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Autore: Lauretta Koizumi Reid    30/04/2014    2 recensioni
C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. Ed è una semplice domanda: perché sono viva? Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella. Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.
Johanna Mason, Distretto 7. Prigioniera di Capitol City per un tempo che ella non può contare. In un luogo terrificante. Che forse, però, si può immaginare.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era una sala grande, fredda e azzurra, con un enorme tavolo di vetro al quale eravamo tutti seduti compostamente e in silenzio. Avvertivo la palpabile tensione del perché Plutarch Heavensbee avesse convocato alcuni degli ex vincitori prima dei giochi imminenti. Prima che andassi di nuovo a guardare la morte negli occhi.
E ciò che sentii in quella sala non lo dimenticherò mai.

- Se siamo riuniti qui, è perché abbiamo qualcosa in comune: nessuno di noi vuole morire a causa di questi Giochi e tutti odiamo a morte Capitol City e il suo sistema.
Silenzio.

- Fin qui... - mormorò Finnick Odair giocando svogliatamente con il bicchiere d’acqua di fronte a lui.
- E fin qui, ci siamo - lo riprese - il punto è: cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare? Immagino che nessuno di voi sia rimasto indifferente e sconosciuto agli eventi che stanno colpendo i distretti in queste ultime settimane. Si stanno ribellando. E questo crediamo sia grazie alla vincitrice dello scorso anno, Katniss Everdeen, la ragazza di fuoco. Il gesto delle bacche velenose, voluto per ribellarsi oppure no, è stata comunque la scintilla che ha fatto scatenare l’incendio.
- No l’ha voluto fare per ribellarsi al sistema - mormorò la voce sommessa della Morfaminomane del Distretto 6 - ha solo sedici anni. E anche il ragazzo...hanno solo voluto salvarsi.
- Sì, è probabile - continuò Plutarch, infastidito dal timido commento - ma Katniss è la chiave per liberarci di tutto questo. E con questo, intendo quello che avete subìto tutti voi. Minacce, costrizioni, uccisioni,  molestie... traumi... devo continuare? 

Fece una pausa per permettere a tutti noi di abbassare la testa sotto il peso di quella verità che lui disse con tanta leggerezza. La testa di Finnick era la più bassa di tutte.
- Ora vi ri-sbattono  dentro, e credetemi, il Presidente non ha intenzione di far sopravvivere nessuno di voi. Troverà un modo per uccidervi tutti. Si è reso conto della fragilità del suo sistema, e vi vede come una possibile minaccia, persone adorate a Capitol City che hanno un potere ben più grande del suo. Gli Hunger Games si sono rivelate un’arma a doppio taglio, e voi siete la lama. Ciò che Snow non sa, è chi sono io. E nemmeno voi, effettivamente.
Riprese fiato e continuò.
- Faccio parte di una organizzazione, una setta, per così dire,  che ha l’obbiettivo di abbattere il Presidente Snow e la tirannia di Capitol City. La mia fortuna, e la sua sfortuna, è stata appassionarmi alla storia dei nostri antenati, e scoprire che l’oligarchia e la dittatura non sono i soli metodi governativi. Se tra le numerose leggi votate a Panem ci fosse stata anche l’impedimento della libera lettura, forse non sarei qui a dirvi queste cose. E per quanto riguarda l’organizzazione.....vi basti sapere che ha sede al Distretto 13.

Si sollevò un coro di ovazioni e grida. Ma era così. Il Distretto 13 viveva, in condizioni disumane, ma viveva. Ci volle un po’ per calmare tutti e farsi spiegare l’intera storia. Ma Plutarch aveva fretta di concludere. E anche io. Le mie imprecazioni erano state le più alte e offensive di tutte, ma ora dovevo capire in che quale accidenti di guaio volevano cacciarmi. Il piano fu spiegato nei minimi dettagli, come se si fosse trattato di una storia che avevamo già vissuto e che dovevamo stare a sentire e ripetere. Cosa dovevamo fare, con chi allearci, chi uccidere, chi non uccidere.
E io, Johanna Mason, Distretto 7, avevo la missione di allearmi con Katniss Everdeen, proteggerla a costo della vita, strapparle al momento opportuno il rilevatore dal braccio, radunarmi con i ribelli (perché già eravamo diventati tali occupando quella stanza) e attendere gli hovercraft del Distretto 13.

- Mi faccia solo capire una cosa - intervenne l’ingegnoso Beetee sollevandosi gli occhiali sul naso - dovremo tutti comportarci come se fossero giochi veri, esatto?
- Certo, o verrete scoperti!
- Quindi potremmo morire. - sentenziò con aria di sufficienza e con un sorriso furbesco.
- E’ una possibilità. Tutto deve andare come se non ci fosse nessuna cospirazione, nessun inganno. Ammazzate senza pietà chi non si trova in questa stanza, a eccezione di Katniss Everdeen. Lei è la Ghiandaia imitatrice, simbolo di questa rivoluzione, e va tenuta in vita.
- Sarebbe molto di più un simbolo se morisse - intervenni io.
- E’ vero, non escludo che vedo la vita di quella ragazza appesa a un filo. Ma non in questo modo. E poi non è questo il punto. Il punto è che vi ho radunati qui perché so che siete disposti a pagare qualunque prezzo perché Capitol City e Snow paghino per gli ultimi settantacinque anni di orrore. Anche morire.

Tanto che importa, pensai, nessuno può piangere per me, se muoio.

Il gelo ci pervase, insieme a sorrisi di follia, di rassegnazione, di volontà.
- Altra cosa, - sentenziò Haymitch Abernarty, - farete di tutto per proteggere anche il ragazzo, Peeta.
Ciò scatenò una nuova ondata, non si protesta, bensì di sorpresa.
- Non gliene importa un accidente, di quel ragazzo! Si vede lontano un miglio che recita! - si scaldò improvvisamente Finnick. Mags, l’anziana accanto a lui, gli accarezzò il braccio.
- Io non credo, belloccio. - ribatté Haymitch, con improvvisa lucidità - so quello che dico. Se Katniss perde Peeta, ho come l’impressione che non terrà abbastanza alla sua vita per non compiere qualche sciocchezza. E allora addio alla Ghiandaia. E addio anche a voi, potrebbe farvi fuori tutti e uccidersi lei stessa. Credetemi, può farlo. Per quanto riguarda la recita, non voglio perdermi in dettagli che non sono affari vostri, ma sono quasi certo che non sia così. Insomma, se fossi stato io nell’Arena, non ci sarebbero stati problemi. Ma è uscito lui, e questo è quanto. Tenete in vita Katniss, tenete in vita Peeta. Fatelo, e forse non morirete. Non fatelo, e la vostra vita penderà da un filo di ragnatela. Se morirete, morirete con onore. L’unica volta che nella vita potreste sperimentare questo sentimento.

I visi della morfaminomane del Distretto 6 e della compagna svitata di Beetee sono pieni di determinazione e tenerezza. Tenerezza. Istinto materno, può darsi. Nessuno di loro due ha figli, che io sappia, e Katniss e Peeta potrebbero esserlo benissimo. Sono pronte a dare la vita per loro.

E io? Io sono qui. Sono pronta anche io.
Perché sono vuota, non ho nulla da perdere. Nessuno mi piangerà. Io non piangerò per nessuno. Sono a posto. Ma vedo qualcosa all’orizzonte, ed è un senso. La mia vita avrà un senso.

Intinsi il mio dito indice destro nell’inchiostro rosso e lo poggiai vicino al mio nome scritto in stampatello. Avevo giurato.
E che i Giochi, i nostri giochi, altrettanto pericolosi, rischiosi, pazzi, avessero inizio.
 
Ma tutto questo è un’eco nella mia testa martoriata, mentre vengo riportata - trascinata - in cella.
 

Oggi hanno usato le buone, per così dire. Domande su domande, incalzanti, ingannevoli, furbe. Hanno trovato un buon oratore, uno che ci sapeva fare, sia con le parole sia con i metodi. Hanno preteso che raccontassi tutto di me. E hanno mostrato in una tv le mie riprese.

Perché, signorina Mason, ha tenuto stretta Katniss mentre la Cornucopia girava?

Perché non ha ucciso Beetee e Wireless, e si è  alleata con loro?   

Perché mai avrebbe massacrato il braccio della signorina Everdeen e stava per fare lo stesso con il signor Mellark, disattivando così i sistemi di rilevamento?

Perché, signorina Mason, è corsa a braccia aperte verso il nostro hovercraft?

E mi dica, signorina Mason, dove pensa che siano tutti gli altri?

Mi trascino a fatica verso quel materasso sfondato, senza sapere che giorno è, o che ore sono. E’ stata messa una ciotola d’acqua gelida per lavarmi e una per bere. Niente da mangiare. Ma non ho fame.
Sono solo dolorante e mi cola il naso perché cerco di tenere dentro le lacrime. Le buone maniere, secondo Capitol City, sono composte, oltre che da domande incalzanti, anche da una buona dose di schiaffoni, strattoni, torcimenti di braccia. Coloro che mi facevano questo erano accanto a me, in divisa da Pacificatori, con il casco in testa.

Non vedevo i loro volti. Ma li guardavo lo stesso con odio.  

Bevo. E prima di crollare nel silenzio più assoluto, penso che probabilmente tenevano il casco perché non avevano il coraggio di guardarmi in faccia.

Le mie palpebre calano, le mie orecchie fanno in tempo a catturare un urlo lancinante prima che l’oblio mi riporti con sé.
 
 
 
 
 
Note di fine capitolo: questo era un po’ più lungo, è vero. Mea culpa, volevo troppo raccontare la riunione prima dei giochi, e anche se volevo ampliarlo ancora un po’ (!), spero lo stesso che vi piaccia. E se volete leggere una fan fiction che vi narrerà cosa accadeva dall’altra parte del muro, usagainst_theworld vi presenta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1
  
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