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Autore: MysteriousSx    30/04/2014    3 recensioni
Izzy, è una ragazza con molti problemi: il padre è un ubriaco e la madre la trascura. Forse non avrebbe voluto una figlia così! E lei si droga. All'inizio, solo per dimenticarsi di una delusione d'amore, ma poi "la cocaina ha preso il sopravvento nel suo corpo".
E' stata in 3 centri di disintossicazioni, e ha cambiato 2 scuole. Quella dove si trova adesso è la 3^. Ma questa è diversa dalle altre. Perchè i ragazzi sono strani... come lei...
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izzy, Mike, Noah, Zoey
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
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Odio la scuola.
Troppe regole.
E io odio le regole.
Preferisco la strada, anche a casa mia. Con papà che beve e mamma che a casa non c’è mai.
Questa è la terza scuola che cambio. Motivo: Sospensioni uguali a bocciatura immediata!
Per cosa ricevevo sospensioni? Droga.
Non volevo all’inizio, ma Matt, il ragazzo che quell’anno mi piaceva, è uscito con un’altra mentre stava con me. Ci sono caduta, e non so’ se c’è modo di uscirne.
I centri di disintossicazione non aiutano di certo. Regole anche lì.
Però ho promesso a me stessa che avrei smesso, una volta cominciata quest’altra scuola.
Beh, adesso non proprio. Forse tra un po’!
Ora, mi trovo qui davanti. E’ un edificio scuro, trascurato e i ragazzi che sono nel cortile fumano e si prendono a schiaffi l’un l’altro. Sembra divertente.
Se tutti trascurano tutti non c’è pericolo che qualcuno guardi una ragazza drogarsi.
Tutti, beh, quasi tutti gli studenti, indossano abiti trasandati. E io uguale. Indosso una felpa nera, aperta e sotto una canottiera bianca strappata verso la fine che figura un paio di occhiali da sole, e le mie gambe sono coperte da dei jeans scuri con buchi qua’ e là. Ai piedi indosso delle Nike bianche, sporche di fango, certo, ma con quelle posso come raccontare la storia della mia vita.
Il mio nome? Ve lo sarete certo chiesti, no? Ebbene, mi chiamo Isabella Mary Cratford. Già, lo so’, nome di battesimo disgustoso. Per questo, mi faccio chiamare Izzy. Lo considero come un nome d’arte.
Faccio un passo davanti a me. E poi un altro. E poi un altro. Nessuno che fa’ battute sceme su di me, ancora. E poi un altro, e un altro ancora, e un altro ancora…
-Ehi rossa, sei capace di stare in equilibrio, o barcolli sempre?- ho visto chi l’ha detto. Bruna, alta, grossa, nessuna possibilità di prenderla a botte. Barcollo per la droga, è uno dei suoi effetti.
-Il mio colore di capelli è arancione, daltonica!- le rispondo senza guardarla di nuovo. Forse non l’ho vista, ma di sicuro ho visto il pugno che mi è arrivato trenta secondi dopo che le ho detto quella frase. Ok, la mia faccia è bagnata di sangue. Mi devo assolutamente pulire. E subito.
Davanti a me, lì stesa a terra, vedo delle scarpe. Converse, a guardarle meglio, blu elettrico. Colore insopportabile.
-Ehi! Pensi ti serva, questo?- mi porge un fazzoletto, è un ragazzo. Tentenno per un momento e poi glielo strappo dalle mani borbottando un –Grazie!- ma il sangue mi finisce in bocca. Lo sputo e mi metto il fazzoletto sul naso sanguinante. Sollevo la testa e guardo il ragazzo: è di statura media, a differenza da gli altri, sembra che curi particolarmente il suo modo di vestire, visto che indossa una camicia bianca coperta da un maglione rosso e dei jeans color blu mare. I suoi capelli sono lunghi fino al collo, marroni e gli occhi dello stesso colore.
Mi tiro su. E continuo a camminare. Forse quel tipo mi segue. Sono così maleducata, non gli ho nemmeno chiesto come si chiama.
 
Fine della terza lezione. Intervallo, finalmente. Per tutte queste tre ore, mi sono dovuta alzare e recitare perché ho cambiato scuola. I professori di qui sono dei gran babbei. Ci hanno davvero creduto al fatto che ora sono qui perché mio padre si muove di continuo per lavoro. E mentre raccontavo questa storia, ridicola, tra l’altro, perché mio padre è disoccupato, sentivo alcuni dei miei nuovi compagni di classe, ridacchiare sotto banco. Non gli ho dato molto peso. Solo poche persone ho notato che non lo facevano, e una di loro, era il ragazzo che mi ha dato il fazzoletto stamattina. Non mi ci volle molto a capire chi era: si chiama Noah, ed è il primo della classe. Alla 2^ ora, il prof. di chimica l’ha chiamato su. Aveste visto come gli ha risposto. Parlava a macchinetta e non si fermava mai. 10 si è beccato, il secchione.
Mi appoggio al muro di fianco alla porta della mia nuova classe. Aspetto che il flusso di studenti della classe esca dall’aula. Cerco nelle tasche della felpa. Dannazione. Ho lasciato a casa il pacchetto di sigarette. Cavoli, mamma di sicuro le avrà trovate e buttate nel cesso. E’ lei che comanda a casa e secondo me vuole che sia tutto come lei desideri. Peccato, perché ha un marito ubriaco e una figlia drogata. Il suo mondo perfetto, creatosi nella sua mente, si è dissolto.
Noah esce per ultimo dall’aula, quasi d’istinto gli chiedo:
-Ehi, non è che hai una sigaretta?- lui si volta, e mi guarda. Ah, giusto. Uno che ha già un futuro prestabilito a Cambridge, non può permettersi di fumare. Ma, contro queste mie aspettative, lui mi risponde: -Certo- e tira fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto, lo apre e me ne porge una. La prendo fissandolo negli occhi. Come cavolo fa’, uno del suo livello, a fumare?
-Il terzo piano è quello dove si radunano i fumatori. Io ci sto’ andando. Vieni con me, Isabella?
-Izzy… veramente…- gliel’ho detto quasi urlandolo. Odio quando qualcuno mi chiama Isabella. Che sciocca! Perché gli ho risposto così? Lui nemmeno lo sapeva…
-Izzy! Allora che fai? Vieni?
-Ovvio!- accenno un sorriso. E poi lo seguo.
 
Il terzo piano equivale ad un terrazzo di circa 50 m.
C’è molta gente che fuma qui. Bello. Nelle altre scuole, mi dovevo appartare in bagno per fumare. Qui è tutto più libero.
Per fortuna, l’accendino mi sono ricordata di prenderlo. Accendo la sigaretta che mi ha passato Noah, e fisso l’orizzonte. Bella città, Chicago. Grigia, fredda e nebbiosa. Perfetto, il mio ambiente.
La voce di Noah mi riporta alla realtà:
-Allora, qual è il vero motivo per cui ti sei trasferita qui?
Lo guardo. Non se l’è bevuta?
-L’ho detto…- dico, quasi scusandomi.
-Credi che me la sia bevuta la balla di tuo padre che si sposta per lavoro?
-Perché? Cosa ti spinge a pensare il contrario?
-I tuoi occhi, per esempio. Vacui, persi. Ti droghi, giusto?- detto questo, fa’ un tiro con la sigaretta.
Giusto, i miei occhi. E’ vero: gli occhi dei drogati sembrano persi. Gli rispondo:
-Dalle altre scuole mi hanno cacciato perché mi hanno beccata in bagno mentre sniffavo.
-Beh, non sei molto furba, allora…
-Erano troppo prestigiose e sempre sottocontrollo: impedivano a noi studenti anche di fumare, cosa avrei dovuto fare? Non ne posso fare a meno!- ok, questo gliel’ho urlato. E forse me ne pento… no, non me ne pento.
-Ma tanto tu cosa ne sai di com’è essere dipendenti da sostanze stupefacenti…
-Lo so’ perché lo sono stato anch’io…- fa’ un altro tiro. Davvero? Mi prende in giro, di sicuro.
-Mi stai prendendo in giro o cosa?- faccio un tiro anch’io.
-Già, è difficile da credere…
-No ti sbagli! E’ impossibile da credere! Come mai hai smesso?- faccio un altro tiro.
-Perché… non ne avevo più un motivo!- anche lui tira.
-Io non ci riesco! La cocaina ha preso il sopravvento nel mio corpo.- Wow, da dove mi è uscita questa frase così filosofica?
-Se ci provi, e ci riprovi alla fine ci riesci! Fidati di uno che l’ha fatto! Come mai hai incominciato?
-Il mio ex mi tradiva- non voglio aggiungere altro. Parlare di Matt mi fa’ venire il voltastomaco.
-Mi dispiace!-
-A me no! Matt è uno stronzo!- e tiro di nuovo. Poi lo fisso… e lui?
-Tu perché hai cominciato, invece?
-Per cercare di essere accettato!
Per cercare di essere accettato. Io di amici ne ho avuti parecchi, sempre anche durante il periodo che ho cominciato a drogarmi. Perché lo hanno fatto anche loro. Me li ricordo, ancora. Beth, Trent, Duncan, Gwen e Geoff… i miei migliori amici. Noi non cercavamo di essere accettati, cercavamo di essere giusti.
-Sai… ho iniziato a 15 anni. Nella mia classe c’erano tutti gruppi. Ed io non appartenevo a nessuno di questi. Per cercare di entrare in uno, quello più fico, per intenderci, dovevo cominciare. Ed ho iniziato con la cocaina. Mi hanno accolto come un eroe. E io mi sentivo tale. Dopo un po’, loro hanno iniziato anche a bucarsi, ed io dovevo fare uguale, se volevo continuare a stare lì. Ma dopo le prime due volte già ero dipendente al massimo. Andavamo a rubare per cercare i soldi che ci servivano, io ne avevo bisogno più di loro perché ero all’inizio. Ma una sera, è arrivata la polizia, loro sono scappati, io non riuscivo a stare al loro passo e così mi hanno preso. I miei genitori erano così delusi. E lo ero anch’io. Di quelli che credevo miei amici. Sono stato 3 mesi in un centro di disintossicazione ed, ora, eccomi qua.
Mentre racconta questa cosa, mi stanno salendo le lacrime. Io non mi sono mai spinta a rubare per la droga. Cercavo di controllarmi. Come potevo.
Ad un certo punto, nel terrazzo arrivò un ragazzo, molto agitato ma felice. Gridò:
-RAGAZZI, LA SCINTILLA HA COLPITO ANCORA!-
-Oh, cavolo, dove?- chiese Noah, emozionato.
-Sugli armadietti!
In men che non si dica, eravamo già tutti di sotto davanti agli armadietti. E c’era un graffito. “Scintilla” c’era scritto, circondato dalle scintille che emana il fuoco quando sta per accendersi.
-Ma chi è?- chiesi a Noah.
-E’ una graffitara!- mi rispose lui- La migliore di tutta Chicago!
-E tu la conosci?
-Tutti la conoscono! Frequenta ancora questa scuola!
Come “ancora”? Vuol dire che stava per essere cacciata?
 
Le mie domande sulla Scintilla rimasero appese nel mio cervello. Dopo scuola, verso le 3:00 del pomeriggio, Noah mi accompagna a fare un giro della città.
-OH, GUARDA!- mi urla all’improvviso
-Cosa?- gli chiedo io.
-SCINTILLA!- grida di nuovo lui. L’ha vista?
-Dove? Non la vedo!
-Lì dietro!- dice lui indicando un muro dall’altra parte della strada. Eccola.
Ci avviciniamo. Ha un felpa nera e il cappuccio le copre la testa. Ma distinguo delle ciocche rosse venire fuori. Ecco perché Scintilla: capelli rossi come il fuoco.
-Ciao, Zoey!- la saluta Noah. Allora è questo il suo vero nome: Zoey. Carino, mi piace!
-Ehi, Noah!- dice la ragazza levandosi il cappuccio. Ora la guardo. E’ proprio una bella ragazza. Ha i suoi capelli rossi legati in due codini, e con un fiore appena sopra l’orecchio destro. E’ abbastanza alta, molto magra. E sembra simpatica. Ora, sta’ abbracciando Noah.
-Quanto tempo che non ti vedo!- gli dice sorridendogli
-Già, in effetti è passata un’eternità! Come stai?
-Beh, potrei stare sempre meglio…
-Ci credo, con quello che passi.
All’improvviso si accorse di me.
-E lei chi è?- chiede al suo amico.
-Ah, lei è Izzy! Si è appena trasferita. Le stavo facendo fare un tour della città.
-Beh, non credo che ci sia molto da vedere- ridacchia.- Comunque, piacere! Io sono Zoey!- mi tende la mano, sorridendomi. Le sorrido anch’io e le rispondo stringendole la mano.
-Il piacere è mio! Bello il graffito!
-Oh, beh…- sta’ arrossendo – grazie!
-Come quello che hai fatto oggi a scuola!- dice Noah, mettendola a suo agio.
-Il preside si è infuriato?- dice lei con uno sguardo sia interrogativo che preoccupato.
-Parecchio… ma non sa’ che sei tu, tranquilla!- e poi le mette una mano sulla spalla. Non so’ perché ma, mi viene una fitta allo stomaco.
-Lo spero! Avete pranzato?- ci chiede.
-Beh, con quello che ci offre la mensa direi di no…- le dice Noah.
-Io non ho toccato cibo!- le dico io. Era vero. Ho toccato il polpettone che c’era sul mio piatto con una forchetta. Era molliccio. Bleah.
-Vi va’ di venire a pranzo da me, allora? Così io e Izzy potremmo conoscerci meglio!- mi sorride. Simpatica. Davvero simpatica.
-Se non ti creiamo disturbo… che ne dici, Izzy?
-Per me va bene! Anch’io ho voglia di conoscerti meglio.- le sorrido a mia volta
-Ok!- chiude la bomboletta di vernice rossa e la mette dentro una borsa da ginnastica, dove, ho intravisto, ce n’erano molte altre. E poi ci incamminammo verso casa sua.
 
La casa di Zoey era fra’ la 15esima e la 16esima. E’ modesta: ha due piani e il colore dell’edificio è arancione scuro. Ispira fiducia.
Zoey estrae un mazzo di chiavi dalla borsa e apre la porta molto piano.
-Mi raccomando: entrate piano e non fate molto rumore- ci dice entrando.
Facciamo come ci ha detto. Ma non capisco il perché.
Appena entriamo, ci accoglie un salotto molto disordinato poco dopo l’ingresso. C’erano vestiti sparsi a terra, CD, DVD, e all’angolo, una Tv. Semplice, ma abbastanza costosa.
La cosa che mi ha incuriosito è la presenza di tutine. Piccole tutine rosa, che si uniscono ai vestiti a terra, che sono sia da uomo, sia da donna. A parte le tutine, il disordine e il resto, questa casa comincia a piacermi. La mia camera sembra la copia sputata di questo salotto.
-Scusatemi davvero per il disordine!- ci dice Zoey sottovoce, quasi scusandosi.
-Tranquilla- le dico io facendole un sorriso- A casa mia è più o meno la stessa cosa!
Zoey sorride quasi tranquillizzata. Più a sinistra, vedo una parte della cucina. Disordine anche lì.
Oltre la cucina e il salotto, ci sono le scale che portano al piano di sopra. Sono a chiocciola e partono da appena sopra il divano.
Chissà com’è di sopra, mi domando.
 
Zoey ci fa’ accomodare sul divano e ci serve un bel pranzetto: tre pezzi di pizza, uno ciascuno, patatine fritte condite, ovviamente, con ketchup e maionese e tre aranciate. E’ andata a prendere tutto nella pizzeria qui a fianco e ha lasciato me e Noah ad aspettarla lì. Lui mi fissava. Tanto. E lo fissavo anch’io. Non ci siamo parlati molto, in quella situazione. C’era troppo imbarazzo. Stavamo sempre a fissarci. E a me piaceva. Molto.
Dopo pranzo, Zoey prepara il caffè accompagnato con dei biscottini al cioccolato che aveva fatto lei. A forma di cuore.
Stiamo per un po’ in silenzio, poi sono io che parlo per prima:
-Allora, da quanto fai graffiti?
-Beh, più o meno da sempre!
-Ha sempre avuto una passione per il disegno…- aggiunge Noah.
-E perché li fai?
-Mi aiuta a rilassarmi. Penso di aver dato un tocco di colore a questa città buia e grigia!- e mi sorride. Penso che, quel suo bel sorriso, abbia steso molti uomini.
-E come mai ti chiami Scintilla?
-Ehm, perché…-
Ma non fa’ in tempo a finire la frase, che la porta dell’ingresso si apre ed entra un ragazzo. Cavoli, è anche carino. E’ alto, con capelli neri e occhi marroni. Ed un bel fisico.
-Amore? Sono a casa!- dice il ragazzo. Zoey si alza e gli va’ incontro, abbracciandolo.
-Ciao, amore!- lo saluta e subito dopo gli da’ un bacio. Questa scena mi ricorda molto me e Matt quando stavamo insieme. E la cosa mi fa’ venire da vomitare.
-Amore, ti ricordi di Noah, no?- dice Zoey, indicando dalla parte di Noah.
-Si, certo! Come va’, amico?- gli stringe la mano.
-Alla grande, Mike! E a te, invece?
-Non c’è male! Parto per una trasferta, fra’ tre giorni!
-Wow! Vedrai che tanto lo vincete quel torneo Nazionale!
-Speriamo
-E lei invece…- Zoey comincia ad indicare me –E’ Izzy! E’ nuova a scuola!
-Ciao, piacere Mike!- mi dice lui, porgendomi la mano.
-Izzy, piacere!
Quindi Zoey abita con il suo ragazzo? A 17 anni? Ok, prendetemi pure per una romanticona ma, mi sembra molto dolce!
-Vado a cambiarmi! Così ne approfitto per vedere se la piccola si è svegliata!- dice Mike. La piccola?
-Ok, ti aspettiamo qui!- dice Zoey, baciandolo, poi, di nuovo.
Dopo che Mike, fu arrivato al piano di sopra, non riesco a trattenermi e le chiedo:
-Chi è “la piccola”?- Zoey mi guarda. Sembra imbarazzata. Oddio. Forse ho toccato un argomento di cui non le va’ di parlarmi?
-E’ nostra figlia!- mi risponde, sorridendomi.- Ha 5 mesi!
Lei e Mike hanno una figlia? Ecco perché vivono insieme.
 
Molte ore dopo, sono seduta sul mio letto della mia nuova casa qui a Chicago. Sto’ davanti al computer e chatto con Gwen, la mia migliore amica. Le parlo di Noah e di Zoey.
Lei è stupita, ma mi dice che le piacerebbe conoscerli.
Alle 11, chiudo il PC, lo tolgo dal letto e butto la testa sul cuscino. Sto’ anche per spegnere il cellulare, ma mi arriva un messaggio. E’ di Noah. Oggi pomeriggio gli ho dato il mio numero.
Mi ha scritto “Buonanotte! J”! Ed io sorrido.
 
 
  
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