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Autore: _Arika_    24/07/2008    1 recensioni
-Conosci i Sayan?
Lektar sembrava leggere i miei pensieri. Mi scrutava in attesa che dentro di me prendessi una decisione.
Decisi di mantenere una linea il più corretta possibile.
-Non credo di poterti dire davvero come li conosco- dissi –Però vengo da talmente avanti nel tempo che non credo di poter essere un pericolo per voi. Io non sono una Sayan, se questo può tranquillizzarti, ma sono sicura che l’avessi già capito. E’ anche vero quanto ho detto prima, e cioè che la mia razza è molto debole, quindi non credo di poter essere un pericolo. E in ogni caso io NON VOGLIO, essere un pericolo.
Lektar si avvicinò di nuovo e si risedette sul cubo bianco.
–Quindi li conosci da vicino, se dici che è per via del divario temporale che non puoi essere un pericolo.
Anuii lentamente. –Li conosco bene. Ma nel mio mondo credo che loro siano molto diversi da come credo siano nel vostro.
-Sono esseri crudeli e sanguinari?
-No.
-Allora sì, sono molto diversi.
Genere: Drammatico, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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LA GUERRA DEI MONDI


PARTE QUARTA: Mordere


La società sayan si basa su una rigida gerarchia.

Prima i maschi anziani, poi i maschi giovani, poi le donne anziane e infine le donne giovani.

Non ci sono eccezioni, ogni uomo combatte perchè è l'unica cosa che può fare. Le donne, per contro, hanno invece una doppia strada.

Ci sono le fattrici, che curano la prole e mantengono le case, e le guerriere, cui è vietato riprodursi fino all'età di quarant'anni.

La società sayan aborre la debolezza e non concepisce la pieta. I bambini deboli che superano l'infanzia vengono mandati come esche negli attacchi. Bocche in meno da sfamare e buoni diversivi negli avanzamenti per trovare cibo.

Tra i guerrieri maschi e femmine hanno pari ruolo. Solo la forza discrima le prime dalle seconde e le terze classi.

Nella terza classe risiedono i più deboli e i meno svegli, atti a fare numero nelle avanzate in gruppo, nella seconda i guerrieri più potenti.

Non bastano forza e potenza per essere prime classi. In questa ristretta cerchia, infatti, risiedono solo coloro che oltre a forza e potenza posseggono intelligenza e astuzia, doti molto rare per un appartenente alla razza sayan.

Nell'anno 75 della galassia di settentrione, prima del dominato di Cooler e Freezer, e prima ancora della nascita del pianeta Vegeta, la struttura della società sayan era una forma embrionale di quella sopra descritta.


Non vi erano città stabili, in quanto la mancanza di un pianeta impediva ai guerrieri di porre radici, e le divisioni in classi erano più informali che formali.

All'interno della prima classe, in ogni caso, vi erano solo tre elementi, a testimonio che l'intelligenza fosse una dote rara.

Dei tre elementi il capo branco era Spartack, sayan di anni trentanove e più di cento battaglia sulle spalle. Subito a suo seguito c'erano un maschio e una femmina di anni venticinque e diciotto.

Celia, giovane guerriera figlia di Spartack, e Vegeta, di padre ignoto e madre fattrice.

Nessuno dei tre era di puro sangue Sayan.


---


La sala dello schermo rimaneva silenziosa mentre gli esseri continuavano a fissarmi.

-Il pianeta di cui ci hai parlato è attualmente disabitato.

Ero tornata indietro, così indietro da provenire da un pianeta senza vita.

Jasper e i suoi compagni mi guardavano curiosi. La mia reazione li stupiva, cercavo di trattenere ogni emozione ma al tempo stesso non sapevo come sentirmi.

Che la Terra fosse vuota mi spaventava? Sì e no, o meglio non mi spaventava come avrebbe potuto spaventarmi il fatto di sapermi nel campo base di Freezer o di qualche altro mostro.

Era desolante sapermi sola in mezzo all'universo, ma la cosa non mi preoccupava più di tanto.

Ero comunque su un altro pianeta, cosa poteva importarmi che la Terra fosse abitata o meno?

Non sarei mica potuta andare sulla Terra a dire che venivo dal futuro e farmi aiutare ad aggiustare la macchina del tempo, se anche il pianeta fosse stato abitato.

Meglio essere su un pianeta abitato da scienziati e aggiustare la macchina il prima possibile, che finire sulla Terra e farmi prendere per una strega uscita dall'inferno.

Alla fine sì, non era stato tanto male finire così indietro.

Jasper spostò il cubo e si voltò verso i suoi compagni.

-Bene, direi che adesso sarebbe meglio lasciare questa povera creatura un po' in pace. Tornate pure ai vostri lavori. Come avete visto non avete nulla da temere compagni.

Ad uno ad uno gli esseri leggiadri lasciarono la stanza, in uno sventagliare di tuniche e rumori sommessi di passi.

In quel momento capii perchè Jasper mi aveva fatta andare in quella sala. Avevo letto negli occhi di quegli esseri una sottile preoccupazione, come se temessero che dicessi o facessi qualcosa che non riuscivo a inquadrare.

Quelle creature così belle e così inquietanti avevano paura di quel che avrei potuto fare. E pensare che in nessun modo mi ritenevo "inquietante" nei miei panni di terrestre.

A parte che con le urla non possedevo alcuna forza, eppure il loro era timore.

Quando tutti furono usciti mi accorsi che solo Lektar e Jasper erano rimasti nella stanza.

-E con questo possiamo essere sicuri che nessuno di loro ti farà del male con le nostre macchine- disse Jasper con un sorriso -sai, non ci capita spesso di vedere femmine aliene cadere dal cielo a bordo di una macchina del tempo. Volevo solo che ti vedessero in modo che fossero tranquilli.

Mi strinsi nella maglietta. -Ce ne vuole per avere paura di me- dissi con sarcasmo.

Jasper era di sicuro il capo in quel luogo, con lui fingere era impossibile. I suoi occhi così attenti sembravano scrutarti dentro, come se nei miei occhi stesse fissando gli ingranaggi di un macchinario.

Eppure io non riuscivo a vedere nulla, nelle espressioni del suo volto.

E la cosa non mi piaceva.

Notando la mia smorfia Jasper rise leggermente. -Mi piacerebbe trattenermi ancora, ma fino a questa sera ho dei compiti da svolgere.

Mi guardò fissa negli occhi. -Desideri riposarti ancora?

Se avessi dormito ancora sarei morta d'inedia. -Non sono stanca.

Jasper si voltò allora verso Lektar. -Lektar, se dico a Calisia di dispensarti dalle lezioni ti spiacerebbe tenere compagnia alla nostra ospite fino a cena?

Guardando verso Lektar notai un che di familiare nei due volti delle creature. Erano fratelli. La confidenza era palpabile.

Con un sorriso largo e placido Lektar strinse gli occhi e anuii con la testa. -Certamente. Non c'è nessun problema- Poi si voltò verso di me -sempre che alla nostra ospite, Bulma giusto?, non dispiaccia...

Quegli occhi bianchi come quelli di Jasper avevano un nota diversa, più umana di quelli del fratello. E il sorriso era reale, come se fosse contento veramente.

-Certo che non mi dispiace-dissi, dando poco peso al fatto Lektar dovesse rinunciare ai propri compiti per passare il tempo insieme a me.

Ero o non ero un'ospite?

Jasper si allontanò mostrando una certa fretta -Allora siamo d'accordo.

Notai nella tasca della tunica un piccolo macchinario con uno schermo lampeggiante. Lo stavano chiamando da qualche parte.

Jasper notò la direzione del mio sguardo. -Il lavoro chiama-sorrise ancora-adesso scusami.

E detto ciò sparì oltre l'uscio della sala.

Voltandomi verso Lektar e notando la nota umana del suo sguardo, nota che in Jasper era completamente assente, mi sentii inquieta da una parte e tranquilla da quella opposta.

Lektar non mi inquietava, al contrario mi ispirava simpatia.


Jasper invece non mi piaceva.


Neanche un po'.



---


Poco lontano dalla città del Blu, Spartack arrivò al villaggio seguito dalla figlia.

Il tono degli umori più che basso era sommesso, tutti si occupavano delle proprie faccende in silenzio e senza i consueti screzi o litigi. Le perdite erano state grandi, ma per lo più di terze classi, quindi nulla di irreparabile. Spartack sapeva che le uniche vere perdite erano quelle delle prime e seconde classi, le terze altro non erano che soldatini in un esercito.

Non c'erano legami fissi tra le terze classi, raramente maschi e femmine si accoppiavano per poi mantenere un qualsivoglia tipo di rapporto, quindi nessuno di loro veniva pianto troppo a lungo.

Solo fra le prime e le seconde classi le unioni erano forti. Il maschio più potente sceglieva il più delle volte o la donna più prolifica o la guerriera più potente, e con essa rimaneva fino alla fine dei propri giorni.

Le prime classi dovevano assicurare continuità alla forza, quindi non potevano permettersi legami inconcludenti.

Potevano scoparsi le terze classi, ma quando si parlava oltre che di mischiare il sangue di educate i cuccioli non c'erano eccezioni.

Una serie di mancate nascite o di educazioni raffazzonate potevano portare all'estinzione della razza.


Per questo di educare Vegeta si era occupato personalmente.


Spartack attraversò il villaggio diretto al proprio anfratto.

La tensione era palpabile


Avevano catturato Vegeta, e anche i più anziani sapevano che quel ragazzo era la loro unica speranza di salvezza.

Celia dietro di lui camminava prendendo a calci ogni oggetto incrociasse il suo cammino.

Spartack rise amaramente di quel gesto.

Era una ragazza intelligente, ma nascondere l'inquietudine non era stato mai il suo forte.


La capanna costruita d'arbusti e fango pressati assieme teneva il caldo come la bocca dell'inferno, ma aveva bisogno di stare solo. Doveva riflettere sul da farsi.

Nel cielo buio e ricoperto di nuvole dense, Spartack notò un bagliore familiare. La luna degli Ozaru splendeva tiepida dietro la coltre di condensa.

-Celia?

La ragazza si fermò alzando di scatto il capo in sua direzione. -Sì, padre?

Spartack indicò il cielo con il capo. -Vatti a fare un giro e scarica la tensione.


Continuò a guardare il cielo.


-Prima che la luna cada andremo là a portarlo via.


---


Il volto di Lektar e le sue movenze erano quanto di più simile alle mie avessi visto in quelle ore.

Camminava con una strana consistenza, premendo sul pavimento come se fosse dotato di peso proprio, al contrario di Jasper che sembrava galleggiare in aria. Mi trasmetteva un senso di calma, come se fossi sulla Terra e non in un pianeta alieno in compagnia di un essere alieno.

Attraversando il corridoio in direzione a me ignota mi rilassai e iniziai a parlare.

-Dove stiamo andando?

La creatura mi guardò con uno sguardo di simpatia. -Di preciso da nessuna parte. Pensavo di farti visitare l'edificio. Così se vorrai andare in giro saprai cosa fare.

In silenzio mi mostrò tante camere una più bianca dell'altra.

-Posso chiederti come mai c'è tutta questa luce?-dissi, entrando nell'ennesimo locale illuminato più che a giorno.

Lektar stette in silenzio alcuni istanti come studiando se rispondere o meno alla domanda.

-C'è tanta luce perchè è grazie ad essa se possiamo lavorare alle invenzioni.

Affascinata mi guardai intorno. -Vi nutrite di energia?

Lektar sorrise un poco. -In parte. Diciamo che il nostro corpo si nutre di cibo come il tuo, ma la nostra mente di nutre di luce.- Esitò un istante. -Non riusciamo a lavorare se siamo anche solo un po' al buio.

Immaginai che quella risposta contenesse un segreto che non avrei dovuto conoscere.

Leggevo il timore di Lektar dai movimenti, da come mi parlava calibrando le parole e studiando ogni frase prima di parlare.

C'erano cose che non sapeva se rivelarmi. Era come se pensasse di non potersi fidare del tutto. Come se qualcosa gli dicesse di non farlo.

Non potevo biasimarlo. Ero un'aliena del futuro.

Molto debole, ma un'aliena in ogni caso.

-Posso chiederti qualcosa sulla tua gente?-dissi, davvero curiosa su mille cose.

Lektar mi fisso esitando. -Sì... dipende da cosa mi vuoi chiedere.

Sorrisi toccandogli un fianco con il gomito. - tranquillo, non ti chiederò di svelarmi le vostre invenzioni.

Fu la reazione al mio gesto più che alle mie parole, a lasciarmi esterrefatta.

Quando l'osso del mio gomito sfiorò la tunica bianca e soffice, Lektar fece un salto, non un sobbalzo di sorpresa, un vero salto verso destra.

Con le pupille dilatate mi fissò contraendo il volto in una smorfia.

Era autentica paura.

-Io...cioè... scusa...-cercai di dire sotto shock.

Nei suoi occhi c'era terrore. Come fosse stato un agnello tra le zanne di un leone.

Mi guardai intorno imbarazzata.

Lektar si ricompose e mi tornò affianco col capo chino. -Scusami, mi hai colto di sorpresa.

Proseguimmo in silenzio nella stanza fino all'uscita nel corridoio.

Stavamo per varcare un'altra soglia quando Lektar parlò di nuovo. -Scusa per la reazione di prima. E' che noi non siamo abituati al contatto fisico.

Lo guardai incuriosita. -Vuoi dire che non vi toccate mai?

Lui entrò prima di me. -No, cioè, non c'è alcun motivo per cui dovremmo farlo.

Questa volta fui io e restare lì interdetta. -Come non ce n'è bisogno? E come fate a...

Cercavo un modo poco invasivo per esprimere il mio pensiero.

Come potevano riprodursi o avere un qualsivoglia rapporto senza avere mai contatti fisici?

Non riuscivo neanche a immaginare come potesse essere vivere così, sempre soli anche in mezzo agli altri.

Senza il conforto che una mano amica riesce a darti quando sei in difficoltà.

Lektar tornò a fissarmi come leggendomi nel pensiero. -Oh, bhe. Credo che nel mio popolo le cose funzionino diversamente dal vostro...

Com'era possibile che sapesse cose su un popolo mai esistito?

Com'era possibile che sapesse cosa intendevo?

-Diversamente dal nostro?

Lektar mi mostrò la stanza. -Questa è camera da letto di Jasper. Come vedi è la più grande.-poi chinò la testa- Nel nostro mondo non esiste quella che voi chiamate "riproduzione per copula".

Lo guardai instupidita. Continuavo a non capire.

-Per farla breve noi Skatos non abbiamo due sessi distinti. Siamo esseri come si dice..."asessuati"...non come voi.

Pensai a Junior e alla riproduzione su Nameck. Ma un particolare non tornava.

-E come fate a riprodurvi? Io pensavo che tu e Jasper foste fratelli...

Lektar mi fece cenno di uscire dalla stanza.

-In un certo senso è così. Non siamo fratelli come possono esserlo due creature della tua razza, ma lo siamo nel nostro senso.

Chiuse la porta azionando un controller che la fece scorrere a tenuta stagna.

-Io e Jasper siamo il frutto della scissione di uno stesso essere, per questo ci assomigliamo. Nel mio popolo quando una creatura di trova in punto di morte può scegliere se morire o scindersi in due nuovi esseri.

Senza rendercene conto eravamo arrivati alla cucina.

-E ognuno dei due esseri si appropria di una parte dei comportamenti e delle qualità del predecessore, ma non in maniera calcolata. C'è chi prende molto e chi prende poco, a volte anche uno che prende i pregi e l'altro che prende le mancanze. Il nostro progenitore era il più intelligente della nostra razza. Infatti Jasper adesso è il più valente fra gli scienziati. Un po' come i vostri "figli" certe volte assomigliano molto a uno dei genitori e molto poco all'altro.

Lektar conosceva sugli umanoidi molte più cose di quanto mi aspettassi.

Pensai che poco per per volta gliene avrei chiesto anche il motivo.

In ogni caso forzarlo non era saggio. Meglio procedere con calma.

-E tu cos'hai ereditato dal tuo predecessore? Sei molto diverso da tuo "fratello"...

In quel momento il volto di Lektar cambiò espressione. Dal racconto di informazione una nota di dolore e rabbia penetrò le sue parole.

Emozioni che non avevo visto in nessuno, in quelle ore a contatto con gli "Skatos".

Stava pensando se rispondermi, quando un altro Skatos comparve nella sala.

-Lektar...

L'essere in questione era più simile a una donna, che non a un uomo come quelli che avevo visto fino ad allora. I capelli anzichè azzurri erano violacei, un po' più scuri di quelli di Trunks e dello stesso liscio ordinato, solo molto più lucenti.

Doveva essere più anziano, ma la sua bellezza toglieva il fiato.

-Calisia- disse Lektar - come vedi non mi sono assentato delle tue lezioni per andare a guardare la grande sfera.

Mi indicò con il capo e il volto dell'altro Skatos si inclinò in un sorrisò obliquo.

-Ero certo che tuo fratello non mentisse. Ma so altrettanto bene che il tuo amore per le macchine è ben minore del tuo amore per gli altri alieni, quindi ho pensato bene di venirti a ricordare dei tuoi compiti verso le NOSTRE attività.

L'occhiata che Calisia lanciò a Lektar era tanto ambigua quanto mirata verso qualcosa che entrambi sapevano ma di cui io ero all'oscuro.

Lektar non si scompose e sorrise affabilmente.

-Hai fatto bene a rammentarmi i miei compiti Calisia, ma ora se non ti dispiace ho ancora molto dell'edificio da mostrare alla nostra ospite.

Ci allontanammo dal locale ritornando sui nostri passi e ripercorrendo la strada già fatta prima.

Lektar rimaneva silenzioso.

In confronto a Jasper e all'altro Skatos, Lektar mostrava comportamenti che lo facevano sembrare appartenente a un'altra razza, non fosse stato per l'aspetto.

In lui c'era qualcosa di incomprensibile, ma forse il sentirlo così più simile a me e così meno meccanico nell'animo lo rendevano più normale e quindi meno inquietante.


Quell'alieno era un puzzle. Di quelli con tanti pezzi in cui si inizia dalla cornice.

In cui i colori lasciano intuire dove andrà ogni pezzo del dipinto.

In confronto ai suoi compagni che erano come progetti di macchine da costuire, Lektar sembrava un puzzle.

Era difficile da risolvere, ma in quella casa della mia dimensione avevo finito un puzzle ben più arduo di quello Skatos.

Il volto di Vegeta mi apparve in mente e mi sfuggì un sorriso al suo pensiero.


Ero sola in quel posto alieno.


Ma se avevo risolto il principe dei sayan, quale altro puzzle non avrei potuto ricomporre?


----


Celia si sedette sull'altura in direzione della città sventolando la lunga coda al vento.

Detestava stare male. Non era un sentimento che si addiceva a una sayan, lo stare male non per i pugni.

Avrebbe voluto dissipare le nuvole nel cielo e trasformarsi e andare a prendere Vegeta, ma sapeva che se fosse sopravissuta l'avrebbe pagata cara.

Vegeta l'avrebbe uccisa, se avesse fatto una cosa simile.


-Questo non cambia niente.


Quelle parole. Il fiato di Vegeta sul collo mentre era ancora dentro di lei. La rabbia, la disperazione, il desiderio.


-Questo non cambia niente.


Ossia ti ucciderò, se per questa cosa farai stronzate.


Il bene del gruppo è la prima cosa.

Celia uccise un anfibio che malauguratamente le stava passando davanti ai piedi.

Il bene del gruppo è la prima cosa.



La prima.


Sopra ogni cosa.


Le donne erano deboli, suo padre lo ripeteva sempre. Per questo per lo più passavano la vita sfornando figli e la guerra rimaneva affare da uomini.

Suo padre pensava lei fosse diversa. L'aveva creduto anche lei, fino a quando non era stata abbastanza grande da sentire lo stomaco rivoltarsi per un desiderio del tutto nuovo.

Il desiderio che aveva sentito un giorno qualunque trovandosi a fare il bagno troppo vicina a Vegeta.

Sette anni di differenza, passavano tra loro.

Vegeta venticinque, lei diciotto appena fatti.


Diciotto anni in cui Vegeta l'aveva picchiata talmente tanto da farla diventare la ragazza più potente dell'intero gruppo.

-Se vuoi difenderti da loro, l'unico modo è picchiare più forte.

L'aveva resa la migliore, con quelle botte date forte.

Le aveva insegnato a difendersi, invece che cercare protezione.

-Non sarai mai libera con un uomo che ti procura il cibo. Se vuoi essere libera impara a cacciarti il tuo cibo da sola.

Suo padre le aveva insegnato a vedere il lato buono delle cose.

Vegeta a combattere quello cattivo.

Suo padre a cercare di ragionare prima di giungere alle mani.

Vegeta a picchiare forte, quando ragionare non bastava.

Suo padre l'aveva cresciuta da figlia.

Vegeta da donna guerriera.


-Questo non cambia niente.


E ora lei non poteva fare a meno di pensare che l'unica cosa le importasse davvero era rivedere quel volto sfregiato.

Il volto di quel sayan che a dodici anni era tornato dalla città del Blu con una lunga serpentina rossa a percorrergli il volto.

E che a nessuno aveva raccontato come essa fosse stata fatta.

Celia voleva combattere, ma non irrazionalmente come avrebbe fatto per quel sentimento che la ripugnava e attraeva al tempo stesso.

Voleva combattere aspettando l'ordine di suo padre, arrivando dagli Skatos con aria trionfante e portando Vegeta in salvo.

Voleva combattere mostrando i denti.


E far vedere a Vegeta che mordeva.


E sapeva mordere forte.

  
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