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Autore: Water_wolf    01/05/2014    4 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Ammazziamo un dragone e ci regalano una video-clip
♦Astrid♦
 
Nelle ore di tregua che ci concedevano Crono ed Hell, si svolgevano principalmente due attività: la prima, occuparsi di sistemare la situazione, curando i feriti, contando i morti e fornendo tutto ciò di cui si aveva bisogno svaligiando i negozi; la seconda, dormire.
Quando non conosci il momento in cui potresti riposarti ancora, ne approfitti. Ti sceglievi un posto appartato, dove potevi stare abbastanza comodo e dove nessuno ti avrebbe scovato per darti qualche ordine da portare a termine. Io mi ero incastrata tra il muro e un distributore automatico vuoto per tre quarti; i semidei mangiavano parecchio.
C’erano delle camere libere, al terzo piano, però non volevo approfittarne. C’erano mezzosangue più stanchi di me che avevano bisogno di riposarsi tra lenzuola e cuscini, io potevo accontentarmi. E, per quanto assurdo potesse sembrare, stare rannicchiata lì, come se stessi provando una posizione yoga particolarmente complicata, non era affatto male.
Quando un ruggito squarciò l’aria e mi svegliò, la mia postazione non mi sembrò più tanto comoda. La memoria del corpo mi suggerì di mettere i piedi giù dal letto, ma non c’era nulla da cui scendere, così caddi su un fianco.
«Dritt» imprecai a denti stretti, pungolandomi sui gomiti e stirando la schiena.
Mi misi a gambe incrociate, uscendo dal mio nascondiglio-letto e posizionandomi in mezzo al corridoio. Mi passai una mano tra i capelli, che erano ricci come non mai. Gli uccelli ci avrebbero volentieri fatto un nido. Cercai il nastro che avevo al polso e li legai in una coda alta, cercando di limitare che si vedessero tutti quei nodi. Solo in quel momento, mi resi conto che mi aveva svegliato un ruggito. Di un drago.
«Dritt» imprecai di nuovo.
Feci forza sulle gambe e mi alzai, grugnendo. Femminile come sempre, commentai nella mente. Erano pensieri che formulavo più spesso del normale, in quei giorni. Precisamente, da quando io e Alex ci eravamo dichiarati apertamente i nostri sentimenti.
Probabilmente era colpa sua, perché avere un ragazzo significava essere dolce e carina per lui. Sicuramente, invece, era un problema mio, perché Alex si era innamorato proprio della stronza vestita di nero che nessuno voleva, e non di una ragazzina che si domandava se era femminile oppure no. Cercavo di sopprimere quei pensieri sul nascere, ma alcuni mi attraversavano la mente ugualmente.
Ero immersa in queste considerazioni stupide, mentre mi dirigevo verso le scale che portavano al terzo piano e mi imbattei in Lars. Era visibilmente stanco e spossato, come tutti, però conservava comunque la sua aria imperturbabile e seria.
«Hai sentito?» domandò.
Mi trattenni dal rispondergli di qualcosa di acido come “no, cosa? La mia sveglia non è il ruggito di un drago.” «Sì. Vado io a chiamare Alex.»
«Ok.» Il figlio di Eir, passandosi una mano tra i capelli.
«Ehi» dissi, addolcendo il tono. «Riuscirai ad ammazzarlo anche da solo, quel Drago Nero. Prima o poi.»
«Lo so» replicò. «Succede tutto, prima o poi
Rabbrividii. Era come se stesse dicendo “so che riuscirò a uccidere quel mostro, ne sono capace, ma tanto qualcun altro mi ucciderà dopo e non avrò scampo”.
«Mmh.» Silenzio. «Vado da Alex» ripetei a mo’ di congedo, e imboccai le scale.
Trovai la stanza dove si stava riposando – o dove l’avevo costretto a riposarsi – quasi subito. Il figlio di Odino si sarebbe anche offerto di dare una mano, ma io gliel’avevo impedito.
Era ancora convalescente, anche se non voleva esserlo, e non avrebbe dovuto partecipare alla battaglia, nonostante mi avesse promesso che sarebbe rimasto nelle retrovie. Forse poteva raccontare agli altri che si sentiva bene e che era in forze, ma vedevo da piccoli dettagli – il portamento, il modo in cui si toccava la benda sempre più spesso – che non era così.
E mi sembrava giusto esercitare il mio diritto di obbligarlo a dormire e non fare niente, se non voleva che lo tramortissi. Sapeva che ero capace di usare la forza, forse meglio delle maniere dolci e gentili da infermiera. Chissà come faceva Dana Dahl a sopportare la cocciutaggine di suo figlio.
Bussai alla porta della stanza ed entrai, trovandolo che si allacciava meglio Excalibur al fianco. Si voltò e mi sorrise. La voglia di baciarlo e salutarlo con un “buongiorno” sulle labbra mi colpì a tradimento.
Non potevo farlo. Non dopo che avevamo passato la maggior parte della nostra relazione a urlarci contro frasi come “Sono un comandante! Devo dimostrarmi presente, dannazione!” e “Se non fai come ti dico sarai un comandante morto!” Perciò, rimasi sulla soglia e mi dondolai sulle gambe.
«Ciao, Astrid» mi salutò, ed era incredibile come sembrasse bello il mio nome nella sua bocca. Non aveva nulla della rabbia o della cupezza che assumeva, se a pronunciarlo era mio padre o mia madre. «Si incomincia di nuovo, eh?»
«Mi piacerebbe che iniziasse solo per me» replicai, brontolando.
«Non hai una corda» osservò, uscendo dalla stanza e mettendomi un braccio attorno alle spalle.
Inarcai un sopracciglio. «Allora?»
«Allora» spiegò, camminando con me per il corridoio, «non devo preoccuparmi che tu mi costringa con la forza a rimanere legato a una sedia per tutta la durata della guerra.»
Non era divertente, non per me, ma risi comunque. «Cosa ti fa pensare che abbia bisogno di una corda per farmi ubbidire da te?» domandai.
«Uhm.» Si picchiettò le labbra con l’indice. «Forse il fatto che è l’unica arma che hai contro di me, al momento?»
Mi fermai prima che potessimo scendere le scale. «Ho alcuni assi nella manica» replicai, ponendomi davanti a lui.
«Davvero? Tipo?» chiese, scettico.
«Tipo questo» risposi, decisa a dimostrargli che disponevo di trucchi in grado di raggirarlo.
Azzerai la distanza tra noi due con un passo, gli infilai una mano nella tasca dei pantaloni e misi l’altra sul suo petto, facendo scorrere le dita sul suo torace fino ad arrivare al bacino. Gli sorrisi, maliziosa, appoggiai la mia fronte sulla sua e sfiorai le sue labbra con le mie.
«Baciami» sussurrai.
Alex non si fece pregare. Era un modo scorretto per dimostrargli che avevo ragione io, ma era anche l’unico che avevo per estorcergli un bacio senza ignorare i nostri litigi. Non avevo voglia di staccarmi, ma mi ordinai di farlo.
«Vedi? Mi hai ubbidito» sentenziai, dandogli gli spalle.
«È scorretto!» esclamò Alex. «Hai barato. Mi stavi chiedendo troppo. Sai che non posso resistere a questo
Liquidai l’argomento con un gesto della mano. «I baci non sono sempre così dolci, possono essere sfruttati a proprio favore» dissi, ricordando come lui aveva usufruito di questo stratagemma. «E adesso che ho reso Freyja orgogliosa di me, forse deciderà di concentrarsi su altre coppie. Vero?» chiesi al soffitto, sperando che la dea in questione fosse in ascolto.
Alex rise. «Non credo sia tutta colpa di Freyja se…» iniziò, ma due ruggiti lo interruppero.
Ci scambiammo un’occhiata preoccupata, prima di correre giù dalle scale e uscire dall’Hotel Plaza alla velocità della luce. Trovammo Lars, Percy, Annabeth, Einar e parecchi altri semidei già lì. C’era chi guardava il cielo e chi la terra, ma nessuno sembrava felice. Ed era facile intuirne il motivo.
Il Drago Nero del Nord era diretto in volo verso di noi, pronto a un nuovo assalto. In più, però, c’era ad accompagnarlo un altro lucertolone che non apparteneva alla mitologia norrena. Era grosso, e quando calpestava il terreno si sentiva una vibrazione scuotere l’asfalto.
«Dritt» imprecai per la terza volta in meno di mezz’ora.
 
Chirone ci raggiunse al trotto, con Rachel – l’amica di Percy che aveva rischiato di schiantarsi insieme all’elicottero su cui era arrivata – in groppa. Non avevo mai visto un centauro dare un passaggio a qualcuno, mai una mortale oltretutto, quindi supposi che la rossa fosse in qualche modo speciale.
«Che cos’è quello?» domandò Alex, alludendo al drago.
«Un dragone» rispose. «Un dragone della Lidia, per l’esattezza. Il genere più pericoloso e antico» specificò. Scoccò un’occhiata a Rachel, dopodiché si rivolse al figlio di Poseidone: «La tua amica ha intuizioni interessanti, Percy.»
La ragazza arrossì. «Sono solo delle cose che ho visto nella mia testa.»
Come Helen, pensai. Forse anche Rachel aveva il dono della preveggenza, ma era improbabile, dato che era una semplice umana, non una semidea.
«Come facevi a saperlo?» indagò Percy, guardandola sbigottito.
«Non ne sono sicura» ammise. «Ma questo dragone ha un destino particolare: sarà ucciso da un figlio di Ares.»
Annabeth incrociò le braccia. «E tu come fai a dirlo? È impossibile. La Casa di Ares non è qui.»
«L’ho visto. Non te lo so spiegare» si difese l’altra.
«Be’, speriamo che ti sbagli» intervenne Einar. «Perché siamo un po’ a corto di figlio di Ares, e, se davvero ce ne serve uno, siamo fritti.»
«Lo siamo già» replicai. Mi guardarono tutti male, così alzai le mani e mi schermii: «Ehi, sto solo dicendo la verità.»
«Forse hai sognato il figlio di un dio della guerra, non per forza greco» ipotizzò Alex. «Magari è un norreno.»
«Mmm» fece Rachel, pensierosa, non totalmente convinta.
Percy imprecò all’improvviso in greco antico.
«Che c’è?» gli domandò Annabeth.
«La spia» risposi. «Crono ha detto che ci avrebbero mandato un mostro che non saremmo stati in grado di sconfiggere. La spia l’ha tenuto aggiornato, dato che Crono sa che la Casa di Ares non è con noi. Ha scelto di proposito questo dragone.»
Talia si scurì in viso. «Se trovo questa spia, se ne pentirà amaramente.»
«Forse potreste mandare un altro messaggio al Campo…» propose Lars.
Chirone scosse la testa, avvilito. «Già fatto. Un pegaso è in viaggio. Ma se Silena non convince Clarisse, dubito che riuscirà a…»
Un ruggito scosse il terreno, segno che il dragone si stava avvicinando sempre di più.
«Rachel, va dentro» disse Percy, rivolto all’amica.
«Voglio restare» obiettò lei.
Il Drago Nero volò così alto da oscurare il Sole per un momento, mentre il dragone della Lidia lanciava un verso così potente da infrangere tutte le finestre sul fianco di un grattacielo.
Rachel sbiancò e, con voce improvvisamente diventata flebile, disse: «A pensarci meglio, mi troverete dentro.» Scese dalla groppa di Chirone e si allontanò in direzione dell’Hotel Plaza.
Mi voltai verso Alex, cercando di intuire cosa pensasse della premonizione di Rachel, ma lui scrutava in un’altra direzione.
«Forse potremmo usare la testa di Medusa per fare una statua» propose Annabeth. «Einar, ce l’avevi tu, giusto?»
«Non più. L’ho prestata a Lars, per aiutarlo a sconfiggere il Drago Nero» spiegò il figlio di Loki. «Lars?»
Lars si grattò il collo, nervoso. «Il Drago Nero se l’è mangiata. Mi dispiace.»
«Perfetto» sbottò Annabeth, sbuffando sarcastica.
«Non ti preoccupare, amico, la testa di Medusa non è l’unica arma che possiamo usare» lo rassicurò Percy, anche se il figlio di Eir non sembrava molto convinto.
«Finché non abbiamo notizie da Silena, comunque» riprese Chirone, «dobbiamo bloccare l’avanzata dei due mostri. Sono sempre stati il problema più grosso.»
Alex scoccò un’ultima occhiata alle schiere nemiche, poi decretò, grave: «Al dragone ci penso io.»
Mi fischiarono le orecchie. «Cosa?» La voce mi uscì sottile come un filo, così ripetei: «Cosa?»
Il dragone avanzava, il Drago Nero compiva cerchi nel cielo, aspettando di piombare giù e distruggere qualcosa, i Party Pony erano già sotto attacco, i semidei uscivano in armatura o quasi del Plaza, e io avevo occhi solo per Alex.
Sentii distrattamente Annabeth sussultare e domandare: «Ne sei sicuro, Alex?»
«Esistono i draghi, e poi ci sono i dragoni» si aggiunse Percy. «Ci hanno insegnato come combatterli, al Campo, ma non puoi essere sicuro contro di loro.»
«Esatto. I dragoni sono svariati millenni più antichi dei draghi e molto più grossi. Somigliano a serpenti giganti. Per la maggior parte non hanno le ali, né sputano fuoco ­– per fortuna, anche se alcuni lo fanno. Tutti sono velenosi e immensamente forti, hanno scaglie più dure del titanio. Possono paralizzarti con lo sguardo, un po’ come Medusa» illustrò Annabeth, mettendo su una lezione di storia nel bel mezzo di una battaglia.
«Lo so» replicò il figlio di Odino. «Se vogliamo essere precisi, i draghi greci discendono da quelli nordici, mentre i dragoni nordici dai greci. Per noi norreni, i draghi sono più antichi; al contrario, i dragoni sono più vecchi, per voi» specificò.
Annabeth lo guardò a lungo, probabilmente comunicandogli con gli occhi qualcosa come “dopo tutto questo, dovremmo metterci a studiare insieme.”
«Ti prego, no» lo supplicai.
«Al dragone ci penso io» sentenziò ancora lui. Fece un passo verso di me e mi riportò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi mi sussurrò, non senza una certa punta di divertimento: «Scommetto che adesso desideri una corda.»
«Cretino» sbottai, ignorando la discrezione. «Non è il momento giusto per fare dell’umorismo.»
«È sempre il momento giusto per fare dell’umorismo» mi corresse Einar, con un tono simile alla cantilena.
«Chiudi quella bocca» abbaiai.
«Ehm» tossicchiò Percy. «Non potreste sbrigarvi? Il dragone ci sarà addosso tra meno di un minuto.»
Fissai Alex negli occhi, e lui ricambiò lo sguardo. «Lasciamelo fare. Accettalo. Per favore.»
Tanto lo faresti comunque, vista la mia grande importanza per te, pensai, con uno sbuffo mentale.
«Va bene» sospirai, e vidi il suo unico occhi sgranarsi. «Ti guarderò le spalle.»
«Perfetto!» esclamò Percy. «Perché il serpentone è arrivato, e credo che a Lars serva un compagno aereo per sconfiggere il Drago Nero. Se voi vi occupate del dragone, io prenderò Blackjack e lo aiuterò.»
Annuimmo. Percy fischiò, e il suo pegaso nero lo raggiunse subito in picchiata. Montò in groppa e fece per partire, ma Annabeth gli si avvicinò e si raccomandò: «Sta’ attento, Testa d’Alghe.»
Percy arrossì lievemente, senza accorgersene, e ribatté: «Dovrei essermi abituato a rischiare di morire. In più, sono invulnerabile.»
La figlia di Atena fece un cenno del capo, e il ragazzo spronò il pegaso e partì. Mi munii delle mie mezzelune e squadrai il lucertolone grande quanto un pulmino scolastico che dovevamo affrontare.
«Ok» fece Einar. «Ci sarà addosso tra tre, due…»
Alex non aspettò l’“uno”e si fiondò all’attacco, brandendo Excalibur. Sbuffai. Guardargli le spalle – ovvero evitare che rischiasse di morire di nuovo, in un altro modo orribile, nel giro di pochi giorni – si stava presto dimostrando più difficile del previsto.
 
I semidei crescono sapendo che ci sono mostri che potrebbero ucciderli in un nanosecondo, ma ci sono mostri e mostri.
Il dragone della Lidia era quel tipo di nemico che non ti augureresti mai d’incrociare. Mai. Più o meno per questo motivo, sai che la sfiga ti colpirà di sicuro, e fai di tutto per prepararti al meglio. Non che serva molto, alla fine.
La Signora O’Leary – che si era schierata con noi all’ultimo momento – latrò e si fiondò sul dragone. Era uno spettacolo sensazionale e terrificante, considerata la stazza del segugio infernale; ma non sembrava che un cucciolo, in confronto al serpentone.
Graffiò invano le scaglie del mostro e lo azzannò alla gola, ma non servì nemmeno a scalfirlo. Il suo peso lo sbilanciò soltanto, facendolo inciampare mentre incedeva. Il dragone cercò inutilmente di azzannare la Signora O’Leary.
Il veleno schizzò ovunque, liquefacendo diversi centauri e anche un gran numero di mostri, ma il segugio infernale svicolò dietro la testa del serpente e continuò a mordere e graffiare. Deglutii a fatica. Io dovevo difendere Alex da quell’ammasso di squame terrificante. Come ci sarei mai potuta riuscire, se già sembrava difficile salvare me stessa?
«YAAAH!» gridò Alex, conficcando Excalibur nell’occhio sinistro del mostro, fino in fondo. Il faro giallo si spense.
Il dragone sibilò paurosamente e si impennò come un cavallo imbizzarrito, pronto a colpire di nuovo. Stavo per urlare “giù!”, ma Alex mi precedette, scansandosi di lato e rotolando via, mentre il mostro si portava via un pezzo di asfalto grande come una piscina.
In un angolo distratto della mia mente, si formulò il pensiero che, se non fossi stata uccisa in un’offensiva, sarei morta per un infarto causato dai colpi che mi procurava il figlio di Odino.
La Signora O’Leary fece del suo meglio per distrarre il mostro e lasciare il tempo ad Alex di allontanarsi.
«Non va bene» esclamò Annabeth, materializzandosi accanto a me. «Stiamo indietreggiando verso l’Empire State Building.»
Mi guardai attorno, constatando che era vero. Stavamo perdendo terreno. I centauri erano andanti nel panico, le magliette arancioni o rosse erano sempre più sporadiche e difficili da individuare nel mare di mostri, frecce e fiamme sibilavano da una e dall’altra parte dello schieramento.
«Dobbiamo sbrigarci a eliminare il simpaticone» dissi. «Idee?»
Annabeth mi sorrise, facendomi l’occhiolino. Si infilò un berretto degli Yankees, quello che usava per diventare invisibile. Afferrai il suo piano a volo. Corsi all’ombra proiettata di un edificio, e compii un viaggio d’ombra che mi avrebbe portato alle spalle del mostro.
Quasi in contemporanea, io e Annabeth affondammo le nostre lame nelle carni del dragone, nelle fessure lasciate dalle squame. Il dragone ruggì, si attorcigliò su se stesso e ci disarcionò. Non appena toccò terra, la figlia di Atena si portò via dalla traiettoria del mostro. Alex mi raggiunse un attimo prima che il serpente, srotolandosi, mi schiacciasse insieme al lampione sotto il quale mi trovavo.
«Grazie» dissi.
«Non dovevi essere tu a guardarmi le spalle?» fece.
Arrossii. «Sì, be’… GIÙ!» completai.
Questa volta fui io a salvare lui. Gli diedi uno spintone, mentre le fauci del mostro si chiudevano con un sonoro schiocco nel punto dove prima si trovava la mia testa. «Eccoti accontentato.»
La Signora O’Leary distolse l’attenzione del mostro, abbattendosi sul suo muso con tutto il corpo, permettendoci di toglierci di mezzo. Alex sembrò sul punto di ribattere, ma un rombo proveniente da sud catturò la sua attenzione. Soffermandomi sul suono, capii che si trattavano di ruote di carri.
La voce di una ragazza tuonò: «ARES!»
Al richiamo, una dozzina di bighe greche si lanciarono nella battaglia, con lo stendardo della casa del dio della guerra greco tenuto alto. Erano circa una trentina di guerrieri – più le cavalcature – freschi e riposati.
«I figli di Ares!» esclamò Annabeth, sbigottita. «Come faceva Rachel a saperlo?»
«Non importa» rispose Alex. «L’importante è che ora possiamo uccidere questo dragone.»
Non riuscivo a crederci. Al comando c’era una ragazza con un’armatura di tutto punto, il volto coperto da un elmo a forma di testa di cinghiale. Clarisse in persona era venuta a prestare soccorso. Ordinò a metà delle bighe di caricare l’esercito nemico, mentre sei di esse si dirigevano dritte verso di noi.
Nel frattempo, il dragone si impennò e riuscì a disarcionare la Signora O’Leary, che andò a sbattere contro il fianco dell’edificio e uggiolò. Provò a rialzarsi, ma aveva una zampa che sanguinava, e rimase indietro.
Intanto, il mostro aveva paralizzato con il suo unico occhio due auriga, che sterzarono verso una fila di automobili. Il dragone sembrò soddisfatto, spalancò le fauci e ruggì. Una decina di giavellotti di bronzo celeste gli si conficcò in gola. Questa volta, strillò di dolore, con verso acutissimo e sibilante.
Mi diedi un’occhiata intorno, notando che l’arrivo delle bighe aveva risollevato i Party Pony e aveva mandato in confusione i nemici, che si aspettavano meno di noi l’arrivo di altri guerrieri. Alex mi rivolse un sorriso, poi anche noi ci slanciammo di nuovo contro il dragone.
I figli di Ares l’avevano circondato con i carri e, insieme, conficcammo le nostre armi nella pelle del serpente. Quest’ultimo cercò di investirci col veleno, ma noi fummo abbastanza pronti da scansarci e riprendere l’opera da dove l’avevamo lasciata. Sembrò andare bene per un po’, però poi il dragone inghiottì un semidio intero, ne scaraventò via un altro e spruzzò veleno contro un terzo, che fuggì con mezza armatura che si liquefaceva.
Alex, in un moto di rabbia, balzò sopra la groppa del mostro e aprì un taglio a zig-zag tra le squame del mostro, regalando un attimo di respiro alla Casa di Ares. Prima che venisse disarcionato, saltò giù ed evitò per un soffio di essere colpito da uno spruzzo di veleno. Mi ritrovai immediatamente accanto a lui, controllando che stesse bene.
I figli del dio della guerra scagliarono altri giavellotti tra le fauci del serpente, che fu costretto a masticare legno per liberarsene più in fretta. Dove la bava corrosiva colava, l’asfalto sfrigolava.
«Riprendiamo» ordinò Alex, dopodiché gridò verso Clarisse: «Puoi farcela! Un figlio di Ares è destinato a ucciderlo!»
Anche con l’elmo, riuscii a scorgere i suoi occhi, che sembravano leggermente… spaventati. Clarisse non aveva mai avuto quell’espressione.
«Per Ares!» gridò, con voce stranamente acuta.
Abbassò la lancia e attaccò a testa bassa il mostro.
Mi resi subito conto che non era la mossa adatta. «Ma che cosa sta facendo?» mormorai, sgomenta.
«Aspetta!» urlò Alex, correndo verso di lei.
Ma il dragone guardò Clarisse, quasi con disprezzo, e le sputò il veleno direttamente in faccia. La capogruppo strillò e cadde. Scambiai un’occhiata con Alex, così puntai verso Clarisse, mentre lui saltava sulla schiena del serpente e conficcò Excalibur tra due scaglie del mostro. Continuò ad attaccare con ferocia, guidando i figli di Ares.
Trascinai via Clarisse dalla zona di battaglia, ritirandomi verso il marciapiede. Sentivo il bronzo sfrigolare, mentre la testa di cinghiale si disfaceva, corrosa dal veleno. Immaginai cosa sarebbe accaduto alla pelle, se fosse entrata in contatto con il siero, e mi salì un conato di vomito. Mi affrettai a slacciarle l’elmo, ma era difficile, considerando che non volevo liquefarmi le dita.
Una ragazza mi corse incontro e si accasciò sul cemento. La guardai, sbattendo le palpebre.
«Clarisse?» chiesi, confusa.
Compresi, allora, che la semidea colpita non era la figlia di Ares. Era più esile e meno esperta, aveva la voce più acuta, ma non me n’ero accorta perché non la conoscevo bene.
«Sì, stupida figlia di Hell! Sono io Clarisse» mi apostrofò, gli occhi lucidi. «Lei è Si… Silena» singhiozzò.
Guardò il veleno che stava corrodendo la sua amica e gridò, straziata dal dolore: «NO! NO! PERCHÉ?»
Mi ricordò me stessa, mentre cercavo di rianimare Alex, appena colpito da Crono.
«Aspetta, aspetta…» tentai di sfilarle l’elmo, mentre la figlia di Ares urlava “perché?” e la stringeva a sé.
Il mostro ruggì, e Clarisse guardò nella sua direzione con il viso gonfio di lacrime. Aveva un’espressione feroce e determinata, di rabbia mista a dolore, e odio, tanto odio; lo stesso astio che provavo nei confronti di mia madre. Si alzò in piedi, recuperò la lancia dall’armatura di Silena e fronteggiò il mostro.
«VUOI LA MORTE?» gli urlò contro. «ACCOMODATI!»
Alex cercò di raggiungerla per aiutarla, ma Clarisse fu più veloce: schivò con un salto l’attacco del mostro, che polverizzò il pavimento, e gli balzò sulla testa. Quando il dragone si impennò, gli conficcò la lancia elettrica con tanta forza da spezzare l’asta che aveva tra le mani, rilasciando così tutto il potere dell’arma.
L’elettricità disegnò un arco attorno alla testa del mostro, che fu scosso da brivido. Poi collassò. Tutto il suo corpo divenne polvere – così tanta che avrebbe potuto essere una spiaggia –, e sull’asfalto tintinnarono le scaglie. Clarisse saltò giù e mi raggiunse, insieme agli altri semidei, che erano tutti un po’ sbigottiti per la velocità con cui aveva ucciso il dragone della Lidia.
Ero riuscita a slacciare l’elmo dalla faccia di Silena, ma i suoi lineamenti da bella figlia di Afrodite erano sfigurati. Avrebbe potuto essere Alex, pensai, avvertendo un sollievo colpevole al pensiero che lui non si era ferito.
«Che cosa ti è saltato in mente?» gridò Clarisse, appoggiandosi la sua testa in grembo, con un fare dolce e quasi materno che non avrei mai sospettato avesse.
Silena cercò di deglutire. «N-non mi avrebbero… ascoltato. I ragaz-zi avrebbero seguito… solo te.»
«Così mi hai rubato l’armatura!» esclamò la figlia di Ares. «Hai aspettato che io e Chris uscissimo in pattuglia, mi hai rubato l’equipaggiamento e hai finto di essere me.» Guardò i suoi fratelli. «E nessuno di voi se n’è accorto?»
I figli di Ares mostrarono un improvviso interesse per i propri anfibi.
«Non prendertela con loro» rantolò Silena. «Volevano… volevano credere che fossi t-tu.»
«Tu, stupida figlia di Afrodite» singhiozzò Clarisse. «Hai attaccato il dragone! Perché
«È tutta colpa mia» rispose Silena, con una lacrima che le rigava il viso ed evaporava per effetto del calore emanato dalla carne viva. «Il dragone… la quasi-morte di Charlie… il Campo in pericolo…»
«Basta!» la interruppe Clarisse. «Non è vero.»
Silena scosse la testa e aprì il palmo della mano. C’era un ciondolo d’argento a forma di falce, il simbolo di Crono.
Trasalii. «La spia» mormorai, incredula. Silena non mi era mai sembrata dalla parte di Crono. Era sempre così disponibile e gentile…
«Ragazzi.» La voce di Einar mi riscosse. «So che tutto questo è molto commovente e interessante, ma c’è una cosuccia che dovreste vedere al più presto.»
Aveva un cellulare di ultima generazione in mano – probabilmente rubato. Armeggiò con il touch-screen, finché un’immagine in movimento non si proiettò sui vetri di un edificio, come un ologramma o un proiettore gigante. Dubitavo che un telefono potesse avere della capacità del genere, quindi supposi che fosse incantato.
Partì un video. La faccia di Loki era quasi spiaccicata contro l’obbiettivo, e lui borbottava tra sé: «L’ho acceso? Sì, penso di sì. Sì. È in registrazione. Oh, dritt. È già partito.»
Si ricompose, posizionandosi in piedi a una distanza più ragionevole dallo schermo.
«Salve, semidei!» salutò. «Come sta andando?» Si picchiettò l’indice contro il mento. «Che domanda sciocca. Come dice mia figlia Hell: “è così evidente che stanno per morire tutti, che è ancora più divertente assaporare la loro paura”» citò. «Mmm, non biasimatela, è leggermente fanatica di cosucce carine come depressione e morti dolorose. Non è vero, Astrid Jensen?»
Il fatto che si rivolgesse a me, anche solo per ironia, mi immobilizzò. Era un dio, ma come aveva previsto che avrei guardato quel video?
«Fottiti» ringhiai.
Quasi in risposta al mio insulto, Loki fece uno dei suoi sorrisi ambigui. «Comunque, so che una vostra cara amica – anche nostra, a dir la verità – è stata ferita a morte.»
Voci registrate si disperarono, come in un talkshow.
«Mi dispiace molto. Era così carina.»
«È!» gridò Clarisse. «È così carina! È ancora viva
«Comunque, ho una proposta da sottoporvi. Che ne dit-»
Un gigante iperboreo inciampò e cadde fragorosamente al suolo, rischiando di schiacciare Loki sotto il suo peso. Il dio si scansò appena in tempo, balzando via come un gatto. Qualcuno fuori campo strillò come una donnicciola in preda al panico. Loki soppesò il mostro con disprezzo, prima di riprendere a parlare.
«Stavo dicendo, prima che mi interrompessero, che ho un patto da proporvi. Ora come ora, non avete i mezzi per curare la nostra bella spia, che è in pericolo di vita. Ma» diede parecchia enfasi alla frase, «si dà il caso che io ho la soluzione che fa al caso vostro. Sono un dio e il mio sangue può salvarla. Ve lo posso donare.»
Il suo sorriso sghembo si allargò. «A una condizione, però. Altrimenti, sarebbe troppo facile.»
«Sapevo che era troppo bello per essere vero» commentò Annabeth.
«Vi darò il mio sangue, solo se il vostro miglior guerriero combatterà contro di me e mi sconfiggerà.»
Si umettò le labbra, un gesto decisamente avvenente, non come le parole che stava pronunciando. Loki domandò, suadente, ma anche con una certa fretta: «Allora, accetti la sfida, Alex Dahl?»
 

koala's corner.
Dopo ere pubblichiamo. Più o meno come sempre, è colpa di Water, che è partita per Pasqua in un posto senza connessione e non ha potuto collegarsi.
Già, questa volta non la posso scusare :P
Ok, introdurrò la proskinesis, così mi inchinerò davanti a tutti e mi scuserò sempre e comunque LoL
Parlando del capitolo, Water è stata brava a interpretare la parte di Loki mezzo imbranato con la tecnologia e che sfida Alex.
Cliffhanger tan-tan-tan!
Piccoli momenti Percabeth e momenti più spaziosi per la Alrid, che rimarrà sempre la canon di questa storia <3
Io e la qui-presente-virtualmente Wolfie siamo parecchio stronzi, perché non sappiamo ancora se salvare Silena o no.
A me starebbe benissimo che morisse, tanto per dire hahaha :')
Grazie mille per seguirci comunque, un abbraccio koalico a tutti!

Soon on Venti del Nord: POV Einar - salveremo o meno Silena? Daremo un futuro alla Silena/Beckendorf?
Pubblicità non tanto occulta di AxXx: Crossover tra le Cronache del Nord e le Kane's Chronichles, scritto da AxXx e aiutato da Lilium, perché Water non le ha lette e non ha intenzione di farlo. Link ----> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2565709&i=1
  
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