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Autore: lilyhachi    29/04/2014    3 recensioni
(Post terza stagione; nessun collegamento con la quarta stagione)
Madison era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era in grado di vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III
 

Robbers
 
“Shadows settle on the place, that you left.
Our minds are troubled by the emptiness.
Destroy the middle, it's a waste of time.
From the perfect start to the finish line.
And if you're still breathing, you're the lucky ones”.
(Daughter – Youth)
 
Quattro cappuccini, sei caffè e circa dieci ciambelle dopo,  Madison si stiracchiò, voltandosi verso l’orologio appeso alla parete lilla che segnava le dieci.
“Buongiorno di nuovo, luce dei miei occhi!”.
Lana era appena entrata nella caffetteria con uno dei suoi sorrisi stampati sul volto e l’aria di chi non vedeva l’ora di fiondarsi in classe, perché Lana era esattamente così. La sua migliore amica attendeva sempre con impazienza di infilarsi in aula e seguire i corsi che più le interessavano, indubbiamente c’erano anche state quelle giornate che avevano visto Madison trascinarla dal letto per alzarsi ma di norma Lana amava l’università e le piaceva studiare. Nonostante Madison non capisse molto cosa potesse esserci di piacevole nello studiare un libro di diritto penale…ma Lana poteva chiedersi lo stesso di metodologie e tecniche dello scavo archeologico. A ognuno le sue passioni specifiche.
Lana si aggiustò il cappellino rosso, sistemando anche i capelli scuri perfettamente lisci che cadevano sulle spalle e strinse la mano attorno alla sua tracolla in tinta con il cappello. La sua entrata fece voltare non pochi clienti, ma Lana non ci faceva mai caso, poiché il suo desiderio era tutto tranne che attirare l’attenzione: Madison l’adorava anche per quello.
Lana Masters sapeva sicuramente di essere una delle più belle ragazze viste in circolazione, ma la cosa non sembrava importarle minimamente.
Si muoveva in modo naturale, senza badare agli occhi che potevano posarsi su di lei perché non li vedeva.
Conoscere una persona che sapeva concentrarsi più sugli altri che su sé stessa era raro, ma con Lana, Madison aveva davvero avuto un colpo di fortuna, poiché non l’avrebbe cambiata per nessun altro, tenendola stretta con tutti i suoi pregi e difetti.
“Avanti, Cenerentola!”, la richiamò Lana, poggiandosi al bancone. “Andiamo”.
Madison sorrise in risposta e prese la borsa e la giacca poggiate dietro al bancone per poi avvicinarsi all’amica che le portò un braccio attorno alle spalle.
L’entusiasmo che Lana sapeva mostrare di mattina era disarmante, le bastava alzarsi dal letto e camminare per il corridoio per potersi svegliare completamente, poiché appena sveglia sembrava un cadavere ambulante, cosa su cui Madison la scherniva continuamente.
Tuttavia, ci metteva pochissimo tempo a diventare attiva e pimpante.
Madison sorrise, ricordando la reazione che Lana aveva avuto giusto qualche sera fa, dopo aver scoperto che gli uomini con cui avevano conversato non erano altro che Derek e Peter Hale. Nonostante la musica assordante, Lana era stata in grado di romperle un timpano.
Li aveva fissati con la bocca spalancata mentre abbandonavano il locale e Madison dovette sfregarsi il viso con le mani per non scoppiare a ridere, data la scena alquanto comica. Dopodiché, Lana le aveva rifilato un colpo ben assestato sul braccio, accompagnato anche da un rimprovero per non averla chiamata subito. Secondo lei, Madison le aveva impedito di parlare il più possibile con Peter Hale, poiché era assodato che avesse un debole per lui.
Madison si era limitata ad assecondare la scenata della sua amica con un’espressione decisamente divertita che la fece infuriare ancora più di prima.
Se le avesse detto che aveva visto Derek anche prima, con suo zio Peter e una ragazza che lo aspettavano fuori, probabilmente l’avrebbe uccisa senza troppe cerimonie. Tuttavia, Madison pensò di non badarci e camminò con la sua amica verso l'università.
C’era qualcosa di diverso nell’aria quel giorno. Più Madison si guardava intorno più ogni cosa le appariva strana, quasi fittizia, come se stesse vivendo quella giornata con la consapevolezza che non fosse reale. Evidentemente aveva bevuto troppo caffè ma quella sensazione continuò a svolazzare intorno a lei, come fosse una farfalla che Madison poteva soltanto osservare fin quando non sarebbe volata via lontano da lei. Riusciva a malapena a percepire i colori che la circondavano.
Per qualche motivo che ancora non riusciva a comprendere, Madison aveva il vago sentore che quella giornata sarebbe quasi volata via da lei in un battito di ciglia, senza permetterle di afferrare ciò che la turbava realmente.
 
“Quello, invece, è uno dei due complessi più antichi di tutto il campus!”, Cora indicò un edificio che troneggiava a non molta distanza da loro, la cui imponenza lasciò Derek vagamente sorpreso.
Per Derek vedere Cora che si muoveva come se fosse a casa sua, fu uno dei momenti più belli e strani: sua sorella si sentiva a suo agio in quel luogo circondato dal verde dove orde di studenti con i libri stretti al petto si muovevano in maniera agitata e frettolosa, correndo di qua e di là.
Cora desiderava vivere all’interno di quel posto e Derek non poteva far altro che augurarglielo con tutto il cuore: era sua sorella e voleva solo che stesse bene, e possibilmente lontana dai guai.
Suo zio gli gettò uno sguardo divertito che Derek ricambiò con una delle sue occhiatacce sgradevoli, cosa che fece solo ridere Peter ancora di più.
La ragazza aveva mostrato loro ogni edificio e anche la biblioteca; se Cora non avesse avuto diciassette anni, Derek avrebbe detto con assoluta certezza che fosse una studentessa del campus, visto che ne conosceva ogni angolo…chissà quanto tempo ci trascorreva.
Riusciva ad immaginarla, immersa in quell’ambiente tranquillo e soleggiato, mentre si imbronciava dopo aver notato che un perfetto sconosciuto aveva occupato il suo posto preferito all’ombra di un albero, dove era solita mettersi per studiare e forzandosi per non ringhiargli contro.
“Devo dire che la fauna di queste parti non è niente male”.
Peter rincorse con lo sguardo un gruppetto di studentesse che dovevano avere almeno poco più di vent’anni a testa, e Derek corrucciò lo sguardo, scuotendo il capo in segno di dissenso verso i soliti apprezzamenti per nulla graditi di suo zio.
“Sei disgustoso”, sentenziò lui, facendo voltare Peter che arricciò le labbra, pensieroso.
“Oh andiamo!”, ribattè con un ingannevole tono innocente. “Sto solo ammirando quello che la natura mi offre, sono tanto disgustoso? Sono un uomo, non fare il santo con me”.
Cora roteò gli occhi, ignorando nuovamente suo zio che metteva lo sguardo su una ragazza bionda che gli stava passando accanto proprio in quel preciso momento.
Derek fu tentato dal tirargli un pugno in pieno viso ma non gli sembrava né il luogo né il momento adatto per dare un simile spettacolo, così si limitò ad ignorarlo.
Faceva ancora fatica a convivere civilmente con Peter, soprattutto dopo ciò che avevano passato. Sicuramente non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi a passare una giornata insieme a lui e Cora, ma questo non stava certo ad indicare che avesse dimenticato ogni cosa. Ricordava alla perfezione ogni dettaglio di tutti i conflitti che li avevano visti l’uno contro l’altro, fin da ragazzini. Eppure, la sua presenza gli andava bene, soprattutto se Peter si limitava a farsi gli affari suoi e a non tentare di danneggiarlo in qualche modo. Senza disgrazie in giro, non vedeva come fosse possibile.
Continuò a camminare, fin quando un altro mugolio di apprezzamento da parte di Peter, decisamente più soddisfatto degli altri, lo costrinse a voltarsi, seguito a ruota da sua sorella. Suo zio aveva trovato qualcun altro su cui focalizzare tutta l’attenzione che era in grado di dare: si trattava di una ragazza piuttosto alta con dei lunghi capelli scuri e lisci che le scivolavano sulle spalle e un cappellino rosso. Era una ragazza decisamente singolare che Derek aveva già visto, e, in realtà, anche Peter…ma mentre suo zio si concentrava su di lei, Derek volse lo sguardo sulla figura che le stava accanto, cioè Madison. Forse l’universo stava cercando di dirgli qualcosa…ma nulla di positivo, almeno per come la vedeva lui. Possibile che dovesse incontrare quella Madison in ogni anfratto della città? Possibile che Cora dovesse costringerlo a fare un tour dell’università proprio quel giorno? Aveva raggiunto una specie di record, doveva riconoscerlo e se Stiles fosse stato insieme a loro lo avrebbe sicuramente punzecchiato con i suoi soliti modi fastidiosi.
Peter si voltò verso di lui, esibendosi in un sorrisetto compiaciuto e piegando il capo da un lato.
La ragazza con il capellino rosso stava parlando con Madison, continuando a camminare ma non appena alzò gli occhi, non ci mise molto per accorgersi di Peter, al quale sorrise subito.
L’espressione stomacata di Derek lasciava pochissimo spazio all’immaginazione e quella di Cora non era da meno, poiché vedere il proprio zio filtrare con una studentessa non era sicuramente nella lista dei loro desideri più reconditi.
“Ciao”, la salutò Peter senza farsi troppi problemi, come suo solito.
“Ciao anche a te”, rispose la ragazza, continuando a sorridergli come se lo conoscesse.
“L’altra sera non ho avuto modo di presentarmi”, continuò con tono mellifluo e tendendo la mano verso di lei, mentre Madison soffocò una risata “Io sono Peter”.
“Lana”, rispose l'altra, stringendogli la mano a sua volta e corrugando le labbra.
Madison si voltò verso Derek, senza dire nulla, ma esibendo uno sguardo che sembrava pizzicarlo, e Derek lo evitò prontamente, come fosse la peste.
“Hai finito?”, domandò Derek, rivolgendosi a suo zio con tono poco garbato, tanto che Peter lo fulminò con un’espressione talmente calma da far paura.
“Loro sono i miei nipoti, Derek”, ammise Peter, scrollando le spalle e facendo ridere Lana, la quale lo osservò con circospezione, senza nascondere minimamente il fatto che lo stesse praticamente studiando. “E Cora”.
“A prima vista non si direbbe”, constatò lei, continuando a squadrare prima Derek da capo a piedi, e poi Cora.
Quest'ultima si voltò verso il fratello, come se gli stesse rivolgendo una muta domanda.
“Lei è la mia amica Madison, ti ricordi di lei, suppongo”, esclamò Lana, indicando la ragazza alle sue spalle che però non tese alcuna mano, limitandosi a fare un cenno di saluto, rimanendo ferma sul posto.
Derek approfittò del suo attimo distrazione per osservarla meglio, notando la curva delle sue labbra e le ciocche di capelli castani che ricadevano sul viso baciato dal sole. Tuttavia, non appena Madison sembrò voltarsi verso di lui, Derek distolse immediatamente lo sguardo, come un bambino che era stato scoperto a rubare una caramella. Derek si dondolò sulle gambe, serrando le labbra e guardando lo zio, come se sperasse con tutto sé stesso di vederlo mettere fine a quella conversazione imbarazzante. Madison continuò a studiarlo con curiosità, notando quanto quel ragazzo fosse quasi inafferrabile, con lo sguardo di chi desiderava trovarsi altrove, a mille miglia dal posto in cui era costretto a restare. Intanto, Derek sentiva su di sé lo sguardo indagatore di Madison, cosa che non lo rassicurava molto: se non fosse stata una sconosciuta, le avrebbe ringhiato contro senza troppi preamboli, ma Madison era una ragazza normale, una studentessa che lavorava forse per pagarsi gli studi e che conduceva una vita perfettamente normale e diversa dalla sua.
Normale. Quante volte aveva ripetuto quel termine negli ultimi giorni?
Ormai, il senso perenne di frustrazione si faceva spazio nell’animo di Derek sempre in quei momenti in cui sembrava trovarsi ad un passo dalla normalità, come se l’universo stesse cercando di dirgli che non era adatto ad un vantaggio simile.
Ciò che per le persone comuni era ordinario e monotono, per Derek poteva essere il paradiso terrestre…ma le cose semplici non erano alla sua portata.
Quella bolla d’aria che Derek si stava costruendo per tentare in ogni modo di estraniarsi da quella situazione nuova e scomoda, venne scalfita dall’arrivo di qualcun altro, qualcuno che lui, Peter o Cora non potevano conoscere…o almeno così credeva.
Un ragazzo alto con i capelli biondo cenere che dall’aspetto sembrava essere uno studente si avvicinò a Lana e Madison, le quali si irrigidirono alla sua vista, come se quello sconosciuto non fosse per nulla gradito. Lana guardò subito Madison, come se aspettasse un suo gesto o qualsiasi parola che potesse dirle cosa fare, mentre Derek udiva chiaramente il cuore di lei mancare un battito.
Derek aveva il sentore che Madison fosse quasi inseguita da qualcosa o da qualcuno, correndo a perdifiato ma con la consapevolezza di non riuscire a scappare neanche volendo, perchè si trovava già intrappolata, con le spalle al muro.
“Posso parlarti un secondo?”, domandò il ragazzo, rivolgendosi a Madison.
Lei sembrò rifletterci per un momento, guardando un punto indefinito tra l’erba curata che li circondava e poi si limitò a fare un semplice cenno di assenso, senza guardarlo in viso. Quando il ragazzo si voltò verso di loro prima di andarsene, qualcosa nel suo viso mutò immediatamente: fu come una specie di folgorazione che non notò soltanto lui. Il battito del ragazzo aumentò immediatamente, rivelando qualcosa che a parole non poteva essere percepita, ma che Derek aveva colto e con lui anche Peter e Cora. Derek sostenne il suo sguardo, cercando di scrutarlo il più possibile, ma lui lo evitò quasi subito, come se avesse già fatto trapelare troppo in quei pochi secondi. Il ragazzo, da calmo e intimidito, era divenuto improvvisamente agitato, sembrava che avesse visto qualcuno che non doveva essere lì in quel preciso instante ma se non conosceva nessuno di loro, come poteva risultare un problema per lui e per ciò che sembrava voler dire a Madison?
Non appena il ragazzo si allontanò insieme a Madison, i tre si scambiarono uno sguardo leggermente perplesso, mentre Peter si avvicinava a Lana, prendendole delicatamente le mani, sotto gli occhi sorpresi e divertiti di lei.
“Mia cara, devo andare”, disse lui con voce carezzevole e mostrando uno sguardo mortificato, mentre Lana piegava la testa da un lato. “Ci rivedremo”.
Lana lo guardò, seguendo la sua figura mentre andava via, e accennò un sorriso, scuotendo poi la testa e recandosi finalmente in aula. Tuttavia, un suo pensiero corse a Madison e Keith, chiedendosi cosa avesse da dirle e sperando solo che Madison sarebbe stata bene. Intanto, Peter, dopo essersi accertato che Lana fosse a debita distanza da loro, si voltò verso Derek e Cora che aspettavano in silenzio ciò che lo zio aveva intenzione di dire.
“Conosco quel tizio”, esclamò Peter, riprendendo a camminare. “Keith Donovan. Era un cacciatore, prima che suo padre e suo fratello venissero uccisi. Ricordo di averlo visto da ragazzo, durante una sera in cui Talia stava prendendo accordi con suo padre e suo nonno”.
“Quindi erano tranquilli come cacciatori? Non come Gerard”, aggiunse Cora, perplessa da ciò che Peter aveva detto. “Perchè ci ha guardati in quel modo?".
“Era un cacciatore”, intervenne Derek con tono pacato e incrociando la braccia. “Magari non si aspettava di vedere dei lupi mannari da queste parti…forse sa chi siamo e quindi è rimasto semplicemente sorpreso dalla nostra presenza, no?”.
Per quanto il modo in cui Keith li aveva guardati lo avesse sorpreso, Derek non considerava quel dettaglio come qualcosa di reale e concreto, o forse, non voleva, perché intimorito dall’idea che quel semplice tremore in cui era incappato il suo battito cardiaco potesse significare qualcosa.
Peter assunse un’espressione pensierosa, grattandosi il mento con una mano, per poi portare un dito a mezz’aria, pronto sicuramente a far notare a Derek qualcosa che non aveva considerato.
“Sarebbe plausibile se non fosse per il semplice fatto che, pur non essendo più un cacciatore ma uno studente, aveva una pistola coperta dalla giacca in pieno giorno e in un campus. A te cosa sembra?”.
La domanda di Peter non ottenne alcuna risposta ma soltanto un sussulto da parte di Cora, che guardò Derek con un’espressione per nulla serena. A quel punto, non rimase altra scelta che seguire Peter mentre quest’ultimo affinava i suoi sensi per capire dove fossero Madison e Keith.
“Credo che dare una controllatina non sia una cattiva idea”.
 
Madison portò lo sguardo sull’orologio che aveva al polso, notando che per fortuna mancava ancora mezz’ora all’inizio della lezione, mentre seguiva Keith fuori dal campus.
“Non potevamo parlare lì?”, chiese la ragazza, voltandosi e accorgendosi di quanto fossero lontani dal punto in cui si erano incontrati…non ci volle molto a capire che erano quasi a casa di lui.
“Avevo bisogno di mostrarti una cosa”, rispose lui con voce serena, continuando a darle la schiena.
Madison lo osservò, lasciando riemergere tutti quei ricordi che aveva volutamente seppellito: rammentò tutte le volte in cui aveva abbracciato Keith da dietro, stringendo quella schiena che aveva davanti e tutte le mattine in cui si era svegliata con la testa poggiata contro le sue spalle.
Entrarono in un piccolo magazzino, che Madison aveva visto spesso ma mai dall’interno: da quello che le aveva detto una sera, quel magazzino apparteneva alla sua famiglia e lui lo aveva ereditato, ma senza mai metterci piede perché troppo pieno di ricordi . Per un attimo, Madison si diede della stupida ad averlo seguito con tanta facilità, come se si trattasse di un amico che doveva mostrarle qualcosa di importante. In realtà, Madison non aveva idea di cosa Keith volesse farle vedere: forse voleva ridarle qualcosa di suo che aveva trovato tra le cose da buttare, forse voleva chiederle di tornare insieme e o forse aveva messo in scena uno scherzo con l’unico scopo di renderla ridicola. Tuttavia, il fatto che stessero per entrare in quel luogo quasi sacro per lui la rese dubbiosa, in qualche modo.
Ad un tratto, Keith si fermò, voltandosi verso di lei e mettendo fine al flusso di immagini che avevano preso a scorrere nella sua mente. Fu strano ritrovarsi da sola con lui, mentre il suo cuore batteva e l’ansia percorreva tutto il suo corpo, facendole venire la pelle d’oca e creando un buco a livello dello stomaco. Per Madison non fu piacevole notare che Keith avesse ancora quell’ascendente su di lei: non lo aveva dimenticato e la cosa era anche palese, vista la rottura ancora troppo recente, eppure sperava di aver acquisito almeno un minimo di autocontrollo, cosa che ovviamente la mancava. Keith era ancora capace di farla sentire come una bambola di pezza, completamente piegata al suo volere e alle sue parole. Era in grado di farle tremare le ginocchia e di far vacillare quei pochi pensieri fermi e distaccati che riusciva a fare. Strinse i pugni e scosse la testa, ripetendo a sé stessa di non comportarsi come una ragazzina proprio in quel momento.
Madison era molto più forte di così.
Si guardò intorno, notando una libreria impolverata e piena di oggetti vari che non riusciva ad identificare a causa della polvere e della poca luce, e quella che sembrava essere una motocicletta, coperta da un telo quasi ingiallito…forse apparteneva a suo padre.
“Cosa devi mostrarmi?”, chiese Madison con voce ferma e riportando lo sguardo su di lui.
Keith non aveva una bella cera: il volto era segnato da profonde occhiaie ed era anche più magro da quando lo aveva visto l’ultima volta. Il suo viso era sempre stato luminoso, ma in quel momento Keith Donovan non le sembrava altro che il fantasma di sé stesso. Le apparve come un qualsiasi oggetto in bilico, sul punto di cadere e frantumarsi in mille pezzi da un momento all’altro.
“Keith, stai bene?”, domandò ancora Madison, notando che Keith non accennava a risponderle.
Madison si avvicinò a lui di qualche passo, mentre il ragazzo serrava i pugni, come se si stesse trattenendo, come se si stesse frenando dal dire, o peggio, dal fare qualcosa che non voleva. Allungò le dita, poggiandole appena sulla guancia ispida, sentendo il respiro di Keith che si mozzava, e accorgendosi del modo quasi sofferente in cui aveva chiuso gli occhi.
Keith si lasciò cullare dal tocco lieve e spaventato di Madison, beandosi della sensazione di benessere che quella ragazza era sempre riuscita a dargli. Desiderò mandare tutto al diavolo e rimanere per sempre così, con lei accanto che gli permetteva di essere una persona qualunque.
All’improvviso qualcosa lo riscosse, come un pugno allo stomaco, e Keith sgranò gli occhi, allontanandosi di scatto da Madison, la quale sembrò intimorita dai suoi occhi che in quel momento dovevano essere per certo la cosa più inquietante che avesse mai visto.
“Keith?”, lo chiamò ancora una volta, ma il ragazzo non sembrò sentirla.
Keith prese una pistola e la puntò contro di lei, senza però premere il grilletto: doveva solo assicurarsi che non si muovesse e che non corresse via.
“Perdonami”, disse lui mentre Madison lo guardava con il volto ridotto ad una maschera di paura.
Prima che Madison potesse rivolgergli un’altra domanda che non avrebbe ottenuto alcuna risposta, qualcun altro entrò in quella specie di magazzino, rendendo la situazione ancora più confusa.
Cinque figure fecero il loro ingresso, una dietro l’altra e in un silenzio che la spaventò non poco. Rivolse un ultimo sguardo a Keith ma lui continuava a puntare la pistola senza dire nulla che potesse rassicurarla o almeno farle capire cosa diavolo stesse succedendo. L’unica persona su cui Madison riuscì a posare più attentamente gli occhi fu un uomo che si poneva dinanzi agli altri presenti come a voler sottolineare la sua importanza.
Gli occhi erano azzurri e spenti, due pozze di acqua profonda in grado di suscitare solo una cosa: terrore. Il suo sorriso era affilato come una vera e propria lama tenuta lì e pronta a sferrare il suo colpo mortale. Madison deglutì alla vista di quell’uomo che la guardava con un interesse che di normale non aveva niente.
Non sapeva chi fosse ma lui sembrava conoscerla. Si avvicinò a lei, mentre gli altri rimasero sullo sfondo, permettendo a Madison di scorgerli, nonostante il panico si facesse sentire sempre di più: accanto a Keith vi era una donna con i capelli di un rosso così acceso da sembrare di fuoco, e alle sue spalle un ragazzo e due uomini osservavano la scena. Uno dei due uomini più grandi aveva un viso completamente diverso dagli altri: sembrava triste, e Madison stessa non aveva idea di come potesse pensare una cosa del genere in un momento critico come quello. Indietreggiò, fino ad urtare qualcosa che la fece capitolare sul pavimento.
“Finalmente”, disse l’uomo, sfoggiando una voce così bassa e gentile che le fece venire quasi i brividi.
Non aveva un aspetto gentile e il contesto non girava a suo vantaggio.
“Cosa succede?”, chiese lei, rendendosi conto della banalità della domanda, e di come le parole fossero uscite in maniera confusa dalla sua bocca, quasi strozzandola.
L’uomo rise e si abbassò al suo livello, guardandola negli occhi verdi spaventati.
Il suo sguardo cambiò, facendosi più contrito, come se fosse dispiaciuto, e allungò una mano verso di lei, fino a sfiorarle i capelli castani e lo zigomo.
Sorrise…e sembrava quasi un sorriso vero.
“Sei proprio identica a tua madre”, snocciolò lui con tono affranto, incatenando gli occhi chiari nei suoi, per poi rivolgersi a Keith. “Se non fosse stato per lui, non sarei riuscito a trovarti”.
Madison cercò Keith ancora una volta, ritrovandolo esattamente come lo aveva lasciato: con la pistola ancora stretta fra le mani e lo sguardo spento che fissava il pavimento. Alle sue spalle, la donna dai capelli rossi fissava insistentemente l’uomo dinanzi a Madison, in attesa di una sua azione.
“Chi sei?”, domandò Madison, assottigliando lo sguardo e richiamando l’attenzione dell’uomo che spostò nuovamente lo sguardo sulla sua figura, rivolgendole un sorriso bonario.
“Per ora puoi chiamarmi Julian”.
Madison poteva giurare di aver visto i suoi occhi farsi rossi prima che un tonfo costringesse tutti i presenti a voltarsi: qualcun altro era giunto a far loro compagnia, ma lei era ancora troppo scossa per rendersi conto di chi fosse. Tentò di alzarsi ma qualcuno l’afferrò per un braccio.
Madison cercò di divincolarsi da quella stretta ferrea ma poi il tocco divenne più leggero e gentile, rivelando poco a poco la figura che da sfocata divenne più chiara: la sorella di Derek, Cora. La ragazza l’aiutò a rimettersi in piedi e la spinse in un angolo come per proteggerla dallo scontro che si stava svolgendo e non soltanto fisicamente, ma era troppo tardi.
Madison aveva davvero visto un paio di occhi rossi e continuò a vederli, mentre Cora le si parava davanti. Uno spettacolo di ringhi e strani luccichii si stava svolgendo in quel magazzino abbandonato, e Madison non aveva nemmeno la forza di formulare un’ipotesi sensata.
Riusciva solo a sentire la paura che prendeva possesso del suo corpo e della sua mente, mentre Keith puntava la pistola contro Peter per essere disarmato quasi subito e messo al tappeto. Vide l’uomo dagli occhi rossi scagliarsi su Derek, inchiodandolo al muro e spezzandogli sicuramente qualche osso. Si portò una mano alla bocca, tentando di soffocare un urlo di terrore. Cora si allontanò di lei, emettendo quello che sembrava essere un ringhio e fiondandosi su due figure che stavano per avvicinarsi a loro. Fu a quel punto che Madison vide chiaramente delle zanne.
Sentì le ginocchia cederle ma si aggrappò alla parete, cercando di mantenere i nervi saldi e respirando per mandare quanto più ossigeno possibile al cervello ma la situazione non migliorava.
Era tutto confuso: delle figure indefinite si lanciavano una contro l’altra, si muovevano, riconosciute solo da una strana luce proveniente dagli occhi che cambiava da persona a persona.
Rosso, giallo, azzurro: i colori si mischiavano e si confondevano, impedendo a Madison di distinguere la realtà dei fatti. Vedeva prima i colori e poi gli esseri umani, se così poteva definirli.
Di nuovo qualcuno l’afferrò all’improvviso, sorreggendola, mentre l’ambiente si faceva improvvisamente meno affollato e una voce risuonava nelle sue orecchie.
“Vi lascio uscire vivi da questo primo tempo, giusto per rendere le cose più divertenti. Sappiate che la prossima volta non sarò così buono, è un avvertimento”.
Derek era ancora a terra, puntellandosi con i gomiti sul pavimento, e aveva il respiro affaticato: tutto il suo corpo era in tensione, il petto si muoveva velocemente e le nocche erano ferme sul pavimento, così strette e bianche da farle una strana impressione. Sembrava un animale ferito, che tentava con tutte le sue forze di assorbire il dolore che lo aveva colpito senza preavviso.
Quando si voltò a guardare Madison, quest’ultima vide chiaramente il colore dei suoi occhi: il verde era sparito, per lasciare spazio al blu.
 
Gli occhi di Lydia si erano abituati all’oscurità di quel sonno tranquillo in cui era caduta, beandosi di quella sensazione di pace che le era mancato per molto tempo. Si era addormentata sul suo letto con il libro di matematica fra le mani, mentre Stiles probabilmente era ancora ricurvo sulla scrivania.
Eppure, quel sonno perfetto venne inspiegabilmente incrinato da qualcosa che cominciò a diventare sempre più reale: era come un continuo crescendo che poco alla volta si faceva spazio nella mente di Lydia, rubandole il sonno che tanto aveva agognato.
Lydia sentiva qualcosa che le montava dentro, facendosi spazio per uscire; sembrava un’entità a parte che doveva in qualche modo balzare fuori, annebbiando i suoi sensi…e quando Lydia, ancora persa in quel sonno ormai precario, capì di cosa si trattava, era già troppo tardi.
Un urlo acuto ruppe il silenzio della camera, facendo sobbalzare la ragazza che si stava liberando da quel peso enorme che aveva portato dentro durante il sonno.
Lydia cominciò a dimenarsi sul letto, urlando come non urlava da molto e non era certo un buon segno.
Era sempre così quando doveva cacciare un grido del genere.
Il suo corpo fremeva e qualcosa al suo interno sembrava muoversi: un agente estraneo che il suo corpo doveva assolutamente espellere perché troppo pericoloso.
Stiles si alzò dalla scrivania, precipitandosi al suo fianco, mentre Lydia ancora urlava, opponendosi al ragazzo che la scuoteva, cercando di farla tornare in sé ma lei non lo guardava nemmeno.
Quando il suo urlo andò scemando, Lydia poggiò la testa sulla spalla di Stiles, respirando a pieni polmoni e lasciando al suo corpo il tempo di abituarsi a ciò che non accadeva da molto.
Stiles la strinse senza dire nulla, aspettando che si calmasse da sola.
Lydia aveva paura: poteva sentirlo dai leggeri spasmi del suo corpo e dal suo respiro affannato, mentre il cuore batteva come impazzito contro il petto di Stiles, che provava la sua stessa paura.
Lydia Martin aveva urlato con tutto il fiato che aveva in corpo e Stiles sapeva con assoluta certezza che quel segnale di allarme poteva indicare una sola cosa: nessuno sarebbe stato al sicuro.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • “Prima i colori. Poi gli esseri umani”, frase tratta da un libro meraviglioso che sto leggendo, ovvero “Storia di una ladra di libri”. Questa frase si è praticamente inserita da sola mentre scrivevo dei colori degli occhi dei licantropi…è stata una cosa improvvisa e spero piaccia.
 
Salve a tutti ed ecco il capitolo puntuale anche questa volta (sempre più strano).
Allora, spero che questo capitolo non vi faccia venir voglia di ammazzarmi: avevo detto che le cose sarebbero state più chiare e rileggendolo può sembrare diversamente ma le cose iniziano davvero a prendere forma (giusto un pochino) e spero tanto che stiate formulando qualche ipotesi sui cattivi che hanno fatto finalmente il loro ingresso nella storia. Secondo voi chi è Julian e cosa vuole?
Vi confesso che questo capitolo mi ha dato molto più filo da torcere rispetto a quelli precedenti per vari motivi. In primis, per l’inserimento di Keith e per via di Derek: scrivere di lui è difficile e ho sempre paura di renderlo OOC (se l’ho fatto, vi invito sempre a farmelo notare perché non mi dispiace affatto essere corretta). Nello scorso capitolo, l’incontro con Madison gli ha riportato Jennifer in mente. Ora che l’ha rivista, è in qualche modo più rigido.
Onestamente non mi è piaciuto tanto il modo in cui ho reso Derek, quindi mi scuso in anticipo: sarà che l’ho descritto in una situazione mai vista nel telefilm solo che non mi convince affatto. Nei primi capitoli, ho volutamente reso Derek un po’ più tranquillo visto che le cose sono abbastanza calme, dal prossimo capitolo però, il suo atteggiamento cambierà radicalmente, fino a far prevalere il Derek scorbutico ed emozionalmente costipato molto più del solito…di male in peggio, direi.
Infine, l’urlo di Lydia…inutile dirvi che non è certo un buon segno, il prossimo capitolo sarà ricco di angst, quindi il fluff che c’è stato nei primi capitoli uscirà di scena.
Direi che vi ho tediato abbastanza, grazie per essere arrivati fin qui <3
Fatemi sapere cosa ve ne pare con un commento piccino piccino ^^
Alla prossima settimana, un abbraccio :)
 
 
   
 
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