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Autore: Aliceclipse    04/05/2014    1 recensioni
Avevano tutta la vita per fare incubi.
Uno, per Blaine, si era già fatto sentire.
Ed era uno degli incubi peggiori, perché doveva viverlo ogni giorno, ad occhi aperti. Scendere le scale e avere paura, una paura folle, ogni secondo di più, ad ogni gradino di più.
Quello era l’incubo.
Quello vero.
E quando l’incubo è dovuto a un trauma, si trasforma in paura. Pura e semplice Paura. Profonda.
L’inizio della Fobia.

Raccolta di OS collegate da un unico filo conduttore: le fobie.
Capitolo 1, Blaine and Cooper.
Capitolo 2, Brittany.
Capitolo 3, Sebastian e Thad.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Santana Lopez | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Puck/Rachel, Quinn/Rachel, Sebastian/Thad
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Tre
Buio.

La nictofobia è la Paura dell’oscurità e della Notte.
È comune nei bambini, un poco meno negli adulti.
Generalmente è causato dal fatto che la persona che ne soffre non può vedere nell'oscurità; ha quindi paura di ciò che può succedere nel buio, dell'ignoto, di ciò che non può controllare.
Inoltre, in luoghi male illuminati, le cose appaiono essere quel che non sono. Oltre l'affermazione scientifica che la paura è irrazionale  e che quello di cui si ha paura non è reale, questo solleva dal panico.
Altri nomi per questa fobia sono achluofobia, ligofobia, mictofobia.
La paura dell'oscurità è incrementata dall'immaginazione: un pupazzo di pezza può sembrare  un mostro nell'oscurità. L'ipnofobia è invece la paura di dormire.
È definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata di restare addormentato.

Sebastian odiava tutto di quella dannata scuola, a partire dai vuoti, insensati corridoi pieni di stupidi studenti convintissimi di loro stessi, fino alle divise blu e rosse. Per non parlare degli insegnanti così pieni di se', così convinti di essere perfetti e superiori, quando spesso nemmeno si facevano vedere.
La scuola, dall'esterno, ed all'occhio dei genitori spendaccioni, risultava il luogo perfetto dove spedire gli inetti figli teppisti e fannulloni come lui.
Certo, era un bell'edificio, e i ragazzi, ad un primo sguardo, sembravano tutti diligenti, tranquilli. Non c'era da meravigliarsi che suo padre e sua madre lo avessero spedito lì, dopo l'ennesima bravata.
Che poi non era stata nemmeno così terribile.
Aveva solo rovinato uno dei tanti, noiosissimi comizi di suo padre, capo dell'ambasciata americana di Parigi, preferendo strusciarsi con uno dei giornalisti presenti piuttosto di rimanere ad ascoltare per tutto il tempo.
Dopo tutto era un ragazzo avvenente, provocante e molto sensuale, e lo sapeva perfettamente. Poco importava che la gente gli desse del frocio quando lo vedeva, lui se ne fregava. Rideva, e convertiva il maggior numero di babbuini che poteva.
Ed alla fine, quelli che cedevano alle sue avances erano più di quelli che ci si potrebbe aspettare.
Era la sua missione di vita.
L'amore non era interessante, non quanto le avventure da una notte.
O da una mattina.
O da un pomeriggio.
O da una qualsiasi ora della giornata.
Non faceva distinzioni, lui.
Però, Parigi era Parigi. E l'Ohio era.. beh, quello che era. E, nonostante quella scuola fosse la migliore di quelle che si potessero trovare in Ohio, sembrava adatta al motivo per cui i suoi l'avevano spedito lì: "darsi una regolata".
Il problema era che Sebastian non voleva assolutamente regolarsi. Non voleva diventare un damerino qualsiasi e non voleva fare amicizia con nessuno di quei perfetti damerini. Perfetti in apparenza, almeno.
E l'unico rapporto che intendeva intrattenere con loro aveva a che fare con la parola "anale" e con i sedili posteriori della sua auto.
A partire dal tizio che era risultato essere il suo nuovo compagno di stanza.
Thad Harwood era carino, aveva tratti piuttosto esotici, che lo avevano sempre affascinato.
Peccato che fosse un tipo veramente strano.
Non faceva altro che cantare, cantare, cantare, e non dormiva mai.
La prima sera, Sebastian era andato in bagno per primo, con la speranza di trovarlo già addormentato, per poter accendere la luce prima di andare a dormire.
Però, quando, intorno alle due, si era azzardato ad uscire, lo aveva trovato disteso sul letto, lo stereo acceso e la luce decisamente accesa.
Così, interdetto - e abbastanza sollevato- Sebastian si era avvicinato al suo letto, si era posizionato sotto le coperte, ed aveva provato a dormire. Thad lo aveva guardato in maniera strana, cupa, curiosa, ma non gli aveva rivolto la parola. Non gli aveva neppure chiesto come si chiamava, in effetti. Lo aveva solo guardato. E poi si era girato dall'altra parte, ed aveva preso a scrivere sul suo computer portatile.
Così, Sebastian si era addormentato con la luce accesa, ed il suono delle dita di Thad che scorrevano veloci sulla tastiera.
“Maman, non riesco a dormire.” Sebastian tirò su col naso, mentre aggrappava la manina alla camicia da notte della madre. La donna gli rivolse uno sguardo stanco, e gli sfiorò la fronte con le dita, scostandogli una ciocca di capelli.
“Piccolo, è tardi.” Sussurrò. Poi lo guardò ancora una volta con gli occhi verdi puntati nei suoi, e si voltò. E spense la luce, chiudendo la porta dietro di se’. Sebastian sospirò profondamente, chiudendo gli occhi, provando a fare il bravo bambino, almeno per una volta. Tanto, però, già sapeva che avrebbe rovinato tutto il giorno dopo.
Non lo faceva apposta. Non voleva essere la rovina della famiglia, non voleva sempre far preoccupare e arrabbiare tutti. Solo che gli riusciva bene, nonostante avesse solo sei anni.
Tutto era così buio, e lui si sentiva terribilmente stupido.
I suoi amici non facevano sempre arrabbiare i loro genitori. I suoi amici non parlavano come lui, non pensavano niente di ciò che pensava lui. I suoi amici non avevano paura del buio.
 Sebastian sentiva il battito del suo cuore accelerare. Aveva paura, troppa paura. Il buio era così brutto. Non poteva vedere niente, non poteva sapere se fosse solo, se ci fossero dei mostri pronti a prenderlo. Non sapeva se qualcuno avrebbe potuto fargli male, come faceva quel suo compagno di classe, quello alto. Rob. Aveva così paura, accidenti. Ma non poteva piangere. Mamma lo avrebbe sgridato. E anche papà.
Poi, tutto iniziò a vibrare. Ma lui non stava tremando. Era sicuro di non stare tremando. Eppure, le pareti emisero un inquietantissimo boato.
Finchè non si rese conto che, in effetti, stava tremando tutto sul serio.
Sebastian era piccolo, ma non stupido. Si alzò dal letto velocemente, barcollando, senza pensarci nemmeno un secondo, e si buttò sotto al letto.
Non c’era luce, non vedeva niente. Ma sentiva. Avvertì chiaramente la voce di sua madre, e quella della domestica. Entrambe chiamavano il suo nome, lo cercavano.
“Maman” mormorò, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia. Non poteva urlare. Non poteva muoversi. si sentiva paralizzato.
“SEB!”
Sebastian si tirò su con uno scatto, mentre un urlo gli moriva in gola. Non vedeva niente. Dov’era?
“Mamma, mamma..” Sussurrò, e poi scoppiò a piangere. Un pianto rumoroso, troppo rumoroso. Ma non riusciva, non riusciva a controllare i singhiozzi. Accanto a lui, qualcuno si mosse, e lui scattò dal lato opposto, cadendo dal letto.
“Sebastian?” Nel buio, vide i contorni di una figura muoversi. Ma Sebastian non poteva farsi vedere così, semplicemente non poteva. Poteva solo singhiozzare più forte, però. Più tentava di smettere, e più tutto, attorno a lui, sembrava buio e spaventoso e terribile.
“Sebastian, Calmati, sono Thad. Cazzo, io.. Stai calmo!”
“La luce. Accendi quella fottuta luce, ti prego, ti prego, ti prego!” Sebastian si scostò i capelli con una mano, aggrappandosi al letto.
In pochi secondi, Thad gli fu accanto. Vicino. Troppo vicino. Lo stava guardando negli occhi, ma tutto quello che Sebastian riusciva a vedere erano quelle profondissime occhiaie che non lo abbandonavano mai.
“Va meglio?” Sussurrò Thad, porgendogli la mano, quando i singhiozzi diminuirono.
“Cazzo.” Sebastian si alzò di scatto in piedi, gli occhi rossi, tremante. “Cazzo, cazzo, CAZZO.” Senza pensare, diede un colpo all’abat-jour, che crollò a terra rovinosamente, spezzandosi.
Thad gli fu vicino in pochi secondi, e gli porse un fazzoletto.
“Senti, non lo dirò a nessuno. Conosco la tua reputazione. Puoi stare tranquillo”. Esclamò, un lieve tono acido nella voce. Sebastian si accigliò, girandosi verso di lui.
“Non sai un cazzo di me, Harwood. Proprio no!” Lo spinse di lato, e Thad cadde contro al letto. La sua espressione si fece scura.
“Magari non so niente, però almeno provo ad aiutare. Tu invece no, non mi aiuti per niente. Lasciami capire, almeno!”
“Provi ad aiutare? Sul serio? Non mi hai rivolto la parola da quando sono arrivato. Merda, ed io che avrei potuto portarti a letto. E chi lo sapeva che per te “letto” a quanto pare  una parola sconosciuta? Dormi mai, tu?”
“Io almeno non piango come un bambino quando qualcuno spegne la luce.”
Calò il silenzio. Sebastian gelò. Poi, il ricordo del sogno gli tornò in mente. E riprese a piangere. In silenzio, questa volta. Non provò a controllarsi. Non era arrabbiato con Thad, era arrabbiato con se stesso. Perché doveva sempre essere così? Perché non poteva semplicemente smettere di ricordare, smettere di avere paura? Chiuse le dita a pugno, stringendole contro ai fianchi. Thad, di fronte a lui, aveva gli occhi lucidi. Socchiuse piano la bocca, come se avesse voluto dire qualcosa. Ma non parlò. Non disse niente. E allora, Sebastian mosse un passo verso di lui. Poi un altro.
E poi, senza sapere come, il su corpo era premuto contro quello caldissimo di Thad, labbra contro labbra. E li sentì, i brividi. Brividi che non aveva mai capitato di sentire, quando baciava i ragazzi che si portava a letto.
“Sei umano, Sebastian. Puoi avere delle paure.” sussurrò Thad, quando le loro labbra si separarono. Sebastian scosse la testa, e si spinse di nuovo contro di lui. Doveva dimenticare tutto. Thad lo avrebbe fatto dimenticare. Nell’unico modo che Sebastian conosceva.
E Thad non si oppose. Sembrava stanco, eppure così energico. Sebastian non sapeva come facesse.

Sebastian si gettò di lato, affannato. Il miglior orgasmo della sua vita. Buffo pensare che solo poco meno di un’ora prima era in lacrime, e stava gridando contro l’altro ragazzo. Beh, non che i due non avessero gridato, nel resto del tempo.
Thad, al suo fianco, si stava pulendo con un fazzoletto. Sebastian ghignò.
“Sai, comincia a piacermi, questa cosa del compagno di stanza.”
“Vuoi dire che ora scoperemo ogni volta che avrai un brutto sogno?”
“Magari anche quando tu ne avrai uno, se vuoi.”
“Io non sogno.”
“Lo credo. Sono qui da settimane e non ti ho mai visto dormire.”
“Ah.” Thad sapeva che Sebastian aveva ragione. Non che lui non dormisse mai. Solo.. non voleva.
Sebastian si voltò verso di lui. E, quando vide lo sguardo perso di Thad, il suo ghigno scomparve.
“Perché non dormi mai, Thad?” Mormorò. L’altro chiuse gli occhi, sospirando.
“Ho paura.” Sebastian sbatte le ciglia. Poi continuò a guardarlo, mentre l’altro si alzava, un’espressione indecifrabile sul volto. Sebastian gattonò vicino alla sua figura, poi lo prese per i fianchi prima che l’altro potesse allontanarsi. Gli baciò la schiena, spingendolo di nuovo vicino. Allora Thad si voltò, confuso.
“Quand’è che dormi?” Sussurrò Sebastian. E.. non sembrava lui. C’era una dolcezza, nel modo in cui gli si era rivolto, che sembrava quasi giusta. Thad non si aspettava quella domanda, non si aspettava che il ragazzo lo guardasse come se stesse capendo veramente.
“Quando sono stravolto. Quando non riesco a tenere gli occhi aperti.” Sebastian lo trascinò di nuovo a sedere. Poi gli succhiò il lobo dell’orecchio.
“Facciamo un patto, vuoi?” Thad mugolò qualcosa che somigliava molto ad un “Cosa?”
“Tu lasci la luce accesa prima di andare a dormire, io passo le mie serate a sfinirti per farti addormentare. E’ un peccato che tu abbia delle occhiaie del genere, con quel viso. Mi sembra equo, non ti pare?” Mormorò, con la voce più sensuale che riuscì a fare. L’altro cadde come creta tra le sue dita, e lo baciò, ancora, violentemente, spingendolo contro la testata del letto.
“Molto equo”.


   
 
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