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Autore: CowgirlSara    20/12/2004    2 recensioni
Un racconto che parla di guerra, delle perdite che essa porta, del dolore, dell'amore che può nascere e crescere, preservarsi, nelle condizioni più avverse... come un fiore bianco nel vento del Riddermark.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Eomer, Eowyn
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre scusatemi per l’attesa e godetevi questo nuovo capitolo. Un grazie a tutti i lettori, soprattutto per la pazienza ^_____^ Un bacione!

Sara

 

11. Sotto un cielo senza luce

 

...in a world without pity

Do you think what I'm askin's too much

I just want to feel you in my arms

Share a little of that human touch...

(Human touch - Bruce Springsteen)

 

Quasi tre giorni di viaggio, sempre che ci si potesse rendere conto dello scorrere dei giorni, in quell’opaca semioscurità che li circondava dall'inizio della cavalcata verso Gondor; il sole non era più sorto, o, se lo aveva fatto, le nubi sempre più fitte che si alzavano da Mordor lo coprivano senza lasciare spiragli.

I cavalieri erano molto preoccupati, ma continuavano a seguire, con incrollabile determinazione, le incitazioni del loro re e del maresciallo Eomer; anche Merry, nel suo piccolo, si era inizialmente lasciato trasportare dal furore guerriero dei suoi compagni, in special modo da quello di Dernhelm, ma col passare del tempo, a quello stato d’eccitazione, si era sostituito un timore sempre crescente ed un senso d’angoscia e impotenza che aumentavano ad ogni passo.

Il suo compagno d'avventura non lo aiutava molto, era un tipo taciturno, parlava con gli altri il minimo indispensabile e con lui poco di più, come se la cosa che gl'importasse di più fosse quella di passare inosservato; a volte lo sorprendeva ad osservare le mosse di Theoden il quale era spesso in conversazione con Eomer, mentre Elfrid li seguiva come un'ombra silenziosa, e poi intravedeva i suoi occhi lucidi, sotto l'elmo che non toglieva mai.

Merry stava preparando il suo giaciglio, pronto per un altro tormentato riposo, quando dei passi alle sue spalle lo fecero voltare; si trovò davanti le lunghe gambe di un rohirrim, ma non era Dernhelm. Alzando gli occhi scorse gl'inconfondibili capelli rossi di Elfrid.

"Merry?!" Esclamò sbalordita la donna. "Che fai qui?" Aggiunse fissandolo.

"Voglio servire il mio signore, proprio come te!" Rispose lo hobbit deciso.

"Ma, messere Holbytla..." Replicò rammaricata lei. "...per quanto tu lo desideri, questa guerra è troppo più grande di te..."

"Fammi essere lo scudiero di Rohan che ho giurato di essere, fammi combattere per il mio signore!" Continuò il Mezzuomo, combattendo con la frustrazione.

"Merry devi tornare a casa..." Mormorò Elfrid, con espressione dispiaciuta. "...come ha ordinato il Re."

"No!" Gridò lui, stringendo i pugni. "Tutti i miei amici sono là, in mezzo a quella battaglia, io non tornerò indietro, e voi avete bisogno di ogni spada, anche della più piccola." Ribatté lo hobbit, minimamente intenzionato a cedere; la ragazza trasse un profondo sospiro, osservando quella figuretta piccola, ma piena di determinazione.

"Sei un osso duro, Meriadoc della Contea..." Dichiarò infine Elfrid. "...e c'è bisogno di persone così forti, in questa battaglia." Aggiunse; lui le sorrise con gratitudine. "Ma come sei arrivato fin qui?" Gli chiese poi.

"A cavallo." Rispose lo hobbit, come se fosse ovvio.

"Con chi?" Riprese Elfrid, abbastanza sorpresa.

"Con un cavaliere?" Replicò con tono retorico il Mezzuomo.

"Certo, ma quale cavaliere?" Insisté la ragazza.

"Lui." Merry indicò qualcuno che stava arrivando alla sua destra; Elfrid si girò, trovandosi a fissare negl'occhi Dernhelm.

Si scambiarono un lungo sguardo, e la ragazza dai capelli rossi era sempre più sbalordita; quando cercò di parlare, il cavaliere glielo impedì, spingendola lontano da Merry. La trascinò fino al punto in cui erano stati legati i cavalli.

"Tu devi essere completamente uscita di senno!" Esclamò Elfrid, quando si fermarono.

"Ti prego, ti prego, ti prego, non dire nulla!" Replicò l'altra.

"Quando Eomer lo saprà..."

"Eomer non deve saperlo!" La interruppe Eowyn, sfilandosi l'elmo. "Se lo ami davvero non devi dirgli nulla." Aggiunse accorata.

"Ma perché, perché Eowyn?" Domandò a bassa voce Elfrid, ancora incredula, cercando di impedire alle lacrime di bagnarle gli occhi.

"Lo sai, è l'unico modo che ho per aiutare le persone che amo." Rispose l'amica, anche lei con gli occhi ormai lucidi. "Tu puoi capire, io lo so che puoi." Continuò prendendole le mani; Elfrid la fissò negl'occhi per un lungo momento.

"Forse io posso capire..." Mormorò infine. "...ma è in ogni caso azzardato da parte tua..."

"Io so quello che faccio." Replicò decisa l'altra ragazza.

"Giurami che sarai prudente, non ce la farei a vederlo piangere ancora..." Il tono di Eflrid era supplicante e le stringeva le mani con forza.

"Sarò prudente, te lo prometto." Annuì Eowyn, poi abbracciò l'amica.

Rimasero così per qualche attimo, riuscendo a non piangere, sostenendosi in silenzio; erano due donne forti, che avevano scelto la guerra per dolore e per amore, e solo loro sapevano quanto fosse duro combattere per questo.

 

Durante la tappa successiva, Elfrid non poté fare a meno di cercare con lo sguardo il cavallo grigio di Eowyn, ma non era facile con quell'oscurità che continuava a circondarli. Ogni tanto, quando gli era più vicina, osservava Eomer: i suoi occhi decisi guardavano sempre avanti, qualche volta scambiava poche parole con Theoden. Elfrid si chiese più di una volta, se non fosse il caso di riferirgli della presenza di Eowyn, ma sempre giungeva alla conclusione che non doveva farlo; una discussione tra i due fratelli avrebbe rappresentato un rallentamento della marcia, e loro non potevano permetterselo, senza contare l'umiliazione cui sarebbe stata sottoposta Eowyn, costretta a voltare il cavallo ed a tornare mestamente a Edoras.

Sapeva, in più, che la fanciulla era un ottimo cavaliere, abile col destriero come con la spada e la lancia; era stato lo stesso Theodred, anni prima, a confessare ad Elfrid di addestrare la cugina, e la ragazza sapeva che ottimo maestro sapesse essere il secondo maresciallo, lei stessa era stata in parte sua allieva. Questo pensiero la tranquillizzò.

Girò il capo per guadare Eomer, e lo trovò con gli occhi su di lei; la sua espressione era seria, tesa, come se volesse dirle qualcosa... Che avesse scoperto Eowyn? No, quello sguardo era totalmente concentrato su di lei, non c'era rimprovero nei suo occhi chiari, solo ansia e preoccupazione. L'uomo sospirò, le fece uno stentato sorriso, poi tornò a concentrarsi sulla strada che avevano di fronte. Elfrid rimase col dubbio.

 

Si erano appena fermati, per quello che doveva essere l'ultimo riposo prima della tappa finale, al limitare della Foresta Druadana; il re aveva ordinato a tutti di riposare e nutrirsi, per lui stavano montando una tenda. Elfrid seguiva la scena: Théoden ed Eomer parlavano, mentre gli uomini lavoravano.

La ragazza avrebbe voluto un pasto caldo, del buon vino, magari un fuoco per scaldarsi, ma erano solo desideri; lo stomaco era chiuso ormai da giorni, beveva solo acqua e non potevano accendere fuochi, altrimenti il nemico li avrebbe avvistati. Se almeno avesse potuto abbracciare Eomer...

Come se avesse sentito quel suo desiderio, lui salutò il re, poi si voltò avvicinandosi alla ragazza; Elfrid gli fece un piccolo sorriso.

Era bello anche adesso, col viso stanco e sporcato dalla marcia, ma niente poteva cancellare quella bellezza limpida, quei lineamenti fieri, quegl'occhi intensi; il sangue di una stirpe di re scorreva nelle sue vene, e ogni suo passo, ogni movimento del suo splendido corpo lo dimostravano.

"Come stai?" Le chiese dolcemente, sfiorandole la guancia con le dita.

"Non c'è male, vista la situazione." Rispose lei, piegando il capo di lato.

Elfrid, la sua Elfrid. La sola idea di poterla perdere nella battaglia che li aspettava gli metteva un'angoscia tremenda. Non poteva pensare di sopravvivere senza rivedere più il suo dolce volto da monella, i suoi grandi occhi nocciola; la sua bellezza lo scaldava, il fuoco dei suoi capelli, la tenerezza del suo sorriso. L'amava, la amava tanto, ma non c'era sofferenza in questo, anzi, poteva rendersi conto che quell'amore era la sua unica consolazione in mezzo a tanto dolore, all'oscurità. Le prese il viso tra le mani e la baciò.

"Eomer, ma sei impazzito..." Mormorò la ragazza, quando le lasciò le labbra.

"Ti amo." Rispose lui, prendendole le mani.

"Anch'io ti amo, lo sai..."

"Devo chiederti una cosa." Continuò l'uomo, prendendola delicatamente per le braccia e portandola vicino agli alberi, a qualche metro dal limitare dell'accampamento.

"Dimmi." Lo incitò lei, quando si fermarono; Eomer teneva gli occhi bassi.

"So che forse, la mia richiesta, ti sembrerà egoisticamente maschile, ma..." Esordì infine, tornando a guardarla. "...questo potrebbe essere il nostro ultimo riposo, l'ultima tappa prima di una battaglia in cui le forze sono impari..." Lei lo ascoltava in silenzio, cercando di capire dove voleva arrivare. "Potremmo morire entrambi." Affermò fissandola negl'occhi; le strinse le mani, lei annuì. "Potrebbe essere la nostra ultima notte, e... io vorrei passarla con te." Elfrid rimase in silenzio per un istante, sorpresa da quella richiesta, appassionata e disperata, ma dolce e commovente.

"Tu vuoi..." Le parole non le uscivano dalle labbra; molte volte ci aveva pensato, a come sarebbe stato con lui, fin da quella notte in cui ci aveva parlato per la prima volta.

"Non dovevo chiedertelo..." Mormorò Eomer, chinando il capo con imbarazzo.

"Vieni." Disse Elfrid, prendendogli la mano; poi si guardò un attimo intorno, nessuno li aveva notati. Strinse la mano dell'uomo e lo portò dentro il bosco.

 

Camminarono a lunghi passi, allontanandosi ragionevolmente dall'accampamento, inoltrandosi tra gli alberi fitti, sotto i piedi solo aghi di pino che rendevano i passi silenziosi; quando si fermarono, Eomer poggiò la schiena contro un tronco.

"Elfrid io..." Lei gli mise le mani sul petto.

"Non c'è tempo per parlare, Eomer, potremmo dover ripartire a breve." Gli disse la ragazza; lui la guardò, sospirò, poi la strinse per la vita e la baciò.

Il bacio fu appassionato, poi la bocca di Eomer passò sulla guancia della ragazza, sull'orecchio e sul collo, mentre le mani di lei scioglievano le cinghie dell'armatura dell'uomo. Un lieve clangore accompagnò la caduta a terra delle spade e delle armature; più rumorose furono le cotte di maglia, quando caddero sulle corazze e le armi lasciate a terra. I corpetti di velluto furono gettati, quasi contemporaneamente dai due, che continuavano a baciarsi con le mani occupate a togliere tutti quegl'abiti.

Eomer, lentamente, si fece scivolare lungo il tronco, tenendo Elfrid tra le braccia; la ragazza si sedette sopra di lui, aprendogli la camicia, l'uomo fece lo stesso con la sua.

L'oscurità densa era riempita solo dai loro respiri sempre più affannati e da brevi silenzi improvvisi, quando le loro labbra s'incontravano.

Le mani di Elfrid percorsero il collo dell'uomo, poi il petto, e l'addome, scendendo verso il basso, finché non gli aprirono i pantaloni; quando lei lo sfiorò in quel punto, Eomer emise un gemito contro il suo collo. La strinse a se, senza muovere la bocca dalla sua pelle, e la fece stendere sul tappeto di aghi di pino; Elfrid li sentì pungere sotto la stoffa della camicia, inarcò la schiena, spingendosi contro di lui. Approfittando del gesto della ragazza, l'uomo l'afferrò per i fianchi e le sfilò i pantaloni; lei si liberò velocemente anche degli stivali.

Ora erano stesi a terra, lui sopra di lei che le baciava languidamente i seni; Elfrid avrebbe voluto tenerlo così ancora a lungo, su dei lei, caldo e forte, protettivo ed eccitante, ma non avevano tempo... Lo prese per le spalle, implorandolo con lo sguardo di salire, e lui lo fece, facendole emettere un gemito di piacere e percorrendo con una mano il profilo del suo corpo. Elfrid serrò le gambe contro i suoi fianchi, ed Eomer entrò dolcemente, cominciando a muoversi dentro di lei.

Tutte le preghiere che la ragazza aveva fatto, mentre camminava dentro il bosco tenendo per mano Eomer, si stavano realizzando: lo sentiva, il suo amore, caldo come il sole, niente dolore, solo piacere e tenerezza... Niente dolore, mai più.

"Eomer..." Sussurrò la donna tra i sospiri, lo sentì muoversi più forte. "...ti amo..." Gli avvolse le spalle con le braccia, mentre lui teneva una mano tra i suoi capelli e con l'altra la stringeva a se.

"E io..." Lei strinse ancora di più le gambe contro il suo corpo. "...amo te, Elfrid..." Riuscì a mormorare l'uomo, accorgendosi di essere quasi giunto al culmine.

La guardò, reclinava la testa all'indietro, teneva gli occhi chiusi e le labbra serrate; poi, d'improvviso, aprì gli occhi e socchiuse le labbra, mentre lui cedeva all'estasi. Ci arrivarono insieme, sciogliendosi in un bacio.

 

Eomer stava ancora steso sul corpo di Elfrid, ma ora posava il capo sulla sua spalla; lei gli carezzava i capelli. Avrebbero avuto bisogno di dormire, ma non potevano.

"Devo chiederti perdono." Disse l'uomo; la ragazza fermò la mano che aveva tra i suoi capelli e cercò di guardarlo in faccia.

"Per che cosa?" Domandò Elfrid; lui sollevò lo sguardo.

"Per quella discussione che abbiamo avuto a Dunclivio." La ragazza s'irrigidì: se Eomer avesse saputo di Eowyn, avrebbe perso fiducia in lei, e non poteva permetterlo.

"Lascia stare." Affermò poi, con tono comprensivo. "Era una sciocchezza, non dovevo insistere." Aggiunse.

"No." Fece l'uomo, sollevandosi sui gomiti. "Sono stato troppo rigido, forse avevi ragione tu..." Doveva fargli cambiare argomento, lo amava, ma conosceva il suo carattere, Eomer era impetuoso come un torrente di montagna, e glielo aveva appena dimostrato anche coi fatti; doveva impedirgli di scoprire che Eowyn era con loro.

Fu un evento esterno a venirle in aiuto: un rumoreggiare di tamburi lontani li distrasse entrambi. Sembravano venire dalle colline dietro di loro, e inseguirsi nella notte. Eomer ed Elfrid si scambiarono un'occhiata allarmata.

"Sarà meglio rivestirsi." Suggerì l'uomo; lei annuì.

Avevano appena finito di rimettersi le armature, quando udirono la voce di un soldato che chiamava Eomer; Elfrid gli aggiustò il coprispalle, con un piccolo sorriso.

"Vai, io ti raggiungo." Gli disse poi; l'uomo annuì, si scostò e fece qualche passo, ma tornò indietro. La baciò ancora una volta e, infine, si allontanò.

Elfrid raggiunse la tenda del re pochi minuti dopo; tutti i capitani erano fermi al limitare del cerchio di luce formato dalla lampada appesa ad un albero. Theoden era seduto, mentre Eomer stava in piedi alla sua destra; davanti a loro c'era una figura bassa e tozza, un essere che sembrava scolpito nella roccia ricoperta di muschio, ma era vivente, di carne e sangue, e parlava con il re.

"Chi è quello?" Domandò la donna ad un compagno.

"E' uno dei Woses, gli uomini dei boschi." Rispose l'altro a bassa voce. "Odiano gli orchi, e sembra che ci vogliano aiutare..."

E così fu. Gli uomini dei boschi portavano notizie fresche: la strada diretta per il cancello di Mundburg era invasa dai nemici, molto più numerosi dei cavalieri di Rohan, ma essi conoscevano altri sentieri, attraverso la foresta, che avrebbero condotto i Rohirrim alla breccia nel Rammas Echor. Riferirono inoltre che l'assedio di Minas Tirith continuava, e che c'erano già fuochi oltre le mura.

Dopo una breve consultazione, Theoden ed Eomer concordarono che seguire gli uomini dei boschi era l'unico modo per riuscire ad arrivare in tempo, nonostante la deviazione; pochi attimi dopo fu dato l'ordine di riprendere la marcia.

Eomer si avvicinò ad Elfrid, poco prima che la ragazza s'infilasse l'elmo e salisse a cavallo; si fermò davanti a lei, guardandola con dolcezza.

"E così si riparte." Fece lei; Eomer annuì. "Ci possiamo fidare?" Domandò la ragazza poi, spostando lo sguardo sul nuovo alleato.

"Penso proprio di sì." Rispose il maresciallo. "Odiano gli orchi, forse più di noi."

"Bene, allora in sella!" Affermò Elfrid, tentando un tono allegro.

"Aspetta..." Eomer fermò la sua mano sulle redini di Neronube; la ragazza lo vide farsi vicino, stringendola contro il fianco del cavallo e, infine, baciarla.

"Hm..." Un discreto colpo di tosse li fece separare; si voltarono, trovandosi davanti Theoden. Elfrid arrossì, abbassando subito gli occhi.

"Potrebbe essere il nostro ultimo bacio." Dichiarò serio Eomer; lei lo guardò.

"Lo so." Annuì il sovrano, portando le mani dietro la schiena. "Non vi ho detto di non farlo..." Continuò, con lieve ironia. "Solo, siate più discreti." Concluse con un sorriso bonario, poi si allontanò; Eomer ed Elfrid si scambiarono un'occhiata sorpresa.

 

La marcia dei Rohirrim riprese, con l'oscurità che si faceva sempre più fitta; lo scorrere del tempo non era che una sensazione, non vedevano un'alba da giorni. I sentieri su cui li guidarono gli uomini dei boschi erano veramente sicuri e, prima di quanto pensassero, li condussero nella parte di strada ormai libera. Il capo dei Woses li salutò là, chiedendo come ricompensa solo la sconfitta degli orchi e, dopo avergli annunciato che il vento stava cambiando, scomparve nella foresta da dove era venuto, insieme ai suoi compagni.

Furono mandate avanti delle vedette, per controllare la situazione al Rammas Echor; tornarono riferendo che lì i nemici erano rimasti in pochi e troppo occupati a distruggere il muro per pensare di essere attaccati alle spalle.

I cavalieri gli piombarono addosso inaspettati, e ne ebbero presto ragione; a quel punto non c'erano più ostacoli tra gli uomini di Rohan e la loro missione. Nessuno si era accorto che Dernhelm, e Merry con lui, si era avvicinato al re, nonostante la sua compagnia fosse più a destra.

Guardarono oltre il cancello distrutto, ma l'oscurità non permise loro di vedere molto; c'erano fuochi nella pianura invasa dai nemici, e fuochi dentro le mura, si sentiva clangore di armi e urla di orchi, esplosioni. L'esercito di Rohan oltrepassò silenzioso le mura, sistemandosi lentamente, ma la situazione sembrò alquanto disperata per la città sotto assedio; tutti i cavalieri, Theoden compreso, furono presi da scoramento.

Poi, improvvisamente, ci fu un cambiamento: il vento cominciò a soffiare sul loro viso, e veniva da sud dove, tra rade nubi grigiastre, cominciava a levarsi il giorno.

In quello stesso momento dalle mura di Minas Tirith si levò un bagliore, che raggiunse il cielo, bianco e nero, che illuminò le mura ed i campi brulicanti di nemici, un rombo percorse la terra sotto di loro; il re alzò lo sguardo, tornando ad ergersi alto e fiero sul suo cavallo bianco. E gridò, con tutta la sua voce.

"Avanti cavalieri del Mark, figli di Eorl, forse questa sarà la nostra ultima cavalcata, ma la gloria che conquisterete sarà vostra per sempre! Cavalcate! Cavalcate verso Gondor!"

E, mentre gli uomini gridavano, egli suonò il suo corno, con tanta violenza da frantumarlo, e gli risposero tutti gli altri corni del Mark, e il loro grido attraversò i campi del Pelennor.

"Cavalcate! Cavalcate verso Gondor!" Incitò ancora Theoden, lanciandosi al galoppo verso la battaglia.

La sua foga era tale che in breve tempo distanziò il suo vessillo e la guardia, e anche Eomer, che sembrava egli stesso volare. E il re risplendeva dell'antica gloria dei suoi avi, terribile sul suo cavallo bianco, come gli eroi delle antiche leggende, nessuno lo poteva raggiungere, nessuno lo poteva fermare, l'erba sembrava tornare verde, sotto gli zoccoli alati di Nevecrino. Così i Rohirrim scesero nella battaglia del Pelennor.

 

CONTINUA...

 

 

   
 
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