11.
TOUR
Tom
bussò alla porta di
Jennifer e l’aprì, senza aspettare il suo
consenso. Nella stanza, la luce era
soffusa, proveniente dalla lampada sul comodino e lei teneva in mano un
libro,
inforcava gli occhiali e una coperta di lana sopra le gambe, altrimenti
nude.
Si
girò a guardarlo e gli
sorrise, mentre lui chiudeva la porta. Lo osservò mentre si
avvicinava, poi si
sistemò meglio sul letto e chiuse il libro. Tom si sedette e
le sorrise a sua
volta, togliendole gli occhiali. Lei chiuse gli occhi alle sue nocche
che le
sfioravano la pelle, poi li riaprì e lo fissò
mentre li poggiava sul comodino.
In
mano teneva una piccola
scatolina d’oro, con un nastro del medesimo colore a
chiuderla.
-Sei
bella anche con gli
occhiali, ma senza almeno non mi fai pensare a qualche professoressa
sexy che
non ho mai avuto.- scherzò, facendola ridere. La sua risata
era delicata e
cristallina, i suoi denti bianchi erano leggermente coperti dalle
labbra per
quanto erano carnose. La osservò mentre buttava indietro la
testa e poi si
rimetteva dritta, emettendo quel dolce suono e se ne riempì
i ricordi. Rise
anche lui, contagiato, e osservò la stanza che David aveva
fatto sistemare a
posta per lei, convenendo sul fatto che fosse perfetta per il suo
carattere.
Inoltre, da quando lei l’abitava, tutto aveva preso il suo
dolce profumo al
mirtillo, che lo costringeva a inspirare forte ogni volta che varcava
quella
soglia.
-Che
hai lì?- gli chiese lei,
ancora sorridente, indicando il pacchettino. Lui le sorrise furbo,
rigirandoselo
tra le mani, poi alzò e riabbassò due volte le
sopracciglia, meritandosi uno
schiaffo sul braccio.
-Brutto
pervertito!- lo
canzonò, facendolo ridere.**
-Aprilo,
su!- la spronò,
porgendole il pacchetto. Jen lo prese e lo scosse leggermente,
facendogli emettere
un rumore sordo, poi se lo poggiò sulle gambe e
iniziò lentamente a tirare il
nastro.
-Dài!-
la rimproverò. –Non
abbiamo tutta la notte!- Allora Jennifer sciolse in fretta il fiocco e
tolse il
coperchio alla scatola. Aprì i due veli di carta velina
bianca e poi sgranò gli
occhi e spalancò la bocca, coprendosela subito dopo con la
mano.
Emise
un gridolino, poi si
poggiò la mano sul petto, facendo ridere Tom.
-Non
ci voglio credere!- urlò,
guardandolo. Lui rideva e non accennava a smettere, come sempre quando
Jennifer
si dimostrava meno robotica del solito, come una ragazza con dei
sentimenti.
Mise
da parte la scatolina e
gettò le braccia al collo di Tom, buttandosi nel suo petto.
Lui la accolse
volentieri e la abbracciò con un solo braccio, riuscendo a
circondarle tutto il
torace.
-Grazie,
grazie, grazie!- gli
strillò nell’orecchio, poi si ritirò.
Riprese la scatolina e tirò fuori la
chiave che conteneva. Se la fece oscillare per qualche secondo davanti
agli
occhi, contemplando i quattro cerchietti che splendevano sul
portachiavi.
-Non
è un’R8, ma…- disse Tom,
facendo spallucce. Jen gli sorrise, con un sorriso che Tom aveva visto
solo
quando Roscoe e Bonnie erano arrivati lì. Forse quello per i
cani era stato
leggermente più grande.
-Comunque
devi ringraziare i
ragazzi, non ho fatto tutto da solo. È un regalo da parte
dei Tokio Hotel.-
precisò, evitando di beccarsi poi tante di quelle botte da
Bill da rimanere
stupido.
-Ragazzi,
siete gli amici
migliori che una ragazza possa avere!- disse e Tom lo
apprezzò, perché sapeva
che Jennifer quando parlava di sentimenti come amore e amicizia era
perché le
cose che diceva le pensava davvero e ne fu orgoglioso.
-È
giù, nel caso tu voglia
vederla.- la informò, indicando la porta con il pollice.
Subito, Jen scattò in
piedi e corse velocemente verso le scale. Si fermò in
salotto, dove i ragazzi
erano seduti sui divani a vedere la televisione e li
abbracciò uno ad uno,
baciandoli su entrambe le guance, più volte. Per loro
piacere, si era
dimenticata di indossare solo una maglietta e un paio di brasiliane. O
forse,
solo per il piacere di Tom, dato che gli altri si erano quasi abituati
ad avere
una modella super pagata e bellissima che gira mezza nuda per casa loro.
Quando
Jennifer spalancò il
portone vide un’Audi A1, bianca con le rifiniture rosse e
lucidissima che le
sorrideva. Tirò un urlo e corse verso la portiera del
conducente, aprendola e
infilandocisi dentro. I ragazzi, che l’avevano seguita fuori,
le sorridevano,
mentre lei metteva in moto la sua nuova macchina.
-È
una favola dentro quella
macchina.- sentenziò Gustav, poggiandosi allo stipite con
una spalla. Georg lo
guardò e sorrise.
-Se
è per questo, è una favola
anche senza quella macchina.- disse. Bill lo guardò
accigliato, poi guardò Tom
che si era chinato su di lei per spiegarle tutte le
funzionalità che quell’auto
possedeva.
-Non
dire certe cose di Jen.-
disse Bill. Georg lo guardò aggrottando le sopracciglia.
-Che
ho detto? Le ho fatto un
complimento.- si giustificò.
-Sarà
meglio per te!- rispose
il cantante. –Altrimenti ti spezzo le gambe, se solo provi a
pensare a lei a
quel modo.- Georg tirò indietro la testa, sentendosi punto
sul vivo.
-Ma
io non penso a lei a quel
modo!-
-Sei
geloso, Bill?- gli chiese
Gustav, al ché Bill incrociò le braccia al petto
e sospirò.
-No,
non sono geloso. Non in
quel senso almeno.- Ci fu qualche secondo di pausa, nel quale Georg e
Gustav si
guardarono con sguardo interrogativo.
-È
che la vedo così indifesa,
così sola che mi viene voglia di proteggerla. Come se fosse
mia sorella.-
spiegò. –Ad essere sincero, sono incazzato nero
con Tom per il fatto che gli
piace e che ci sia andato a letto. È come se
l’avesse profanata in qualche
modo.-
-Bill,
ma lei non è più
vergine da un pezzo.- spiegò Gustav, sporgendosi un
po’ in avanti. Vide Bill
sorridere e alzare la mano in cenno di saluto e si girò a
guardare Jennifer che
sorrideva e salutava a sua volta. Era felice e tutti e quattro ne erano
orgogliosi.
-Non
“profanata” in quel
senso, idiota!- disse Bill, sempre sorridendo verso Jennifer. In un
attimo,
però, il suo sorriso si spezzò.
–L’ha profanata nel senso che è riuscito
a
scalfirle la corazza. L’ha indebolita, si vede.- Gustav
annuì e Georg gli mise
una mano sulla spalla, scuotendo impercettibilmente la testa.
-Non
puoi farci niente se si
stanno innamorando l’uno dell’altra, Bill.- disse,
alzando le spalle. Jennifer
sbatté la portiera e chiuse la macchina con il pulsante
sulla chiave. Bill
riacquistò il suo sorriso da foto.
-È
questo che mi preoccupa.-
sussurrò, subito prima che Jen lo raggiunse e gli si
buttò in braccio,
ringraziandolo altre mille volte, come fece poi con Gustav e Georg.
***
Bill
bussò alla porta due
volte, prima di aprirla di poco e sporgere dentro la sesta. Jennifer
aveva
appena tolto gli occhiali e si stava stropicciando gli occhi. Lo
guardò e gli
sorrise.
-Posso
entrare?- le chiese
lui. Lei annuì con un gran sorriso.
Entrò
nella stanza quasi in
punta di piedi, accostando la porta lentamente e si sedette sul letto.
Lei
aveva le gambe incrociate, e le mani in grembo, che tiravano la
maglietta di
David per fare in modo che le mutandine fossero coperte.
-Sei
contenta, piccola?- le
chiese e le sorrise, come se avesse cinque anni.
-Sì.
Grazie mille, davvero.
Siete grandi.- rispose lei. Bill infilò una mano nella tasca
della felpa e ne
estrasse un’altra scatolina, più piccola di quella
di prima.
-Cos’è,
la notte dei regali?
Non è Natale!- ironizzò Jen, prendendo la
scatolina. La aprì e ne tirò fuori un
Rolex tutto placcato in oro, con il quadrante piccolo e tondo e i
numeri romani
al posto di quelli normali. Se lo rigirò tra le mani e poi
alzò lo sguardo
sugli occhi di Bill.
-È
bellissimo, Bill. Grazie.-
Lui le scrutò gli occhi e ne lesse tutta la
felicità che una ragazza può
provare. Glielo tolse dalle mani e lo osservò.
-Veramente,
non è tutto merito
mio.- confessò. –Tom mi ha detto qualche giorno fa
che l’altra sera in
discoteca hai perso l’orologio, quindi te lo abbiamo
comprato. Io e lui.- Girò
il quadrante al contrario, porgendoglielo di nuovo. Jen lo prese e
lesse la
scritta incisa sotto:
Sacred. BK TK.
Sorrise.
-È
una vostra canzone.- notò,
facendo capire a Bill che in realtà lei avrebbe conosciuto
la loro band anche
se non fosse stata la quasi sorellastra di David. Anche la mattina,
nella
vasca, aveva cantato qualche loro canzone, non sbagliando mai nota e
azzeccando
tutti i tempi e tutte le parole.
-Sei
brava, Jen. E non solo
perché sei una nostra fan in segreto.- Le guance di Jennifer
si tinsero di un
rosso appena accennato e distolse lo sguardo dai suoi occhi, quindi
Bill le
carezzò una gota con il pollice e la fece girare verso di
lui.
-Io
e Tom volevamo solo farti
capire che non sei sola. Che qualcuno che ti ritiene sacra
c’è, anche per te che sei così automatica.- A quelle parole, Jen
scoppiò a ridere e nello stesso
momento si stropicciò un occhio, cercando di nascondere una
lacrima prima che
cadesse; Bill la notò lo stesso.
Lo
abbracciò di slancio, ma
non come aveva fatto prima, con la macchina. Quell’abbraccio
era caldo, dolce e
fraterno. Per lui era come abbracciare la sua piccola sorellina,
cresciuta
troppo in fretta e chiuse gli occhi ad odorare i suoi capelli ancora
mossi. Era
così bella e allo stesso tempo così intoccabile
che quasi stentava a credere
che uno come Tom, bravissimo ragazzo ma che andava dietro ad ogni
gonnella,
fosse riuscito a conquistarla. Poi però capì: lei
era una fusione di loro due
messi insieme, era la forza spirituale di Tom e il suo narcisismo che
nascondeva l’insicurezza, ma era anche la
sensibilità di Bill, la voglia di
amare ed essere felice per sempre.
Ringraziò
il Cielo per il solo
fatto di averla tra le braccia; suo fratello sarebbe stato in mani
sicure e,
cosa più importante, non sarebbe andato via da lui.
Bill
sciolse l’abbraccio e si
alzò dal letto. Le scompigliò un po’ i
capelli e si avviò verso la porta.
-Conta
fino a dieci: Tom
entrerà tra dieci secondi esatti da questa porta qui.- le
disse e Jen scoppiò a
ridere mentre infilava l’orologio al polso, sapendo che Bill
non sbagliava mai.
Passarono
solo nove secondi
prima che Tom spalancò la porta senza bussare, come suo
solito. Vide Jen che
scuoteva il polso circondato dall’orologio, provocando un
impercettibile
rumorino sordo.
-Ti
piace?- chiese, chiudendo
la porta e sedendosi sul letto. Lei non lo guardò, ma
continuò a guardare il
quadrante corrucciata.
-Che
cosa sono questi
diamantini?- domandò. Tom le prese il polso, facendolo
fermare, poi le sorrise,
quando lei rilassò il viso.
-Siamo
noi, Jen.- rispose Tom.
Jennifer guardò i tre diamantini con aria pensierosa e
assente, quindi Tom le
prese il mento e la fece girare verso di lui.
-Che
c’è che non va?- le
chiese, con aria dolce.
-Perché?-
A quella domanda,
Tom corrugò le sopracciglia e la fissò.
-Tom,
ci conosciamo da appena
un mese, perché sono così importante?-
chiarì allora Jen. Tom rilassò la fronte
e guardò le sue gambe incrociate, poi tornò ai
suoi strani occhi.
-Perché
sei riuscita ad
importi, Jen. Sei riuscita a metterti in mezzo e dire: “Sono
io, sono qui, non
dimenticatevi mai di me”. Ed è così.
Non dimenticheremo mai quello che sei, chi
sei. Ormai sei dentro di noi.- Tirò su una mano e le
carezzò una guancia,
asciugandola dalla piccola lacrima che le era sfuggita.
Si
alzò e se la trascinò con
sé. Scansò le coperte dal letto e la fece
sdraiare. Gliele tirò fin sopra al
mento, facendola sorridere, poi si rimise seduto a bordo del letto. Le
accarezzò i capelli.
-Buonanotte,
Puffetta.- le
augurò, poi si alzò e si chinò verso
di lei. Le baciò la fronte, con un piccolo
e caldo bacio.
Una
volta sulla porta lei lo
chiamò e lui si girò.
-Grazie
per avermi raccolta e
presa con voi. Non sarei felice in questo momento se fosse andata
diversamente.- gli disse. Lui le sorrise e si inumidì le
labbra con la lingua.
-La
tua felicità deve ancora
arrivare, piccola.- disse, chiudendo la porta.
Jennifer
notò che i gemelli
l’avevano chiamata nello stesso modo, ma provocando in lei
emozioni
completamente differenti: Bill era diventato il suo angelo, il ragazzo
che
l’avrebbe protetta in tutto e per tutto; Tom era il suo
ignoto, il suo punto
interrogativo, perché in realtà non sapeva
nemmeno lei cosa fosse. Sapeva solo
che con quel nomignolo le aveva provocato un brivido che le aveva
percorso
tutta la schiena e una sensazione che non aveva mai provato e che non
accennava
ad abbandonarla.
Sorrise,
convenendo con la
frase di Tom: forse era vero che la sua felicità doveva
ancora arrivare.
Chiuse
gli occhi e si
addormentò.
***
Tom,
in fondo alle scale,
sbuffò, guardando l’orologio per
l’ennesima volta. Aveva già indossato il cappotto
e i guanti, teneva in mano gli occhiali da sole e il cellulare.
Camminò
avanti e indietro
davanti la scala, poi si appoggiò al corrimano e
guardò al piano di sopra.
-Jen,
muovi quel perfetto culo
del cazzo e scendi, è tardi!- gridò. Bill
alzò gli occhi al cielo e li roteò,
poi allargò le braccia e se le fece ricadere sui fianchi.
-Possibile
che non riesci ad
essere più educato con una donna?- Nel momento in cui Bill
smise di parlare,
dal piano di sopra si sentì un tonfo e subito dopo
l’urlo di Jen.
-Tutto
ok?- chiese Gustav,
affacciandosi per le scale. Tom stava per salire, ma poi la vide mentre
camminava all’indietro, faticando nel trascinare qualcosa.
Gemeva ogni volta
che faceva uno sforzo, con i capelli completamente davanti la faccia e
le mani strette
al manico della valigia.
Gustav
salì di fretta le scale
appena Jen ci si fermò in cima, per riprendere fiato.
Diventò tutto rosso per
tirare su la valigia, ripoggiandola subito a terra.
-Oh,
mio Dio, ma ci tieni i
morti qui dentro?- chiese, sistemando meglio le mani sul manico. La
tirò su e
se la issò sulle spalle, poi scese le scale e la
posò vicino la porta
d’entrata, dove un omone completamente nero la prese senza il
minimo sforzo e
la portò fuori.
Jennifer
intanto scendeva le
scale con la stessa andatura di una fatina, reggendosi tranquillamente
in punta
dei piedi e saltellando quasi, ad ogni passo. Si teneva i capelli con
una mano,
per non farli ricadete sugli occhi, mentre sull’altro braccio
aveva un trench e
teneva un paio di scarpe col tacco più basso del solito.
-GusGus,
tranquillo, se avessi
ucciso qualcuno e lo avessi messo dentro la valigia, ora dovreste
trovarvi un
nuovo chitarrista.- disse sorridendo, mentre si appoggiava alla mano
tesa di
Bill per mettersi le scarpe, davanti la porta.
-Avete
preso tutto?- chiese
David, mentre chiudeva il grande portone con tre mandate di chiave e
spingeva
un pulsante del telecomando che teneva nel portachiavi verso la casa.
L’allarme
emise tre potenti Beep.
-Ciao
amore mio, mi mancherai
tantissimo!- Jen era sdraiata sul cofano della sua Audi e la
accarezzava,
mentre Bill, vicino a lei, rideva, non riuscendo a staccarla.
-È
solo una macchina!- le
disse Tom, mentre saliva sul Bus. Gustav urlò un
“senti chi parla” dal
corridoio del veicolo.
-Non
dargli retta, tesoro, è
solo invidioso. Ciao amore, ti penserò sempre!- disse Jen,
poi salì anche lei
sul Bus, sedendosi malamente sul divanetto, accanto a Georg.
-Sei
più rompipalle di Tom con
quella macchina!- la prese in giro lui, sistemandosi con un braccio
sullo
schienale del divanetto. Jen si appoggiò alla sua spalla.
-Mi
manca già.- disse,
sospirando.
-Allora,
avete preso tutto?-
ripeté David, mentre il Bus partiva e il cancello automatico
della grande villa
si richiudeva.
-Oh
Dio, David, sei
paranoico!- lo rimproverò Gustav, seduto accanto a Bill.
–Sì, abbiamo preso
tutto!-
-E
Jen ha preso più cose di
Bill e Tom messi insieme. Da non crederci!- aggiunse Georg. Jennifer
rise e gli
assestò un piccolo pugno sul fianco. Lui si
lamentò, facendo finta di essersi
fatto malissimo.
-Smettete
di giocare!- ordinò
David, in piedi vicino a Tom. -È ora di ripetere le regole
di questo Tour.- A
quella parola, i ragazzi emisero un grande urlo euforico e qualcuno
batté le
mani.
-Non
siate così contenti, le
regole sono severe.- disse David, beccandosi un bell’ululato.
-Ragazzi,
ragazzi!- urlò.
–Allora, regola numero uno: date sempre il massimo! Regola
numero due: tu-
disse e indicò Jen. –sei qui perché
sennò saresti rimasta a casa da sola,
quindi non intralciare i ragazzi.-
-Ah,
quanto sei palloso!- lo
rimbeccò lei, girando gli occhi e sbuffando.
-Sì,
sì, come ti pare. Regola
numero tre: niente ragazze o ragazzi nel Bus, siamo intesi?-
finì David,
lanciando sguardi eloquenti a Tom e Jen. Loro si ridestarono subito,
lui posò la
lattina di RedBull sul tavolino e lei lasciò la spalla
comoda di Georg.
-Cosa?-
incorarono.
-E
dove le porto le ragazze?-
chiese Tom.
-Dove
do appuntamento ai
ragazzi?- domandò invece Jen, scostandosi una ciocca di
capelli dal viso. –Di
certo non posso dire loro: “hey, ciao, sono Jennifer e voglio
venire a letto
con te, andiamo a casa tua?”. Non sono mai andata a casa di
nessuno e di certo
non comincerò ora!-
-Ragazzi,
oltre al Bus,
abbiamo a disposizione delle camere d’albergo per i luoghi
dove sostiamo per
più di una notte, quindi tranquilli.- disse David, facendo
cenno di calmarsi
con le mani. Roteò gli occhi alle frivole lamentele dei due
ragazzi. –In ogni
caso non vi farebbe male non andare con chi capita! Meno male che non
vi
piacete, sennò sareste la coppia con più corna al
mondo!- ironizzò. I ragazzi
si guardarono tutti e Georg rivolse lo sguardo al finestrino e si
coprì la
bocca con una mano, per nascondere il piccolo sorriso che non era
riuscito a
non far uscire. Jennifer diventò tutta rossa e Tom la
guardò per qualche
secondo prima di scolare la sua bibita.
-Ok,
queste sono le regole.-
annunciò David, battendo le mani. –Divertitevi!-
Se
ne andò, pensando che quei
ragazzi non erano del tutto normali
***
Il
viaggio procedeva lento e i
ragazzi sbuffavano a turno, ingannando il tempo come potevano.
-Possibile
che vi portiate i
videogiochi ovunque?- rimproverò Jen, con la testa sulle
gambe di Bill, mentre
Georg e Tom urlavano imprecazioni al piccolo televisore del soggiorno
da una
buona mezz’ora.
-Non
ti sentono, è inutile.-
disse Bill, sbuffando con il naso. Jennifer aprì la bocca e
lui ci tirò dentro
una gelatina blu, agitando lievemente il pugno in segno di esulto per
aver
fatto centro.
-Guardate
che ho trovato!-
urlò Gustav, uscendo da una stanzetta con in mano una grande
scatola. Richiuse
la porta e mostrò agli altri il piccolo trofeo.
-No,
non ci posso credere!-
urlò Jennifer, alzandosi dalle gambe di Bill.
–Jenga!-
Bill
rise di gusto, finendo le
ultime caramelle, mentre Jen aveva spento il televisore dei ragazzi,
meritandosi tanti e coloriti insulti accompagnati da qualche calcio che
Tom le
tirò senza prenderla.
-Smettetela
di fare i bambini
e venite a giocare, idioti!- li canzonò lei. Entrambi si
alzarono di malo modo
dal salotto e raggiunsero gli altri al tavolo circolare intorno al
quale erano
seduti. Nel tragitto, Georg tirò a Tom una treccina e lui si
fermò e rispose
con un pugno su una spalla.
-Ahia!-
urlò il ragazzo,
massaggiandosi la parte colpita. –Imbecille!-
-Non
quanto loro!- rispose Tom
indicando Bill, Gustav e Jen con un cenno della mano. Sorrise e si
strofinò il
lato del naso con il pollice.
-Perché,
qual è il problema?-
chiese Bill, senza togliere gli occhi dai legnetti di legno che stava
impilando
con molta precisione e troppa difficoltà.
-Il
problema, Bill, è che
stiamo giocando ad un gioco di equilibrio, calma e precisione a bordo
di un
veicolo in movimento!- lo illuminò Tom, sedendosi vicino a
lui. –A volte non
capisco proprio perché mamma sia stata così
cattiva con te. Poteva anche
degnarsi di darti un po’ di cervello.-
-Ah,
senti chi parla!-
s’intromise Jennifer, mentre impilava gli ultimi pezzi.
Guardò Georg toglierne
uno dal basso e poi fissò i gemelli. –Hai solo
paura che ti batta e per
tergiversare insulti tuo fratello! E poi, almeno lui è
carino.- Fece un lieve
cenno con le spalle. Tom alzò un sopracciglio.
-Tu
che batti me? Mai nella
vita, piccola!- Jennifer alzò gli occhi al cielo e li
roteò, cercando di
dimenticare il modo in cui l’aveva chiamata, poi tolse un
pezzo di legno dal
basso, fermandosi un momento, mentre il Bus faceva una curva. Si
sentiva gli
occhi di tutti addosso, ma quelli che gli pesavano di più
erano quelli che
aveva di fronte. Li percepiva su tutto il suo corpo, immobili e
scrutatori,
profondi come l’inferno e grandi come il paradiso. Non aveva
mai avuto la
sensazione di sentirsi a disagio, ma in quel momento avrebbe preferito
volentieri scavarsi una buca nell’asfalto per nascondercisi.
Si odiava perché
era diventata debole in soli due mesi di coesistenza con Tom Kaulitz e
odiava
lui perché la stava facendo diventare una gallina da
allevamento, una di quelle
ragazze che aveva sempre criticato, che si spalmerebbero anche su una
pozzanghera se solo un uomo glielo chiedesse. Lei non era mai corsa
dietro nessuno,
lei lasciava che gli altri le corressero dietro, mentre lei era sempre
più
veloce e, anche quando sembrava che stessero per raggiungerla, lei
aumentava il
passo, alzando ancora più polvere. Le rare volte in cui si
concedeva non era
perché qualcuno l’aveva raggiunta, era
perché lei rallentava per la noia di
correre da sola. E ora Tom era un bicchiere d’acqua nel bel
mezzo dell’aridità
del deserto; doveva ricominciare a correre, non poteva fermarsi,
perché sennò
qualcun altro avrebbe vinto al suo posto. E lei non doveva perdere mai.
Lo
guardò, incrociando i suoi
occhi per un solo istante, prima che lui li girasse verso Bill, che
aveva
tirato un sorriso genuino ed enorme.
-Che
ti ridi?- gli chiese Tom.
Lui si girò e mosse le spalle come in una piccola danza
euforica.
-Hai
sentito? Io sono carino e
tu no!- gli rinfacciò, tirando fuori la frecciatina di
Jennifer di poco prima.
-Bill.-
Gli occhi di Tom erano
semichiusi, l’espressione un misto di pena e
superiorità. –Siamo gemelli.-
-E
che vuol dire?- si intromise
Jen, di nuovo. Tom la fissò con un sopracciglio alzato.
-Vuol
dire che se lui è
carino, lo sono anche io.- spiegò, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. E
lo era, ma non era quello che Jennifer intendeva.
-Non
sto parlando di aspetto,
Tom.- spiegò, infatti.
-Anche
nei modi siamo uguali,
siamo stati cresciuti nello stesso modo.-
Jennifer
alzò le spalle. –Ah,
questo non vuol dire nulla.-
-Ma
come no?- Tom alzò un
pochino la voce. –siamo uguali, se lui è carino lo
sono anche io!-
-No,
Tom.- negò Jennifer con
tutta calma.
-E
come mai, Sherlock?-
ironizzò lui.
Tolse
un altro legnetto dalla
torre e glieli mostrò, mettendoli vicini. Avevano la stessa
forma e le stesse
dimensioni, combaciavano perfettamente, ma erano di due
tonalità diverse di
marrone legno.
-Per
il semplice fatto che se
A è uguale a B non è detto che le due lettere
siano carine allo stesso modo.-
spiegò. Tom alzò entrambe le sopracciglia.
-Ma
se A è uguale a B!- indicò
i due pezzetti di legno. Jennifer li posò sul tavolo e si
aggrappò alla spalla
di Gustav per non sbilanciarsi troppo ad una curva. Osservò
la torre oscillare
e si chiese perché non fosse ancora caduta.
-Si,
ma la carineria di A non
è uguale a quella di B!- disse con la voce stridula.*
Tom la guardò male per qualche secondo, poi
iniziò a togliere un pezzo dalla
terza fila di legnetti a partire dal basso, mentre borbottava qualcosa
sulla
“fottuta matematica”, mentre Jennifer rideva senza
farsi vedere né sentire. Era
quasi riuscito a toglierlo, quando il Bus prese una buca. Sobbalzarono
tutti e
la torre rovinò sul tavolo e per terra. Dei pezzi finirono
sulle gambe di Tom,
altri nella scatola che Gustav aveva poggiato a terra e alcuni rimasero
sul
tavolo.
Tom
aveva ancora il pezzetto
di legno in mano, il braccio teso verso il centro del tavolo e gli
occhi
sgranati. Guardava le poche tesserine rimaste ancora impilate e a mala
pena
respirava. Jennifer lo guardò per un attimo con la bocca
socchiusa, poi guardò
tutti gli altri, anche loro immobili a ricambiare lo sguardo.
Iniziò a ridere
lievemente, contagiando tutti, finché la risata non
diventò rumorosa e
completamente liberatoria.
Georg
si chinò a raccogliere
delle tesserine insieme a Bill, mentre Gustav raccoglieva quelle sul
tavolo e
le impilava nel loro contenitore. Tom raccolse quelle che aveva sui
pantaloni e
le porse al suo amico, mentre Jen contava quelle che aveva in mano.
-Ho
dieci pezzi!- urlò, pochi
secondi dopo.
-E
questo vuol dire che…?-
chiese Tom, guardandola con le sopracciglia strette. Jennifer lo
indicò e allargò
il suo sorriso.
-Hai
perso!- Bill scoppiò a
ridere di nuovo, mentre Georg batteva delle pacche sulla schiena di
Tom,
consolandolo per prenderlo in giro. Gustav batté il pugno a
Jen.
La
guardò, mentre rideva e
scherzava con gli altri, rimettendo a posto le tessere del gioco e
reggendosi a
qualche braccio o a qualche spigolo ogni volta che il Bus faceva una
curva, per
essere sicura di non perdere l’equilibrio. Riprese i sensi
giusto in tempo per
frenare l’accenno di sorriso idiota che gli stava increspando
le labbra, come
gli succedeva qualche volta nella sua camera mentre la pensava. Era
bellissima
quando sorrideva così genuinamente e Tom stava lottando con
tutte le sue forze
per non farsela piacere in un senso più profondo di quello
sessuale. Nemmeno
lui, però, credeva che ci sarebbe riuscito.
***
Für
Immer Jetzt era appena
finita e l’uovo si stava richiudendo dietro i ringraziamenti
di Bill alle fan,
mentre loro urlavano, sbraitavano, piangevano e continuavano a cantare
anche
senza la musica.
Jennifer
aspettava appena
dietro le quinte, qualche metro dopo i tre scalini che le separava dal
palco e
sentiva ancora i brividi lungo le braccia. Non aveva mai assistito ad
un loro
concerto, anche se apprezzava molto la loro musica.
Sentì
dietro di lei David che
urlava con degli altri dello staff, poi dei battiti di mani e qualche
sonoro
cinque battuto alla rinfusa. Si preparò per accoglierli
tutti e fare loro le
sue congratulazioni, perché su un palco erano davvero molto
più grandi di
quanto non lo erano già.
Tom
scese le tre scalette per
primo, con un sorriso soddisfatto stampato sulla faccia e si tolse la
chitarra
di dosso, mettendola nelle mani di un membro degli addetti agli
strumenti. Appena
lo vide, Jennifer mostrò il suo sorriso più
sincero e gli si buttò al collo,
avvinghiandosi con le gambe al suo bacino. Ancora con una mano
impegnata con la
chitarra, Tom l’afferrò al volo e si mise a
ridere, sorreggendola con solo un
braccio intorno alla sua piccola vita. Era sudato, ma a Jen non
importava
davvero niente, tutto quello che desiderava era far capire loro che
erano stati
davvero magnifici e anche lei in certi momenti si era commossa.
-Bravi,
ragazzi!- urlò lei nel
suo orecchio, poi si dimenò un po’ per scendere e
corse ad abbracciare Bill,
non nello stesso modo, ma con lo stesso calore. Però lui
aveva il muso lungo,
gli occhi scuri e il viso basso. Tom sapeva che era arrabbiato per
essere
caduto la prima sera, ma a Jennifer sembrava non importare. lo
baciò lo stesso
più volte sulle guance, sempre con un gran sorriso. Lui
l’abbracciò e la lasciò
fare, rilassandosi solo un pochino.
-Dai,
siete stati grandi!- lo
consolò, ma lui la guardò irritato e il suo
sguardo sembrava chiedere “mi stai
prendendo in giro, stronzetta?”. Gli accarezzò una
guancia e i suoi occhi
tornarono affranti.
-Sono
caduto, Jen. Sono un
coglione.- Lei sorrise e si tirò sulla punta dei tacchi per
arrivare a bacargli
la punta del naso. Lui si curvò un po’ per
lasciarla fare.
-Sei
un professionista.- lo
corresse e lui le sorrise. –Bravo, Bill. Hai fatto una
performance bellissima,
la tua voce era stupenda e per quella sottospecie di alieni
lì fuori, come li
hai chiamati tu, è quello che conta. Bravissimo.- Bill
sorrise, socchiudendo di
poco gli occhi, mentre Jen gli asciugava il trucco colato sulle sue
guance.
-Grazie,
tesoro.- sussurrò,
lasciandola andare con un ultima stretta potente, per poi andare subito
a
togliersi tutti i fili che aveva sulle spalle.
Quando
Jennifer si girò per
abbracciare anche Georg e Gustav, li vide davvero in
difficoltà, con il
batterista steso per terra, i piedi tirati su e il bassista che ne
fletteva uno,
lasciando l’altro a Tom. Scoppiò a ridere e si
accovacciò vicino a Gustav, con
gli occhi chiusi e l’espressione sofferente.
-Bravo
GusGus.- sussurrò, poi
si sporse e gli diede un caloroso bacio sulla guancia. Quando si
ritrasse lo
vide accennare un sorriso, che fu subito spento da un lamento, mentre
si
toccava la gamba che fletteva Georg.
-A
me niente feste?- chiese
quest’ultimo, corrucciando di poco le sopracciglia e
storcendo la bocca, mentre
stendeva e fletteva sempre lo stesso piede.
-Ti
bacerei Georg, ma puzzi
davvero troppo!- lo prese in giro lei, scatenando le risate di Tom, che
allentò
di poco la presa sul piede di Gustav. Lui sussultò e gli
rivolse qualche
insulto per incitarlo a continuare a flettere.
Jennifer
vide il viso
imbronciato di Georg, quindi si sciolse in un secondo, decidendo di
finire lì
quella presa in giro. Gli si aggrappò al collo, mentre
ancora lavorava con quel
piede e lo tempestò di baci sulla guancia destra. Le sorrise
e solo quando
Gustav ritrasse le gambe lei si staccò.
-Potrei
farci l’abitudine a
questi complimenti.- disse Bill ricomparendo con un asciugamano intorno
alle
spalle e i vestiti di sempre. Il sorriso era tornato sulle sue labbra,
anche se
un po’ spento.
Il
concerto era finito e le
risate continue dei ragazzi fecero pensare per l’ennesima
volta a Jennifer
quanto fosse felice e quanto sua sorella mancasse in quel puzzle quasi
perfetto.
Spazio
SvaleG_3:
Eccomi, in completo ritardo come al
solito! Prima di tutto spieghiamo
gli asterischi:
** per
chi non lo avesse capito,
Tom intendeva con quella punta di malizia che dentro quel pacchetto ci
fossero
dei preservativi che Jennifer avrebbe usato (ovviamente) con lui.
*il
battibecco l’ho immaginato in
inglese prima di tradurlo in italiano, quindi sarebbe dovuto essere:
“did you
hear, Tom? I’m cute!” “Bill, we are
twins!” e così via…in inglese viene
molto
meglio.
Che altro dire? Mi
scuso ancora per il
madornale ritardo ma ero ad un punto fermo riguardo il gioco da tavolo
al quale
i ragazzi hanno giocato sul bus. Mi dispiace che gli ultimi capitoli
non siano
stati commentati, in ogni caso mi farebbe piacere sapere cosa ne
pensate (come
sempre del resto). Vabbè, io ho finito di annoiarvi! Un
bacione a tutti e
grazie perché seguite la mia ff!
p.s. scusate per gli
eventuali errori
o ripetizioni, però è tardi e di rileggerla
proprio non mi va! :D perdonate la
mia pigrizia! Al prossimo capitolo!