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Autore: ansaldobreda    28/04/2014    2 recensioni
allora, prima di tutto è la mia prima storia (vi prego non sbranatemi!) e volevo dedicarla al mio personaggio preferito di sempre, C-17. da quando ero piccola mi sono sempre divertita a creare storie insieme a lui, e vorrei raccontarvi la mia versione della sua storia, o almeno provarci :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Dove sei stato?» Hector continua a chiedermelo da quando sono arrivato a casa. E ogni volta gli ho risposto «A scuola! Avevo il recupero di matematica!»
«Credo a quello che vuoi, ma non che sei stato a scuola tutto il pomeriggio!»
«Sono cinque anni che ho il recupero il primo giorno!» Sto urlando. Perché deve essere un incubo tornare a casa?
«Pensi che sia nato ieri? Io ti rovino, ragazzino! Adesso dimmi dove sei stato.»
«Una volta che ti dico la verità prova a credermi!» Io non riesco a continuare così! Quando parlo con lui è come se mi stesse aspirando l’ossigeno dai polmoni. Voglio andarmene da qui, sparire, cambiare identità, città, faccia, qualunque cosa mi permetta di non vederlo mai più!
«Te lo chiedo un’ultima volta, poi sarà peggio per te. Dove sei stato?» Mi fissa con i muscoli tesi, potrei sentirgli pulsare le vene nelle orecchie. Mi detesta. Gli dico quello che vuole sentire. «Te l’ho già detto, e poi sono maggiorenne, non devo dire a te dove vado!»
«Tu invece devi! Finché starai qui comando io!» “Ti prego Nicholas, stai zitto! Zitto!”
«Tranquillo che non ci starò ancora per molto. Appena prendo la maturità mene vado, e con me se ne vanno anche i soldi del mio mantenimento!» Il primo schiaffo arriva veloce, poco doloroso. Il suo schiocco rimbomba nella stanza. È un segno, devo stare zitto. Ma non ci riesco, è più forte di me. Lo guardo negli occhi e la mia lingua si muove da sola. «Sai perché non mi hanno ancora bocciato in quella merda di scuola? Perché ho tua sorella come insegnante!» Eccolo il secondo. Molto più forte, la sua mano mi prende tutto un lato della faccia, dall’orecchio al naso. Sento sfrigolare la pelle, me la copro con una mano. Avrei voglia di urlare, di piangere e di scappare via. Vorrei che sparisse, vorrei… vorrei ucciderlo! Lui mi guarda, non sembra soddisfatto, sono andato troppo oltre. «Mi devi rispettare, hai capito? Mi devi rispettare come se fossi tuo padre!» mi giro verso la cucina, Annabel sta guardando la scena con un asciugamano e un piatto in mano. Mi accorgo che ha le occhiaie e un aspetto più distrutto del solito. Intravedo una linea di lacrime lungo la palpebra. La guardo, so che vorrebbe fare qualcosa, lei lo sa che è vero che avevo quella dannata lezione! “Ti prego, digli qualcosa”. Ma è inutile. Lei non interverrà, ha troppa paura di suo marito, rimarrà a guardare. Tutti abbiamo paura di lui, ma io sono l’unico che gli risponde. Con me si può sfogare. Mi giro verso di lui. Mi mordo la lingua fino a sentire il sapore del sangue, faccio scricchiolare le ossa stringendo i pugni, ma rimango zitto. So cosa sarebbe in grado di fare a questo punto. Hector si accorge che non parlo più. «Bene.» Salgo in camera mia quasi correndo e sbatto la porta. Non ce la faccio più, non ce la faccio più! Vorrei chiamare Alison, ma a quest’ora non può rispondere. Comoda la vita per lei, che se ne sta via quasi tutto l’anno! Non sopporto di essere da solo, bloccato qui. Mi passo le mani fra i capelli, mi mordo le unghie. All’improvviso tutto sembra così opprimente, le pareti della stanza mi si stringono addosso. Scendo, di Hector non c’è traccia, esco in cortile. Respiro profondamente l’aria orribile di questa città. “Diventerò presidente e la farò radere al suolo!”. Sarebbe un sogno. Mi appoggio al cancelletto che separa il metro quadrato di giardino dalla strada, nella casa di fronte qualcuno sta coltivando rose. Mi aggrappo al ferro quando mi accorgo chi è. Non è possibile! La stessa orribile giacca a camice da laboratorio, che ripensandoci sembra proprio un camice, la stessa faccia da criceto, la stessa pelle pallida. Quello è l’uomo che era insieme al mio nuovo professore di matematica alla stazione! Ne ho la conferma quando lui sembra riconoscermi, e rimane a fissarmi. È un incubo, sono sicuro che è un incubo… Perché non è un incubo? Devo stare calmo, se ci fosse anche lui, Gelo, non credo che riuscirei a sopravvivere. Potrebbe bussare alla mia porta e chiedermi di tappezzargli le pareti di labirinti… o magari di fare una partita a scacchi aritmetici? “Nicholas, devi calmarti. Neanche esistono gli scacchi aritmetici!” Potrebbe averli inventati lui… per me. O, merda! Sento qualcuno che chiama il mio nome. Mi volto e si volta anche l’uomo. È Tony. Grazie dio. «Alla fine non mi hai aspettato, eh? Cos’è quella faccia?»
«Niente, lascia stare.»
«Di nuovo quello stronzo?» Annuisco. “Chi, se no?”
«Per fortuna so come tirarti su. Sai, quello di matematica mi ha fatto fare centodue espressioni! E mi ha dato sei e mezzo! Sei e mezzo, io! I miei genitori mi hanno riempito le tasche di soldi, sta sera andiamo a sballarci! » Vedo il cofano della sua splendida auto sbucare da dietro la casa di fronte. Come vorrei essere anch’io ricco così, con dei genitori che mi riempiono di soldi per un sei e mezzo, con dei genitori veri.
«Non lo so… è che, magari, dovrei provare a seguire le sue regole.» Mi stupisco più di Tony per quello che ho detto. Poi guardo in casa, nessuno bada a noi. «Ma non credo che comincerò oggi.» L’uomo col camice da laboratorio mi osserva scavalcare il cancelletto e correre verso l’auto di Tony.
 

                                                            Quella di ieri è stata una serata fantastica, ma il bello è arrivato stamattina. Hector sta urlando come un pazzo, come se io lo stessi ascoltando. Ignorandolo, afferro la mia giacca, lo zaino e vado verso l'uscita. Lui continua a rincorrermi per tutta la casa, e quando esco si ferma sulla porta a strillare. Mentre cammino verso la fermata dell’autobus, sento le sue urla. «E se ci riprovi ti gonfio di botte! Hai capito? Sto parlando con te! Mi hai sentito?» Mi fermo, respiro, mi giro, urlo. «Sì, ho capito, mi gonfi di botte!» Accelero il passo. Aspetto qualche minuto appoggiato al palo della fermata, mi passa davanti una decappottabile rossa con su alcuni ragazzi che credo di conoscere, forse li ho incontrati in un locale. Quando mi passa davanti, si ferma. «Ehi Nick!» mi urla una ragazza agitando la mano. Io sorrido da snob, va sempre bene in queste occasioni, anche se mi verrebbe voglia di prendermi a pugni in faccia. Sull’auto hanno la musica a palla, una ragazza agita le braccia, gli altri ridono. «Salta su! C’è posto per un altro! Emily era preoccupata di rimanere sola!» Ridono più forte, sono decisamente fuori controllo. «Abbiamo della roba da sballo!» Un ragazzo mi mostra una bottiglia di vodka, anche se credo che abbiano con loro qualcosa di più pesante dell' alcool. Guardo verso il pullman che sta per arrivare e salgo in macchina, infilandomi fra una ragazza, che mi circonda il collo con il braccio, e la portiera. Credo che Hector dovrà gonfiarmi di botte.
  
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