Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Harley Sparrow    30/04/2014    9 recensioni
|Helsa| |Hans + Elsa| |ho pubblicato anche il seguito, Fix You|
*
Un amore che non diede loro la forza di volare, ma di lasciarsi precipitare. E tornare a vivere.
*
"Ora capisco per quale motivo siete qui..." [...] Elsa strinse la tazza fra le mani, aggrappandosi a essa come se fosse l’unico modo per non cadere "vi siete resa conto che qualche anno di pace non è stato sufficiente per guarire le ferite di una vita, non è così?"
Lo guardò sbigottita e si affrettò a squittire un "no!" che rivelò tutta la sua fragilità e insicurezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bring me to Life'
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Note introduttive:
Alone è una delle mie canzoni preferite in assoluto. È di Celine Dion, per chi non lo sapesse, e mi è sembrata adatta per descrivere l'attesa estenuante che hanno dovuto soffrire Elsa e Hans... Ecco, QUI trovate la canzone cantata dalla meravigliosa Celine, mentre QUI c’è il link della canzone di Glee, cantata da un uomo e una donna, che faremo finta che siano Hans ed Elsa. Comunque Celine tronerà a cantare per noi...Indovinate con che canzone...? *.*
Mi sento in dovere di ringraziare tanto tanto tanto chi mi sta seguendo, chi sta apprezzando la storia e continua (e spero continuerà) a darmi fiducia.
FINALMENTE HO TROVATO L’IMMAGINE DELLA STORIA!! CHE NE PENSATE? (trovata si Google)
 
Buona lettura!
 
 
 


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Capitolo 6

ALONE
 
"Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior."

 
Odio e amo. Come questo sia possibile mi sfugge
Ma lo sento, e sono in croce
.
[Gaio Valerio Catulluo]
 
 
 
 
Due settimane dopo
 
Hans giocava con il coltello facendoselo roteare fra le dita, immerso nei suoi pensieri. Era a tavola, e non si accorse che il re e la regina lo fissavano infastiditi e che a tavola, poco dopo, tutti a condivisero il loro sdegno.
La principessa Rapunzel, che con il suo buon cuore aveva sempre cer
cato di costruire con lui un rapporto almeno di rispetto, si estraniò dalla conversazione per rivolgersi al principe imbronciato che le stava di fronte.
"Non mi avete detto niente sulla visita che ha fatto la regina Elsa..." non appena Hans sentì nominare la regina, si ridestò, e, quando comprese la natura della domanda, si rabbuiò e rispose seccamente "Non sono affari che vi riguardano."
Rapunzel fece una smorfia: era la stessa risposta che le aveva dato Elsa l'ultimo giorno, ma con molta, molta più diplomazia.
"Elsa è una mia amica...–" cominciò, ma prontamente il principe le rispose brusco "Allora chiedetelo a lei." e si alzò. Non aveva intenzione di rimanere un minuto di più sotto processo, non di nuovo. Si rivolse all'intera tavolata e si congedò, biascicando delle scuse. Quando finalmente entrò nella sua stanza, si diresse verso lo scrittoio e, in preda all'ira, buttò a terra con violenza tutto quello che vi stava sopra.
 
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Elsa giocherellava con un ciuffo ribelle di capelli uscito dalla sua lunga treccia, fissando il vuoto e meditando, senza accorgersi che tutto il Gran Consiglio di Arendelle la fissava in attesa di qualcosa.
"Mia regina, avete sentito?" si fece coraggio un ministro richiamandola alla realtà.
Si riscosse subito "Cosa? Oh sì, certo, potete dare il via per la costruzione di quella diga..."
"Ma... mia regina..." la guardò stupefatto e imbarazzato allo stesso tempo "Questa mozione è stata approvata mezz’ora fa!"
Adesso era lei ad essere imbarazzata. Da quanto tempo non ascoltava quello che succedeva nella Sala? Fece un rapido conto... Se mezz’ora prima aveva dato il permesso di iniziare dei lavori, e già non stava ascoltando allora, era da quasi due ore che si era completamente estraniata dalla conversazione. Istintivamente portò una mano alla testa e cercando di apparire stanca disse "Non mi sento bene oggi... Vogliate perdonarmi se mi ritiro nelle mie stanze..." si alzò.
Tutti la imitarono imbarazzati e balbettarono dei "ma certo". Quando Elsa si chiuse la porta alle spalle, si guardarono negli occhi. Era da due settimane che andava avanti così.
 
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"Carissima Anna,
Ci ho provato, te lo giuro, ma Lui non si vuole confidare: si arrabbia e se ne va ogni volta che gli nomino tua sorella. Mi dispiace non esserti d'alcun aiuto. L'unico consiglio che posso darti è di continuare a insistere con Elsa perché........"
 
Anna strinse forte fra le mani la carta dove era scritta la risposta della principessa Rapunzel alla sua richiesta -supplica- di indagare su quello che era successo fra la sorella e il Verme Schifoso. Si diresse verso la stanza della sorella senza ascoltare i tentativi di dissuasione che le urlava Kristoff dall'altra parte del corridoio ed entrò come una furia, senza nemmeno bussare. "È ora di finirla, Elsa."
"Anna..." la supplicò Elsa, passato il primo spavento dovuto all’irruzione della sorella nella sua camera. "Cosa c'è?" chiese, distesa sul letto, facendo finta di non sapere qual era il problema.
"Kai mi ha detto che hai abbandonato il Gran Consiglio; di nuovo." le disse con una vocina acuta a pochi passi da lei.
"Non sto bene..." Tentennò di rimando, consapevole che, forse poteva darla a bere ai ministri, ma a sua sorella no, e la cosa fu dimostrata poco dopo.
Il problema era che da quando era tornata si comportava in modo troppo strano: alternava dei momenti di pura felicità a momenti in cui o si metteva a fissare il vuoto, persa nei suoi pensieri, oppure si chiudeva in sé stessa e non parlava con nessuno. Non aveva raccontato molto di quello che era successo durante il suo soggiorno nel regno di Rapunzel, o meglio, aveva raccontato tutto, eccezion fatta dei suoi incontri con Hans, su cui era stata molto vaga, dicendo che "Non valeva la pena parlarne", che "gli assassini non cambiano mai" e aveva liquidato il discorso con un "è finita." colmo di amarezza, che per lei assumeva un significato diverso da quello che avevano inteso gli altri. Tutti le avevano creduto, a parte Anna, che ancora insisteva per saperne di più.
"I casi sono due: o mi dici cos’è successo quindici giorni fa o andrò io stessa a chiederlo a chi di dovere" le ordinò, attenta a non nominare il nome di Hans.
Il fatto era che Elsa dava l'impressione che tutto fosse a posto, che tutto andasse bene, ma una volta Anna le aveva fatto notare che aveva voluto vedere Hans per qualcosa, e lei era scattata di rabbia ripetendole che era andata per ricevere delle scuse, scuse che non erano arrivate. Caso chiuso.


"Anna..." cominciò supplicante, ma vedendo lo sguardo impassibile della sorella, si alzò e andò a sedersi su una poltrona, accanto a lei. "Quante volte te lo devo ripetere? L'ho visto una sola volta e...–"
"Rapunzel mi ha detto che erano due le volte." Elsa perse un battito. Per un attimo aveva temuto che avrebbe detto tre, ma si ridestò subito e decise di assecondarla, senza iniziare a imprecare contro la sua curiosità e/o contro la lingua lunga di Rapunzel.
"Due, sì, ma la prima volta –il primo giorno– non ha voluto che restassi. Diceva di essere stanco, credo..." poi decise di inserire un insulto: sembrava che sentire il suo nome accanto a una parola poco gentile facesse sentire meglio gli altri. "che maleducato."
"E il secondo incontro? Non me ne hai mai parlato. Mai." Le disse sedendosi su uno dei braccioli della poltrona e afferrandole una mano. Quanto le voleva bene...
"Perché pensi che ti stia nascondendo qualcosa? Non ricordo parola per parola quello che ci siamo detti..." mentì: oh, lo ricordava eccome
"Elsa, io so che mi stai nascondendo qualcosa, altrimenti non si spiegherebbe il tuo comportamento. Sei strana, distratta...E lo sai!" tagliò corto in tono accusatorio.
Elsa fece per controbattere, ma Anna non glielo permise "Ti do ancora una possibilità, dopo di ché andrò io stessa a chiedere a lui cosa ti ha detto..."
Contaci che te lo permetterò. Pensò Elsa in un primo momento, poi sospirò, e capì in che doveva smetterla di comportarsi da bambina, doveva smettere di pensare ad Hans in ogni singolo momento. Anna era una vera testarda, e se diceva che sarebbe andata a parlare con Hans, anche a costo di scappare di casa, lo avrebbe fatto. Il problema era la risposta che lui le avrebbe dato: l'avrebbe respinta, raccontandole bugie come stava già facendo Elsa? Era piuttosto bravo con le parole: si sarebbe quindi inventato una scusa? Il volto di Elsa si tinse di una sfumatura di rosa quando realizzò, senza ombra di dubbio, che le avrebbe detto la verità, solo ed esclusivamente la verità. Unicamente per ferirla, proprio come aveva fatto con lei quando le aveva detto ciò che Anna aveva omesso di dirle sul motivo per cui lui non aveva voluto salvarla. Non aveva dimenticato lo sguardo colmo di ira che si era dipinto sul volto di lui quando lo aveva visto leggere il messaggio che gli aveva lasciato: continuava a chiedersi cosa significasse. Forse si era aspettato di leggere qualcosa in più, ma quando si era ritrovata davanti quel foglio bianco non era riuscita a pensare a niente di diverso di quel “mi dispiace” … per essere stata così cieca con lui, per averlo respinto così a lungo (non che lui si fosse impegnato molto per lei), e soprattutto perché doveva andarsene, e chissà quando si sarebbero rivisti.
No, non avrebbe permesso ad Anna di andare da lui. Anche perché le era sembrato che Hans serbasse molto rancore nei suoi confronti per essersi “consolata in fretta con Kristoff”.
Proprio da quest’ultima constatazione le venne in mente un'idea, un'idea grandiosa che avrebbe finalmente placato la sorella.
"Anna, vuoi proprio sapere quello che mi ha detto?" le chiese alla fine, esasperata. "Sì, Elsa, è da settimane che ti sto supplicando di parlarmene!" le rispose la sorella, a sua volta esasperata e trepidante al tempo stesso. "Va bene..." cominciò cauta "Ma non ti piacerà."
 
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Dopo la minaccia di Anna si sforzò di cambiare atteggiamento sul serio. Decise che avrebbe potuto vivere la sua vita da regina indipendentemente dai sentimenti e dalle preoccupazioni che erano derivate dal suo ultimo incontro con Hans. Queste preoccupazioni erano libere di corrodere il suo cervello solo di notte, quando finalmente si poteva distendere nel letto, da sola, ma dovevano dissolversi non appena si alzava da esso.
All'inizio non era stato semplice, eppure, dopo alcuni giorni, riuscì davvero a confinare i ricordi di Hans in un angolo della sua mente che doveva rimanere in silenzio e nell'ombra durante il giorno.
 
I momenti di disperazione totale per il loro distacco (forzato) avevano lasciato il posto allo smarrimento. Elsa era sicura di quello che aveva provato quando aveva deciso di mettere da parte i suoi dissidi con Hans e aprirsi a lui, ma si era chiesta più volte se lui provasse lo stesso. Una risposta secca e decisa tardava ad arrivare perché era troppo complicato: lui l'aveva ferita in ogni modo possibile, dicendole parole terribili, parole terribilmente vere, ma poi era stato lì, accanto a lei, a cercare di rimarginare le ferite che gli altri avevano inferto su di lei. E anche quelle che si procurava da sola, dovette ammettere, quando ricordò con quanto odio le aveva ricordato che Anna le voleva bene. Era stato lui a farla finalmente rendere conto di questa cosa, era grazie a lui se ora almeno gli incubi su Anna erano scomparsi. E poi le aveva fatto capire che non era sola, dopotutto. Aveva cercato disperatamente di farle capire quanto fossero simili. “Siamo due mostri” le aveva detto, colmo di ira, e lei all’inizio si era illusa che mentisse.
All'inizio credeva che lo rendesse felice vederla soffrire, indipendentemente dalla causa e dal tormentatore, però poi giunse alla consapevolezza che la sua sofferenza lo rendeva felice solo quando era lui la causa. Non sapeva ancora cosa significasse, e perché, soprattutto, ma ne era sicura, altrimenti non si sarebbero spiegate le parole che le aveva detto quella notte. Hans sembrava essersi beato dei momenti che l'avevano vista più debole, più indifesa, come la prima volta che l'aveva baciata. Se ci pensava, non poteva evitare di sentirsi ancora in collera, soprattutto per come lui aveva riso del suo imbarazzo. Era stato meschino, sotto ogni punto di vista, ma cosa ne sarebbe stato di lei se non lo avesse fatto? Probabilmente tutto era nato nel momento in cui aveva insistito per vederlo poco prima dell'apertura del processo. Era stato quello il momento in cui aveva venduto l'anima al diavolo, probabilmente.
 
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I mesi passavano ad Arendelle e la sua regina continuava a rimuginare su Hans e si logorava ogni notte nel tentativo di capire qualcosa su di lui e sentimenti che poteva aver provato quella notte. Non ce la faceva più: doveva vederlo. Ma erano passati solo due mesi, e, purtroppo, non erano ancora abbastanza.
 
Sono ossessionata. Aveva concluso, quando si era resa conto che lui ha rischiato la vita introducendosi nella mia stanza, quella notte, ricordando quegli spuntoni di ghiaccio che gravavano sulle loro teste. Nessuno si era mai spinto così nel pericolo nel tentativo di salvarla. Nessuno a parte Anna, e lei ne aveva pagato le conseguenze. Anna… non meritava le bugie che le aveva raccontato una volta tornata. Non era giusto che si fosse convinta che Hans l'avesse chiamata sgualdrina. Non era giusto, no. Così aveva un motivo in più per odiarlo (mi dispiace, Hans.) e aveva anche capito per quale motivo Elsa non aveva voluto dirglielo.
Non era pronta per sapere la verità, cioè che Elsa si era smarrita in un amore impossibile e forse neanche contraccambiato: aveva fatto finta di niente quando lo aveva sentito sorridere trionfante sulle sue labbra, ma una volta a casa non riusciva a toglierselo dalla mente, come tanti altri suoi comportamenti, dopotutto.
Era tutto un enorme controsenso: spesso si trovava impegolata in ragionamenti contorti nei quali cercava di far luce sui comportamenti di Hans. Si era preso gioco di lei? Nessuno dei due aveva fatto all'altro dichiarazioni di nessun tipo, quella notte: si erano semplicemente addormentati beandosi del momento.
E poi aveva tentato di ucciderla e aveva ingannato Anna in un modo puramente malvagio, e questo rimaneva un atto di una gravità imperdonabile, soprattutto perché era sicura che sarebbe andato fino in fondo, sia che avesse dovuto sposare Anna, sia che gli fosse toccato calare la spada su Elsa. Lo stava facendo. Si era servito del più subdolo dei piani facendole credere che Anna fosse morta, facendo in modo che le sue debolezze, i suoi sensi di colpa le si ritorcessero contro. Forse stava facendo lo stesso per farla innamorare di lui, solo per ottenere la tanto bramata corona.
Ha importanza?
La voce della sua follia amorosa interruppe i suoi ripensamenti –del tutto ragionevoli– mentre camminava in direzione della camera di Anna per annunciarle che a breve sarebbe tornata nel regno di Corona.
Per una visita ufficiale, ovvio.
 
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Tredici giorni dopo partì.
Aveva deciso di sfruttare ancora una volta l'effetto sorpresa non facendosi annunciare. Era partita molto presto, perciò arrivò in tempo per pranzare insieme alla Famiglia Reale. Presenziò pazientemente ad una seduta del Consiglio dei ministri e partecipò infine a un tè, tranquilla e posata, proprio come aveva dovuto fare per quei lunghi mesi, per tutta la vita.
 
Otto mesi e tredici giorni dopo quella lunga separazione, si trovava di nuovo nella sua stanza, di nuovo ad aspettarlo, di nuovo ad aspettarlo senza sapere che dire.
Sorrise, realizzando di essere completamente impazzita quando si rese conto che le sudavano le mani per l'ansia, ma era sicura di essere nel posto giusto, ancora una volta.
 
E ne ebbe la conferma quando sentì dei passi avvicinarsi e la voce delle guardie dire "c'è qualcuno per voi." E quando la porta si spalancò e sentì i suoi occhi increduli e subito dopo soddisfatti su di lei, che ricambiava lo sguardo.
Bellissimi occhi.
Ebbe la certezza che anche lui la stesse aspettando da tempo quando lo vide dirigersi a grandi passi verso di lei, e quando le cinse i fianchi con le braccia e la baciò. Aveva dimenticato quanto calore le trasmettesse quel contatto. Quel paradiso durò poco però: si sentì spingere violentemente contro il muro che stava fra due finestre, e quando aprì gli occhi increduli, si trovò davanti un volto cattivo, lo stesso di quando si erano incontrati prima del processo, i suoi occhi facevano trapelare la rabbia e la fissavano con arroganza; anni dopo capì che quella rabbia era solo frutto della solitudine, ma in quel momento rimase atterrita.  
"Sia chiaro." Cominciò a parlarle "Non vi porgerò mai le mie scuse." le disse ribadendole il concetto che aveva già messo in chiaro anni prima.
Elsa lo sapeva, e lo aveva accettato. Sapeva a cosa stava andando in contro quando aveva elaborato una scusa per far sì che la lasciassero tornare da lui. Hans non si sarebbe mai pentito per aver tentato di ucciderla, e lei non lo avrebbe mai perdonato per quello che le aveva fatto. Si era chiesta più volte se era possibile convivere con quella consapevolezza, e si era data della pazza per la risposta che si dava ogni volta.
Ripensando a quella risposta, alla sua pazzia, intrecciò il suo sguardo a quello del suo maledetto principe e sorrise.
"Ve le ho forse chieste?"
 
Non sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze, ma non oppose resistenza quando, dopo essersi avvenato di nuovo sulla sua bocca, la sollevò da terra e continuando a baciarla con passione la depose sul suo letto.
Sapeva che non era normale che gli permettesse di farla sua. Non era normale perché non erano sposati, perché lei era una regina; non era normale perché lui aveva tentato di ucciderla.
Ma erano forse persone normali, loro? La Strega e il Traditore, i due mostri che si erano finalmente ritrovati, che stavano per diventare una cosa sola.
 
Mentre con mani incerte gli sfilava la camicia e scopriva il suo ampio petto, e lui scioglieva il nastro che le teneva stretta la treccia, Elsa si chiese cosa gli stesse passando per la mente. Era felice? Questo era sicuro. Ma per cosa lo era? Perché finalmente erano di nuovo insieme o perché stava ottenendo quello che desiderava da anni? Forse tutti e due, sperava che fosse per tutti e due i motivi.
Aveva una paura folle di quello che stavano per fare, ma lo aveva desiderato così a lungo che non riuscì nemmeno a trovare qualche argomento per impedirgli di slacciarle il corsetto. Non aveva mai provato quella sensazione, il calore, non si era mai trovata in una situazione del genere: non aveva mai amato nessuno, non in quel modo. Tutte le principessine prima o poi si innamorano di un qualsiasi ragazzino che gravita intorno al loro castello, il figlio del giardiniere o di qualche servo, il figlio di un nobile o di un re, ma lei no. A nessun bambino era mai stato permesso di avvicinarsi, e l'unico amore che conosceva era quello descritto nei libri.
Si sentiva bruciare viva mentre lui le sfilava i vestiti con una lentezza esasperante. Sembrava che le volesse dare il tempo per impedirglielo, ma al tempo stesso sapeva che lei non lo avrebbe fatto, e quindi voleva dimostrarle che stava vincendo lui.
Hai vinto.
Mentre si preparava al momento in cui insieme avrebbero superato ogni limite, si rese conto che, nonostante il dolore che sapeva che avrebbe provato, era felice. Ormai aveva capito che per lei l'amore non sarebbe arrivato su un cavallo bianco. Non sarebbe stato il Cavaliere Senza Macchia e Senza Paura a salvarla da sé stessa: solo una persona come lei sarebbe riuscita, per lo meno, a farla star meglio.
Ti prego, fai piano avrebbe voluto supplicarlo quando sentì che il momento ormai era arrivato, ma le parole le morirono in bocca quando realizzò che tanto lui avrebbe fatto ugualmente come voleva.
 
Faceva male, un male terribile che le fece lacrimare gli occhi, ma non riuscì a odiarlo per questo, non riuscì ad odiarlo nemmeno quando la strinse a sé guardandola con soddisfazione ed entrò dentro di lei.
Quel dolore non l'abbandonò fino alla fine. Non capiva se aveva fatto apposta a fare forte o se era proprio così che doveva essere fare l'amore per la prima volta, ma non aveva importanza, si disse, anche se aveva sperato che le dicesse qualcosa quando tutto fu finito e si abbandonò sopra di lei, esausto, e la guardò negli occhi.
Chiedimelo.
Lo guardò supplicante mentre la sovrastava ancora.
Chiedimi se sto bene.
Passò il pollice sulla sua guancia e asciugò una lacrima che le era scesa da poco. Fece per aprire la bocca, forse per dirle qualcosa, qualche parola di conforto, ma non uscì niente. Elsa, le cui braccia ancora circondavano le sue spalle, gli passò una mano dietro la nuca, gli accarezzò i capelli e lo attirò a sé per baciarlo.
Va bene così.
 
*
*
*
 
Mentre sedeva ancora sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, osservava silenziosamente Elsa, che con le mani tremanti cercava di rifarsi la treccia guardandosi allo specchio, il vestito ancora slacciato sulla schiena.
"Perché mi hai permesso di farti questo?" la voce di Hans ruppe quel silenzio carico di tensione.
Elsa sussultò impercettibilmente, poi rispose, calibrando attentamente le sue parole. "In questi mesi ho avuto modo di riflettere su molte cose..." incominciò con calma.
"...E cioè?" le chiese alzandosi e muovendo alcuni passi verso di lei.
"Che mi sei mancato, per esempio."
Hans sorrise, la stessa risata complice che le aveva rivolto poco prima che accadesse tutto. Era ancora girata, e lui iniziò a trafficare con nastri e bottoni per chiuderle il bel vestito blu. Quando ebbe finito, dopo averle deposto un bacio su collo, le sussurrò "Questo lo avevo capito."
Si voltò verso di lui, e, incapace di guardarlo negli occhi per l'imbarazzo, balbettò "Hans, io..."
Non lo so. Forse perché mi fai sentire viva.
Lui capì –forse–, e la baciò con passione –per non farla continuare–. Non era sicuro di voler sapere per quale motivo era tornata, perché era certo che non sarebbe rimasta.
"Devo andare..." disse la regina quando si staccarono, gli occhi ancora socchiusi. Ormai era da più di un'ora che si trovava nella stanza di Hans, e le guardie probabilmente si stavano chiedendo che fine avesse fatto. Lui la superò senza rispondere e si diresse verso lo scrittoio, seguito dallo sguardo mortificato di lei; quando sedette, disse con noncuranza, incrociando le braccia sul petto "Quanto ti fermerai?"
Avanzò verso di lui e appoggiò entrambe le mani sullo scrittoio, come se si fosse trovata sotto processo. "Dieci giorni..." avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma non ci riuscì: non c'era niente da dire. Questa volta era lei a cercare gli occhi di lui, che sembrava stesse lottando contro sé stesso per dirle qualcosa. Infine Hans alzò lo sguardo, tornato impassibile, e chiese "Tornerai a trovarmi?"
Elsa abbassò il viso per un momento, come se dovesse leggere in fretta le battute che doveva dirgli "Troverò un modo." promise; poi aggiunse, per mettere in chiaro la situazione "Senza che nessuno lo venga a sapere." Un sorriso divertito che celava molto bene l'amarezza increspò il viso di Hans. "Arrivederci, allora."
 
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Quando si chiuse alle spalle la porta della sua stanza, fu aggredita dalle mille domande che la sua follia aveva sapientemente tenuto lontano l'ora precedente.
Cosa diavolo le era saltato in testa? Come aveva potuto lasciarsi trascinare in un simile inferno? Perché, forse era stato paradisiaco farsi stringere dalle braccia di quell'uomo, ma una volta rimasta sola, doveva guardare in faccia la realtà. Gli aveva permesso di ottenere ciò che desiderava, ciò che bramava di più, senza nemmeno mettere in chiaro la situazione –non che fosse chiara, difatti– e non era sicura che questo aspetto le piacesse. Hans esercitava su lei un fascino che la deliziava, ma la spaventava al tempo stesso. Era stato l'unico uomo in grado di capirla davvero fino in fondo, a capire cosa la spaventava e cosa desiderava. Desiderava essere amata, e lui l'aveva amata, a modo suo.
All'inizio, mentre si stava rivestendo, le tremavano le mani per l'angoscia: mille domande iniziavano a prendere forma nella sua mente e premevano per avere una risposta. Forse per Hans era stato tutto un gioco, una recita. Aveva recitato così bene con Anna, perché doveva essere diverso con lei, si chiese con amarezza; forse durante quei minuti pesantemente silenziosi l’aveva fissata, soddisfatto per la sua ingenuità. Non lo seppe mai, perché non aveva osato guardarlo: aveva paura di quello che avrebbe visto. Poi però, quando le aveva chiesto per quale motivo gli permetteva di usarla così, e soprattutto, con quanta noncuranza le aveva chiesto se sarebbe tornata, era divenuto chiaro per Elsa che tutto sommato qualcosa di lei gli importava. Forse, quando le aveva asciugato quella lacrima voleva solo dirle che andava tutto bene, che il dolore sarebbe presto passato, ma non ci era riuscito non tanto perché non gli importasse, ma perché non era abituato a preoccuparsi degli altri.
Da queste ultime considerazioni, che la confortarono oltremisura, arrivò la domanda cruciale, quella che la fece tremare al solo pensiero. Cosa avrebbero fatto una volta terminati quei giorni? Rendere la loro relazione pubblica era assolutamente fuori discussione. Nessuno avrebbe mai compreso quanto per Elsa fosse giusta e sensata: tutti, ma proprio tutti, l’avrebbero etichettata come sbagliata, inopportuna e assolutamente insensata. Voleva solo sapere cosa significasse per Hans tutto ciò, e per questo avrebbe dovuto rivederlo.
 
Quella sera non le venne in mente nessun modo per aggirare le guardie, e pensò che sarebbe diventata pazza se le volte in cui lo avesse rivisto sarebbero state ancora una, massimo due, prima di iniziare a destare sospetti.
 
 
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I colpi che qualcuno stava sferrando alla sua porta la fecero sobbalzare. Non si era resa conto che fosse già mattina. Entrò la serva che si occupava di prepararle l’abito della giornata, dicendo che era tardi e che a breve sarebbe stata servita la colazione. Prima però sarebbe arrivato qualcuno per informarla del programma della giornata.
Scelsero per lei un grazioso vestito verde, che le ricordò –con una fitta al cuore– quello che Anna aveva indossato per sua incoronazione. Non voleva pensare per nessun motivo ad Anna, perché pensare a lei voleva dire senso di colpa.
Quando fu pronta decise di uscire sul balcone che dava sul mare per prendere una boccata d'aria. In quel momento entrò un suo ministro, il quale l'aveva accompagnata per aiutarla a prendere certe decisioni, con in mano un foglietto di carta sul quale erano riportate le cose che avrebbe dovuto fare quel giorno. Lo invitò a parlare, rimanendo però sul balcone e dando le spalle al mare. Mentre l'uomo leggeva e commentava, il suo sguardo cominciò a vagare verso l'alto, si perse fra le torri del castello, numerose e molto vicine fra loro, finché non vide che qualcuno la osservava. Il cuore le balzò in gola quando si accorse che quel qualcuno aveva gli occhi verdi e il capelli rossi. Hans si trovava molto in alto, rispetto a lei, almeno a tre piani di distanza, dieci metri, come minimo, eppure... Eppure in quel momento si rese conto che c'era un modo per vederlo, quella sera. Senza fargli alcun cenno tornò nella sua stanza, lievemente arrossita per l'emozione che aveva arrecato la sua scoperta. Si sfregò le mani fra di loro e annunciò "Bene, che cominci la giornata!"
 
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Ormai Hans si era messo a letto da un po'. Abbattuto, fissava il soffitto senza vederlo realmente. Per tutto il giorno aveva pensato a un modo per eludere la sorveglianza, ma non gli era venuto in mente niente di fattibile. Toccava a Elsa rischiare tutto, questa volta. Fosse stato per lui, sarebbe uscito dalla sua stanza senza farsi troppi problemi, e se gli avessero chiesto, avrebbe urlato a tutto il mondo quello che c'era fra i due. Lei però gli aveva fatto intendere che avrebbe preso un'altra strada, e, almeno questa sua decisione, l’avrebbe rispettata. Per il momento.
Contro la sua volontà cominciò ad assopirsi, così, con uno scatto di rabbia si alzò in piedi: non avrebbe ceduto al sonno finché non avesse trovato un modo per andare da lei. Si chiese per quale motivo quella mattina non aveva fatto niente per salutarlo. Forse si era resa conto della follia che stavano commettendo e aveva deciso di cancellare tutto quello che c'era stato fra loro... E lui che aveva fatto anche in modo di non farla rimanere incinta, sapendo che sarebbe andata in contro a più problemi di quanti non ne avesse già. Da mesi ormai aveva cominciato a credere impossibile l’idea che sarebbe tornata da lui, e poi era tornato nella sua stanza, un giorno come un altro, e l’aveva trovata lì, per lui.
Questi pensieri rischiarono di farlo impazzire sul serio. Ma proprio mentre un sentimento di odio nei confronti di quella donna si insinuava nel suo cuore, sentì dei leggeri tonfi alla porta. Si voltò verso essa, ma si rese subito conto che doveva esserseli immaginati, perché il legno della porta della sua stanza non faceva quel rumore, quando si bussava. Rimase in ascolto, immobile, guardandosi intorno spaesato, e il suo cuore perse un colpo quando, guardando verso la porta del balcone, vide che c'era qualcuno fuori.
Corse ad aprire e se la ritrovò davanti, avvolta nel mantello.
"Quanto ti ci vuole per aprire?" lo canzonò entrando velocemente nella stanza.
"Scusatemi tanto, Vostra altezza, ma non sono abituato a ricevere visite dal balcone." le rispose sentendo la rabbia e l'odio scemare via come erano venuti. "Come diavolo...?" aggiunse chiedendosi come avesse fatto ad arrivare fin lì; si sporse verso il basso, aspettandosi di vedere il vuoto, e quello che vide lo lasciò completamente senza parole. Una scala di ghiaccio perfettamente lavorata collegava il suo balcone a uno poco più un basso, e quello era collegato a sua volta ad un altro ancora, molto più giù. Questa scala era appena visibile, perché, essendo fatta di ghiaccio trasparente, prendeva il colore bruno che assumeva il castello di notte. "Non è pericoloso?" si lasciò scappare quando sentì la presenza di lei alle spalle. Ricordava ancora con notevole angoscia la fatica che aveva fatto nel salire la scala che portava al suo palazzo di ghiaccio, anni prima.
"So camminare sul ghiaccio." disse lei con una punta di orgoglio, tornando nella stanza con l'intenzione di farsi seguire.
"E se qualcuno ti avesse vista?" le chiese dopo aver chiuso la porta del balcone, togliendole in mantello blu scuro che indossava. "Avrei dato la colpa a te." gli rispose candidamente, voltandosi e cercando di zittire le sue proteste con un bacio.
Forse era giunto il momento di parlare di cose serie, come per esempio cosa l'aveva spinta a tornare da lui, o perché si preoccupasse così tanto che Elsa potesse scivolare e precipitare da oltre venti metri di altezza, ma avevano ancora nove giorni per parlare di cose serie. Adesso potevano ancora permettersi di essere folli.
   
 
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