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Capitolo
1 -
Era
da ormai quasi
un’ora abbondante che sedeva su quel pullman altamente
scomodo e, a suo
malgrado, mancava un’altra oltra prima dell’arrivo.
Sentiva il suo fondo
schiena completamente appiattito e formicolante, diventando un
tutt’uno col
sedile. Temeva si fosse addormentato. La carica del suo cellulare era
già al
60% perché era da quando aveva messo piede sulla corriera,
che aveva preso a
giocarci e a cazzeggiare sui vari social ai quali era iscritto, non
potendo
fare altro. Il tempo sembrava non passare mai. Era già la
quarta – o quinta –
volta che sbuffava – nell’arco di pochi secondi
– tra
l’altro, non aveva ancora avuto il tempo
di fumare la sua bella e sana sigaretta mattutina.
Il
suo Rolex segnava
quasi le sette del mattino e, ovviamente come da routine, non
riuscì affatto a
prender sonno. Quel cazzone dell’autista, tra
l’altro, sembrava andasse
d’accordo con i fossi nell’asfalto. Diverse volte
aveva provato a chiudere gli
occhi e a distaccarli dal cellulare, poggiando leggermente la testa sul
finestrino ma, non appena pensava di essersi finalmente addormentato,
il
grassone imbranato, prendeva qualche fossa, facendogli sbattere la
fronte
contro il vetro.
‹‹Maledetto!››
disse
digrignando i denti e contemporaneamente, massaggiandosi la tempia
dolorante.
Di conseguenza, riprese a giocare con il telefono.
‹‹Smettila
di giocare
con quell’affare, Bill.›› disse sua
madre, seduta sul sedile dietro al suo. ‹‹E
da quando siamo saliti che non lo lasci. Prendi pace e mettiti a
dormire.›› in
quel momento, avrebbe voluto urlare ma, visto che non era il solo in
quel
maledettissimo pullman, decise di ignorarla completamente; anche
perché, così
facendo, avrebbe svegliato sua sorella – seduta accanto a
lui. – e senza
dubbio, avrebbe cominciato ad imprecare, picchiandolo senza sosta. Fece
un
profondo respiro. Quel viaggio era partito male. Molto male.
‹‹Non
riesci mai una
volta ad abbozzare un sorriso.›› si intromise il
padre, parlandogli nel
dormiveglia.
‹‹Scusatemi
se non
salto dalla gioia per questa fottutissima
crociera!›› continuò, riprendendo a
smanettare e a mandare messaggi alla sua migliore amica Sarah.
‹‹Scusatemi se
avrei preferito rimanere a Berlino, senza dover affrontare
un’ora di aereo per
venire qui in Italia e, subito dopo, prendere un cazzo di pullman ed
affrontare
altre due ore di viaggio.›› senza mai distogliere
lo sguardo dal cellulare,
iniziò ad avere una discussione con i suoi ma, visto il loro
entusiasmo per il
dannato viaggio,
decisero di ignorarlo.
Sentì Simone sbuffare e bisbigliare a Gordon un lascialo perdere.
Esatto.
Era proprio ciò
che voleva in quel momento. Essere lasciato in pace.
‹‹Ma
la volete piantare
voi di tre di torturarmi? Sto cercando di dormire,
grazie!›› come immaginava,
Heidi si destò dal sonno. ‹‹Tappati
quella boccaccia, Bill e mettiti a dormire
anche tu.››
Nonostante
la noia e la
rabbia che ribolliva nelle vene, decise di lasciare il cellulare,
mandando un
ultimo messaggio a Sarah:
‘La
nave dovrebbe salpare alle dieci e mezzo. Non appena sarò
salito a
bordo, non potremmo sentirci per una settimana. Già mi
manchi un sacco. Non
volevo venirci, cristo. Avrei preferito restare lì a
Berlino.’
Prima
di riporre il cellulare
nella borsa, lo senti vibrare qualche istante dopo.
‘Non
essere il solito musone, Bill. La crociera è una bellissima
esperienza. Te lo posso assicurare. Cazzo, hai ventiquattro anni e,
delle
volte, mi sembri un bambino di dodici. Non scappo da nessuna parte,
idiota. Non
appena avrai del tempo (anche se suppongo che no ne avrai molto visto
che ti
divertirai come un matto) mandami un messaggio; ma ricordati: in
primis,
divertiti. Un bacio, Bì.’
Sebbene
si fosse
avvelenato la giornata, Sarah riuscì comunque a strappargli
un sorriso dalle
labbra. Le mandò un messaggio flash
con
una semplice emoticon e ripose il
cellulare nella borsa con tutti i suoi effetti personali;
successivamente,
infilò cautamente una mano nella tasca dei jeans, alzando
leggermente il sedere
dal sedile, dimodoché potesse afferrare l’mp3.
Tuttavia, visto che non riusciva
a prendere ancora sonno, non aveva altra scelta se non quella di
perdersi fra
le note della musica. Cominciò a scorrere rapidamente la
playlist, trovando diverse
canzoni che non ascoltava dai tempi del college, come ad esempio: Living Dead Girl di Rob Zombie. Sorrise
inconsciamente, vedendo quella canzone sull’mp3. Ascoltarla,
lo avrebbe senza
dubbio aiutato a scaricare la rabbia e il nervosismo che, quella
maledetta
mattina, non avevano alcuna intenzione di abbandonarlo.
Pigiò sul tasto play e
lasciò che la graffiante voce di Rob, entrasse nelle
orecchie, scorrendogli poi
nelle vene come pura eroina.
Crawl on me
Sink into me
Die for me
Living Dead Girl
Socchiuse
gli occhi e
provò a riposarsi: senza dubbio, l’imbarco,
sarebbe stato molto peggio del
viaggio in sé. La loro vacanza,
doveva ancora iniziare e già non vedeva l’ora che
finisse. Dopo svariati
tentati di prender sonno, finalmente riuscì a trovare la sua
pace.
Tutto
però, ha una fine
e, quella del proprio sonno, arrivò molto prima di quanto
pensasse.
L’autista
frenò in
maniera poco delicata. Bill urtò con una certa violenza la
fronte contro il
sedile dinnanzi. Imprecò ancora una volta.
‹‹Giuro
su Dio che
denuncerò l’imbecille che ha patentato quel
ciccione.›› sua sorella, dal canto
suo, era già sveglia da un po’.
‹‹Sei
un povero
imbecille, Bill.›› sogghignò, mentre
cominciava ad alzarsi dal suo posto. Lui
decise di ignorarla e, una volta liberato il suo sedile, decise di
alzarsi
anche lui.
‹‹Dio
mio. Sento il
profumo della libertà, lì
fuori.›› si stiracchiò, tirando
indietro le braccia e
facendo qualche esercizio di stretching – poco appropriato in
quel luogo – per
poter riacquistare la sensibilità delle gambe.
‹‹Bill,
c’è gente che
deve passare.›› disse Gordon, dandogli alcuni
colpetti sulla spalla per
avvertirlo che, con un ginocchio alzato e un braccio teso di lato,
stava
letteralmente bloccando quel piccolo corridoio dell’autobus
che conduceva
all’uscita. Si rimise composto e guardò dietro di
sé. Rise leggermente vedendo
l’espressione di stizza della gente.
‹‹Ti
diverti con poco,
Bill.›› affermò Simone. Non
replicò la sua protesta, in quanto più che vera.
Ad
ogni modo, dopo aver ripreso la sensibilità di braccia,
gambe e soprattutto
glutei, si avviò verso l’uscita. Ovvero: La
libertà.
Non
appena mise piede
fuori, sentì la brezza del mare penetrargli nelle narici.
Erano secoli che non
sentiva il suo profumo. Inspirò a pieni polmoni ed
espirò in un colpo solo. Gli
scappò un colpo di tosse per via della nicotina presente nei
suoi polmoni.
‹‹E
tu che non volevi
venire. Guarda che spettacolo, Bill.›› disse
Heidi, indicando una maestosa
nave. Rimase sbigottito. Senza parole. Non avrebbe mai immaginato che
una nave,
potesse essere così bella. Sgranò gli occhi e,
inconsapevolmente dalla sua
bocca, uscì un sonoro ‘Wow’. Heidi gli
diede una gomitata sul fianco,
accompagnato da una risatina sarcastica.
‹‹Te
l’avevo detto che
ti sarebbe piaciuta. Smanetti tanto quel cellulare e non hai nemmeno
avuto la
curiosità di andare a vedere quale fosse l’aspetto
della nave.›› proseguì poi.
Obiettivamente, non poteva darle torto. La nave era bellissima.
Imponente.
Fantastica. Ma si picchiò mentalmente per aver esternato il
suo entusiasmo in
maniera così evidente.
Per
pura curiosità,
chiese quale fosse il nome della nave. Non che se ne fregasse qualcosa,
certo.
‹‹Preziosa››
intervenne sua mamma mentre si affannava a prendere i
bagagli. ‹‹Tranquilli, non vogliamo una
mano.›› aggiunse poi Gordon con tono
sarcastico, più affannato di Simone. Lui e Heidi risero,
dirigendosi verso il
fianco destro della corriera per poter aiutare i loro genitori.
‹‹Ma
perché diamine hai
portato tutta questa roba?›› espose in seguito il
padre, tirando fuori la sua
quinta – o forse era la sesta – valigia da fuori
l’enorme bagagliaio.
‹‹Pretendi
che per una
settimana mi debba mettere gli stessi vestiti? Ma assolutamente
no.›› diede
automaticamente una risposta alla propria domanda.
‹‹Sei
peggio di tua
sorella.›› disse poi Simone tirando fuori
un’altra valigia – sempre una delle sue
–
Una
volta uscite tutte,
si pose un piccolo problema: come trasportare fino al ponte
d’imbarco le
valigie?
‹‹Cristo.
Cristo.
Cristo.›› si schiaffeggiò la fronte
ripetutamente, dandosi istintivamente dello
stupido. Di sicuro, la marea di gente che passava di lì, se
l’avesse visto, gli
avrebbe senza dubbio dato dello svitato. Ma come diamine avrebbe
condotto per
circa trecento metri le sette valigie? Cercò una probabile
ma quasi impossibile
soluzione: senza un piccolo aiuto non avrebbe concluso proprio un
cazzo. Guardò
con occhi speranzosi sua sorella che, non appena incrociò lo
sguardo, lo
fulminò istintivamente:
‹‹Te
lo scordi che ti
porto i bagagli. Avessi portato meno roba, facendo come me: due valigie
e un
borsone. E stop! Arrangiati da solo.›› Con non
curanza e aria altezzosa, gli
passò davanti, lasciandolo come uno stoccafisso.
Provò a rivolgere lo sguardo ai
genitori ma la risposta fu abbastanza chiara: entrambi erano
impossibilitati in
quanto avevano già le mani occupate da una o più
borse.
‹‹Maledizione!››
imprecò,
dandosi nuovamente del coglione. Il caldo, nonostante fossero le otto
del mattino,
era già insopportabile. Vide la sorella già a
buona strada verso il ponte, i suoi
invece, erano ancora lì a sistemare e a decidere come
trasportare i bagagli. Erano
impossibilitati tanto quanto lui.
Nel
mentre, decise di
mandare un messaggio a Sarah. Prese
la
tracolla. Gli ci volle un po’ a trovare lo smartphone.
C’era di tutto nella
borsa: fazzoletti stropicciati, buste di caramelle gommose, sacchetti
di
patatine, due custodie di occhiali da sole – vuote
– protezione solare,
deodorante e altre cose che, nemmeno lui, sapeva come ci fossero finite
lì dentro.
‹‹Eccolo
finalmente!››
esultò, non appena se lo ritrovò fra le mani
‘Sono
arrivato proprio adesso. La nave è davvero una favola. Ma
ciò non
toglie il fatto che avrei preferito rimanere con te. Ti voglio bene,
Sarah. Ci
risentiamo fra una settimana.’
Inviò
il messaggio, ma
non ebbe risposta. Sarah fu molto chiara: avrebbe voluto che si
divertisse, e
non che si autocommiserasse.
Una
volta riposto il
cellulare nella borsa, notò che i suoi genitori si erano
incamminati; quanto ad
Heidi, si era fermata a metà strada e, con stizza,
cominciò ad agitare le
braccia e a far gesti inconsueti per invogliarli a sbrigarsi. Lui non
aveva
ancora trovato una soluzione con i bagagli.
Diede
un calcio alla
valigia, facendola cadere in terra. Stava quasi per decidere di
lasciarle lì
quando.. un miraggio: un tizio di colore – probabilmente
indiano – stava
passando proprio con un carrello adatto al trasporto dei bagagli. Gli
si
illuminarono li occhi dalla gioia. Lo chiamò agitando
misericordiosamente le
braccia.
Il
tizio si avvicinò.
‹‹Grazie
a Dio. Mi può
dare una mano con i bagagli, per cortesia?››
Di
tutto si sarebbe
aspettato, tranne il fatto che quel tizio non lo comprendesse. Lo
guardò
stralunato. Provò a parlargli in inglese e, nemmeno questa
volta, riuscì a
spiegarsi. Decise di intraprendere una strada differente: quella dei
gesti.
‹‹Bagagli.››
indicò con
entrambi gli indici la propria roba, poi li rivolse sul carello
dell’uomo e,
infine, indicò la nave. ‹‹Carrello.
Nave. Okay?››
‹‹Nave.
Sì. Capito.››
l’indiano annuì convulsivamente.
Dopodiché cominciò ad afferrare i propri bagagli,
uno per uno, per poi metterli sul carrello. Si sentì
soddisfatto in quel
momento, ma lo diventò ancora di più quando vide
i suoi familiari ammazzarsi di
sudore per poter trasportare la loro roba. Lui, invece, stava
finalmente
gustandosi la sigaretta senza alzare un dito.
‹‹Sei
un bastardo,
Bill.›› confessò sua sorella una volta
che Bill le si avvicinò. Si lasciando
scappare un sorriso. Lui sogghignò contento.
‹‹Ho
sempre una
soluzione per tutto, sorella. Sappilo.››
Il
bello però, doveva
ancora arrivare.
Non
appena giunsero al
ponte per l’imbarco, al suo ingresso,
c’era uno stand decisamente troppo affollato. Il
suo porta-valige
cominciò ad agitare – secondo Bill, senza motivo
– il braccio destro, indicando
quello stand. Non riuscì a capire cosa volesse intendere.
‹‹Inside. Inside.››
continuava a ripetere, sempre indicando quel
luogo. Lui lo guardò basito. Volse lo sguardo a sua sorella
e, facendo dei
cerchi concentrici immaginari vicino la tempia, fischiò come
per dire: ‘questo
è fuori di testa’. Heidi gli mollò un
pugno sulla spalla.
‹‹Ahio!
Ma che sei
impazzita? Mi hai fatto male, cretina.›› si
massaggiò la parte colpita e, per
vendicarsi, cercò di tirarle un calcio ma, ovviamente, lo
tirò all’aria
volutamente. Non avrebbe mai seriamente colpito la sorella. Mai.
‹‹Sei
tu rincitrullito,
Bill. Abdul ti stava solo
avvertendo
che i bagagli dobbiamo lasciarli lì dentro. Ce li
trasporteranno loro
direttamente fuori dalle nostre cabine.››
Abdul?
‹‹Non
ti sei chiesto a
cosa servissero le etichette con il numero della nostra
cabina?››
Guardò
il padre con
aria indifferente e scosse la testa. Non gli fotteva nulla della
vacanza,
figuriamoci delle etichette sulle valigie.
‹‹Adesso lo sai.››
Alzò
le spalle e
abbandonò Abdul –
anche se quello non
era affatto il suo nome – con tutta la sua roba. Prima di
allontanarsi però,
gli puntò l’indice con fare minaccioso.
‹‹Ti
tengo d’occhio.››
mimò poi con la bocca. Ovviamente, non lo capì.
Vide sparire lui e il carello
con i bagagli all’interno di quello stand.
‹‹Da
questa parte,
signori.››
Una
paffuta e tozza
signora – avrà avuto poco più di
trent’anni – indicò loro di andare alla
sua
sinistra ove, ben presto, si sarebbero imbarcati su quella lussuosa
nave. Da
vicino, pareva ancora più possente e maestosa. Faceva la sua
figura, doveva
ammetterlo.
Possibile
che in Italia tutte le persone siano grasse? Non conoscono il
concetto di attività fisica? Mah!
Davanti
a loro, c’erano
un centinaio di persone di diverse nazionalità. Riconobbe
anche dei tedeschi,
fra loro.
Stavano
proseguendo in
maniera talmente lenta, che gli parve restare fermo. Si
passò lentamente una
mano sul viso, sull’orlo di una crisi di nervi. Avrebbe
voluto fumarsi l’intero
pacchetto di Marlboro Light.
‹‹Dio
santo, ci stiamo
mettendo un’eternità!››
sbottò Heidi, spostando il suo peso da un piede
all’altro. Ripeté quest’operazione per
circa tre volte, in meno di trenta
secondi. Sbuffò ancora e ancora. Lui la seguii a ruota.
‹‹Ragazzi,
per favore.
Si comporta meglio quel bambino davanti a noi. Siete entrambi adulti,
eppure
assumente un comportamento da poppanti.››
Simone,
ormai esausta
anche lei, si asciugò il sudore dalla fronte con un
fazzolettino di carta e,
inutilmente, tentò di sventolarsi lo stesso
dimodoché potesse smuovere un po’
d’aria. Vedendo quel gesto del tutto inutile, decise di
rinunciarci e di
proseguire con la mano.
‹‹Non
ce la faccio più.
Fa un caldo insopportabile.›› frugò
nella sua borsa e prese una bottiglietta
d’acqua. Ne bevve due sorsi, dopodiché ne diede un
po’ ai loro figli. L’ultimo
fu Bill – la finì in un batter d’occhio
–
‹‹Se
avessi saputo che
una vacanza fosse così faticosa, giuro non l’avrei
mai fatta.›› confessò
Gordon. Dopotutto, non aveva tutti i torti. Erano ammassati come
bestie,
sudanti e morenti. Un concerto Rock-metal, sarebbe stato meno
distruttivo.
Bill
si passò le mani
sulla parte rasata della testa; subito dopo la scostò al
ciuffo biondo che
pendeva – sfatto – sul lato sinistro della fronte.
No
ne posso più.
‹‹Bill,
questa sera
andiamo in discoteca, d’accordo? L’ho vista sulla
brochure. È
meravigliosa…e..››
‹‹Heidi››
la interruppe.
‹‹Non voglio pensare a questa sera.
L’unica cosa che voglio fare, non appena
metterò piede sulla nave, è andarmene in cabina,
farmi una doccia fredda e
gettarmi sul letto.››
‹‹..e
poi la pista è
proprio come quella che si vede nei film. C’hai presente? La
palla, le luci, i
riflettori..››
Ma
con chi parlo? Con un muro, forse?
Heidi
non diede
minimamente retta a ciò che disse. Cominciò a
blaterare e farneticare di come
si sarebbe vestita quella sera per andare a ballare. Non si rese conto
che non
la stava minimamente ascoltando. Difatti, continuò a
cincischiare da sola.
Sentiva la sua voce come un eco. Sempre più lontana.
Si
massaggiò le tempie.
Era una cosa estenuante. Avrebbe preferito morire seduta stante su quel
fottuto
molo. D’un tratto, sentì una potente gomitata
perforargli quasi un polmone. Imprecò
come un ossesso.
‹‹Ma
dico sei
impazzita? Mi rompi le costole, imbecille.››
ringhiò alla sorella. Delle volte,
assumeva lo stesso comportamento infantile di Bill. Sebbene avesse
anche lei
ventidue anni.
‹‹È
il nostro turno,
salame. Vedi di svegliarti.›› lo prese per un
lembo della maglietta e lo
trascinò con sé. ‹‹Non ti
staccare da me nemmeno per sogno, okay?›› gli
disse
poi, sempre tenendolo stretto. Bill non poté fare a meno di
sorridere,
aggiungendo un sarcastico: ‘sì
mammina’.
Afferrò
delicatamente
Heidi per un polso che, a sua volta, era stato afferrato da Simone che,
a sua
volta, era stata afferrata da Gordon. In quel momento, avevano creato
una vera
e propria catena umana, la quale era capitanata dalla minore della
famiglia.
Raggiunsero
ben presto
il metal-detector. Bill lo guardò con aria sconvolta. Di
certo sarebbe scattato
se non si fosse tolto tutti i piercing che aveva. Ma non poteva mica
farlo. Ci
avrebbe messo un’eternità a rimetterli. Heidi
passò tranquillamente.
Bill
guardò la
ragazza-balena di prima con aria supplichevole.
‹‹Non
mi dica che devo
togliere tutti i miei piercing. Non posso.›› le
disse Bill. La ragazza gli
rispose correttamente in tedesco ma, il suo accento, era del tutto
storpiato.
Bill storse il naso in una smorfia di disgusto verso la ragazza.
‹‹Non
c’è bisogno di
toglierli. La devo solo perquisire per vedere se ha qualcosa che possa
destare
sospetto. Nel caso in cui dovesse suonare – cosa molto
probabile visto i suoi
innumerevoli piercing – la farò ugualmente
passare, in quanto saprò che son
quelli la causa. Ovviamente dovrò ripetere questa operazione
più di una volta
per averne la certezza. Mi sono spiegata?››
Sospetti?
Le sembro per caso un rapinatore o un trafficante di droga?
Lui
annuì freddamente, senza
batter ciglio. Sarebbero stati i minuti più imbarazzanti di
tutta la sua vita.
Si morse convulsivamente il labbro in prossimità del
piercing destro. Sfilò la
cintura e la posò assieme agli occhiali,
all’orologio, al cellulare e ad altri
effetti, in un contenitore rosso e lo fece passare sul nastro
scorrevole. Successivamente,
toccò a lui passare sotto il metal-detector e, come
previsto, si mise a
suonare. Bill avvampò. Trattenne il fiato e sperò
che nessuno lo stesse
osservando ma, ovviamente, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
Guardò
dietro di sé e vide la marea di gente che lo fissava con
aria seccata.
Dopotutto, erano esausti tanto quanto lui.
La
ragazza le passò un
attrezzo lungo tutto il suo corpo. Suonò non appena lo
avvicinò ai suoi anfibi.
‹‹Tolga
le scarpe e le
metta nel contenitore assieme all’altra roba,
cortesemente.››
Bill
in quel momento,
voleva solo sprofondare dalla vergogna. Heidi, intanto, era piegata in
due
dalle risate, mentre si gustava la scena alquanto imbarazzante, del
fratello.
Bill, le giurò che dopo avrebbero fatto i conti. Si
sfilò via gli anfibi e li
posò – come richiesto –
all’interno di un altro contenitore, facendolo passare
nuovamente all’interno del nastro trasportatore.
‹‹Bene,
passi
nuovamente.›› Bill obbedì senza
esitare e, come temeva, suonò ripetutamente.
Avvampò di più. Constatò di aver
sentito qualcuno ridacchiare. Si voltò ex novo,
e vide un ragazzo alquanto strano, ridere sotto i baffi. Avvertendo di
essere
stato sgamato, fece il vago; guardando da tutt’altra parte e
grattandosi dietro
la nuca. Bill alzò un sopracciglio e schioccò la
lingua.
Voglio
proprio vedere se nascosta sotto tutti quei rasta neri, non ci sia
della droga.
Si
trovò a pensare
Bill, decisamente irritato dal fatto che qualcuno stesse ridendo della
sua –
già imbarazzante – situazione.
‹‹Dio
signorina, non mi
posso denudare completamente? Almeno questo arnese la smette di
suonare. Le ho
detto che sono i piercing!›› Disse lui, ormai
disperato.
La
ragazza lo guardò
stranita. Passò nuovamente l’aggeggio di prima sul
suo corpo, questa volta
concentrandolo vicino al viso – più
specificatamente – accanto ai piercing.
Suonò.
‹‹Okay,
son proprio
questi che fanno scattare il metal-detector. Può passare,
adesso.››
Bill
avrebbe voluto ucciderla.
Era
proprio quello che stavo tentando di dirti, cicciona.
Avrebbe
voluto gridarle
Bill, ma ovviamente, non disse niente. Le sorrise in maniera talmente
falsa, da
dar fastidio persino a se stesso. Si infilò goffamente gli
anfibi, si allacciò
nuovamente la cintura e, finalmente, fu libero.
‹‹Dio,
no ne potevo
più.›› disse raggiungendo la sorella.
Heidi sorrise, dandogli un buffetto
dietro la nuca.
‹‹Sei
sempre il solito
coglione, Bill. Abbiamo perso un sacco di tempo per colpa
tua.››
‹‹E
cosa vuoi da me?››
aggiunse Bill, mettendosi sulla difensiva. Heidi lo guardò
con aria
interrogativa, assumendo la medesima espressione che attribuiva il
fratello.
Delle volte, erano tali e quali.
‹‹Nulla.››
cominciò. ‹‹Solo
che ci hai rallentato di ben dieci minuti!››
concluse infine, aprendo a
ventaglio le mani. Bill sbuffò. Non era affatto colpa sua.
Si voltò un istante
e vide i propri genitori dirigersi verso di loro. Il metal-detector non
aveva
dato cenni di vita.
‹‹Bene,
credo che
finalmente siamo pronti per iniziare la nostra
vacanza!›› espose Gordon felice
e avvolgendo le braccia attorno alle spalle dei propri figli,
baciandoli successivamente
sulle tempie. Bill fece una smorfia, allontanando il padre tendendo le
braccia
in avanti. Aveva già avuto la sua dose mattutina di
imbarazzo; no ne voleva
dell’altro.
‹‹Mica
ti fa male del
sano affetto, eh Bill?›› Simone
corrugò la fronte, scherzosamente. Conosceva
benissimo il figlio. Non adorava le smancerie. Soprattutto in un luogo
così
affollato e pubblico.
‹‹Sì,
ho capito. Ma non
sono un neonato.›› aggiunse poi, aggiustandosi la
tracolla sulla spalla. Gordon
allora lo trattò da vero uomo. Gli
diede una pacca sulla spalla.
Risero
entrambi.
D’un
tratto, le loro
risa, vennero improvvisamente sopraffatte dal tremendo bip
del metal-detector. Bill si voltò istintivamente.
Rise di gusto
quando riconobbe la persona che lo fece scattare: era proprio il
ragazzo con i
dreadlocks neri che, fino a qualche minuto fa, stava ridendo di lui.
Chi la fa, l’aspetti.
******
Note: buon pomeriggio gente (: ed eccomi qui, con una nuova e fresca FF (fresca non tanto, in quanto è già da qualche mese che la sto scrivendo) A differenza di 'Ti ricordi di me?' questa NON è finita ma ho già pronti sei capitoli: il settimo è ancora da iniziare. Adesso vi racconto un po' da dove è nata l'idea di questa storia anche se è molto intuitivo. L'anno scorso, ho fatto la mia seconda crociera, infatti, i luoghi che verranno trattati all'interno di questi capitoli, sono proprio quelli che ho visitato io. La nave citata, non è quella su cui sono andata, bensì un'altra. Per quanto riguarda invece gli altri fatti che accadranno qui dentro, in parte sono tratti dalla mia esperienza durante la vacanza, altri inceve puramente inventati, come ad esempio questo primo capitolo. I fatti che vanno giudicati in un certo senso 'reali' sono maggiormente i luoghi visitati e.. un'altra cosa che momentaneamente preferisco non rivelarvi (: Detto questo, ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno. (apro una piccola parentesi: sono fiera e molto felice di aver riscontrato un bel successo con la mia prima FF 'Ti ricordi di me?' spero che anche con questa, potrò suscitare interesse. Posso garantirvi che è molto bella, come storia. l'ho già tutta in mente.. devo solo buttarla giù sul foglio di word.. perchè, se ho deciso di scriverla, è perchè ne vale realmente la pena. Spero vi piaccia. Un bacio. Vale). PS vi consiglio di vedere il trailer, lì spiega parte della storia.