non capendo dove Harry volesse
arrivare.
-Buon
Compleanno, Lou.- bisbigliò il riccio, poggiando le
labbra su quelle di Louis.
E
Louis sentì il cuore accelerare, sorridendo
automaticamente. Era il 24 dicembre, non gli importava da quanto aveva
conosciuto Harry o quanto avrebbe resistito. Per la seconda volta,
però, si
ritrovò a pensare che vivere sarebbe stato bello.
Pensò che continuare quella
vita con Harry sarebbe stato meraviglioso. Pensò che
visitare Parigi insieme
sarebbe stato stupido, non era per forza quella la città
dell’amore, ma Barcellona sarebbe stata perfetta,
magari
anche in quei mesi, con il campionato ancora in corso. Magari avrebbe
visto
Messi, avrebbe portato Harry al campo e gli avrebbe insegnato come
giocare a
calcio o, semplicemente, Harry se ne sarebbe stato seduto
sull’erba a fare il
tifo per lui. E sarebbero andati in Italia, perché quasi
nessuno ci va eppure
tutti ne parlano. Avrebbero provato la pizza di Napoli, i tortellini,
la
cassata siciliana. Avrebbero vissuto. E magari Louis sarebbe diventato
un dottore,
avrebbe saputo come curare il cuore di Harry, oltre che fasciargli le
braccia,
avrebbe guadagnato abbastanza per regalarsi un viaggio in qualche
stupida isola
sperduta nel nulla, si sarebbe beato delle guance rosse di Harry e del
suo
imbarazzo nel ringraziarlo. Avrebbe fatto tante di quelle cose, se solo
avesse
potuto. E avrebbe continuato a baciare Harry, se Jay non avesse urlato
‘due
minuti, Louis!’ e il riccio non si fosse staccato, scoppiando
a ridere.
-Non
avrai mai dei nipoti!- la minacciò Louis, stringendo
Harry a se.
-Sopravviverò. Niente
cose sconce in casa mia!- rispose la donna, e Louis fu sicuro che fosse
appoggiata
alla porta.
-Doris
ed Ernest si sono formati da soli o sei la sostituta
della Madonna?- chiese, cercando di restare serio.
Jay
restò in silenzio per qualche secondo, tanto che Harry
pensò che si fosse arrabbiata. –Questa me la sono
meritata, ma tu avrai meno
torta.- rise la donna, tornando in cucina.
-Il
mio regalo!- sbottò Harry, alzandosi di scatto e cercando
di ricordare dove avesse lasciato i suoi pantaloni.
-Dove
vai?- chiese Louis, curioso, notando la figura esile di
Harry vagare per la stanza.
-Chiudi
gli occhi!- lo rimproverò il riccio, prima di tornare
a letto. Louis obbedì, poggiando i piccoli palmi gelidi sul
viso, in modo da
coprire gli occhi. E sussultò, Louis, quando qualcosa di
gelido entrò i
contatto con la sua pelle. –Ecco fatto.- sorrise Harry,
tornando ad
abbracciarlo.
-E’
un aeroplanino?- chiese il ragazzo, afferrando il
ciondolo tra le dita ed osservandolo bene.
Harry
annuì. –Così,
comunque vada, voliamo dove ci par. Insieme.-
bisbigliò quindi, facendo
girare Louis e mostrandogli il suo stesso ciondolo.
Assottigliò lo sguardo,
avvicinando i due aeroplanini e facendo vedere al maggiore come
congiungessero,
restando legati, come se sotto uno dei due ci fosse una calamita.
-Vorrei
dirti che non dovevi, ma è una cosa dolcissima, e
proprio non posso.- e mentre stava per baciarlo, Jay gridò
d’avere già composto
il numero della polizia.
***
Perché
non gli aveva risposto? Erano ventiquattro ore esatte
che Louis non gli rispondeva. Non lo sentiva dalla mattina di Natale,
quando
gli aveva telefonato per dargli gli auguri. Sapeva che sarebbe stato
impegnato
per via della famiglia ma credeva fosse riuscito a trovare almeno due
minuti
per rispondergli. Louis, Louis che controlla il cellulare ogni tre
secondi, non
gli aveva risposto, neanche quando il riccio gli aveva scritto che, o
si
muoveva a rispondergli, o si sarebbe ficcato nella prima auto a
disposizione e
sarebbe tornato in città. E quella mattina, dopo
ventiquattro ore esatte, Harry
aveva preso in prestito l’auto di sua zia ed era partito
dalla Scozia alle sei
del mattino. Si, insomma, forse non erano proprio le sei del mattino,
forse
erano le quattro, forse non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma era
comunque
partito e voleva arrivare da Louis il prima possibile. Insomma, doveva
sapere
che fine aveva fatto il suo ragazzo! La verità era che Harry
aveva seriamente
paura che a Louis fosse successo qualcosa e che lui non ci fosse stato
quindi,
appena intravide la casa del ragazzo, trattenne il respiro.
Parcheggiò a
qualche metro dalla casa rossa e cominciò a correre a
più non posso. Erano le
sette e trenta quando Harry bussò alla porta di casa
Tomlinson ed erano le
sette e trentuno quando Johanna, con gli occhi lucidi e delle occhiaie
enormi, aprì
e sorrise ad Harry.
-Ciao
tesoro, sei qui per Louis?- chiese la donna, cercando
di essere gentile. Harry si sentì mancare, chiedendosi se
Jay fosse in quelle
condizioni per Louis.
-E’
in casa?- chiese, tremando, mentre la donna annuiva. E
allora lasciò che, meschinamente, un sospiro di sollievo
lasciasse le sue
labbra. –Jay, stai bene? State bene?-
aggiunse, e quasi tremò al sorriso vuoto di Jay. La donna
provò ad annuire ma,
prima che Harry se ne rendesse conto, lo abbracciò,
scoppiando in un pianto
silenzioso. Il ragazzo restò sorpreso, ricambiando subito
l’abbraccio, cercando
di tranquillizzare la donna. Louis era a casa, ma cosa era successo?
Cercò di
scacciare i pensieri negativi, continuando a cullare la donna,
ripetendo che non
c’era da preoccuparsi, che tutto si sarebbe aggiustato. E Jay
scuoteva la
testa, perché le cose non si sarebbero aggiustate. Ma cosa doveva aggiustarsi, Jay? Parlami, parlami!
-Mi
dispiace tanto Harry, scusami, non avrei dovuto.- si
scusò la donna, allontanandosi appena ed asciugandosi gli
occhi con la manica
della felpa che indossava.
-Jay,
cosa è successo?- chiese Harry, finalmente, tornando a
trattenere il respiro.
-Lottie,
ha litigato con Lottie. O meglio, Lottie mi ha
praticamente detto di non volerlo salutare perché
è malato. Le ho tirato
uno schiaffo, Harry. E’ suo fratello, è sempre
suo fratello! Mi ha detto di dimenticarmi di lei, mi ha detto di essere
una
pessima madre perché ho delle preferenze.
Io non ho delle preferenze, Harry, io voglio solo che la
nostra famiglia
non cada a pezzi e Louis, Louis è stato l’unico ad
aiutarmi sempre nel
mantenerla unita! E’ la mia forza, Harry, e ne ha passate
così tante che
neanche immagini… ho avuto paura di perderlo tante di quelle
volte, Harry, che
fa male solo pensarci. E guardalo ora! Guardalo, il mio bambino, Harry!
Non so
neanche se arriverà al compleanno delle gemelle,
all’ultimo dell’anno o anche
solo a domani! Mi alzo con il terrore che possa non esserci
più. I genitori
devono andarsene prima dei figli! I genitori devono dover vegliare sui
figli
dall’alto, non il contrario! Io… Harry, io non
sopporterei di perdere anche lui.
E’ la mia vita, è mio figlio,
è la mia ancora. E’
l’unico uomo della
mia vita, l’unico che mi è stato davvero
vicino sin dalla nascita. Mi è
stato accanto quando aspettavo le bambine, quando aspettavo i gemelli.
C’era
sempre, Louis, e io non voglio che vada via.- e Harry
l’abbracciò forte, Jay,
perché quella donna stava cadendo a pezzi e non
c’era nessuno a sostenerla. O
meglio, c’era Louis, ma anche Louis stava cadendo a pezzi e
si sentiva di dover
far qualcosa.
-Jay,
ascoltami bene perché non lo ripeterò una seconda
volta.- cominciò, autoritario, allontanando la donna e
tenendogli le mani ferme
sulle spalle. –Louis andrà avanti, Louis si
salverà, sarai tu a vegliare su di
lui, non il contrario. Non gli succederà nulla, la chemio lo
salverà, i medici
lo salveranno. Andrà tutto bene, sono stato chiaro?- chiese,
retorico, mentre
Jay si limitava ad annuire.
-Va’
da lui, ti prego, va’ da lui.- lo implorò, e certo
Harry
non se lo fece ripetere due volte. Salì di corsa le scale e,
senza neanche
bussare, entrò in camera di Louis.
-Harry?-
bisbigliò il maggiore, stentando a riconoscere la
figura del riccio a causa del buio.
-Louis,
non sei mica morto, sono le otto del mattino!- si
lamentò il riccio, accendendo la luce ed aprendo le tende.
–Ecco, ora va
meglio. Hai cinque minuti per vestirti. Anzi, ieri era Natale, siamo
tutti più
buoni: ti do sette minuti. Non un secondo di più.-
parlò velocemente, Harry,
mentre si lasciava cadere sul letto di Louis.
-Non
provarci nemmeno, non mi muovo di qui.- sbuffò il
maggiore, sedendosi pigramente e poggiando la schiena al muro freddo.
-Sì
che ti alzi! Ti sto invitando ad uscire.-
Louis
aggrottò le sopracciglia. –Cosa?- chiese solo,
credendo
d’aver capito male.
-E’
un appuntamento, Louis, hai sei minuti ora.- sorrise il
riccio, facendo spallucce.
-Non
mi alzerò da qui Harry, sono di pessimo umore.-
E
si alzò, Harry, afferrando il volto di Louis tra le mani e
fissandolo negli occhi. –Okay, io so che tua sorella si
è comportata davvero
malissimo e tu hai tutte le tue ragioni per essere triste, ma mi sono
svegliato
alle quattro per venire qui, sono partito da Edimburgo e ho preso la
macchina
di mio zio senza permesso. Potrebbe venirgli un infarto, lo sa solo mia
nonna
e, guardami Louis! Sto morendo di fame! E non mi importa se tutti i
negozi sono
chiusi o che altro, possiamo imbucarci in qualche parco e rubare delle
arance,
ma io devo mangiare. Me lo merito, no?- chiese, retorico, facendo
scontrare i
loro nasi e sorridere Louis. –E tu non mi lascerai qui a
morire di fame perché mi ami,
era mezzanotte e tre minuti e tu
hai detto d’amarmi.- aggiunse, notando il rossore sulle
guance di Louis. –E
anche io ti amo, ecco perché non ti lascerò
affogare qui, nel tuo letto. Siamo
intesi? E ora vestiti, sono rimasti tre minuti.- e Louis lo
abbracciò, lo
abbracciò e lo tirò giù con se,
facendo scontrare il petto di Harry con il suo,
respirando a fondo, quasi stesse trattenendo il respiro dal giorno
prima. E
Harry chiuse gli occhi, felice d’essere stato utile, felice
che Louis, ora,
sorridesse. Se avesse potuto, ci sarebbe rimasto tutta la vita in
quelle
braccia, Harry, ma chi era lui per decidere? Una strana malinconia lo
avvolse,
come il desiderio che Louis restasse suo per sempre. Doveva essere
così, Louis
doveva restare lì perché, senza Louis, lui non
era niente. Che frasi da film,
eh? L’innamorato che, senza la sua metà, si sente
niente. Ma Harry era davvero
così, Harry si sentiva davvero così. Era come se,
fino a quel momento, avesse
vagato da solo in giro per il mondo. A metà, aveva girato il
mondo a metà:
mezza faccia, mezzo busto, un solo braccio, una sola gamba, mezzo
cuore. Mezzo
Harry, ecco tutto. Eppure, ora sembrava completo, come se, mentre
vagava per il
mondo a metà, un’altra parte, forse anche lei
vagante, gli fosse finita
addosso, quasi fosse stato ferro e lui calamita. O forse era il
contrario,
perché quella mattina al parco, mentre Harry non era neanche
metà, era solo un
corpo vuoto, Louis lo aveva attirato a se. O meglio, aveva attirato il
suo
cuore, come se al posto degli occhi avesse avuto una calamita, cose se
il cuore
di Harry, invece che di pietra, fosse stato ferro. E aveva battuto
forte quel
giorno, il suo cuore, mentre le mani gli formicolavano. E,
all’insaputa di
Louis, Harry aveva sorriso, Harry era stato felice quando il maggiore
era
tornato. E si era lasciato curare, cosa che mai nessuno aveva fatto. O
meglio,
cosa che non aveva mai lasciato fare a nessuno. Ricordava tutte le
volte che
Gemma, supplichevole, lo pregava di farsi visitare da un dottore, lo
pregava di
smetterla. Non hai colpe, Harry!,
gli
diceva, ma Harry non poteva sentirla.
-Harry,
grazie.- gli sussurrò Louis, aumentando appena la
presa sulle sue spalle. Ed Harry si sentì felice, mentre gli
ordinava di
muoversi e, con un sorriso tremante, lasciò camera sua,
passando a salutare le
gemelle.
Ci
penso io, amore, ti
amo io se loro ora non ti vogliono.
Ti
salvo io, amore,
perché sei tu che stai salvando me.
Io,
ci sono io, Louis.
E
Louis lo sapeva.
***
-Hai
una caffetteria, Harry, perché siamo in giro da tre
ore?- sbuffò Louis, in un modo tanto divertente che Harry
non potè evitare di
ridere.
-Perché
non ho le chiavi. E se stai per chiedermi dei 12 bar
che abbiamo superato, non farlo. Non mi piacevano, troppo affollati.-
rispose
Harry, facendo spallucce.
-Siamo
in macchina da un’ora, Harry. E’ tentato rapimento
questo, ne sei consapevole?- Harry rise, alzando gli occhi al cielo,
mentre
Louis gli urlava di far attenzione alla strada. –Ma
perché mi sono fatto
convincere?- si disse Louis, mentre il semaforo rosso scattava e Harry
rallentava.
-Perché
mi ami, ed è questo che fanno le persone che si
amano.- affermò il riccio, afferrando il mento di Louis ed
avvicinandosi per
baciarlo. –Quindi adesso sta’ in silenzio, dottore,
siamo arrivati.- aggiunse, afferrando la mano di Louis.
Parcheggiò l’auto, abbandonando
di fretta la vettura per poter aprire la portiera a Louis che,
intimidito
quanto divertito, ringraziò per il gesto, mostrando un
meraviglioso sorriso. Ma
Harry sapeva che Louis gli stava nascondendo qualcosa, lo sentiva. L’abbraccio di quella
mattina significava più di un
semplice ‘grazie’ e non era semplicemente legato al
litigio con Lottie. Harry
sapeva che c’era qualcosa sotto, il problema era che non
sapeva se voleva davvero scoprirlo.
Si finse spensierato,
almeno quanto Louis, afferrandogli la mano e mostrandogli il parco in
cui
andava sempre da bambino.
-Qui
io e Gemma passavamo giornate intere.- sorrise,
rivedendosi quasi bambino, sentendo ancora la sua stessa risata e
quella di una
piccola Gemma che, divertita, gli urlava di seguirla.
Osservò Louis, notando
come i suoi occhi azzurri scrutassero con attenzione ogni piccolo
dettaglio di
quella distesa verde. –Da quando non ci sono più
le giostre, nessun bambino
viene qua a giocare. E sai cosa? E’ diventato un
po’ il mio rifugio, questo
posto.-
-Ci
vieni spesso?- gli chiese Louis, curioso, intrecciando le
sue dita a quelle del riccio, cominciando a camminare
sull’erba verde,
osservando ammaliato i particolari di quel parco ormai abbandonato.
-Quando
sono di cattivo umore o, semplicemente, quando
sento il bisogno di dire qualcosa e
non ne ho il coraggio.-
-E
per quale motivo siamo qui?- azzardò Louis, capendo dove
Harry volesse
arrivare.
-Perché
volevo condividere con questo parco la mia felicità.-
sorrise il riccio, stringendo Louis a se. –E
perché so che mi nascondi
qualcosa.- aggiunse, aumentando la stretta. –E voglio
saperlo, Louis.-
-Ti
odio, ti odio tantissimo, Harry Styles.- sbuffò il
maggiore, mentre Harry si lasciava cadere su una panchina e tirava
Louis giù
con se. –Devono operarmi.- disse d’un fiato,
chiudendo gli occhi e sentendo le
braccia di Harry correre a circondargli i fianchi.
–E’ per il tumore: ho il
tumore di Wilms, prende ai reni.- aggiunse poi, cercando di controllare
la
voce. –Dicono che bisogna provare così, che magari
funziona. Credono si stia
formando una macchia nera, mi spiegheranno tutto con calma il mese
prossimo.
Fisseremo la data e proveremo, dicono che magari ci sono più
possibilità. E
pensare che erano partiti con un’appendicite.- sorrise,
freddo. –Era estate,
Harry, era agosto ed ero in spiaggia a giocare. Daisy che si fingeva
Piqué e
Phoebe che si fingeva Valdès. Stavo tirando, Harry, stavo
solo giocando con le
mie sorelle, e sono caduto in ginocchio, un dolore fortissimo allo
stomaco, poi
dolore ovunque. Il giorno dopo mi dissero che era appendicite, ma
l’appendicite
non fa male così. Non era tanto stupido, Harry, e neanche i
medici, solo che le
possibilità con cui il tumore di Wilms prende gli adulti
è rarissima. Già
questo tipo di tumore è raro, inoltre colpisce per il
novanta per cento dei
casi i bambini. E l’ho beccato io, a ventidue anni.-
sospirò, rassegnato. –E mi
hanno detto che non era appendicite, mi hanno detto che era un tumore,
un
tumore rarissimo. E non voglio operarmi, Harry. Le chemio stancano
sempre di
più e non riesco a tenere più il ritmo ed
è solo
il secondo
mese, Harry, il secondo!-
E
tremò, Harry, stringendo Louis, cercando di assorbire tutti
il suo dolore. –Non piangere, amore,
non farlo. Andrà tutto bene, te lo prometto.- lo
rassicurò, poggiando la testa
nell’incavo del suo collo.
E
Louis singhiozzò, scostandosi brusco, alzandosi e
fissandolo. –Non andrà niente bene, Harry. Non
è il mondo dei sogni, questo.
Qui si muore per i tumori, le tue parole non fanno miracoli, nessuno fa
miracoli.
Ci crescono con l’idea che c’è un Uomo
buono, da qualche parte, che ci salverà.
Beh, perché vedo solo gente cadere al suolo?
Perché io, Harry? Perché
continuate a dire che andrà bene? Non è vero!
Tutte invenzioni, come il ‘prega
la sera, mi raccomando, che altrimenti Dio non ti ascolta e non ti
salva’. Ho
passato quanti anni a pregare, Harry? A tre anni ho pregato che
papà non
andasse via, e lo ha fatto. A quindici anni ho pregato che la mia
famiglia non
si separasse, e guardaci ora. A diciotto anni ho pregato
d’essere felice, non
so neanche se fosse una promessa a me stesso o una preghiera al grande
Uomo che
mamma tanto rispetta, ma in entrambi i casi non ha funzionato,
perché sto per
morire!- e pianse, Louis, stringendo i pugni e fissando il cielo, il
disprezzo
e la paura intrappolate nel mezzo del petto.
-Non
ho mai pensato che le mie parole facessero miracoli,
Lou. Ho pregato un uomo di non toccare mia sorella e lui lo ha fatto
comunque,
so che le parole non servono ma guardami, ti sembro un credente, io?
Guardami,
ho la faccia di uno che ha passato la vita a pregare? O ho la faccia di
uno che
non ha mai creduto in se stesso e nella felicità? Se te lo
stessi chiedendo, la
risposta è la seconda. Non ho mai pregato, ma mia madre lo
ha fatto tutte le
sere, anche quando finivo in ospedale. Ma sai cosa? Ad agosto mi sono
comprato
un tortino e una candela. L’ho chiamato ‘giorno
della felicità’ mentre, con le
braccia a pezzi, accendevo la candela per poi soffiare piano,
spegnendola. Non
so cosa mi fosse preso, ma ho sognato la felicità, ho
desiderato essere felice.
E sai cosa? Non so se sia stato questo Dio, il destino o
una grandissima botta di culo, ma ti ho incontrato, Lou, e
sei
davvero la felicità che non ho mai avuto.- ed
abbassò la testa, Louis,
sentendosi in colpa per aver alzato la testa, sentendo gli occhi
bruciare e le
lacrime ricominciare a scendere per le parole di Harry.
Perché, ancora una
volta, si rese conto che mai nessuno gli aveva parlato in quel modo,
mai
nessuno lo aveva definito felicità.
E
si ricordò, stupito, che a tre anni non aveva pregato per
far restare suo
padre, aveva pregato per essere felice. E con quasi vent’anni
di ritardo, Dio
lo aveva ascolta. O, semplicemente, era Louis che se l’era
meritata, quella felicità.
-Parlami,
Lou.- lo implorò Harry, mentre Louis scuoteva la
testa. Tempo un attimo e il viso di Harry fu schiacciato contro il
tessuto del
giubbotto del maggiore. Le braccia del riccio a stringergli i fianchi,
gli occhi
di Louis a perdere lacrime.
Amore
distrutto, ecco tutto.
Amore
senza speranza e senza un domani, ma pur sempre amore.
Amore
di chi, tra le macerie, ha trovato la felicità.
Amore
di chi non se la sente di mollare, ma non ha il
coraggio di urlarlo.
Amore
di chi, tra le bugie, diceva la verità.
Amore
di chi,
inconsciamente, sarebbe stato felice.