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Autore: Shin92    29/04/2014    7 recensioni
[The Big Four]"Si poteva fare qualunque cosa nella stanza dei giochi. Ma andarci di notte era proibito. Di notte qualunque cosa era proibita. Questo rendeva tutto più eccitante. Questo li invogliava a continuare a farlo con il rischio di essere scoperti."
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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{Do i hold you too tightly?
 


Ottobre era il mese preferito di Merida. Adorava la brezza autunnale che spargeva nell’aria qualcosa di frizzante, qualcosa che di solito la metteva di buon umore. Fin da quando era bambina non aspettava altro che quel periodo. Si poteva star fuori senza soffrire il freddo rigido e il sole non era abbastanza cocente da farla sudare. Inoltre, cosa che amava più di tutto, poteva mangiare i frutti arancioni di cui era ghiotta. Le arance particolarmente succose e i melograni, che erano quasi un gioco per lei, venivano raccolti nella tenuta della villa dai bambini, portati nella dispensa e tenuti al fresco. Non poteva concedersene uno fuori pasto, ma per Merida le regole erano una traccia più che un obbligo.
Ritornò all’orfanotrofio quando ormai il sole stava per calare, la prima stella era già spuntata nel cielo, luminosa e protagonista del firmamento. L’atmosfera meritava di essere assaporata per bene, perciò inspirò con tutta se stessa l’aria fresca e pulita. Deboli raggi le sfioravano il viso e sferzavano le sue iridi acquamarina  rendendole ancor più chiare.
Rivolse  uno sguardo di contemplazione alla splendente aura della stella che si mescolava con il lilla del tramonto, prima di spalancare le porte dell’ingresso e scrollarsi di dosso le foglie secche, colorate di rosso arancio.
L’ambiente era alquanto silenzioso, sembrava che non ci fosse nessuno a infastidire quella quiete sovrannaturale.
Eppure non si spiegava come fosse possibile, era quasi ora di cena e di solito i bambini si scatenavano, eccitati all’idea di riempirsi la pancia.
Percorse con gli occhi tutta l’area circostante, forse erano nei dormitori, o nella sala dei giochi a svagarsi.
Si sfilò la mantella per poi appenderla ad uno degli innumerevoli chiodi affissi alla parete di fianco, s’incamminò verso l’infermeria intenta a salutare per prima Rapunzel, aveva probabilmente sgobbato tutto il giorno, il suo lavoro non era semplice. Raggiunse l’entrata della camera in cui la faceva da padrona e trovandola aperta decise che non era il caso di bussare, si appoggiò allo stipite e scrutando l’amica bionda – ignara della sua presenza – fece per slegarsi i capelli dall’acconciatura raccolta e ordinata, che sfoggiava ogni giorno al lavoro.
– Ti serve aiuto? – Chiese  mentre si beava del balzo di Rapunzel, colta alla sprovvista.
– Oh, Merida. Mi hai spaventata. – L’ammonì alzando un sopracciglio e fissandola di sbieco, per poi tornare alle sue faccende. In questo caso riordinare tutte le boccette di vetro, contenenti unguenti e medicinali vari.
– Scusa, non pensavo di essere tanto spaventosa dopo il lavoro! – Rispose di getto con il suo solito tono divertito.
– Ero solo sovrappensiero. – Rispose calma l’altra, sembrava quasi che la sua espressione  fosse angustiata, i suoi movimenti distratti e abitudinari.
– Che succede? Perfino un cieco vedrebbe che hai qualcosa che non va … – Meglio arrivare subito al sodo.
Rapunzel sospirò come se potesse gettar fuori, insieme all’ossigeno, tutta la sua preoccupazione, teneva lo sguardo basso e cupo mentre poggiava lentamente un barattolo di chiodi di garofano nel cestino.
– Non ho molta voglia di parlare oggi. Anche se temo che dovrò farlo comunque.–   Rispose in tono grave la bionda, Merida iniziava ad insospettirsi e si limitò ad osservarla alzando un sopracciglio.
– In questi ultimi tre giorni in cui non ci sei stata sono successe delle cose, dormire alla locanda ti avrà tenuta lontana dalle notizie, eppure avrai sentito parlare dell’epidemia. –
La rossa non riuscì a fare a meno di sgranare gli occhi. Molte persone in paese erano terrorizzate all’idea di ammalarsi mentre lei neanche aveva dato peso a tutte quelle chiacchiere.
– Si dice che la fonte del contagio siano stati i figli dei Chyiroga. Hanno infettato quasi tutti i bambini della scuola pubblica. –
In effetti, ora che si soffermava a pensarci, nessuna delle buon samaritane  - che di solito portavano viveri alla numerosa famiglia - si era più avvicinata alla loro abitazione. Venivano evitati come la peste.
– Non immaginavo che fosse un così grave problema. – Sottovalutare il rischio era stato un passo falso, ma per fortuna non sembrava accusare alcun malore Merida, per cui concluse che non aveva contratto alcuna infezione.
– Sei stata una sciocca a non pensarci prima! Adesso siediti qui e lasciati dare un’occhiata. –
Rapunzel conosceva le malattie e i rispettivi sintomi, era stata istruita ad arte e aveva imparato a riconoscere le erbe curative e a catalogarle. Merida una volta aveva perfino azzardato che fosse così in gamba da poter assistere delle partorienti e che avesse potuto lavorare come levatrice, ma lei si limitava a curare i bambini all’orfanotrofio e , di tanto in tanto, guadagnava qualcosa recandosi in paese per visitare delle donne in gravidanza, un lavoro sicuramente degno di nota rispetto a Merida che non faceva altro che servire ai tavoli della taverna.
– Io mi sento benissimo. –
Ma fu inutile, lei non ne volle sapere e non esitò a costringerla a sedersi e a tirar fuori la lingua.  Dopo un’accurata analisi constatò che  sembrava in forma.
– Fortuna che  sei più dura della pietra, tu. – E questa fu la frase che accertò le buone condizioni della rossa.
Rapunzel gettò distrattamente un termometro sulla scrivania e si affacciò alla finestra inspirando a pieni polmoni l’aria fresca della sera, raggiunta da Merida dopo appena qualche secondo.
–  Devo dirti una cosa. – E a quel punto un velo di tristezza calò sugli occhi della ragazza dai capelli dorati. Una nota tremolante nella sua voce suggerì  a Merida che ciò che stava per dire non le sarebbe piaciuto.
–  Purtroppo … tre giorni fa, Hiccup ha iniziato ad accusare i sintomi.  Non faccio in tempo a tenere la temperatura bassa che la febbre continua a salire. E’ debilitato, in così poco tempo ha già perso troppo peso e non se la sta passando bene con la tosse . –  Il cuore di Merida saltò un battito al solo udire il suo nome. Dalla festa dell’estate avevano ricominciato a parlare, ma il lavoro e gli impegni li avevano allontanati a forza. Non avevano avuto molto tempo per poter stare insieme e  inoltre, lui era stato via fino a settembre, aveva lavorato in miniera e aveva messo da parte dei soldi per aprire il suo studio veterinario.
Finalmente aveva qualche giorno libero - intenzionata a recuperare il tempo perso -  e adesso veniva a sapere che lui stava così male?
– La tisi è così violenta …?– Chiese in tono calmo, ma si sentiva una bomba a orologeria.
Riuscì a scorgere-attraverso i riccioli rossi ricaduti sul viso- Rapunzel annuire sommessamente e sospirare rassegnata. Ecco cos’era quell’aria angosciata. Aveva pianto, adesso si spiegava cos’avessero di diverso i suoi occhi, perché non l’aveva intuito prima?
– P- perché è successo? Come sta adesso?  Hai provato con le tue cure ?!? Cosa gli hai dato?!? –  Aveva esagerato ad incalzare così con le domande, ma si sentì come pendere dalle risposte di Rapunzel, si era voltata di scatto e aveva puntato i suoi occhi verde acqua sul viso delicato della bionda attendendo risposte.
 – R- riesco giusto a calmare la tosse di tanto in tanto con il latte caldo e l’oppio!–
– NON E’ ABBASTANZA! – Rapunzel sobbalzò alla sua reazione decisamente aggressiva. Aveva esagerato alzando la voce, non poteva prendersela con lei se Hic non stava bene, ma non era una novità per la bionda l’atteggiamento della sua amica.
Cercò di ridimensionare le sue repliche, allungò una mano verso colei al quale avrebbe dovuto essere grata per ciò che aveva fatto nell’accudirlo.
– Perdonami, io … –
–  Lo so. Quando si parla di lui tu non sei mai lucida. –
Merida si sfiorò un braccio in preda all’ansia. Gettò dietro le orecchie un ricciolo ribelle e si diresse verso l’armadietto dei medicinali.
– Non dovresti andare da lui. – Doveva aspettarselo che la sua amica avrebbe provato a fermarla.
– Prova ad impedirmelo. – Rapunzel si scagliò contro di lei afferrandola per un braccio e strattonandola.
– Non fare la stupida! Il rischio di contagio è elevatissimo e io non ti lascerò fare sciocchezze! –
– Rapunzel! Devi lasciarmi andare! –  Spingerla di lato bastò a farla indietreggiare e lasciarle via libera, ma questo non le impedì di inseguirla su per le scale. Nonostante Merida sfrecciasse lungo i corridoi con estrema velocità la bionda riusciva comunque a starle alle calcagna e a farsi sentire, come fosse la voce della coscienza. Con un balzo, prima che potesse raggiungere la camera in quarantena, l’afferrò per l’abito per poi sbatterla contro il muro.
Le parlò a pochi centimetri dalla faccia, con le lacrime agli occhi e il cuore in gola.
– Tu non capisci! Potresti ammalarti e allora io non potrei salvarti! Cosa farò quando comincerai a sputare sangue e io non potrò far altro che guardarti morire?!? –
Ci fu un lungo silenzio, fatto di affannosi respiri e un profondo sguardo carico di una vita di affetto non dimostrato mai, se non somministrato in piccole dosi. Qualcosa che - lo sapeva fin da quando gattonava, Merida- dava per scontato e certo, ma che si era soffermata talvolta a pensare se non fosse fin troppo scostante nei confronti di quella creatura delicata dal cuore così leale da rinunciare a tutto pur di restare con loro.
Rapunzel lasciò andare la manica sgualcita dell’abito della rossa e una ciocca di capelli le nascose il viso, le ombre giocarono a nascondino sui suoi lineamenti  fini e quelle piccole gocce ferme alla coda dell’occhio le ricordarono un momento di molti anni prima.




– Smettila di piangere! Ti ho detto che non deve importarti nulla di questo! –
– … –  Ma Rapunzel non accennò al muoversi dalla posizione difensiva e rannicchiata che aveva assunto. Non un singulto la smosse, ma Merida ne era sicura, le lacrime le stavano solcando il viso.
La rossa dalle guance rosee e paffute sbuffò in modo plateale facendo roteare gli occhi.
– Quella è una cosa da principesse! Io sono un cavaliere! – Esclamò arrampicandosi sul divano del salotto e sguainando la spada di legno.
A quelle parole la piccola biondina alzò lo sguardo e  la osservò rapita, si strofinò un occhio con la manica dalla stoffa lercia e consunta, di quegli abiti smessi di altri e passati di anno in anno ai più piccoli.
– Io combatterò qualunque cosa! Nessuno può affrontarmi senza perdere almeno un arto! –
Rapunzel continuò a guardarla agitare quella finta arma con una fierezza e un coraggio che non le sarebbero mai appartenuti.
Avrebbe voluto essere un cavaliere, come Merida. Avrebbe voluto smettere di piangere e alzarsi per combattere al suo fianco.
Ma come poteva una bambina che non riusciva nemmeno a parlare diventare un forte guerriero?
– … Mi salverai? –
Chiese con l’ingenuità propria solamente di quell’età. Gli occhioni spalancati e speranzosi di udire la risposta desiderata.
– Salvarti da che cosa? – 
– Da me stessa … –






Merida ebbe la sensazione di ritornare al presente quando quel ricordo venne risucchiato dal cassetto della sua memoria.
Puntò le iridi chiare in quelle della sorella acquisita  e fu come vederla per la prima volta.
E allora compì un gesto che mai si sarebbe aspettata da se stessa, prima di allora, e probabilmente, lo stesso pensava Rapunzel che restò immobile con gli occhi sgranati e increduli.
Si spinse in avanti, verso di lei, e le circondò le spalle in un abbraccio, un gesto che in tutti gli anni trascorsi insieme non aveva mai fatto di sua iniziativa, qualcosa che aveva solamente ricambiato fino a quel giorno.
La strinse a se dolcemente, cercando di tranquillizzarla con la tenerezza che non sapeva di possedere.
– So che non vuoi perdermi, perciò ti giuro che farò di tutto perché non accada…–  Sussurrò facendo scorrere le mani sulla schiena dell’amica affettuosamente.

– Ma, non puoi chiedermi di lasciarlo da solo. –
Il sussulto della bionda non sfuggì a Merida, che socchiuse gli occhi sospirando,  ed ebbe giusto il tempo di riprender fiato e riaprirli, per scoprire il vuoto lasciato da Rapunzel allontanatasi dal suo corpo bruscamente, con uno sguardo astioso e rimproverante che fece raggelare il sangue ad entrambe. Per spezzare quel maledetto silenzio imbarazzante, la rossa, afferrò il manico ricurvo di un candelabro poggiato su una mensola poco più in alto delle loro teste.
Quando si voltò ancora a guardare la ragazza dai capelli dorati - finalmente -parlò.
– Ho dovuto sedarlo con dei narcotici, non dormiva da giorni, perciò non svegliarlo assolutamente o comincerà di nuovo a tossire e a star male . –  Si congedò con un’occhiata rivolta alla porta della camera in fondo al corridoio e si allontanò immediatamente a grandi falcate. Merida la osservò scendere le scale quasi di corsa, e non si rese conto di quanti secondi ci vollero perché si decidesse a poggiare la mano sul pomello della porta ed entrare.
Quando finalmente varcò la soglia un odore di erbe medicinali le riempì le narici, le pareti della camera erano, come al solito, tappezzate di disegni e progetti accuratamente studiati.
La camera non era grande, eppure pensò che fosse difficile muoversi a tentoni nell’oscurità, ma si sentì improvvisamente guidare da un respiro affannato e irregolare, il suo respiro.
Arrivò al letto di Hiccup tastando la parete e protendendo la mano libera in avanti, si bloccò un momento ricordandosi di avere una scatola di fiammiferi nella tasca del grembiule da lavoro, che ancora portava.
Frugò all’interno della stoffa per poi afferrare il piccolo cartoncino. Poggiò sul pavimento scricchiolante il candelabro e riuscì ad accendere la debole fiammella che illuminò per un secondo l’ambiente circostante. Avvicinò il fiammifero allo stoppino della candela e fu subito luce, fioca, ma pur sempre calda e rassicurante luce.
Si rimise in piedi e - finalmente e di nuovo - con il dono della vista, riuscì a volgere lo sguardo lungo la figura distesa nel letto sfatto, dalle lenzuola sgualcite e gettate alla rinfusa in alcuni punti.
Gli sembrò che fosse trascorso un battito di ciglia da quando si intrufolava in quel letto che sentiva suo, più di quello che effettivamente avrebbe dovuto esserlo, e si sentiva protetta, come se nulla al di fuori di quelle coperte potesse scalfirla o farle del male, come se quel ragazzo fosse una sorta di scudo contro il mondo intero per lei, e a volte, si colpevolizzava per questo, detestava quel suo essere così dipendente da Hiccup che magari neanche faceva caso alla sua presenza, o comunque non allo stesso modo.
Il lenzuolo azzurro lo ricopriva fino al basso ventre per poi srotolarsi verso il pavimento, rabbrividì nel vederlo a torso nudo e disteso sul fianco destro, con un braccio sporgente al di fuori del letto, come a chiedere qualcosa, un sollievo che non arrivava mai o quasi, e l’altro lasciato ricadere nel punto vita. Rapunzel si era presa cura di lui egregiamente, a giudicare dal fatto che stava finalmente riposando.
Nacque in lei un moto di tenerezza al sentire il respiro ansimante e non riuscì a resistere all’impulso di arrampicarsi sul letto accanto a lui.
Nonostante sapesse che era un rischio, nonostante si rendesse perfettamente conto che stava facendo una sciocchezza e che avrebbe potuto ammalarsi anche lei. Non poteva farcela a starsene lì, così distante dalla sua pelle.
Poggiò le ginocchia sul materasso morbido e il suo peso lo fece sprofondare appena dalla sua parte, si sistemò ancora una volta accanto a lui, come aveva sempre fatto da quando ne aveva memoria.
Giocherellò picchiettando le dita sulle sue scapole sporgenti, come faceva da bambina, quando non riusciva a dormire o quando era arrabbiata, per calmarsi e sentirsi meglio.
Sperò con tutto il cuore di non svegliarlo. Fece scorrere un braccio lungo il fianco di Hiccup e si strinse forte a lui, finché quasi non sentì mancar l’ossigeno per quanto premette il suo petto contro la schiena longilinea di lui.
– Mi dispiace se non ci sono stata quando hai avuto bisogno di me … – Bisbigliò  in preda ai sensi di colpa.
– Scusami per tutte le volte che sono stata così sgradevole da farti pensare di volermi strangolare. –  Le sfuggì un sorriso nervoso al pensiero di ciò che avrebbe veramente voluto dire, sentì di poter approfittare di quel momento di incoscienza di Hiccup per poter confessare il suo segreto.
Poggiò la fronte contro la sua pelle nuda e calda e fu come se l’universo si fosse congelato. Avvertì un senso di frustrazione al solo pensiero di non poter più abbracciare il suo calore, non riusciva a credere che quella maledetta malattia potesse portarglielo via. Strinse più forte, accarezzando il suo torace, sentendo sotto le dita ogni costola sporgente.
– Sono una vigliacca. La verità è che non ho nemmeno il coraggio di dirti quello che sento mentre sei sveglio. Approfitto  del tuo stato febbricitante solo perché ho paura di essere sincera. Io ti. . .  –
Ma non finì la frase, sentì qualcosa sotto le sue mani, o meglio, si accorse di non stare più avvertendo il movimento  del suo torace, abbassarsi e rigonfiarsi ritmicamente e ciò l’allarmò.
Si sporse di scatto aggrappandosi a lui e quando riuscì a guardare il suo profilo scorse gli occhi bene aperti. Da quanto si era svegliato?
Avvampò credendo che probabilmente aveva sentito le sue scuse, e si sentì bruciare al solo pensiero che se non se ne fosse accorta avrebbe continuato a parlare convinta che stesse dormendo. Avrebbe fatto saltare il lucchetto dei suoi segreti convinta che lui non la stesse ascoltando.
Fortuna che quel piccolo dettaglio l’aveva tradito. Trattenere il respiro - una reazione naturale dovuta alla tensione di ascoltare ciò che lei stava per dire – era stato un passo falso.
I narcotici lo tenevano ancora su di giri, la tosse non si era ancora fatta sentire e Merida si sentì sollevata.

– Da quanto sei sveglio? –
– . . . Continua. . . –
Perfetto. Adesso sapeva che c’era qualcosa, pensare di inventarsi una bugia sul momento fu fin troppo facile, ma una vocina dentro di se le suggeriva di essere sincera. Almeno stavolta. Per la prima, unica e  forse ultima volta in vita sua.
– Per favore. –  Sussurrò con la voce spezzata, implorò quasi, un briciolo di sincerità da parte sua. Come poteva negarglielo?
Si issò a sede e afferrò un piccolo barattolino di latta dal comodino, la luce fioca della candela che si consumava mano a mano che i minuti scorrevano la fece rabbrividire, paragonò orribilmente il cero alla vita del ragazzo, consumato dalla febbre, come la miccia consumata dal fuoco.
Aprì il barattolo e immerse due dita nella crema di menta che Rapunzel aveva preparato per alleviare le sofferenze causate dalla tosse convulsa.
Si sistemò a cavalcioni su di lui, tenendosi sulle ginocchia evitando di gravare sul suo corpo.
Spalmò la crema fresca sul petto del ragazzo e lo sentì rilassarsi.
– Stavo soltanto facendo uno dei miei soliti monologhi. Nulla di importante. –
– Non è vero … – Ansimò socchiudendo gli occhi e stringendo un lembo della veste di Merida, tirandola verso di se e lasciandole una gamba seminuda.
– Sei venuta, finalmente. – Si sentì colpire dritta al cuore. La stava aspettando, quindi? Si sentì morire, perché non era arrivata prima? Perché aveva perso tanto tempo? 
Accarezzò il suo petto con estrema cura, il respiro di lui diveniva man mano più regolare.
– Non potevo perdermi l’ennesima occasione di intrufolarmi nel tuo letto. –
– Dovresti stare lontano da me. –
Merida sorrise amaramente.
– Non me ne importa niente Hiccup, sai perché? –
Il moro si limitò a guardarla sospettoso. Merida si lasciò cadere sulle ginocchia rilassando i muscoli e restando su di lui, con il fare innocente e puro di una bambina.
 – Essere abbandonata dai miei veri genitori, sulle scale di questo orfanotrofio, è stata la mia più grande fortuna. –
Lo sapeva, a quella frase Hiccup storse il naso e roteò gli occhi lividi al cielo, che diamine stava dicendo adesso? Lui era malato e lei delirava?
– Perché mi ha portato da te. –
Continuò noncurante dell’espressione del ragazzo, che era appena cambiata.
Le iridi verdi e lucide  adesso erano ben in vista, perché aveva sgranato gli occhi incredulo dopo aver udito quelle parole.
Fece scorrere una mano scarna sulla pelle morbida della coscia di Merida sorridendole dolcemente.
La sentì rabbrividire a quel contatto, probabilmente per la differenza di temperatura fra i due. Era la cosa più dolce e affettuosa che lei gli avesse mai rivelato. Un momento che avrebbe dovuto conservare gelosamente per il resto della sua vita.
– Hai aspettato che fossi in questo stato per dirmelo? – Solo lui poteva fare l’ironico anche in quella situazione.
Merida sorrise e si abbassò lentamente verso di lui, spostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte, quando gli fu dinanzi al viso si sporse maggiormente per poggiargli le mani sul petto e accarezzarlo teneramente.
– Io ti salverò, te lo giuro. – Bisbigliò, forse più a se stessa che a lui.
Hiccup le percorse con entrambe le mani le gambe, a tratti stringendo più forte la pelle per meglio sentire il contatto contro i palmi, continuò su per i fianchi, stavolta coperti e avvolti dalla stoffa, fino a raggiungere il collo, che sfiorò delicatamente.
– Non puoi farlo. Ma grazie. – Sospirò stanco e sofferente puntando i suoi occhi vitrei in quelli vispi e accesi di lei.
 – Sì invece, ma devi promettermi che mi porterai via con te, promettimi che non mi lascerai qui da sola. –
– Tu sei mia. –
Merida sentì il cuore gonfiarsi al punto da poterle esplodere dal petto, riuscì appena a resistere all’impulso di poggiare le sue labbra su quelle aride di Hiccup.
– Prometti. –
– Promesso. –
E così suggellavano i loro patti da quando erano bambini. Lui ricordò perfettamente tutti gli istanti in cui Merida l’aveva costretto a promettere le cose più disparate; quando gli fece promettere di non dire ad anima viva di aver sanguinato nel suo letto per la prima volta o altrimenti l’avrebbe sgozzato e il prossimo sangue sulle sue lenzuola sarebbe uscito dalla sua gola, oppure quando lo costrinse a promettere di non dire alla direttrice che stava rubando le nocciole dalla dispensa per darle allo scoiattolo che restava sempre a bocca asciutta.
La sentì scivolare dolcemente giù dal letto e dirigersi verso la porta.
– Non andartene. – La supplicò.
– Hai bisogno del decotto di salvia freddo, perché non sudi troppo durante la notte e rischi un collasso, vado a farmelo dare da Rapunzel e torno. – Fece per uscire quando la sua voce la bloccò.
– Mi stai lasciando di nuovo.– Vide Hic stringersi nelle spalle e socchiudere gli occhi.
– Tornerò subito, davvero Hic . –
Era la prima volta in tanti anni che mostrava di voler restare con lei a tutti i costi, si costrinse a pensare che fosse solo per la febbre, non era il momento di illudersi.
 
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Strinse gli occhi osservando il compito di Coraline più da vicino. Incredibile quanto quella ragazzina potesse commettere tanti errori grammaticali in un solo tema. Poggiò il foglio di carta stropicciato sulla scrivania e si massaggiò le tempie cercando di rilassarsi. Da quando lavorava all’orfanotrofio come insegnante per i più piccoli sembrava andare tutto meglio.  O almeno finché Hiccup non si era beccato la tisi e stava facendo preoccupare tutti.
Adesso almeno occupava il tempo in molti modi, stare con i più piccoli gli piaceva. Stava bene.
Pensare a Rapunzel non era più un ossessione, anche se non riusciva veramente a dimenticarla. Sentiva di appartenerle anima e corpo e non c’era nessuna occupazione che potesse distrarre la sua mente da quella passione unilaterale.
Quante volte aveva sognato di poterla stringere fra le sue braccia ?
 Dalla festa dell’estate il rapporto con lei era precipitato al punto da ridursi a brevi sguardi astiosi da parte sua.
Lo colpevolizzava di averle impedito di partire con Flynn, era convinta che l’unico motivo per cui lui l’avesse abbandonata fosse solo questo. Lui.
Sì. Era partito per le Americhe senza di lei e il suo cuore si era frantumato in mille pezzi al solo pensiero di restare da sola.
Vederla soffrire in quel modo per quel ragazzo lo dilaniava. Possibile che meritasse tutta la sua tristezza?
Si era sentito così crudele quando realizzò di star pensando che avrebbe voluto vederla piangere per lui. Non voleva certo questo, non era così sadico, eppure, avrebbe voluto che lei l’avesse amato al punto di versare molte lacrime soltanto per rivederlo, per un suo gelido abbraccio.
Si rese conto di aver saltato l’ennesimo pasto soltanto quando il suo stomaco cominciò a farsi sentire, giustamente. Si alzò in preda ai morsi della fame e uscì dall’ aula per dirigersi verso le cucine.
Era tutto molto silenzioso. L’ora di cena era passata da un pezzo e tutto sembrava dormiente.
Raggiunse la dispensa, sgattaiolando silenziosamente per non urtare le millemila pentole sugli scaffali che ormai costeggiavano entrambi i lati della stanza, si insinuò all’interno e cercò qualcosa da mettere sotto i denti. Possibile che avessero messo tutto sotto chiave? Colpa di Merida!
Trovò della frutta e pensò di essere stato perfino fortunato. Una mela in fondo poteva almeno mangiarla, non sarebbe andato a letto a pancia vuota.
Raccolse un paio di mele e richiuse la dispensa con un piccolo calcetto, fece per voltarsi e uscire dalla cucina ma quasi gli sfuggì un urlo terrorizzato quando la figura di Rapunzel gli si piantò dinanzi come una visione.
– Oh mio...! Ti sembra il caso di comparire così ? – Riuscì a non far cadere la frutta, la fame sembrò tutto d’un tratto svanire per lasciare il posto ad una fitta lancinante alla bocca dello stomaco, possibile che gli facesse questo effetto?
Perfino nell’oscurità restava bellissima come una divinità greca.
– Scusa. Non pensavo di essere diventata così brutta da farti paura. –
– Molto divertente, vero? Prendermi in giro su qualcosa che, sai benissimo, essere il contrario di ciò che affermi. –
La biondina si limitò ad un’alzata di spalle e passò oltre, sfoggiando un sorrisetto soddisfatto e aprendo l’armadietto degli strumenti da cucina.
– Non è un problema mio, Jack, se non fai altro che guardarmi ogni volta che ti passo davanti.  –
L’albino sbuffò senza ritegno, non la sopportava quando faceva la smorfiosa.
– Pensi di essere così tanto al centro dei miei pensieri bionda? Mi dispiace deluderti ma non è così. Ho altro per la testa, ma che egocentrica! –
Si voltò infastidito da tanta sfacciataggine e fece per andarsene, ma la voce della ragazza lo fermò, o meglio, con la coda dell’occhio la vide sbattere dei mestoli sul tavolo e dirigersi a grandi falcate verso di lui, e per non essere colto alla sprovvista si voltò immediatamente.
Se la ritrovò addosso in pochi secondi e non riuscì a far altro che indietreggiare.
– Stai forse dicendo che non sono niente adesso? Vuoi negare che non fai altro che fantasticare su quanto saresti felice se ti dicessi che sono pazzamente innamorata di te ? –
Sembrava decisamente su di giri e fuori di testa, ma cosa le prendeva adesso?
– Devi aver lavorato troppo e probabilmente sarai stanca. Va a dormire, non sai quello che dici. –
Afferrò una mela, strappandogliela dalle mani e lanciandola verso il tavolo, furiosa. Ma non fu niente in confronto alla scenata che scatenò in seguito, agitandosi e strillando come un’ossessa.
– Vuoi forse negare che vorresti strapparmi l’abito e vedere finalmente cosa c’è sotto tutta questa stoffa? –
Jack cercò di allontanarsi ma prima che potesse farlo Rapunzel afferrò le sue mani e tentò di portarsele addosso.
 – Avanti fallo, fallo!  Soddisfati finché ce la fai e lasciami anche tu, forza … –
Non finì la frase perché qualcosa di sonoro e ben assestato la colpì in pieno volto facendola bloccare di colpo.
Si sfiorò la guancia dolorante, massaggiandola lievemente. Ancora interdetta per ciò che era appena accaduto.
Si voltò di nuovo verso l’albino e una ciocca di capelli dorati le ricadde dinanzi agli occhi sgranati, oscurandole metà faccia.
Non riuscì a parlare né a muoversi, perché Jack le si avvicinò digrignando i denti e ringhiando come un cane rabbioso, l’afferrò per i polsi e la strattonò finché perfino i suoi capelli cominciarono a oscillare.
– Come ti permetti?! ? Io, che ti conosco fin da quando portavi il pannolino! Puoi fare la smorfiosa ribelle quanto vuoi Rapunzel, ma non ti azzardare più a trattarmi come uno schifoso pervertito, perché non ti concederò di parlarmi così un’altra volta! –
Non ricevette alcuna risposta, era troppo sconvolta e scioccata per poter parlare, riuscì solamente a lasciarsi stringere i polsi e a guardarlo negli occhi, mentre le lacrime calde e salate le scivolarono sul viso solcandolo come ruscelli fra le montagne.
– Se stai soffrendo, se sei infelice piangi, sfogati , picchiami se vuoi, ma non ferirmi in questo modo perché non te lo perdonerei mai … –
La presa si fece più lenta, a quel punto Rapunzel si accostò al corpo di Jack, poggiò la fronte contro il suo petto e affondò le unghie nella sua schiena.
Non pensava quelle cose di lui, non le aveva mai pensate. Era solo frustrata e amareggiata e aveva bisogno della forza dell’albino, perché lui era l’unico a riuscire a placare la tempesta che si scatenava dentro di lei.
Jack non si mosse, socchiuse appena gli occhi e gemette piano quando avvertì il dolore dei graffi profondi, ma non si spostò.
– So che non provi nulla per me , ma farebbe qualche differenza se ti dicessi che... nessuno potrà mai amare qualcuno quanto io amo te? –
Rapunzel si strinse più forte a lui in preda ai singhiozzi.
Non riuscì a rispondergli, ma lo sapeva, prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, c’era tutta la differenza del mondo.
  
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