Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    05/05/2014    5 recensioni
Il principato di Dorne -l'unico a non essere stato sottomesso dai Targaryen.
Lancia del Sole -la capitale dove vengono orditi nuovi intrighi, che scuoteranno Westeros.
Un sole rosso trafitto da una lancia -lo stemma che raffigura le armi predilette dai dorniani.
Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati -il motto implacabile di una famiglia implacabile.
Loro discendono dalla stirpe della leggendaria principessa guerriera dei Rhoynar, Nymeria; loro sono i Martell. E vogliono partecipare al gioco del trono.
|raccolta di one-shot/flashfic sull'ottava grande casata di GoT|
#1: Elia Martell
#2: Oberyn Martell
#3: Doran Martell
#4: Ellaria Sand
#5: Arianne Martell
#6: Quentyn Martell
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Arianne, Martell, Elia, Martell, Oberyn, Martell, Vipere, delle, Sabbie
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Ellaria
Ellaria Sand.

Violenza.






Tutti di te dicevano sempre ch'eri maleducata. Una fanciulla rozza, impertinente, villana. Maleducata: quanto ridevi, ogni volta che udivi quell'aggettivo. Io non sono maleducata, rispondevi, perchè non mi sono fatta educare da nessuno. A quel punto, per gli ospiti v'era una sola spiegazione. Sand. Ellaria Sand. Una creatura scomposta, sinuosa, bizzarra, amari occhi obliqui e dolcemente sprezzanti, il sinistro sorriso salace come un'onda fra le labbra, il mento volitivo, i fianchi pieni, i capelli bluastri come succo d'uva, e le mani, quelle mani cattive dall'ossatura magra e le unghie che non hai mai voluto tagliare. Una creatura bronzea di sole, annerita dal buio. Ellaria Sand. Porti il tuo cognome con la fierezza di un'eletta; hai imparato non ad odiarlo per tutte le porte che ti ha chiuso, ma ad amarlo per tutte le botole che ti ha permesso di scoprire.
Quando le schiave ti si avvicinavano con le forbici, mordevi le loro dita; quando ti chiudevano in camera, ti spezzavi le caviglie scalando le mura; quando ti ordinarono di andartene per non tornare mai più, fuggisti come una tigre nella selva e dimostrasti a tuo padre che, quando ne avevi voglia, anche tu eri capace d'obbedire. C'era tanta rabbia in te, c'era tanto impeto, che sputavi sul volto di chi ti immobilizzava; c'era un nero demone a dibattersi nella tua anima, che gridava e dilaniava. Quel desiderio di rivalsa trascendeva te stessa e burlava le stelle. Le bizze d'un cuore incustodito. Non riuscivi a farti largo nelle grazie della civiltà: le formule ti opprimevano il respiro, le parole cortesi incespicavano sulla tua lingua e precipitavano nell'oblio d'un silenzio tonante, i costumi ti si stringevano addosso come sudari. Le tue pupille avvolgenti conoscevano una sola lingua, quella della spontanea violenza, la dottrina inconfessabile delle tue mani cattive.
Nell'adolescenza, ti perdesti in un universo di sfarzosa nullità, un vortice turbolento di colori pungenti ed odori vivaci, una tempesta di percezioni sensoriali laceranti, suadenti miasmi d'inferno, un fasto grasso e copioso che traboccava nei bordelli come miele sul pane, e tutti quei sorrisi insinuanti, e tutto quel buio profumato, e tutta quella brama disperata di perdersi ch'era anche la tua, riflessa nelle mille sfaccettature d'uno specchio. Poi, a destarti da quell'indolenza comoda e malata che ti derubava delle forze e della ragione, a farti riconciliare con l'azzurro del cielo, giunge un vento sferzante e sorgivo, il respiro della vita a gonfiarti il petto.
Vi incontrate alla festa di mezza estate, fra le risate argentine dei boccali a cozzare ed unirsi in una preghiera comune, in un'acclamazione d'euforia. Dietro il corposo vino rosso di Dorne, oltre i gravosi coriandoli d'afa impigliati alla vegetazione odorosa ed ai tovaglioli spiegazzati, oltre la perizia silenziosa ed intransigente dei servi, i suoi occhi catturano i tuoi, senza forzatura, senza fatica, giocherellandoli soltanto, soppesandoli con divertita curiosità; il suo sguardo inquisitore adesca i tuoi occhi avvolgenti, nei quali Oberyn Martell si sporge con una tale inaudita sfrontatezza, con una tale vergognosa impudenza, che tu non puoi fare a meno di pensare che è un maleducato, proprio come te. La Vipera Rossa non può nascondersi tra la gente comune: non ha bisogno d'una corona per dominare. Non scoprirai mai se a quella festa egli partecipa per te, se mentre ti guarda e sorride sa già chi sei, oppure se è stato davvero un caso quello scontro d'iridi taglienti come giavellotti.
La vostra storia è un gioco al gatto e al topo che si conclude in riva al mare, durante un pomeriggio in cui il sole pulsa come un cuore moribondo, quando Oberyn ti prende sulla battigia, nell'acqua bassa, sugli scogli, fra la sabbia che ti veste aderendo alle tue cosce bagnate, e l'infinito si spalanca dentro di te; la vostra storia è quella che i menestrelli non canteranno mai.
Non ti abbandoni completamente a lui, perchè sai quanto la definitiva conquista annoi Oberyn; allora scivoli via dalle sue mani, dal suo sguardo, ti rinchiudi in un mistero nuovo, ti drappeggi di bruma, e gli sorridi come se non avesse capito niente. Se sei l'unica che così a lungo rimane al suo fianco, è perchè nessun'altra riesce a resistere al suo veleno.
E, grazie alla sua sbrigliata cupidigia, hai imparato la serena mitezza della soddisfazione. La rivincita che volevi nei confronti di quella famiglia che non ti ha mai guardato in faccia, era la tua stessa felicità, che così incautamente ti è stata negata, e la completezza di tale felicità, la sazia concordia fra libertà del corpo e distensione dell'anima, è stata raggiunta ed assimilata. La violenza si è dissolta in un pugno di cenere. Oberyn porta con sè quella parte di te ch'egli ama di più, quella ragazza scaltra e flemmatica ed intricata come un labirinto, di buia e negligente bellezza, l'amante pigra ed intraprendente che sa stupire entrambi, quella fanciulla che vorresti essere sempre, e che vive in funzione di Oberyn. Perchè se gli Uller non ti guadavano mai, egli ti rimira senza mai impararti a memoria: ti squarcia il cuore di commozione, l'ammirato compiacimento con cui i suoi occhi ti scrutano, accarezzano, penetrano, strisciando con lenta devozione sulla tua carne, come s'egli ti spogliasse per la prima volta, come s'egli ti avesse per la prima volta, e il suo orgoglio ti fa sentire bella e potente come il peccato. 
Un giorno ti porta a Lancia del Sole, con una determinazione spaventosa che sfida il mondo a contrastarla, stringendoti la mano -una mano senza più cattiveria- in maniera salda ed inequivocabile.
-Lei è Ellaria e chi la tocca è un uomo morto.- Conciso, lapidario, netto come una lama. Ellaria. Niente Sand. Ellaria e basta. Come se tu potessi essere soltanto questo.
Dall'alto del trono, il re di Dorne ha il volto chiuso di contrarietà, torvo di silente riprovazione. Un'alta ombra nera dal volere imperscrutabile. Dà l'unica risposta possibile; arresa stanchezza sulle guance e negli occhi.
-Che tu sia la benvenuta a Lancia del Sole.-
Per il resto, sei rimasta la sua amante clandestina, null'altro: in un mondo sorretto e sospinto da giuramenti e promesse, egli non ti dà altra certezza che la sua bocca sulla tua. In fondo, a Oberyn l'invasione nel proibito piace troppo per rinunciarci così.
Quando siete abbandonati fra i guanciali, a rotolare e crogiolarvi fra le lenzuola come bambini, a volte gli allunghi quelle pingui, paffute bacche dalla pelle scioglievole che crescono nei cespi di Dorne, rosse e lucenti come bolle di sangue: egli socchiude le labbra e tende il collo, addentando imperioso il piccolo frutto tondo, assaporando la polpa bianca, molle ed acquosa sotto i denti; poi si allunga per averne ancora, ed ancora. Ad un certo punto, la ciotola nel tuo grembo è vuota.
-Come sei avido.- gli sussurri all'orecchio, con quella voce bassa e vibrante che -lo sai- gli procura un brivido lungo la schiena. È avido, Oberyn: ti pretende come nessun altro uomo ti pretenderebbe mai, fino ai confini dell'anima, fino in fondo ai tuoi occhi avvolgenti. Eppure non dice mai ti amo.
-Non è importante quante volte te lo dico, ma quante te lo dimostro.- è stata la sua sorridente risposta. È Doran il fratello che vive di parole, non Oberyn.
La tua gioia più grande è stata avere delle figlie con il suo furore negli occhi e la sua risata sulle labbra, minuscoli corpi caldi ai quali ti potrai aggrappare; e poi vedere lui con la vostra primogenita fra le braccia -la prima delle sue figlie che ha visto nascere, così dice- e udirlo mentre, con voce sonora eppure umida di pianto, le concede il nome che fra tutti ha più caro. Dopo quello sfuggente periodo di densa voluttà, in cui è difficile distinguere le risate dell'uno e i gemiti dell'altra, dopo quel rincorrersi e raggiungersi ed incespicare sulla spiaggia, e le sue membra agili e i suoi muscoli asciutti e guizzanti sotto le tue labbra, e il suo profumo ch'è un canto ottenebrante dei sensi, Oberyn reclama la sua indipendenza. Elia. Lo spettro nella sua vita, il precipizio fra di voi.
Quell'ultima notte che trascorrete insieme, quell'ultima notte sei tentata di chiedergli di scampare, di sopravvivere, di tornare alla vostra piccola vita felice, prima di renderti conto che non esistono rimpianti alle sue spalle. L'empatia che vi unisce è qualcosa di tanto viscerale da permetterti di saggiare i suoi sentimenti con mano, di vedere le fibre di quel cuore tendersi allo stremo, quella forza potenziale insistere nelle mani, in cerca di risoluzione; ti ricorda la tua irosa violenza di bastarda ignorata, e ti fa piangere l'intensità delle sue emozioni, così possenti da travolgere le montagne. La casa Martell gli ha dato la vita; ora gli sta offrendo persino una morte gloriosa. Quest'idea non provoca la tua rabbia, quanto piuttosto una sommessa, mesta accettazione, l'acquiescenza benevola di cui egli ha bisogno. Perchè Oberyn non è venuto fino ad Approdo per Re per sopravvivere -ma per uccidere. Egli non esiterà ad offrire un tributo, per ottenere il debito di sangue che gli spetta. Lo baci per consumargli la pelle, assorbi come stoffa la sua bellezza scultorea ed eburnea, ardente, febbricitante, lo trattieni con mani frementi, ma lui è una vipera e sai che presto, troppo presto, svincolerà dalla tua presa come neve sul palmo. Lo ami troppo per impedirglielo. E sotto le sue dita ti sveli come non hai mai fatto, parli come non hai mai osato -... prima di domani.-
Oberyn ti guarda, piega un sorriso indulgente. -Domani non esiste, Ellaria. Adesso, e noi, sono le uniche cose che esistono.-
Bugiardo, vorresti dire. Domani esiste, ed esiste più di tutto: occupa tutto lo spazio fra noi, in noi, attorno a noi. Ci comprime dall'alto e ci minaccia dal basso. Appesantisce ogni minuto e grava su ogni secondo. È in agguato nelle parole che io pronuncio e nei pensieri che tu non condividi. E c'è Elia, in fondo alla stanza, a guardarmi con quegli occhi eterni, a tenderti la mano per portarti via con sè; e ci sono quei due bambini innocenti, che sorridono beati, brandelli di carne e frammenti di ossa che grondano dal capo spalancato in una poltiglia nerastra; e c'è Doran, il principe inconcludente, che sospira la morte dei fratelli e rivolge altrove il suo sguardo inflessibile. Oberyn sorride, sì; la sua unica paura è il fallimento, e da te non pretende più nulla. Sa che gli hai donato te stessa e te ne è grato, ma, se gli venisse proposto di rimanere per sempre in quel letto di velluto e sussurri, non accetterebbe. 
Riconosci il suo egoismo: quando sarà morto, il dolore sarà soltanto affar tuo; egli non ne sarà più coinvolto in alcun modo. Ti lascia al tuo lutto, Oberyn, ti lascia alla tua oscurità recondita, ti lascia, tutto qui. Tutto qui, in questa notte di nostalgia in anticipo, a sfogliare ricordi e premonizioni, in questa notte di reciproca, cavernosa solitudine, perchè siete soli, soli insieme.
Domani esiste, sta sbranando il presente secondo per secondo, sempre più vicino, sempre di più. E vorresti fermarlo ma non ha corpo, e vorresti ucciderlo ma non ha cuore. Non ha cuore, il futuro. Domani esiste già da un pezzo, esiste da quando Elia Martell è stata assassinata con i suoi bambini, ma tu non parli, non dici nulla. Gli carezzi i capelli con dita lievi ed effimere, composta e solenne come i tuoi genitori ti avrebbero sempre voluto.
Oberyn non crescerà le sue ultime figlie. Per Dorea e Loreza non ci sarà una lancia da combattimento, e nemmeno un'immagine vivida di quel padre che non avranno nemmeno il privilegio di ricordare. Domani esisterà, come negarlo ormai?


Il vento, sconcertato, sibila un silenzio inclemente. Spazza la terra battuta in un soffio arido.
La tua figura trema all'orizzonte, scura, esile ed ostinata, occhi duri sotto i veli, occhi impastati di nero, kohl che gocciola come cenere sulle guance.
La gola esplode con un frastuono disturbante. La violenza sopraggiunge come un fantasma dal volto familiare.
Tanti lo piangeranno: ma in quel momento, lì, ci sei solo tu.






























Note dell'Autrice: Evviva Ellaria! Quanto la amo nella serie tv. Sto progettando una serie di drabble Oberyn/Ellaria. Sono troppo perfetti. Sono troppo OTP.
La prossima sarà Arianne, signori. Che donna, Arianne. E dopo le Vipere, oppure Trystane, a seconda dell'ispirazione.
Grazie per aver letto!
Lucy
  
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