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Autore: Tomi Dark angel    02/05/2014    5 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A volte è così strano tornare alla realtà, poggiare i piedi su quella che fino a quarantotto ore prima era stata una vita integra, reale, sana. Adesso però, il 221B di Baker Street appare desolato, oscuro, soffocante. John si guarda intorno, penetra l’oscurità con occhi che poco a poco si adattano. Vede brandelli d’esistenza, anni trascorsi in solitudine, a trascinare una gamba mai realmente ferita su quello stesso pavimento, adesso squarciato da terribili segni di artigli.
John si lascia scivolare attraverso la parete distrutta, accompagnato dalle mani delicate di Sherlock: le sente intorno ai fianchi, calde mentre lo aiutano a toccate terra con cura, sottraendolo a qualsiasi eventuale caduta.
-Molly sarà al sicuro?- dice John, voltandosi verso Sherlock. Lo vede accucciato sul bordo del pavimento, le ali appena spalancate per mantenere l’equilibrio, ma abbastanza grandi da coprire la fiancata dell’intero palazzo. John ringrazia che sia notte, che la luna baci grata quegli zigomi aristocratici, eleganti, senza imperfezioni. Lei almeno, può toccarlo liberamente. John no, e questo fa male.
-Molly starà bene?-
-Sì. Noah l’ha accompagnata a casa… quella risulta ancora integra, a quanto mi risulta.-
John annuisce lentamente, non chiede a Sherlock come faccia a sapere dove abita Molly. Non si arrischia ad aprire, bocca, perché sa che la voce gli tremerebbe. Ha davanti i resti di una vita distrutta, anni ed anni trascorsi in quella casa, improvvisamente spazzati via. È questo che si prova quando la tua casa va in pezzi e tu non puoi far altro che osservarla, pregare che non si porti dietro troppi ricordi, troppi cadaveri di giorni trascorsi a calcare quel pavimento.
Sherlock osserva, scava ancora con cautela nel suo Mind Palace per capire, per decifrare gli occhi lucidi di John, la sua rigidità fisica.
Stanza novecentosessantuno. Corridoio settecentodue. Sherlock cammina, sfila tra le porte ancora pericolanti, ancora instabili per l’ultimo terremoto che ha devastato il Mind Palace. Quelle soglie, lui non le attraversa mai. Il corridoio appare polveroso, abbandonato.
Perché lui non ha bisogno di queste cose.
Perché lui, certi dati non dovrebbe nemmeno incanalarli nella sua testa.
Lui non necessita di niente. John invece sì.
La porta si apre, Sherlock, assorbe il suo contenuto, vaga tra parole, significati, azioni. E improvvisamente, ricorda.
Il corpo scivola verso John, cammina sulla polvere senza lasciare impronte. Le ali si stringono, tentano invano di rimpicciolirsi nello spazio ristretto della casa distrutta.
Poi, Sherlock allunga le braccia tremanti, insicure. Si appella a tutti i suoi dati, a tutto ciò che non avrebbe mai pensato di utilizzare in vita sua. È una categoria estranea, quella che sta sfogliando. È qualcosa di arcano, che non capisce, ma di cui John ha bisogno. Questo almeno, Sherlock lo sa. Glielo deve.
Le braccia circondano la vita di John, si piegano ad intrecciare le mani artigliate all’altezza di quel petto così fragile, così umano. Sherlock appoggia la fronte sul suo capo, respira piano, assapora quel calore e quel profumo che raggiungono sicuri la nuova stanza creatasi poco tempo fa nel Mind Palace.
Le ali si piegano, strisciano sui muri, fanno cadere impacciate qualche quadro, ma alla fine circondano John e Sherlock, li abbracciano in un bozzolo di sicurezza, protezione, calore profumato.
John trattiene il respiro, si paralizza davanti all’ennesimo miracolo. Poi, poco a poco, come mosso da mano invisibile, le sue mani trovano quelle di Sherlock, si intrecciano alle sue, e d’improvviso ogni cosa pare sgusciare al suo posto: quel luogo desolato si riempie di piccoli cristalli luminosi che scaglie lucenti proiettano ovunque, l’aria profuma di aghi di pino e spezie orientali, il suono morbido di un respiro rimpiazza gentile il silenzio opprimente.
Sherlock lo stringe, respira la sua aria, i suoi spazi. E John vive di quella pace, della serenità così facilmente raggiunta: è bastato un tocco, un semplice abbraccio, e il mondo intero è cambiato. John capisce all’improvviso fino a che punto Sherlock riesca a plasmare il suo universo, a modellarlo, a sottrargli e addizionargli luce come e quando vuole. Gli basta un gesto, un sorriso o un abbraccio, e gli occhi di John ritrovano il sole.
Che cosa mi hai fatto?
-Non… non rischi che apra di nuovo la porta di cui parlavi prima?- mormora John, odiandosi per aver spezzato l’idillio del momento. Ma si sbaglia. Sherlock non si allontana, non prende le distanze come farebbe normalmente. Al contrario, preme il corpo contro il suo, aderisce dolcemente ogni arto, ogni arteria, incastrandola con quelle di John. Ricrea allora due perfetti pezzi di puzzle, due naturali intrecci creati da Dio stesso per accoppiarli allora e in eterno.
-Ci saresti tu, a chiudere quella porta.- mormora Sherlock contro i suoi capelli, e John allora rabbrividisce, stringe con forza le due dita, si abbandona grato al calore di quel corpo così vicino, così bello. Così reale.
Ma come tutte le cose belle trovano inizio dal nulla, così nel nulla esse ricadono quando si concludono.
Sherlock allenta la presa, si allontana appena e John sente quasi freddo per l’orribile sensazione di vuoto che prova al pensiero che la Furia Buia debba andar via. Non è giusto. Non lo è e basta.
Non ha fatto niente di male, ma gli uomini lo ucciderebbero se lo vedessero.
Ha salvato una vita di giovane donna, ma la gente continuerebbe a temerlo senza conoscerlo, senza sapere.
D’improvviso, John si chiede che senso abbia quella casa, quegli oggetti. È tutto così umano, così sbagliato. In un angolo, per terra, distingue qualcosa di luccicante, una medaglietta che conosce bene.
Con lentezza, come rispondendo a un impulso irresistibile, John scioglie l’abbraccio di Sherlock e avanza lentamente, si inginocchia nella polvere e afferra la catenella di quel ciondolo così leggero, eppure così pesante. Lo guarda, affidando gli occhi alla luce argentata della luna che, traditrice, bagna di gelidi bagliori la medaglietta militare.
Quante vite ha richiesto il reale significato di quell’oggettino? Quanti morti umani, quanti draghi feriti? Una piccola medaglietta tanto insignificante, tanto luminosa, avrebbe decretato negli anni passati la sua carta d’identità nel caso fosse morto. C’è soltanto un nome, là sopra. Un nome e poche scritte ancora, ma tutte quelle parole non significano niente. Quando entrò a far parte dei militari, John la sfoggiava quasi con fierezza, lo sguardo alto e le mani sporche di sangue nemico. Adesso invece, essa rappresenta nient’altro che dolore e umana stupidità.
-Perché non mi odi, Sherlock?- mormora con voce spezzata. Stringe la medaglietta nel pugno, serra le labbra e i denti fino a farsi male. Male.
Perché è male ciò che merita, come ex soldato.
Perché è male ciò che merita, per aver anche solo pensato di poter annientare il più splendido dei draghi.
Perché è male ciò che sin dalla nascita hanno visto i suoi occhi chiari, anziani di troppe morti vissute e poche vite salvate.
Una mano artigliata posa gentile sulla sua, lo costringe con una semplice carezza ad allentare la presa, a lasciarsi scivolare la medaglietta tra le dita. John la guarda cadere al suolo, urtarlo tintinnando per poi restare immobile, abbandonata, derisoria. Misero pezzo di metallo.
-Voglio distruggerla.- dice John, levando lo sguardo su Sherlock, incontrando i suoi occhi così vicini, così… umani. Non l’ha mai visto così, o forse è solo una sua impressione. Alla luce fredda della luna, ombre anziane, monito di dolori celati e mai espressi, danzano nelle sue pupille di vetro. John le guarda, conosce così bene quegli occhi da poterne rappresentare ogni sfaccettatura, ogni minuscola espressione a stento trattenuta. Capisce che Sherlock è fatto così, dopotutto: si compone di dettagli piccoli, all’apparenza insignificanti. Se li si impara a cogliere, un mondo di vita, di emozioni rinasce sul suo viso, in ogni tratto del corpo.
Adesso Sherlock è calmo, ma il labbro inferiore gli trema appena, come se si stesse sforzando di essere gentile, di seguire un percorso prefissato dalla pura illogicità delle emozioni. Non ci è abituato, ma fa del suo meglio. Per John, sempre per John.
-E sia.- dice alla fine.
Si inginocchia alle spalle di John, preme il petto contro la sua schiena tremante di emozione e gli afferra le mani, facendo combaciare i suoi palmi coi dorsi morbidi di pelle umana dell’ex soldato. Intreccia le loro dita, fa attenzione a non ferirlo con le squame taglienti, luminose di piccole sfaccettature brillanti.
Lentamente, Sherlock spinge le dita di John ad afferrare la medaglietta per poi poggiarla sui palmi, adesso sovrapposti a formare una piccola coppa. Sherlock se la accosta al viso, stira il collo finché le loro guance non si allineano, accarezzandosi in un bacio silenzioso e senza labbra.
-Guarda.-
Sotto gli occhi emozionati di John, che lo guarda senza muoversi come farebbe con qualsiasi splendido animale selvatico, Sherlock schiude le labbra e soffia un danzare di scintille bluastre miste alle fantasiose volute di fumo argentato, che gli accarezza gli zigomi e sale in alto fino a dissiparsi. Le scintille al contrario, si posano sulla medaglietta, sui palmi intrecciati di John, che comincia a sudare freddo. Teme di ferirsi, teme di bruciare. Tuttavia non si muove, perché si fida di Sherlock.
La sua scelta si rivela infine più che giusta.
Sherlock soffia di nuovo, altre scintille raggiungono le gemelle, brillanti come stelle tirate giù dal cielo e d’improvviso la fiamma scatta, blu e nera come i fulmini misti a materia oscura che ha sempre contraddistinto le Furie Buie.
Le fiamme guizzano senza ferire John, s’inerpicano lungo i polsi, accarezzano le dita e ci giocano intorno, come splendidi nastri dai riflessi cangianti. All’inizio apparivano semplicemente blu e nere, ma adesso… adesso un colore, non ce l’hanno. Non esattamente. C’è qualcosa in quel fuoco, qualcosa che brilla, che danza colorato d’arcobaleno e tinge ogni guizzare di nuove sfumature.
E intanto, tutto intorno, il mondo cambia.
La luce si espande, si riflette in fasci d’aurora boreale sui muri, sulle poltrone rovesciate, sugli oggetti sparsi in giro. John sente il corpo di Sherlock farsi più caldo, come se bruciasse di febbre. Trova il coraggio di voltare il capo, di guardare il viso della creatura che… sta cambiando. Adesso le scaglie gli ricoprono le guance, le tempie, le braccia e le mani sempre più diverse, sempre più simili a zampe. Eppure, anche con quell’aspetto bestiale, che lascia intravedere una dentatura da predatore sottostante le labbra, Sherlock mantiene un’umanità marcata, tangibile, elegante.
John combatte l’impulso di appoggiare le labbra su quelle scaglie per saggiare la loro consistenza di diamante, calda più del fuoco. Le guarda crescere, sbocciare dalla pelle come germogli di cristallo, ricoprire interamente il volto. Con grande sorpresa di John, esso non appare grottesco, né terrificante. Al contrario, le scaglie si sovrappongono, armoniose come piume di un’ala, lucenti come pietre preziose, senza sottrarre a quel viso la grazia dei suoi zigomi alti, delle labbra cesellate, degli occhi maestosi, dal taglio quasi orientale.
D’improvviso, John ricorda le parole di Noah, riascolta la sua voce, il suo timbro acuto di bambino: “Non si guarda mai troppo a lungo una fiamma eterna. In ognuna di esse c’è anche un pezzo dell’anima del suo creatore”.
E allora John capisce, trema al pensiero che per sua scelta, Sherlock gli sta mostrando un pezzo del suo reale essere, una scintilla d’anima vera, viva, pulsante. Sovrappone il calore delle sue fiamme alla medaglietta che lentamente si scioglie, scivola stranamente tiepida tra le loro dita. È fuoco pulito, quello che l’ha distrutta. È un’anima, una promessa silenziosa, tangibile, che presenta a John una nuova fonte di energia, un nuovo filtro di coraggio. Si sente forte allora perché Sherlock è con lui, perché il calore della sua anima non lo abbandona neanche quando il fuoco rimpicciolisce e poco a poco sfuma, si sgretola, evapora in morbide volute argentate, preziose ed eleganti come il loro creatore.
Anche quando la luce si spegne, Sherlock non lo lascia andare. Alla penombra della stanza, bagnata dall’argento della luna, scaglie e ali gettano su di loro uno spettro di cristalli in continuo movimento.
E allora John si chiede cosa siano realmente i draghi, da dove nasca quella guerra. Dai cuori, dalle anime? O dal nulla. L’umano conosce la risposta, ma si rifiuta anche solo di pensarla.
Deve finire. Deve finire tutto, così come è iniziato. L’odio può morire se, come la medaglietta liquefatta dalla dolcezza di un’anima fiammante, le mani chiuse a pugno si distendono in palmi tesi per aiutare.
-C’è un modo per fermarla?- mormora John, il capo chino e le dita intrecciate a quelle di Sherlock. Si rilassa contro il suo petto, come se fosse la cosa più naturale del mondo, il posto giusto. –C’è un modo per fermare la guerra?-
Attende una risposta, respira piano nell’attesa. Ma la voce di Sherlock non giungerà alle sue orecchie, non in quel momento: al contrario, la pressione del suo corpo svanisce all’improvviso, i cristalli di luce dettati da scaglie e ali muoiono nel buio e John si ritrova solo, nell’oscurità di una vita distrutta, con mani ancora calde e sporche di ciò che resta della sua vita andata in pezzi. Non urlerà, non si volterà per cercarlo. Semplicemente, chinerà il capo e passerà la notte in solitudine, ascoltando i suoi pensieri e il silenzio mortifero che soltanto la guerra sa portare.
 
John Watson non ha molti amici, questo l’ha sempre saputo. Ha trascorso una vita di guerra e rimpianti che non gli ha mai concesso di instaurare solidi rapporti sociali. Eppure, mai come quella volta si convince che i suoi amici, quelli veri, siano più preziosi di qualsiasi oro mai posseduto in Terra.
Quando Lestrade entra nel suo appartamento e lo vede lì, seduto tra le macerie, come vomitato dalla terra, non fa domande. Semplicemente, si sfila la giacca e gliela appoggia sulle spalle prima di recarsi verso ciò che resta della cucina per preparare un tè caldo. Il suo silenzio vale oro, e John lo pesa con cura, misurandolo in istanti preziosi, sereni, che sanno di casa.
Respira piano, ascolta l’urtare del bollitore contro il fornello e il basso sospiro di Greg. Sarebbe bello dirgli tutto, sarebbe bello confessare e basta, rivelargli la verità sul mancato perché di quell’assurda guerra. Ma reagirebbe bene? John l’ha visto perdere moglie e amici, disperdere sorrisi, dissotterrare corpi sepolti di bambini morti. Piangerebbe anche lui alla notizia di aver sofferto per nulla? Piangerebbe anche lui al pensiero di aver combattuto draghi bambini, creature innocenti che impazzite hanno sempre e soltanto reclamato la vita di una sovrana ingiustamente massacrata?
-Tieni.-
John solleva gli occhi, incontra quelli sinceri di Greg, che gli tende una tazza sbeccata di tè fumante.
-Grazie.- mormora John, afferrandola con entrambe le mani. È calda, profuma di buono. Ma non sa di spezie, non si accosta all’aroma di aghi di pino e vento pulito, libero, indomito. Vorrebbe essere di nuovo con Sherlock.
-Mrs Hudson è salva.- esordisce Greg, sedendosi per terra davanti a lui. –L’abbiamo raccolta dalla strada; non smetteva più di urlare. Però sta bene, a parte lo shock subito.-
-È una donna forte, si riprenderà.-
-Lei sì. Ma tu?-
John lo guarda, gli occhi appena sbarrati. Cerca di filtrare il significato di quelle parole, annusa una strana sensazione di pericolo che irrigidisce i suoi muscoli e gli fa stringere le mani sulla tazza. Si guarda intorno, cerca frenetico il suo laptop, o almeno, ciò che ne rimane. Non lo vede.
-Hound.- dice Greg, e quella parola per John è una doccia fredda. Lo fissa senza timore, si prepara quieto a veder entrare altri poliziotti dalla porta scardinata di casa sua. Ma ciò non accade.
Greg si sporge, appoggiando i gomiti sulle ginocchia piegate. –Non voglio spedirti al fresco, John, ma devi piantarla di lavorare così tanto di fantasia, o finirà male: ho fatto sparire il tuo pc, l’ho strappato dalle mani di Donovan quando siamo venuti a cercarti. Però non posso proteggerti all’infinito, e ormai Hound è un nome pericoloso.-
-Non ho intenzione di abbandonarlo, Greg. Se con quel nome posso cambiare qualcosa, se posso muovere anche solo un parere, un animo in grado di pensarla diversamente dal fare violento tipico di questa maledetta guerra, allora lo farò. Una guerra non si compone soltanto di armi, Gregory. Una guerra si compone di idee, di scelte. Se ci sono due fazioni, allora la guerra è inevitabile, e sarà facile iniziarla… ma se la fazione diventa una? Se le idee combaciassero, se la gente fosse stanca di uccidere e chiedesse soltanto un po’ di pace?-
Greg lo fissa aggrottando le sopracciglia, non lo giudica per le sue parole. Eppure, John vede qualcosa cambiare sul suo viso, come una scintilla di comprensione o uno sguardo di stanchezza, di anzianità prematura. È stanco anche lui, ma non può mollare. È stanco, ma a morire in guerra sono i suoi ragazzi, e senza una guida, per loro sarebbe il caos. È stanco. Ma lui è uno dei capi, e contribuisce alla guerra come tanti altri.
-Hai letto tutto ciò che ho scritto, Greg?-
-Non tutto, no…-
-Non mentirmi. Te lo leggo in faccia.-
Benedetto Sherlock e le sue deduzioni contagiose.
Greg tentenna, trattiene il respiro. Appare indeciso, si guarda intorno come un animale braccato. E John capisce che lui è il primo ad essere stanco, a voler spezzare il filo di quella guerra. Però, odia ancora. Però, ai suoi occhi non esistono innocenti tra i draghi. Sono bestie, e come tali saranno trattate.
-Mi dispiace, John. Ma se scriverai ancora quei post, sarò costretto a intervenire.- decreta infine Lestrade. Si alza in piedi, raddrizza la schiena e si volta, dando le spalle al suo amico, dando le spalle alla stanchezza e a qualsiasi idea di pace. Si volta, volgendo il viso all’odio perpetrato nei secoli, senza motivo e senza storia.
Semplicemente, Greg si volta.
 
-Ti prego, dimmi che almeno ci hai provato a sbattertelo selvaggiamente contro i muri!-
-Piantala, Irene. Già non so perché ti ho fatta entrare in casa mia, perciò almeno sii educata.-
-Non che tu avessi tutte queste possibilità di respingermi, dolcezza.-
-No, ma posso sempre spararti di nuovo in faccia.-
Irene lo guarda, scruta ferina attraverso i brillanti occhi da serpe. Muove dolcemente la coda, non la ferma mai. In effetti, agli occhi di John appare parecchio snervante, ma si trattiene dal farglielo notare. Sa che non servirebbe a niente. Già è tanto che Greg l’abbia convinto a trasferirsi in un attico poco lontano da Baker Street, altrimenti al 221B, ancora a pezzi e senza una parete, Irene l’avrebbero notata tutti.
-Allora? Ci hai provato?-
-No Irene, no. E non intendo farlo.-
John accavalla le gambe, affonda silenzioso nella poltrona senza perdere d’occhio la Donna, che sinuosa gli gira intorno come iena predatrice, famelica, affamata. John sente la sua coda sfiorargli le caviglie in una perversa carezza, vede le sue ali fremere. Si domanda come abbia fatto a raggiungerlo, seppur nel cuore della notte, senza essere vista. Quelle squame sono lucenti come rubini, punti luce nell’oscurità. In effetti, John ancora non capisce perché Irene sia lì, perché lo aggira con fare da predatrice, perché non gli stacca gli occhi di dosso. Non gli fa paura, ma lo inquieta: sa bene che da un momento all’altro, la donna potrebbe trasformarsi nella più bella e terrificante delle creature.
-Seriamente, Irene: cosa vuoi da me?-
Irene si ferma alle sue spalle, si china su di lui, inspira rumorosamente il suo odore. Pare volerlo memorizzare, pare volerlo assimilare negli angoli più reconditi della sua mente.
-Cosa voglio?- gli sussurra all’orecchio. –Voglio aiutarti, dolcezza. Voglio aiutarci tutti.-
John stringe i pugni, non stacca gli occhi dalla pistola. Si sente pronto a usarla, sa che in qualsiasi istante potrebbe scatenarsi l’inferno, o peggio, che Irene potrebbe sgozzarlo prima che lui formuli una semplice idea per reagire.
-Hai presente il bimbetto che vi portate sempre dietro, tesoro?-
-Noah?-
-Sì, credo di sì. Che nome ridicolo.-
-Irene, dimmi ciò che devi e poi sparisci.-
Irene gli appoggia le mani sulla base del collo, accarezza lasciva la pelle tesa sui tendini, la risveglia con tocco di donna. John rabbrividisce appena, stringe i pugni per combattere ogni umano istinto, ogni pallida reazione animalesca che quel corpo così bello, così morbido, scatena in lui.
Eppure, per quanti istinti riesca a stuzzicare Irene, a John basta guardarla davvero, ascoltarla, percepire realmente il suo tocco per capire che c’è qualcosa di sbagliato in lei, qualcosa di diverso.
Ha begli occhi, ma le sue iridi sono troppo materiali, troppo lontane dal cristallo fragile, brillante e colorato d’arcobaleno.
Ha scaglie simili a rubini, ma non riflettono la luce come specchi, né paiono assorbirla per poi espellerla in ogni sfaccettatura di aurora boreale.
Ha capelli morbidi, mossi, ma non sono ricci, e John non riuscirebbe a stringerli, ad affondarvi le mani come toccherebbe una nuvola di sogno.
Semplicemente, lei non è Sherlock.
-Irene, no.-
John si alza in piedi, si sottrae al tocco lascivo di Irene e la fronteggia, fiero come è sempre stato, fiero come sarà sempre.
E intanto, Irene giudica, fissa lo sguardo su di lui, scava il suo volto, i suoi occhi. E infine, sorride di un sorriso vero, quasi umano, di giovane donna.
-Lo ami?- domanda senza malizia. Ha il capo inclinato, le scaglie lucenti di rubini e nessuna presuntuosaggine sul viso. Vuole soltanto sapere, vuole soltanto capire. Ha i suoi motivi.
John ragiona. Un tempo non si sarebbe neanche posto un quesito del genere, perché Sherlock è un maschio e perché lui adora le donne, con la loro sensibilità e la loro morbidezza. Ma adesso, adesso qualcosa è cambiato.
John chiude gli occhi, si porta inconsciamente una mano al petto. Ragiona, domanda, chiede risposta a se stesso.
Pensa a una vita senza Sherlock, una vita senza… colori. Non sentirebbe più il suo respiro così caldo, così profumato. Non vedrebbe più le sue ali così grandi, così gentili, che sempre l’hanno protetto. Non toccherebbe più quella pelle così morbida, come di purissima seta. Non vedrebbe più i suoi occhi. Vetro, anima, cristalli. È tutto racchiuso in lui, nel suo sguardo. E John capisce che respirare sarebbe inutile se Sherlock venisse a mancare nella sua vita.
Ripensa al suo calore, all’abbraccio faticoso che gli ha riservato l’ultima volta che si sono visti. Si sacrificava per lui, si sforzava di essere… umano.
E mentre John ricorda le luci di quella stessa, splendida fiamma travolgente, calda, gentile da lui toccata come anima di antica Furia Buia, di principe decaduto… di creatura nata dio e faticosamente costrettasi ad adottare pacifica umanità, la risposta gli sale alle labbra, diventa tangibile, reale e ricopre la sua pelle, così come la sua anima di una serenità antica, mai provata.
-Sì, lo amo.-
 
Note dell’autrice:
Sono in ritardo? Sono in ritardo. Ehm, il problema è che il Napoli Comicon è un casino, specie se ci vai in cos play, e…
Sherlock: non interessa a nessuno.
Stai zitto, Sherlock, e… che accipigna ci fai dietro una trincea di cuscini?
Sher: Mrs Hudson. John dice che è diventata peggio di Saw l’Enigmista, ma non so cosa significhi…
Quella vecchietta dovrà andare in pensione, prima o poi… potrei ammazzarla nel prossimo capitolo.
Sher: se lo fai, potrei regalarti un cadavere.
Che schifo! Già ne ho l’armadio pieno, grazie a te! Sgombralo subito! Ehm, torniamo a noi. Spazio ai ringraziamenti!
Sonia_0911: sì, ho ripreso qualche immagine dalla 3x3, ma non credo che siano veri e propri spoiler… o sì? Ora comincia a sorgermi il dubbio, non era in programma quella scena… in realtà non era in programma niente di ciò che ho scritto, i capitoli dovevano essere tre. Eh, per te la scena di John che bacia Sherlock è stata dolce, ma per John è diventato un incubo quando si è accorto che il draghetto era sveglio. Credo si sia immaginato alla brace, ma non ne sono sicura… comunque, ti ringrazio per la bellissima recensione e ti saluto. A prestissimo!
FKk: il disegno l’ho già commentato, e il commento lo rinnovo. È bellissimo! E sì, alla mancanza di ali di Mycroft c’è una spiegazione, ma ne parleremo più in là. E no, Anthea senza il suo lavoro sarebbe presa d’assalto dagli ictus. Quando si dice “dipendenza da lavoro”… comunque, per rispondere alla tua ultima domanda… non risponderò, perché sono cattiva e perché dovete restare col dubbio fino alla fine muahahahah! A presto!
Kimi o Aishiteiru: che è successo. CHE E’ SUCCESSO??? Tua sorella? Una delle tue amiche? Tu?! Oddio, state bene? Sherlock, vola da loro, salvale! No, molla qui gli esperimenti, non puoi entrare in ospedale con un barattolo pieno di occhi umani in tasca! John… oh John, dovevo farlo spogliare, prima o poi. Se continuiamo così però, dovrò alzare il raiting della storia…coff coff... ok, torniamo a noi. Recensione breve ma bellissima come al solito. Non farmi stare in ansia, aspetto notizie! A presto, e grazie!
Bbpeki: ehi, quale ritardo? Purtroppo il disegno della madre di Sherlock è pubblicato solo sul mio profilo facebook, non sono riuscita a metterlo qui, per quanto ci abbia provato. No, il mio spacciatore è Moffat (musichetta tragica). Quindi SAI BENE cosa succede a chi fuma la stessa roba di Moffat, vero? ehi, perché scappate tutti? Bah. Ehi, non ti lamentare! Vorrei vedere quanto poco apprezzeresti la vista di Sherlock e John mezzi nudi che ti passano davanti. Su, dici che non li guarderesti nemmeno un pochino. Abbi il coraggio! E… ah, ecco dove era finito il Dottore. Credo abbia anche portato John in vacanza nella Terra di Mezzo, sono tornati blaterando di draghi, tesori e nani… dovrò indagare. Coooomunque, grazie per la splendida recensione e a presto!
_RockEver_: non sai quanto mi abbia fatto piacere leggere una recensione del genere. Sì, Dragon Trainer è anche uno dei miei film Dreamworks preferiti, ma forse con una Furia Buia come questa sarebbe anche meglio. E chi lo seguirebbe il film, dopo. Eheh, in realtà io stessa non so come finirà, ma mi sforzerò di non ammazzare troppa gente… forse. Muahahahah! Mi sa di sì, forse alzerò il raiting, ma non arriverà al rosso. Le storie a luci rosse non fanno per me. Grazie per il commento e a presto!

Tomi Dark Angel
 

 
  
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