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Autore: Ysis Donahue    22/07/2008    7 recensioni
Un nemico è, nell'opinione comune, una persona che ci è avversa perchè ogni cosa, in lui, è contraria a quello che siamo noi. Ma, quando due menti non sono poi così dissimili e l'inimicizia è dettata da fattori pre esistenti, non sembra un po' forzato parlare di odio necessario? A T T E N Z I O N E : Alcuni dettagli, anche cruciali, differiscono dai romanzi, ma nel re editing inserirò tutte le note e le spiegazioni del caso.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Cullen, Jacob Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
Capitoli:
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(Edward) Un’altra ora di lezione, in un giorno identico agli altri.
L’immortalità è un dono veramente sfibrante.
 Toglie la passione e l’interesse per ogni cosa e tutto diventa grigio tedio e noia. E finisce che non ti appassioni più a nulla, più niente ti sconvolge o ti rende felice.
 Sì, l’immortalità è davvero una grandissima fregatura.
 Mi riscuoto dai miei tristi pensieri e vedo entrare Bella Swan, la figlia dell’Ispettore di Polizia di Forks Charlie Swan, new entry nella piccola comunità della cittadina e quindi oggetto di mille attenzioni e pettegolezzi.
 Niente di particolare. Carina però.
 Il professore la fa sedere accanto a me e sono attratto dal profumo delizioso del suo sangue. Per fortuna mi sono nutrito da poco, sennò sarebbe stata una tentazione davvero irresistibile. Per ogni evenienza, mi  scosto un po’da lei con la sedia e incontro, in risposta, il suo sguardo interrogativo.
 Dandomi dello stupido cerco di percepire i suoi pensieri per vedere come mi conviene comportarmi,  ma stranamente non percepisco nulla. Mi concentro maggiormente ma niente, la sua mente è totalmente isolata dal mio potere.
Un sospiro di sollievo sale alle mie labbra.
 Magari fosse così con tutte le persone! A volte, anzi direi fin troppo spesso, è veramente snervante sentire ventiquattr’ore su ventiquattro i pensieri degli esseri umani!
 Mi dimentico di Bella Swan e del mistero della sua mente muta e mi impongo di rimanere in classe fino alla fine dell’ora. So che se chiedessi di andare in bagno sarebbe la fine, non resisterei alla tentazione e me ne scapperei via, facendo preoccupare e deludendo Esme e Carlisle.
 E non ci tengo.
 “Alice, salvami! Ti prego dimmi che domani ci sarà un sole da spaccare le pietre!” Penso, focalizzando nella mente il viso di mia sorella. Dopo circa cinque minuti la sua voce argentina mi trilla acuta in testa, facendomi storcere il labbro.
 “No, mi spiace. Domani sarà una giornata piuttosto coperta. Pioverà pure!”
Gemo sconsolato.
“Perché? Non sei andato a caccia giusto stanotte?”
 “Si, infatti non intendevo cacciare. Ho scommesso con Emmett che avrei catturato quattro lupi, questa settimana. Me ne manca uno solo, e non ho intenzione di perdere!” Sogghigno, pregustando già la vittoria.
“Ma questo vuol dire che rischierai di invadere il terreno della Riserva! Lo sai che siamo banditi da lì!” Comincia Alice, con voce preoccupata.
 “Lo so, lo so. Calmati Alice, nessuno lo verrà mai a sapere! Sarò velocissimo e comunque non mi nutrirò là, rapirò solo un animale selvatico! O credi forse che ne tengano l’elenco?”
“Non comportarti da incosciente Edward! Ma perché tu ed Emmett dovete sempre andare a caccia di guai?”
“Perché è divertente!”
Alice lancia un urletto frustrato “Edward accidenti, sei impossibile!”
Rido.
“Perché devi sempre farmi stare in pena con queste pazzie?”
Mi rabbuio. “Non preoccuparti Alice. Ho la testa sulle spalle.”
 “Lo so, lo so, non offenderti. È solo che non capisco perché a te e ad Emmett attragga così tanto l’idea di rompere l’equilibrio con gli umani! Sapete quanto i Quileute ci abbiano in antipatia! Basterebbe stuzzicarli quel tanto di troppo per scatenare le voci! E se anche gli abitanti di Forks la prendessero sul ridere sai benissimo che i Volturi sarebbero di tutt’altro avviso! Volete forse dargli uno spunto per venirci a cercare? Perché non la piantate, una buona volta?”
“Sai bene la risposta, è la stessa che spinge te e Rose ad seguire con tanta cieca devozione la moda delle ragazzine. Vogliamo sentirci parte del mondo degli umani, e provare emozioni che ci facciano credere che la nostra esistenza abbia un qualche senso.”
Alice tace e io mi concentro su altro, per impedirle di contattarmi ulteriormente. Essere telepatici consente di vincere tutte le discussioni, ma provocare Alice non è mai una buona idea.


(Edward, nel pomeriggio) L’aria scorre tra i miei capelli, e mi solletica il viso.
 Ha un profumo assolutamente delizioso, sa degli ultimi attimi d’estate, degli ultimi raggi di caldo prima dell’ autunno e dell’inverno.
Mi piace l’estate.
 Anche da umano, ricordo che era il periodo dell’anno che preferivo: niente scuola, un lavoretto in un ristorantino frequentato da ragazze carine, le nuotate in spiaggia, il dormire fino a tardi, il sole...
 Mi manca essere umano e poter godere di tutte queste semplici cose. Ora come ora la mia vita mi sembra una prigione eterna. Posso solo andare avanti allontanando tutto e rifuggendo qualsiasi contatto, fino al giungere di un’ipotetica fine.
Sto forse avendo una “crisi di mezza età?” Sarebbe proprio comica.
In verità so che cosa mi manca: compagnia. E non intendo quella della mia famiglia, ma quella di una persona che mi possa capire: la compagnia di un amico, di qualcuno diverso da te ma che è in grado di capirti, sostenerti, e ascoltare le tue confidenze.
 Anche se adoro la mia famiglia e ho un bellissimo rapporto con i miei fratelli, la verità è che mi sento molto solo. Sarà anche perché sono l’unico single da oltre cento anni?
Ma guai a parlare di questo in casa, rischierebbero un colpo per la tristezza e l’ansia.
E probabilmente Alice organizzerebbe dei casting per trovare la mia vampira ideale.
Meglio gestire tutto da solo, come sempre.
Mentre rifletto saltello velocemente da un ramo all’altro, seguendo l’odore della lupa che ho appena stanato. E’ un magnifico esemplare, degno di Emmett: una grossa madre che ha da poco partorito quattro cuccioli spelacchiati.
La vedo mentre entra in una stretta grotta, alla base di una spelonca di roccia, e sospiro.
Pazienza, aspetterò.
 Mi siedo per terra, di fronte alla tana, e comincio a fantasticare. Per come la vedo ora, l’unico vantaggio dell’Immortalità è l’infinita quantità di pazienza che dona negli anni. Il tempo scorre lento ma curiosamente privo di spessore, e due ore passano in un lampo.
"Certo che si potrebbe anche sbrigare" penso. Non deve volerci molto a sfamare quattro cuccioli, probabilmente si è addormentata.
Cambio posizione e continuo ad attendere, sperando di non dovere entrare nella grotta.
Non voglio fare più rumore del necessario.
La sera comincia a scendere e grossi nuvolosi si addensano sul monte. Apro l’automatico un istante prima che la pioggia cominci a cadere, sorridendo. Tra i vantaggi dell’ essere un vampiro, ci sono anche i poteri extra dei quali si può disporre.
Ma ora devo per forza entrare nella grotta, sia perché la pioggia complica in maniera non indifferente il trasporto della lupa e le potrebbe facilitare la fuga, ma anche perché detesto bagnarmi.
 Ma proprio quando sto per scendere dall’albero, una serie di passi rapidi e pesanti mi bloccano al mio posto. Mi metto a scrutare il sottobosco e presto individuo colui che ha intralciato i miei piani.
É evidentemente un indio: alto, capelli lunghi e neri, pelle bronzea, fisico allenato ma snello e aria da duro. Sono abbastanza sicuro che si tratti dell’ultimo Black, il bis bis bis bis nipote dell’ideatore del Patto, accordo che proibisce ai Cullen di entrare alla Riserva e che io sto violando con forse troppa leggerezza.
Per la prima volta mi sento vagamente in colpa per le scherzose scommesse tra me ed Emmett. Se ci scoprissero nel loro territorio, i Quileute ci scaccerebbero e comincerebbero a parlare.
E il pericolo che le voci arrivino ai Volturi è reale, senza contare il fatto che qualche invasato di Forks potrebbe fare un salto all’ufficio del catasto e notare che, ciclicamente, una giovane coppia con cinque figli adottivi si stabilisce in una grande magione nascosta nel bosco.
 Dovremmo scappare, e spezzare la serenità che ci è costata così tanti decenni di fatica, autocontrollo e astinenza.
Basta questo morso alla bocca dello stomaco, questo senso di colpa così prepotente, a rendermi questo Black veramente odioso. Cosa cavolo sarà venuto a fare qui, in una giornataccia come questa? Non lo vede che piove? Non ce l’ha una ragazza, un amico, un computer, una copia di Playboy a casa?
 Scruto il sottobosco, impaziente, ma non riesco a vederlo e deduco che si debba essere infilato nella grotta.
Prego che la lupa lo strazi.
 Seccato chiudo gli occhi e mi metto ad annusare l’atmosfera. Sento l’odore della pioggia, del vento, del bosco, del freddo. Quello dei cuccioli di lupo e della loro madre. E poi l’odore del giovane indio.
Una fragranza penetrante ma decisamente seducente.
Piego la testa di lato, gli occhi sempre chiusi, e comincio ad analizzarla. E’ calda e viva, la definirei quasi … vigorosa.
Ha un dolcissimo aroma di campo, che crea un contrasto meraviglioso col sentore d tabacco e cuoio che si avverte poi. Vi leggo solitudine, tristezza, rabbia e dolcezza. Anche una decisa dose di sfrontatezza. E’ tenue e ruvida in una maniera quasi irresistibile, e mi mette addosso una sete che non sento da anni.
Un fruscio più pesante della goccia di pioggia sul sottobosco cattura i miei sensi, e spalanco gli occhi.
 Jacob Black è appena apparso esattamente sotto questo larice e, mentre lo scruto, ipotizzo che debba avere uno stuolo di ragazzine innamorate che lo seguono ad ogni passo: nonostante il fisico vigoroso e l’aria tenebrosa ha un viso che, ad attento esame, si mostra insospettabilmente bello e aperto al sorriso.
E se ora si togliesse dalle palle io sarei libero di onorare la mia scommessa e tornarmene a casa a riscuotere la penale.
 Questo me lo renderebbe leggermente più simpatico.
Non so in virtù di quale benigno gioco del fato, le mie preghiere vengono esaudite e Mr. Black, dopo aver fumato una sigaretta con tutta la calma del mondo, si allontana.
Sospiro di sollievo e alzo gli occhi al cielo in segno di gratitudine, poi scivolo lungo il fusto della pianta e mi introduco nella grotta. Come avevo immaginato, madre e cuccioli dormono tranquilli.
Inarco un sopracciglio, Black deve essere del tutto matto. Rischiare di prendersi uno di quei noiosi, eterni e alquanto fastidiosi malanni umani, per non parlare dell’eventualità di un attacco da parte della mamma lupa, solo per venire a dare un’occhiata?
Scuoto il capo, dopodiché afferro la mia preda, me la carico sulle spalle, ed esco dalla tana, cercando di essere il più cauto possibile.
La pioggia è aumentata e il paesaggio sarebbe quasi indistinguibile ad un occhio umano, ma si da il caso che io veda perfettamente.
Corro veloce nel sottobosco col mio fardello sulla schiena e sono quasi arrivato alla macchina quando sento un rumore strano, un’imprecazione e poi più nulla, se non l’odore del sangue di Jacob Black, che mi suscita un violento spasmo di desiderio.
Il campione deve avere scoperto, a sue spese, che il muschio bagnato è scivoloso.
Smetto di respirare e mi metto a cercarlo, orientandomi con l’udito e la vista e sperando di non metterci troppo. Fortunatamente lo trovo abbastanza in fretta, sdraiato sotto un larice, ma c’è un problema: è svenuto.
Cadendo ha battuto la testa su un sasso, e questo basta a risvegliare il mio animo di medico: potrebbe avere una commozione cerebrale, o un ematoma e sarebbe meglio che venisse subito visitato.
Senza parlare poi dell’impossibilità di abbandonarlo di notte, svenuto in mezzo alla foresta e per di più durante un temporale.
Sospiro, posso fare solo una cosa.
Con una corsa porto di nuovo la lupa alla sua tana, dopodiché torno dal ragazzo, me lo carico sulla schiena e corro alla Riserva, pregando di avere un po’ di fortuna.



(Jacob) Ho tanto freddo che mi sembra di dover congelare da un momento all’altro e le orecchie mi sibilano, come se fossi in mezzo ad un ciclone.
 Tutto, attorno a me, ondeggia e questo non aiuta il doloroso pulsare della mia testa, né la sgradevole sensazione di compressione del mio stomaco.
Realizzo di essere aggrappato a qualcosa che corre come un fulmine, ma prima che la sensazione si concretizzi del tutto il mondo si ferma nuovamente e io mi trovo adagiato su una superficie morbida e cedevole.
 Mani fredde ed esperte mi tastano il capo con sicurezza e gentilezza, ci picchiettano sopra qualcosa che brucia, armeggiano ancora un po’ e poi sembrano svanire nel nulla.
 Riesco finalmente ad aprire gli occhi, e capisco di trovarmi a casa di mio padre.
Provo ad alzarmi, ma la testa mi gira troppo e ricomincia a fare male. La tasto delicatamente con una mano e sento un grosso cerotto sopra un sopracciglio e, sotto di esso, un bel bernoccolo.
 Cerco di dare un senso a quello che mi è appena capitato, ma se mi sforzo più del necessario la testa sembra spaccarmisi in due, quindi mi risolvo a dormirci su.
Chissà che domani non abbia le idee più chiare.
Mi spoglio velocemente e mi infilo sotto le coperte, registrando a malapena che i vestiti sono bagnati fradici. Prima che possa farmi qualche altra domanda, però, mi addormento di botto.



(Edward) Scruto la boscaglia con il mio sguardo infallibile e ripercorro il percorso del pomeriggio,  correndo tanto velocemente che la pioggia non potrebbe sfiorarmi neppure se fossi senza ombrello.
Black è a posto, ora voglio concludere l’altra faccenda.
Individuo l’entrata della caverna, vi penetro, catturo la madre dei cuccioli e poi esco nel giro di una manciata di secondi, sospirando.
Un’operazione che sarebbe dovuta durare appena una mezz’oretta ha richiesto quasi tre ore, accidenti a quel dannato ragazzo!
Sicuramente Emmett me lo farà ricordare per due o tre lustri.
Mugolando inizio a correre,  e in pochi minuti raggiungo casa. Mio fratello si fionda al mio fianco e, come previsto, non perde neppure un secondo per prendermi in giro.
“Ce ne hai messo di tempo, piccolo Ed. Se avessi saputo che Mamma Lupa ti avrebbe creato tanti problemi ti avrei fatto catturare creature più docili. Farfalle, ad esempio.”
Alzo gli occhi al cielo, rassegnato, e con tutta la cautela di cui sono capace poso la mia ultima preda, che ancora dorme,  a terra in modo che la possa vedere bene. Emmett emette un fischio sommesso e comincia a girarle cautamente attorno, seguito da me.
In effetti, è proprio una splendida bestia: lunga quasi due metri, alta, con una testa massiccia e una bellissima pelliccia grigia, folta e morbida. Il suo muso è allungato, le zanne bianchissime e forti e, anche se mio fratello ancora non li può vedere, i suoi occhi sono molto belli, e rispecchiano una grande intelligenza.
“Cosa intendi farne?” Domando, improvvisamente un po’ restio ad abbatterla.
Lui mi guarda e sogghigna. “Beh, in realtà, mentre ti aspettavo, ho pensato che sarebbe stato bello, movimentare un po’ il nostro pasto.”
“In che modo?” Domando, sebbene abbia già letto il resto dell’idea nei suoi pensieri.
“Hai presente quella foresta vergine a circa tre o quattrocento chilometri da qui?”
“Epping Rock? Si, naturale.”
“Un posto meraviglioso, sarai d’accordo con me. Sequoie a non finire, branchi di lupi e umani stanziati solo in poche aree da pic nic, quasi sempre deserte, per altro …”
 “E… ?”
“E beh, che ne diresti di una sfida di caccia? Liberiamo i lupi e il primo che ne rintraccia il maggior numero in minor tempo vince!”
Sorrido. “Sembra una buona idea, ma si vince cosa, di preciso?”
“Non so ancora, improvviseremo poi. Ci stai?” Domanda, allungandomi il pugno.
Lo faccio scontrare con il mio ed annuisco. “Certo che si. Ma preparati a subire una sonora sconfitta, controllerò che i lupi siano effettivamente quelli giusti pelo dopo pelo, se necessario. E, nel caso ti fossi dimenticato di dieci anni fa, sappi che ti tengo d’occhio. Non sperare di ingannarmi, fratellino.” Gli dico, sorridendo e lasciandolo ad occuparsi della lupa.
Non vedo l’ora di farmi una doccia e levarmi questi vestiti bagnati e odorosi di bosco!
Nel corridoio incrocio Alice e, indicandole i miei vestiti, le dico “Mi sa che come meteorologa non sei più così abile!”
E scampo giusto per un pelo alla sua furia omicida rifugiandomi nella mia stanza, ridendo.
Di ottimo umore, mi libero velocemente dei vestiti, prendo il cambio e vado in bagno, dove mi perdo, come di consueto, in una lunghissima doccia.
Una volta ristorato e con indosso i vestiti puliti, torno in camera e raccolgo gli abiti del pomeriggio, con l’intenzione di liberarmene prima che l’intera stanza cominci a odorare di larici e pelo di lupa umido.
Però, mentre raccolgo la maglietta chiara e la scuoto per liberarmi di eventuali peli ferini, il profumo del ragazzo indio mi avvolge nuovamente, e ancora una volta rapisce i miei sensi.
 Senza neppure rendermene conto, chiudo gli occhi e affondo il viso nel tessuto, cercando di catturare questo odore paradisiaco, e di conservarlo nella mia mente per sempre. Non so per quanto tempo rimango così, ma quando realizzo ciò che sto facendo lancio nervosamente la maglia su una sedia e respiro a fondo.
“Calma, Edward, calmati. Sei un vampiro vicino al centenario, non Jean Baptiste Grenouille. Lascia perdere certi cliché da romanzo Harmony e cerca, piuttosto, un bel film da vederti stanotte.”
Una volta tanto seguo i miei consigli, e dopo una rapida scelta, mi sistemo, pronto a vedere uno dei miei film preferiti.
Ma non posso negare di continuare ad essere nervoso, e mentirei se non ammettessi che spesso, durante la proiezione, mi sono accorto di star prendendo lunghi respiri, cercando in ogni modo di agganciare la scia di quel profumo.  


(Jacob) Apro gli occhi lentamente, e sento la pioggia scrosciare sul tetto. Infastidito mi giro per controllare l’ora dalla sveglia sul comodino, e lo scoprire che sono le due e mezza del mattino peggiora di parecchio il mio umore, già messo duramente alla prova da un fortissimo mal di testa.
Grugnisco, e il mio stomaco brontola come se non vedesse cibo da secoli e secoli, spingendomi ad alzarmi e a fare un’incursione in cucina, sperando che Billy abbia fatto un po’ di spesa come si deve. Fortunatamente in frigo trovo tutto ciò che un diciottenne affamato come un lupo possa desiderare, e in men che non si dica mi preparo due giganteschi panini mega farciti.
Li mangio lentamente, cercando di farmeli durare più che posso visto che un terzo sarebbe probabilmente fatale per le provviste di mio padre, e intanto penso che se domattina avrò anche solo la metà del mal di testa che ho ora, la scuola farà tranquillamente a meno di me. Sciacquo i piatti e riordino velocemente la cucina, poi torno in camera, desiderando dal più profondo del cuore di addormentarmi di botto.
 Ma, non appena varco la soglia, noto qualcosa che mi fa passare il sonno e dimenticare il dolore al capo. I vestiti che portavo ieri pomeriggio sono a terra, orribilmente spiegazzati e, a quanto sembra vedendoli da qui, piuttosto umidi.
E siccome io detesto sopra ogni cosa che i miei vestiti siano spiegazzati, c’è decisamente qualcosa che non va.
 Perché non li ho sistemati come al solito?
Oramai è un gesto del tutto automatico, lo faccio da che ho cinque anni, e se manco, solitamente, è perché sono parecchio ubriaco.
 Ma ieri pomeriggio sono semplicemente andato a fare una passeggiata nella foresta, da solo, e non ho bevuto nulla. Mi gratto perplesso il capo, e le mie dita scontrano una fasciatura e un bernoccolo che non ricordavo assolutamente di avere.
Una nuova sferzata di mal di testa mi fa strizzare gli occhi, ma almeno ora credo di avere ricollegato i pezzi. Nella foresta devo essere scivolato su del muschio bagnato o qualcosa del genere, e sono caduto battendo la testa. Qualcuno mi ha ritrovato e mi ha subito portato da Billy. Hanno visto che non ero ferito gravemente e quindi mi hanno semplicemente portato a letto,  medicato e aiutato a spogliarmi.
 Si, deve per forza essere andata così.
 Decisamente più soddisfatto raccolgo e metto ad asciugare la roba, lisciandola meglio che posso, e quando arrivo alla maglietta rossa ho una bella sorpresa.
Il lato anteriore emana un buonissimo odore di spezie esotiche, sole e lillà, come se fossi rimasto appoggiato per parecchio tempo ad un qualcosa di molto profumato.
Lo inalo a lungo a pieni polmoni, e grazie ad esso prendo rapidamente sonno.



(Edward) Le notti dei vampiri sono invariabilmente lunghe, e spesso detestate.
Si, possiamo uscire liberamente, ma il punto è che, una volta fuori, non c’è nulla da fare.
Senza amici pronti a fare casino e la possibilità di ubriacarsi anche solo un po’, le discoteche perdono velocemente quel poco di attrattiva che possiedono. Il resto del mondo degli umani, logicamente, trascorre le ore di tenebra dormendo, e rimarca inconsciamente, una volta di più, quanto sia finta e forzata la nostra esistenza.
 I vampiri riempiono le loro notti come possono, ingannando l’attesa dell’alba, e io stanotte mi sono concesso un paio di film e un bel viaggio indietro nel tempo. Ho spolverato ricordi vecchi e ricordi antichi, e alla fine mi sono ritrovato immerso addirittura in ricordi preistorici, cioè i pochi che sono rimasti della mia vita umana.
Non ho molte memorie di quando ero un ragazzo, ma la mia infanzia è ben nitida nella mia mente. Sono stato un bambino fortunato, e felice: avevo parecchi amici, i miei si volevano bene, non avevamo problemi economici, e Chicago era un bella città, piena di cose interessanti da fare.
 I momenti più belli, però, li ho sempre trascorsi con mio nonno. Anthony Masen, del quale porto il nome con orgoglio e i cui occhi verdi erano così simili ai miei, era il miglior nonno che si potesse desiderare: bonario, divertente e sempre pronto ad insegnarmi cose nuove ed interessanti.
 Ogni Sabato gli facevamo visita e lui, dopo aver salutato mamma e papà, mi prendeva per mano e mi portava con sé a sbrigare tutte le faccende, raccontandomi intanto storie bellissime e insegnandomi a fare questo e quello. Era un importante allevatore di bovini e aveva una stratosferica tenuta in campagna, circondata da campi coltivati da lui in persona, perché sosteneva che non ci fosse miglior rimedio contro la vecchiaia che continuare a lavorare la terra, possibilmente fumando qualche sigaretta tra una faccenda e l’altra.
 Per questo, nella sua giubba di cuoio, aveva sempre il necessario per arrotolare le sigarette e una generosa scorta di tabacco, e se non ricordo male fu proprio lui a offrirmi le prime sigarette, stando ben attento a non farsi scoprire da mia madre o mia nonna. Mio nonno è stato il primo della famiglia a morire di spagnola.
Avevo appena diciassette anni, all’epoca, e quella fu la priva vera esperienza che ebbi della morte. Ricordo che piansi per un giorno intero, ignorando gli sguardi di rimprovero che mi venivano lanciati, e che pensai che nessuno sarebbe mai stato capace di colmare il vuoto lasciato da lui.
E mi rendo conto che anche ora, a distanza di più di ottant’anni, se penso a lui ne sento ancora la mancanza, e vorrei ardentemente poterlo vedere ancora una volta.
Sospiro e cerco di cacciar via la tristezza accendendo la musica a tutto volume, aspettando l’alba.


(Jacob) Per la prima volta nella mia vita, sono grato alla sveglia, che suonando mi riscuote da un sogno piuttosto strano, che mi ha lasciato addosso una pessima sensazione. Vado in bagno, mi lavo il viso, controllo il mio bernoccolo e poi torno in camera.
Medito di saltare scuola, ma se mio padre mi trovasse in casa mi farebbe sicuramente una predica infinita, che non ho voglia di star a sentire. Potrei sempre andare a casa di Leah, ma lei è costretta dal tribunale a frequentare sempre, e quindi sarei comunque solo.
 Sospirando rassegnato cerco dei vestiti nell’armadio, faccio colazione e prendo la moto, diretto a quella specie di scatola che è la scuola della Riserva.



(Edward) Accidenti, è tardissimo! Memorizzo la pagina alla quale sono arrivato e poi chiudo a malincuore l’horror che sto leggendo, conscio del fatto che se arrivo in ritardo ancora una volta, la scuola avviserà Esme e Carlisle.
 Ma cosa ci posso fare se sono sempre stato un ritardatario cronico?
E poi chi non preferirebbe leggere un buon libro piuttosto che sentirsi ripetere per la trentesima volta le stesse spiegazioni?
Mi vesto velocemente e decido di indossare la maglietta di ieri, in modo che quel profumo sopraffino mi dia un piccolo incentivo e mi costringa a rimanere buono in classe fino alla fine delle lezioni.
Esco silenziosamente dalla mia stanza, dribblo abilmente mia mamma e salgo in macchina, diretto al liceo di Forks.
Mentre guido cerco una stazione che trasmetta musica decente, ma non ho fortuna e quando arrivo a scuola, giusto in tempo, il mio morale non è dei migliori.
E a ciò si unisce Bella Swan, ancora una volta seduta al mio fianco, che non fa altro che scrutarmi indagatrice e nascondersi dietro ai suoi capelli se solo alzo la testa di mezzo millimetro. Sospetto abbia qualche carenza mentale, e il fatto che non faccia altro che inciampare e attentare alla sua vita con gli incidenti più assurdi ed improbabili me lo conferma.
Sospiro e incasso la testa tra le scapole con aria sconsolata, ma fortunatamente la scia leggera che proviene dalla mia maglietta mi tira un po’su il morale.



(Jacob) Nessuno definirebbe la scuola mista della Riserva come un luogo adatto all’apprendimento e avrebbe perfettamente ragione. Il materiale è scarso e scadente, la Preside pressoché inesistente e i professori hanno talmente paura di noi che spesso lasciano l’aula dopo dieci minuti.
Hanno capito che gli conviene, soprattutto se io, Leah, e il nostro gruppo, siamo particolarmente di cattivo umore. Adesso, ad esempio, ci dovrebbero essere due ore di matematica, ma il prof si è rinchiuso praticamente subito nell’armadietto, attirando l’attenzione di Quil ed Embry, che ora lo stanno scuotendo e tirando in tutti i sensi, ignorando le sue minacce di future ritorsioni.
Per il resto tutto procede normalmente: Leah e le sue scagnozze terrorizzano le altre compagne come al solito, Paul ha ingaggiato una battaglia a colpi di clave fatte di giornali con Klaus e io mi fumo una sigaretta in santa pace, imitato da altri due o tre compagni. Finalmente la campanella suona e, dopo aver spento la sigaretta, mi alzo.
Intimo ai mie compagni di lasciar perdere il prof e loro si limitano ad annuire, aprendo le ante del mobile, liberando il prof ormai sull’orlo delle lacrime e ignorando platealmente le sue fiacche promesse di vendetta. Sorrido, passando un braccio sulle spalle di Leah, e mi avvio verso la porta, diretto in palestra.



(Edward) La Swan è un vero e proprio incubo, una persecuzione demoniaca! Passi il fatto che debba dividere con me le ore di letteratura, e passi pure il fatto che divida con me bancone e attrezzi a biologia, perché almeno si limita a stare ferma immobile e a fissarmi, lasciandomi fare quello che devo senza farmi perdere tempo.
Ma il fatto che divida con me anche le ore di ginnastica è davvero troppo. Perché non si esoneri, poi, rimane un inspiegabile mistero.
La sua massa muscolare è pari a quella di un infante, e i suoi riflessi più lenti di quelli di un koala: se corre inciampa, se salta la corda si schianta a terra, se le passano la palla la prende puntualmente in faccia.
Accetti serenamente il fatto di essere una calamità e ci liberi della sua presenza, una volta tanto!
Scuoto il capo, seccato, e passo con un po’ troppa forza la palla alla mia compagna, che riesce a pararla ma fa comunque qualche passo indietro per la forza dell’impatto.
Mi scuso con lei e ricomincio l’esercizio, cercando in tutti i modi di concentrarmi e rimpiangendo di non essere rimasto a casa, con la mia musica, i miei libri e i miei film.



(Jacob) Scarto i miei compagni, faccio rimbalzare la palla, spicco un balzo e la incestino, atterrando un po’sorpreso. La potenza del salto non era proporzionata a quella che vi ho impresso, ho fatto un balzo molto più alto di quanto avessi calcolato.
A pensarci bene ultimamente mi sento sempre un po’strano: mangio di più, dormo di meno, sono sempre un po’nervoso e mi sono anche alzato un paio di centimetri. Sarà la pubertà.
Alzo le spalle e continuo a giocare, ma con mia somma delusione la partita si conclude 20 a 22 per gli avversari, il che significa che devo a quello sbruffone di Embry altri dieci dollari. E infatti il mio amico sta arrivando giusto ora, ansimando e con un gran sorriso che gli va da un orecchio all’altro.
Mi tira una pacca sulla schiena e mi apostrofa, in tono soddisfatto
“Complimenti Mister Black, ma nonostante i suoi balzi atletici la vostra squadra ha perso, quindi credo di non sbagliare affermando che il suo debito nei miei confronti è salito a ben venti magnifici dollaroni.”
Gli do una spinta scherzosa e gli tiro i capelli, sapendo quanto lo detesti
“Ricordami di non scommettere mai più contro di te, hai una fortuna sfacciata. Sistemiamo stasera?”
 Lui annuisce e si si gira, dirigendosi verso gli spogliatoi. Io palleggio ancora un po’ e poi raggiungo gli altri.
 Le docce sono tutte occupate, quindi mi accendo una sigaretta e mi siedo su una panca, osservando le consuete scenette che avvengono in tutti gli spogliatoi del mondo. Quil si siede pesantemente vicino a me e mi chiede una sigaretta con voce esausta.
Non appena la ha tra le mani ne aspira una lunga boccata e si lamenta
“Sono esausto, queste partite mi stroncano…”
“ Beh, se poi ci fumi su non è che migliori le cose.”
“Figurati! Tu sei fresco come una rosa, eppure fumi come me! É una semplice questione di fisico.”
“Probabile.” Concedo, dirigendomi verso una doccia appena lasciata libera.
Mentre mi insapono sto più attento del solito e controllo il volume dei muscoli, ma non noto nulla di diverso, o anomalo.
 Probabilmente sto solo crescendo, e le mie sono paranoie inutili.



 (Edward) Finisco di sciacquarmi ed esco dalla doccia di ottimo umore, la giornata è quasi finita! Raccolgo le mie cose con calma, ed è una vera fortuna perché in questo modo alcuni miei compagni mi precedono ed escono prima, rivelando quella che dev’essere la giornata più calda e soleggiata dell’anno.
 “Ragazzi, abbiamo un problema gigantesco.” Comunico, sintonizzandomi sulle menti dei miei quattro fratelli, che sicuramente se ne saranno già accorti.
 “Non preoccuparti, abbiamo già pensato a tutto…” Mi risponde Jasper in tono leggero e io avverto un’inspiegabile sensazione di panico chiudermi la bocca dello stomaco.
“E cioè? Cosa intendete fare?”
“Uscire di qua assieme agli umani.”
 “In maniera sicura?”
“Alice ha controllato, non ci saranno problemi.”
 “Si, ma Alice non è infallibile!”
 “Beh, tanto non c’è nulla che tu possa fare, ormai è innescata.”
“Innescata? Cosa è innescata? Che diamine…”
Prima che riesca a concludere il pensiero, però, numerose forti esplosioni squassano l’aria. Imito i miei compagni e mi rifugio sotto le panche dello spogliatoio, ma se loro tremano per la paura di un attentato terroristico, la causa dei miei brividi è esclusivamente rabbia ed incredulità: perché invece di due fratelli normali mi dovevano capitare necessariamente un veterano psicopatico e un folle incosciente che si è fatto mangiare metà faccia da un grizzly ed è vivo solo grazie al buon cuore di mia sorella?
“Voi siete pazzi! Avete rischiato la vita di trecento persone senza motivo! Potevamo portare via la mia auto e rintanarci nel sottotetto! Potevamo uscire tutti imbacuccati e passare per strambi! Avrebbero dimenticato in fretta, e in caso contrario io e te avremmo sempre potuto manipolare i loro ricordi!”
“Non dire sciocchezze Edward, sai benissimo anche tu che se non fossimo usciti regolarmente i più se ne sarebbero accorti e si sarebbero posti un sacco di domande. Anzi, non è escluso che , nonostante tutto, i più intraprendenti decidessero di venirci a cercare. E sai meglio di me che gli umani sono particolarmente sensibili a certi argomenti: se comincia a girare la voce che durante le giornate di sole giriamo coperti o, comunque, non ci facciamo mai vedere, la parola “vampiri” comincerà a girare a Forks, e non è escluso che, a quel punto, arrivi velocemente alle orecchie di Aro. Volevi forse sacrificare l’intera città? E poi non ho agito alla cieca: ho bombardato solo la facciata e il porticato, che oltre ad essere deserti erano anche pericolanti.”
Sospiro e scuoto il capo, rassegnato. É inutile, farlo ragionare è assolutamente impossibile, soprattutto quando è così infervorato e convinto.
Intanto il Preside accende tutti gli altoparlanti e ci comunica che l’attentato sembra essere terminato, che ha contattato la polizia e che gli agenti gli hanno assicurato che la zona è sicura. Pertanto noi studenti siamo esortati ad uscire dall’istituto nel minor tempo possibile, osservando le regolari misure di sicurezza e coprendoci il più possibile, onde evitare il contatto con detriti e fumi dovuti alla deflagrazione.
 Almeno questa parte del piano è andata come previsto.
 Ritorno alla mia auto e trovo i miei fratelli appoggiati alle portiere, con un sorriso imbecille stampato in viso. Salgo senza dire una parola, e non una mosca vola durante il viaggio di ritorno.
Persino Emmett capisce l’antifona, ed evita ogni tipo di rumore o commento. Esme e Carlisle ci aspettano sul viale, e i loro lineamenti deformati dalla rabbia non promettono nulla di buono.


(Jacob) Se c’è una cosa che non sopporto, sono i codardi. Prendiamo l’esemplare che ho davanti ora, tale Jerry Doe.
 Una mezza tacca che peserà si e no trenta chili da vestito e bagnato, e che se si ergesse in tutta la sua altezza probabilmente non arriverebbe al mio sterno. Pare che gli piaccia atteggiarsi da bulletto e spararle grosse sulle sue eroiche gesta, facendosi bello agli occhi di quei poveri idioti dei suoi amici, che credono ad ogni parola che esce da quella fogna.
 Pare che recentemente abbia dichiarato che non sono altro che un montato e che se non fosse per il corteo di guardie del corpo che mi circonda costantemente mi avrebbe già messo al mio posto grazie alle sue tecniche avanzate di combattimento. La notizia mi era già arrivata qualche giorno fa e, dopo averci riso su con Leah e gli altri per un po’, avevo deciso di lasciar perdere.
Non fosse che, proprio stamattina, il piccolo Doe ha deciso di voler replicare il suo piccolo show rincarando la dose proprio mentre ero a portata d’orecchio. Un vero peccato, per lui.
Se fosse stato zitto probabilmente ora avrebbe tutti i denti e non si sarebbe sporcato di sangue la camicia. Lo afferro per i capelli e lo sollevo a mezz’aria, portando i suoi miopi occhi azzurri al livello dei miei.
“ Potrei sbagliarmi, ma stamattina mi era sembrato che tu fossi un vero chiacchierone.”
Lui pigola e si agita, piangendo e implorando perdono senza un briciolo di ritegno. Lo ignoro tranquillamente e proseguo il mio discorso, con voce mortalmente seria.
“Mi è sembrato, soprattutto, che tu fossi molto ben informato sulla mia famiglia: che avessi qualcosa da ridire sul mestiere di mia madre, sulla natura di mio padre e sulla mia legittima appartenenza al Clan, ma non credo di aver capito molto bene…”
“No, no, non lo avrei mai fatto, Jacob, te lo giuro!”
 Lo scrollo violentemente per i capelli e continuo il mio discorso.
“Perché, se ho capito bene, davi della puttana a una donna che, oltre ad essere morta da dieci anni, vale un milione di volte più della tua mammina adorata, dell’idiota a un uomo che, sebbene invalido, è una delle figure di riferimento della Riserva, e del bastardo a me, che mi scaldo molto facilmente se si tocca la mia famiglia.”
“No, no Jacob, io non avrei mai detto seriamente quelle cose, tu sei come un idolo, qui, tutti ti rispettano! E non mi sarei mai permesso di offendere te o la tua famiglia!”
“Sai, Jerry, io odio i codardi e detesto i bugiardi. E se uno è entrambe le cose, beh, allora farebbe meglio a non avvicinarmisi neppure.” Concludo, fratturandogli il un braccio e lasciandolo cadere malamente a terra.
 “É caduto dondolandosi dalla sedia, portatelo in infermeria.”
 Ordino ai suoi amichetti, che mi guardano terrorizzati e annuiscono, liberandomi di quel rifiuto umano.

   

 (Edward) Devo ammettere che non sono un grande esperto di lavate di capo, ma direi che Carlisle sta esagerando, sono almeno tre ore che non prende fiato! E il ritornello è sempre lo stesso.
“Siete degli stupidi incoscienti! Come vi è potuto venire in mente di far saltare in aria la facciata e il porticato del liceo solo perché non potevate uscire? Vi rendete conto di quanto abbiate rischiato, e di quanto abbiate fatto rischiare anche a me e ad Esme? Le probabilità che qualcuno restasse coinvolto erano alle stelle, e cosa avreste fatto, allora? Sicuramente tu, Jasper, non avresti avuto problemi, data la forza del tuo auto controllo! É improbabile, vero, pensare che ti saresti scatenato e che avresti straziato qualcuno davanti a non meno di trecento persone. Mi meraviglio di voi! Cinque plurilaureati e neppure uno in grado di pensare a una soluzione minimamente sensata! E non tirare di nuovo fuori la storia della struttura scadente e pericolante, Jasper, guai a te!”
Basta, ho sopportato anche troppo. Prendo un respiro profondo e stacco totalmente la spina, lasciando mio padre libero di sfogarsi quanto vuole. In fondo, io con questa storia non c’entro proprio per niente.
 L’ultimo, lievissimo, sentore dell’odore di Jacob proveniente dalla mia maglietta mi rilassa e mi accompagna nelle mie fantasticherie.
Mentre mio padre sbraita e strepita io immagino di essere miglia e miglia lontano, libero finalmente da tutti questi problemi, avvolto dal profumo di Jacob e alla ricerca del mio destino.



(Jacob) Io e Leah parcheggiamo vicini e scendiamo dalla moto in sincronia perfetta, replicando istintivamente l’uno i gesti dell’altra. Lei porta in casa la spesa e io recupero la posta, storcendo il naso per le prevedibili ma sempre sgradite bollette.
 Almeno non sono molte.
Quando entro sento l’odore di uova strapazzate, prosciutto e formaggio grigliati spandersi nell’aria e sorrido: oramai sono quasi dodici anni che io e lei viviamo assieme, ma a volte ancora mi stupisco di come sappiamo leggerci dentro a vicenda, anche nelle cose stupide come il pranzo.
Apparecchio rapidamente, accendo la tv, e dopo pochissimo stiamo divorando tutto, girando distrattamente i canali tv finchè non ci imbattiamo in una notizia decisamente interessante, soprattutto per una cittadina sonnacchiosa come Forks: alcuni ignoti hanno bombardato il liceo della città, causandogli tali danni da costringerlo alla chiusura per almeno due mesi.
Nel frattempo, gli studenti verranno smistati in varie strutture della zona, inclusa, ovviamente, anche la scuola integrata della Riserva.
 Io e Leah ci guardiamo, ghignando: sarà un vero piacere avere nuove vittime da tormentare!
La mia amica mette su il caffè e poi va a rispondere al telefono, mentre io comincio a riordinare e lavare i piatti. Quando torna in cucina riesce a stento a trattenere le risate.
“Sai chi era? Quella palla al piede di Sam! Ha detto che il Gran Consiglio ha convocato una riunione, e che siamo tenuti a partecipare, in quanto argomento del giorno!”
Scoppia in una risata argentina e io la imito, i vecchi devono proprio essersi bevuti il cervello!


(Edward) “Allora, questi sorteggi? Sono stufo di aspettare, voglio mangiare!”
Mugugna Emmett, e Rosalie emette un sibilo incollerito, muovendo seccamente il mouse e riaggiornando per l’ennesima volta la pagina.
“Per l’amor di Dio, Emmett, me lo hai chiesto un secondo fa! Non hai gli occhi in quel tuo dannato testone? Stanno inserendo i dati in questo momento, lasciagli il tempo di finire! Se proprio hai tanta fame vai a caccia o bevi una lattina di sangue!”
Mio fratello bofonchia qualcosa a mezza voce, ma finalmente si tranquillizza e aspetta paziente.
“Ecco, ci siamo! Dunque, vediamo…”
Mia sorella armeggia con la tastiera per qualche istante, apre un link e poi lancia un urletto scoraggiato.
 “Cosa c’è? Ci trasferiscono fuori Forks?” Domanda Alice, preoccupata, cercando di sbirciare da dietro.
“No, ma ci hanno distaccato a quella sottospecie di scuola che sta alla Riserva Quileute! Quell’affare fa schifo solo a vederlo, è lercio e pericolante! E poi dicono che sia davvero terribile.”
“Beh, allora basterà semplicemente far vedere loro chi comanda, no?” Commento, in tono divertito.
Non ci è andata poi tanto male, e almeno siamo tutti assieme: se a qualcuno dovesse venire qualche strana idea, sapremo come affrontarlo.

 

(Jacob) Sfrego i capelli con un asciugamano, poi mi vesto ed lancio un urlo in direzione di Leah, intimandole di sbrigarsi, se non vuole perdersi lo show.
“Le star protagoniste arrivano sempre in ritardo, non lo sai?” Mi apostrofa, uscendo da camera sua, e quando vedo come si è conciata non riesco a trattenere un ghigno.
 Indossa una cortissima minigonna di lurex rosso, auto-reggenti, anfibi e una canotta nera tutta stracciata che lascia vedere chiaramente il reggiseno di pizzo rosso.
 I capelli sono raccolti a formare una specie di ciuffo cotonato e il trucco è pesantissimo.
 “Dici che vado bene?”
“Per infartuarne una metà e scandalizzarne l’altra? Perfetta!”
Lei ridacchia e usciamo assieme, fumandoci una sigaretta e camminando lentamente, prendendoci tutto il tempo che vogliamo.
Arriviamo a casa del vecchio Ateara, Capo del Consiglio e nonno di Quil, e spalanchiamo la porta senza troppe cerimonie. Gli sguardi, già truci, che mi rivolgono diventano decisamente sprezzanti quando Leah fa la sua comparsa.
 “Siete stati convocati qui a causa dei vostri comportamenti oltraggiosi! Bere, fumare, picchiare insegnanti, usare violenza e fornicare con uomini e donne non è un atteggiamento da uomini, ma da bestie!”
 A parlare è stato, ovviamente, Harrison Ateara, sessant’anni, Capo del Consiglio degli anziani. Un tipo che non mi è mai piaciuto e che ha, nonostante la sedia a rotelle, un’aria decisamente pericolosa.
“Ignorateci come facciamo noi con voi e sono sicuro che non ci saranno problemi.”
Sento Leah ghignare e qualcosa che sta facendo attira lo sguardo del vecchio. “Spegnila!”
Sibila, scrutandola con odio manifesto. Leah avanza e si para di fronte a lui, aspirando profondamente il fumo dell’ennesima sigaretta. Glielo sbuffa in faccia, creando un cerchio perfetto.
“No.”
“Spegni subito quella sigaretta, Leah Clearwater! Essa è simbolo di colui che ci ha rinchiuso nelle riserve e profanato la nostra Sacra Madre Terra! Tu non puoi …”
 “Oh, invece posso. Non la spegnerò vecchio.” Lo ammonisce lei, fissandolo negli occhi grigi.
Ateara sostiene il suo sguardo senza battere ciglio, poi sogghigna. Il momento dopo Leah è a terra e si contorce urlando.
Mi slancio verso di lei, terrorizzato, ma il vecchio mi blocca la strada con la sedia a rotelle e mi rivolge un sorriso freddo e soddisfatto.
“Non le sta succedendo niente di grave, sta semplicemente Transitando. Succederà anche a te, presto.”
Dopodiché si leva di mezzo e io posso finalmente raggiungere la mia amica. Ha smesso di contorcersi ed urlare, ma trema come una foglia, e si sta praticamente stritolando il labbro tra i denti.
Ciononostante si alza da sola, si sistema i vestiti ed esce a testa alta dalla stanza, mostrando in maniera eloquente un dito.
La seguo fino a casa senza dire una parola, ma sono pronto ad accoglierla tra le braccia non appena la porta si chiude. Le accarezzo dolcemente i capelli e la cullo, aspettando che il suo pianto disperato si calmi un pochino.
“Cosa ti è successo Lenny?” Domando, dopo un po’, non riuscendo più a trattenermi.
“Non lo so. Ad un certo punto ho come sentito dei brividi dappertutto, e poi …”
Si interrompe e mi fissa a lungo. “Ho paura che mi prenderai per una pazza…”
“Non potrei mai prenderti per una pazza, Leah. E poi ho visto con i miei occhi quanto tu sia stata male! Sarei pazzo pure io.”
 Lei alza l’angolo della bocca, in una smorfia che adoro, poi continua.
 “Mi sono sentita come svenire, e quando sono rinvenuta, ero in una stanza buia, assieme a una bestia. Ne sentivo l’odore, capisci? E i respiri, mescolati con i miei. Sono rimasta immobile, e per un certo periodo è sembrato funzionare. Ma poi la bestia è corsa verso di me, e ha cominciato ad attaccarmi.”
La voce della mia amica si spezza, e lacrime spuntano dagli angoli dei suoi occhi.
 “É stato orribile, il dolore era atroce, e quel che è peggio è che sentivo il mio corpo cambiare. La lupa non mi stava semplicemente strappando la carne di dosso, mi stava trasformando in un animale come lei. Ho paura Jake!”
 La prendo in braccio di nuovo e le carezzo i capelli, rassicurandola. Ipotizzo che l’allucinazione debba essere stata procurata da una qualche strana droga che Ateara le ha in qualche modo somministrato e mi appunto di andare a fare un discorsetto a mio padre.
Ma ora la priorità è Leah. Continuo a cullarla e a raccontarle storie finchè non si addormenta. Poi la sistemo a letto, la copro, la bacio sul capo e esco dalla stanza nel modo più silenzioso possibile.
Non appena sono lontano da lei lascio che la rabbia e la preoccupazione si manifestino, e corro a casa di mio padre furibondo e decisamente su di giri.



(Edward) Danzo nella notte, ammaliato dai suoi profumi e dall’odore del sangue.
Amo cacciare.
Amo l’eccitazione che scorre nelle vene e il sentire l’odore della paura delle mie prede.
 Inseguire un giovane puma nel pieno della vita e della salute, braccarlo fino a farlo impazzire dal terrore e infine, solo quando è veramente esausto, suggere con le mie zanne letali il sangue che gli pompa furioso nel corpo. Pura estasi.
 Il sangue che beviamo entra in circolo mescolandosi al nostro veleno, e quando raggiunge il nostro cuore fermo, lo rianima temporaneamente, rubandone alcuni battiti folli ed irregolari. Per un istante ci sentiamo meravigliosamente pieni di vita, ed è una sensazione talmente potente ed inebriante che lascia frastornati e follemente esaltati.
Sento l’odore di un puma e le zanne escono dall’involucro delle gengive, stillando veleno. Lo localizzo e comincio a correre, inseguendolo ed innervosendolo con finte e ruggiti.
 Finalmente decide di dare battaglia: si volta, mi soffia contro e scuote la coda facendo la gobba e rizzando il pelo. Sorridendo, mi acquatto di fronte a lui, sibilando per sfidarlo.
 Il grosso felino risponde e comincia a girarmi attorno in larghi cerchi, che si stringono rapidamente. Lo lascio fare, limitandomi a stuzzicarlo: questa, per lui, è la battaglia per la vita, io invece sto solamente giocando.
 E ho già vinto.
 Improvvisamente la mia preda mi salta alla gola e mi graffia il viso con una tremenda zampata, ma tutto ciò che ottiene è squarciarmi la camicia. Lascio che si faccia le unghie su di me ancora per un poco, poi lo stritolo tra le mie braccia.
Il puma si divincola furiosamente, facendo raggiungere al suo sangue la pressione perfetta, ed è allora che mi chino sul suo collo e vi affondo il viso dentro. I miei canini perforano pelliccia, grasso, muscoli e tendini come se fossero fatti di carta e il sangue mi riempie la bocca e il cervello, facendomi vivere di nuovo.
Il mio attimo di Paradiso, però, è rovinato da un urlo disumano che proviene dal profondo del bosco e da un tremendo odore di sangue, che annienta la parte umana e fa rinascere il vampiro.


(Jacob) Non sono ancora arrivato a metà strada, che inizia la crisi. Svengo e sprofondo in una sorta di nebbia nera, abitata da un gigantesco lupo nero.
L’animale ha giocato con me come un gatto fa col topo prima di mangiarlo: ha disegnato cerchi sempre più stretti attorno a me, mi ha distratto con finte e ruggiti sommessi e infine ha spiccato il balzo. Mi è piombato addosso e ha cominciato a divorarmi furiosamente: e se non sono impazzito vedendo la mia stessa carne venire strappata dalle ossa e poi divorata, allora credo che non impazzirò mai più.
Il tutto sembra durare ore ed ore e proprio quando credo di aver raggiunto il limite della sopportazione fisica e della sanità mentale, improvvisamente cessa. Rinvengo, ma sento subito che qualcosa non va.
Le mie orecchie sono troppo sensibili, i miei occhi troppo acuti e, in generale, non mi sento in sintonia con il mio corpo. Provo a tastarmi il viso e scopro così che le mie mani si sono mutate in grottesche zampe oblunghe, pelose e munite di artigli, simili in tutto e per tutto a quelle dei mostri sui set televisivi.
 Terrorizzato, scappo nella Foresta e mi rendo conto che il mio corpo spinge per correre a quattro zampe, mentre la mia mente rimane inequivocabilmente umana e disgustata da tutto questo. La mia strana andatura mi fa incespicare e barcollare, tanto che mi schianto violentemente contro un albero, facendomi un male cane.
La rabbia prende totalmente possesso del mio corpo e capisco di essermi accanito contro il legno inerme solo quando le mie zampate e i miei morsi mancano il bersaglio. Allora ritorno un po’ in me e mi rendo conto di avere praticamente sradicato la pianta a mani nude, riempendomi di ferite e schegge.
Esausto, scivolo a terra e inizio ad uggiolare senza riuscire a fermarmi. Prima che possa disperarmi troppo, però, si alza il vento e mi accorgo che qualcosa mi sta osservando.
Una creatura che emana un profumo paradisiaco e che credo non avrà vita molto lunga, perché, non appena mi volto e la vedo, l’animale prende totalmente il controllo sul mio corpo e si lancia all’attacco.

    

(Edward) Nascosto dietro ad un albero, cerco in tutti i modi di trovare un senso a ciò che vedo, ma la mia mente si rifiuta categoricamente di accettarlo. A pochi metri da me, quella che sembra in tutto e per tutto una comparsa scappata dal set di un teen- horror movie ha appena fatto a pezzi un albero e ora guaisce in maniera talmente straziante farmi correre un brivido lungo la schiena.
 L’istinto mi dice che dovrei andarmene di qua, eppure non riesco a muovere un sol passo. Quell’essere mi incuriosisce e mi fa anche pena.
 Come al solito, però, temporeggio un attimo di troppo e il vento che si alza a tradimento alle mie spalle rivela la mia presenza all’ibrido, presenza che non deve gradire poi molto, visto il cupo brontolio che sento provenire dalla sua direzione. Sospiro, addio vincolo di segretezza.
Rimanere nascosto ancora sarebbe decisamente troppo imprudente, visto che non so cosa sia quella creatura misteriosa né quanto sia forte, quindi mi faccio coraggio ed esco, esponendomi pienamente alla luce della luna e prendendomi finalmente il tempo per osservarlo bene.
 Due enormi occhi rossicci, folli di paura, zanne come denti ed artigli al posto delle dita. La pelle è diventata pelo nero e duro, le parole latrati bestiali e paurosi, ma i suoi pensieri sono ancora inequivocabilmente umani.
E carichi di una tale paura e disperazione da impedirmi definitivamente di scappare.
 La creatura mi guarda con espressione stupita, e ne ha ogni motivo: nei miei occhi c’è la morte e sangue su viso, abiti  e mani. La mia pelle riluce debolmente e dalla mia bocca sporgono due lunghi canini, affilati come pugnali e stillanti di veleno.
Sono un mostro anch’io.
E fortunatamente sono anche telepatico, perché quell’ibrido di lupo è veloce e piuttosto forte.
 Evito i suoi assalti più e più volte e, dopo aver osservato per un po’ i suoi movimenti, riesco a bloccarlo a terra e a sedermi sulla sua schiena. Ignoro i suoi tentativi di disarcionarmi e, quando è finalmente stanco, comincio a comunicare telepaticamente con lui, cercando di calmarlo.
Il dialogo inizialmente non è dei più sereni, ma piano piano riesco ad ottenere la sua attenzione e a tranquillizzarlo almeno un po’. Ovviamente non posso nulla contro la sua tempesta emotiva, dubito che persino Jasper potrebbe aiutarlo in un momento del genere, ma almeno dovrei aver esorcizzato il pericolo di nuovi attacchi di autolesionismo.
Muovendomi cautamente, scendo dal suo dorso e mi siedo al suo fianco, tenendolo comunque d’occhio. La creatura, però, sembra essersi totalmente calmata e dalle spalle tremanti e i singhiozzi soffocati, capisco che per il momento la natura umana sta vincendo.
 Rimango in attesa, pronto ad intervenire in caso di altri attacchi di licantropia, ma la notte procede tranquilla.
 Dopo qualche ora la creatura si addormenta, e il suo corpo muta in quello di Jacob Black, il ragazzo indio che ho soccorso non più tardi di ieri pomeriggio.
 Mi intristisce il fatto che debba sopportare una simile maledizione così giovane, ma la mia parte analitica e curiosa è anche curiosa di come ciò possa avvenire.
 Mi appunto mentalmente di parlarne con Carlisle, dopodiché estraggo l’Ipod e comincio a canticchiare sommessamente, attendendo l’arrivo dell’alba.


(Jacob) Il mio risveglio consiste in un sonoro mal di schiena, dovuto alla scomoda posizione che ho assunto per dormire e negli occhi feriti dalla luce diretta del sole. Mi alzo grugnendo, ma la consapevolezza di trovarmi nella Foresta e, soprattutto, il ricordo di ciò che è successo ieri sera mi risvegliano totalmente in pochi secondi.
Mi tasto velocemente il viso e scopro, con mio enorme sollievo, che è tutto a posto. Ciò non toglie, però, che oggi pomeriggio una bella chiacchierata con mio padre e il vecchio Ateara non me la tolga nessuno.
Prima , però, è meglio andare a casa a darsi una sistemata e controllare come sta Leah. Fortunatamente la mia amica non solo non si è accorta della mia assenza, ma dorme ancora profondamente, cosa che mi garantisce una doccia lunga e rilassante.
 Mi spoglio velocemente e, mentre sfilo la maglietta, il solito, misterioso, odore fantastico si fa strada in me, facendomi sospirare estasiato e rilassato.

   
 
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