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Autore: lilyhachi    06/05/2014    3 recensioni
(Post terza stagione; nessun collegamento con la quarta stagione)
Madison era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era in grado di vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV
 
Ocean tides

 
 “In the darkness. Before the dawn. In the swelling of this storm.
Running round and with apologies and hope is gone.
Leave a light, a light on”.
(Coldplay – Midnight)
 
Stiles guardò ancora una volta la ragazza accanto a lui, seduta sul letto con le dita pallide che indugiavano sulle tempie e gli occhi chiusi, in cerca di tranquillità.
Lydia stava probabilmente tentando di mettere in ordine quello che era appena successo. Si era addormentata con il libro poggiato sul ventre e a quel punto Stiles le si era avvicinato per adagiare la coperta su di lei, soffermandosi per un attimo sul suo viso rilassato.
Sembrava una bambina e Stiles aveva sorriso, godendo di quell’attimo di serenità, dopo tutto il dolore patito. Si era perso nelle riflessioni su quanto fossero cresciuti, tornando a sfogliare distrattamente il libro di matematica, ma poi ogni cosa si era sgretolata con l’urlo di Lydia.
Stiles era della vaga idea che quell’urlo fosse arrivato anche a Derek e Peter.
Il ragazzo si alzò, per controllare se Scott lo avesse cercato al cellulare, ma una leggera pressione sulle dita della sua mano lo costrinse a voltarsi di scatto.
Lydia aveva afferrato le sue dita affusolate, e lo guardava, con la bocca dischiusa e gli occhi grandi, di chi stava silenziosamente chiedendo qualcosa.
“Lydia?”, la richiamò Stiles, senza interrompere quel contatto sia visivo che fisico.
“Non andare via”, disse debolmente lei, con la voce bassa per via del troppo sforzo.
“Non avevo intenzione di farlo”, le rispose Stiles, lasciando perdere il cellulare, e sedendosi nuovamente sulla coperta color prugna, mentre le stringeva la mano piccola e morbida, forse grazie alla crema per le mani all’estratto di viola che Lydia usava quotidianamente.
Lydia sospirò, riportando lo sguardo sul letto, come se si vergognasse di ciò che era successo.
“Vuoi parlarne?”, domandò Stiles, senza preoccuparsi di essere invadente o altro.
Ormai, quel muro di timidezza e imbarazzo che c’era fra loro era stato abbattuto seppur a rilento.
Lydia sarebbe potuta scoppiare in lacrime e Stiles l’avrebbe guardata lo stesso, considerandola ugualmente bellissima e forte come poche persone.
“Credevo che le urla fossero finite”, sussurrò lei. “Sai, dopo...”.
Stiles vide l’espressione sofferente di Lydia e portò l’altra mano a fare compagnia a quella poggiata attorno alle dita della ragazza, come per darle maggiore sicurezza. Stiles lasciò che Lydia lo abbracciasse, beandosi del profumo che emanavano i suoi capelli biondo fragola, mentre le sue mani le avevano circondato la vita. Se Lydia ne avesse avuto bisogno, sarebbe rimasto tutta la vita stretto in quell’abbraccio, solo per darle conforto, solo per dimostrarle che le sarebbe stato accanto, sempre. Eppure, c’era un’ombra che aleggiava sulle loro figure incastrate alla perfezione.
Entrambi lo sapevano: presto o tardi, quell’urlo avrebbe avuto una spiegazione.
 
“Dove stai andando?”, aveva tuonato Derek, vedendo Madison che camminava tranquillamente verso la porta e raggiungendola con poche falcate.
Il polso di Madison venne immediatamente afferrato dalla presa salda di Derek che glielo strinse forte senza l'intenzione di lasciarlo.
Quell’ombra che era sempre stata nascosta sul suo viso, in quel momento lo aveva avvolto del tutto, mostrando un Derek del tutto differente da quello che aveva incontrato diverse volte per caso. Dire che la spaventava sarebbe stato riduttivo, eppure Madison rimase ferma, paralizzata.
“Via da qui, magari”, aveva risposto lei, alzando la voce e strattonandosi dalla sua presa ferrea.
Cora si era avvicinata, affiancandosi a Derek come per calmarlo, mentre anche Peter aveva deciso di prendere parte a quella scena.
“Non puoi”, sbottò Derek, senza preoccuparsi di essere comprensivo. “Potrebbero ancora essere in giro a cercarti".
“Sia qui dentro con voi che fuori con loro, sono comunque circondata da mostri!”.
A quel punto, gli occhi di Derek erano stati attraversati da uno scintillio blu, proprio come quello che aveva visto nel magazzino e l’unica cosa che Madison riuscì a fare fu indietreggiare. Qualunque cosa fosse Derek, Madison sapeva solo di esserne intimorita, al punto da non pronunciare nemmeno quella parola comune a tutto ciò che aveva visto, semplicemente perchè temeva che solo dicendola, sarebbe diventata reale.
Cora li raggiunse subito, mentre Peter avanzava di qualche passo nella loro direzione con estrema calma, senza sentire alcuna necessità di intervenire, forse perché sapeva che Derek non le avrebbe mai fatto del male. Tuttavia, Madison non poteva saperlo in alcun modo e per quel motivo si schiacciò contro la porta di quella casa, fissando Derek con gli occhi sgranati mentre l’afflusso di sangue aumentava e i suoi palmi si aprivano contro il legno, in cerca di una via di fuga.
Era stata Cora ad avvicinarla con estrema accortezza, senza perdere di vista suo fratello e assicurandosi che il leggero tremore che aveva iniziato a scuoterla svanisse del tutto. Dopodiché, la padrona di casa l’aveva condotta nella sua stanza, concedendole il tempo per calmarsi e porgendole una tazza con qualcosa di caldo al suo interno. Madison rimase lì, nella solitudine di quella stanza spoglia e anonima, come se il proprietario non fosse ancora del tutto pronto ad arredarla, perché in attesa di qualcosa, forse un segno che gli desse via libera. La ragazza strinse insistentemente le dita attorno alla tazza calda, senza preoccuparsi di sapere cosa ci fosse al suo interno, poiché la sua mente era rivolta altrove, completamente.
Ripercorreva ogni parola pronunciata da Keith e dall’uomo che aveva detto di chiamarsi Julian.
Ripercorreva ogni gesto da lei compiuto nel corso della giornata, alla spasmodica ricerca di un dettaglio minimo che potesse spiegare ciò che era accaduto. Rivedeva gli occhi che cambiavano colore, le zanne che si affilavano e gli artigli che si allungavano cercando una porzione di pelle in cui infilarli mentre il sangue usciva copioso. Sentiva ancora i ringhi nella sua testa, come se la sua mente fosse un giradischi difettoso, la cui puntina si era fermata su un momento preciso, facendo sì che quel suono fastidioso si ripetesse continuamente, fino a farle sanguinare le orecchie per il dolore.
Gli occhi luccicanti, le zanne, gli artigli: tre elementi che credeva fossero possibili soltanto nei film con effetti speciali molto realistici, eppure non c’era una camera da presa in quel magazzino. C’era soltanto lei con figure che si muovevano inesorabili, distruggendo ogni cosa.
Rivedeva gli occhi di Keith, completamente differenti da quelli che aveva avuto davanti per tanto tempo, mentre la guardavano con dolcezza.
Rivedeva Keith con una pistola tra le mani, mentre la consegnava a qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, ma che sembrava la stesse cercando da tempo.
La storia con Keith si stava frantumando, perdeva consistenza, cedendo sotto i suoi piedi come terreno che crollava, e lasciandola sprofondare nell’abisso.
Cora la guardò un’ultima volta, seduta sulla poltrona della sua camera con gli occhi vacui che fissavano un punto indefinito del muro.
Se non fosse stata un licantropo, avrebbe fatto fatica a considerarla come “viva”, data l’immobilità del suo corpo: Madison sembrava congelata sul posto, ferma, senza dare alcun segno di vita, se non il battito regolare del suo cuore.
Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, Cora inspirò profondamente, lasciando uscire la stanchezza che quello scontro strano e improvviso le aveva messo addosso, non tanto per la forza di quei licantropi, bensì per l’imprevedibilità con cui vi si erano trovati coinvolti.
Peter e Derek si girarono di scatto a guardarla, e lei fece un semplice cenno con la testa.
Non ci volle molto per capire cosa stesse pensando Derek in quell’istante, mentre aveva gli occhi rivolti alla finestra che si affacciava su Berkeley, le braccia incrociate al petto e lo sguardo corrucciato di chi aveva mille pensieri che gli frullavano in testa. La tranquillità che lo aveva accompagnato in quei giorni passati con lei era sparita del tutto, lasciando spazio alla sfiducia e a quei suoi modi di essere che sembrava aver seppellito.
“Cosa facciamo?”, domandò Peter, sedendosi su una delle sedie accanto al bancone della cucina, mantenendo quella placida calma che lo caratterizzava.
“Nulla, cosa vorresti fare?”, la voce di Derek era bassa e rancorosa, come Cora non la udiva da tempo, e attirò gli sguardi sia di lei che di Peter.
“Come sarebbe nulla?”, si oppose Cora, facendo un passo avanti. “Hai visto cosa è successo? C’era un branco in quel magazzino".
“Julian Jones non è certo un sempliciotto”, affermò Peter, adagiando la schiena sulla sedia e portando le braccia dietro il capo, come se si trovasse in spiaggia.
“Cosa sai di lui?”, chiese Cora, mentre Derek continuò a rimanere in silenzio, come se la questione non gli riguardasse, come se non fosse neanche lì.
Derek sembrava un fantasma, una presenza che si faceva vedere ad intermittenza, sparendo quando gli faceva più comodo.
“Nulla di particolare”, esclamò Peter, scrollando le spalle. “So soltanto che è abbastanza pericoloso, Talia ne ha parlato una volta, definendolo subdolo".
“Non possiamo lasciarla qui, a questo punto”, disse la ragazza, pur sapendo che si stavano cacciando in qualcosa di particolarmente scomodo e pericoloso.
“Invece, è proprio quello che faremo”, si intromise Derek, continuando a dare la schiena ai due, e mantenendo una voce ferma e incisiva, per nulla incline a delle opposizioni.
“Sei impazzito, vero?”, Cora non si preoccupò di inveire contro suo fratello, soprattutto quando quest’ultimo pensava di fare scelte insensate proprio come quella.
“Vuoi portare una bomba ad orologeria a Beacon Hills?”.
Derek si era voltato per fronteggiare sua sorella, con gli occhi stanchi e arrabbiati che assunsero una sfumatura azzurra.
“Abbiamo appena scampato la morte con il Nogitsune”, continuò Derek, rabbrividendo al pensiero di tutto il dolore, sia fisico che mentale, che avevano dovuto patire. “Stai davvero consigliando di portare questa sconosciuta a Beacon Hills per proteggerla da un alpha che ci seguirà chiaramente a ruota insieme a tutto il suo branco? Fai sul serio?”.
Derek aveva sputato ogni parola con rabbia, come per liberarsi di un peso che gli aveva attanagliato le viscere per tutto il tempo in cui era stato in silenzio, ad ascoltare lei e Peter. C’era rancore nelle parole di Derek ma anche paura, si faceva sentire su di lui come una patina di insicurezze quasi invisibile che lo avvolgeva, rendendolo  molto più umano di quanto non volesse sembrare.
Cora si limitò a guardarlo con le braccia lungo i fianchi, provando compassione per lui e per ciò che stava cercando di proteggere, evitando di trascinare una minaccia con il suo ritorno.
Derek non voleva essere il responsabile di tutte le disgrazie che si verificavano a Beacon Hills: il branco da lui stesso creato e destinato ad essere distrutto, crollando in mille pezzi che lo avevano trafitto uno ad uno come vetro appuntito;  il branco di Deaucalion che si era fatto strada tra loro con minacce e omicidi, facendoli cadere, solo per esortarlo ad unirsi a loro; Jennifer che aveva ucciso e messo a rischio tanti innocenti; il Nogitsune che si era inoltrato nella mente di Stiles, fino a mettere radici profonde e forti, mentre ognuno di loro cercava di estirparle a mani nude ed i segni erano ancora ben visibili sulle loro mani e nei loro cuori; la morte di Allison ed Aiden. Tutti quegli eventi lo portavano solo a sentirsi colpevole.
Forse qualcosa si poteva evitare. Forse se non ci fosse stato il sacrificio da parte di Scott, Stiles ed Allison, a causa di Jennifer, le cose sarebbero andate diversamente. Forse senza quelle conseguenze, avrebbero evitato tanto dolore.
Scott non avrebbe mai detto addio all’amore della sua vita.
Stiles non avrebbe messo a repentaglio le loro vite per mano di qualcuno che lo controllava, mentre lui se ne stava intrappolato in quel corpo che non gli apparteneva, forse urlando e sbattendo i pugni.
Lydia non avrebbe perso la sua migliore amica e il suo fidanzato nell’arco di due giorni.
Isaac non sarebbe stato nuovamente abbandonato da qualcuno a cui teneva.
Quella volta, Derek Hale non voleva commettere un fatale errore.
“Scott lo avrebbe fatto”, esclamò Cora, senza alcun segno di rabbia nella voce.
Sua sorella era posata e in attesa, sapendo di aver smosso qualcosa con quelle parole.
Scott, al suo posto, avrebbe aiutato Madison, pur sapendo di mettere sé stesso e i suoi amici in un mare di guai.
Non avrebbe avuto ripensamenti, perché la sua prerogativa era sempre quella di aiutare gli altri e fare la cosa giusta, come era successo con Malia: non era altro che una sconosciuta, eppure si erano coalizzati per aiutarla, senza neanche averla mai vista in viso.
Derek incrociò le braccia e si voltò istintivamente verso Peter che sollevò le mani verso l’alto, come per togliergli dalla testa l’idea di cercare appoggio in lui.
“Non guardare me, sono d’accordo con lo scricciolo di casa”, sentenziò Peter.
Derek si passò una mano tra i capelli in un gesto stizzito, traendo un profondo respiro, mentre lo sguardo di Cora gravava ancora su di lui non in attesa di una decisione ma della decisione. Guardò sua sorella un’ultima volta, facendole un segno di assenso con la testa, che la ragazza ricambiò con un sorriso grato, anche se un po’ spento, poiché non c’era nulla di cui gioire. Alzò lo sguardo verso quella porta chiusa, al di là della quale c’era qualcosa che Derek non era in grado di definire. Gli venivano in mente solo tante parole messe insieme senza un filo conduttore che fosse in grado di unirle e dar loro un senso: pericolo, dubbio, rischio, problema, sangue, dolore, mistero, lacrime, urla. Si susseguivano tutte nella mente di Derek, creando un andirivieni di immagini distorte e sature di brutti presentimenti: lo trascinavano giù verso l’ignoto, come le onde dell’oceano fameliche e violente, in attesa di divorarlo.
 
Ridley fissò le sue mani, quelle che aveva mosso solo per spingere via uno degli Hale che gli si era scagliato addosso, ma non aveva osato tirar fuori gli artigli e combattere davvero. In realtà, Ridley non voleva combattere: aveva solo sperato che quegli attimi di lotta interminabili finissero quanto prima, così da non vedere il sangue di qualcuno sul pavimento di quel magazzino dismesso e semibuio. Chiuse le mani a pugno e inspirò, chiedendosi cosa stesse facendo.
“A cosa pensi?”, quella voce familiare e da ragazzo lo richiamò.
Bastian gli si avvicinò, con lo sguardo basso e le mani infilate nelle tasche del jeans. Era solo un ragazzo, non lo guardava nemmeno in viso perché forse anche lui, come Ridley, sentiva che tutto ciò a cui stavano andando incontro non rientrava nei suoi desideri.
“A niente”, mentì Ridley, come aveva fatto negli ultimi dieci anni, gesto a cui ormai era abituato.
Non era più in grado di distinguere la verità dalla menzogna, per lui erano quasi la stessa cosa ed ogni sua parola poteva essere sia l’una che l’altra.
Da quando lei era andata via, ogni cosa aveva perso significato.
Bastian rise, fissando gli occhi stanchi sulla figura dell’uomo che gli dava le spalle, forse per inerzia o forse semplicemente perché non voleva che qualcuno lo vedesse mentire, ancora una volta. Probabilmente Bastian lo sapeva, ma non glielo avrebbe mai fatto notare.
“Perché combatti?”, domandò Ridley, lasciando che le parole gli scivolassero sulla lingua con naturalezza, senza frenarle, ma permettendo che uscissero fuori, vere e affrante…come lui.
Poté immaginare Bastian che scrollava le spalle, anche senza voltarsi, con i capelli scuri e spettinati che gli ricadevano sulla fronte, celando quegli occhi da ragazzo cresciuto troppo in fretta.
“Questo branco mi ha accolto quando ero un ragazzino”, rispose l’altro, senza alcuna traccia di rabbia nella voce, ma solo tanta malinconia…la malinconia di un ragazzo solo. “Ero senza casa, senza branco, senza nulla. Nadia mi ha cresciuto…mi ha sempre trattato come fossi suo figlio”.
Un sorriso smorzò la voce triste di Bastian, come un flebile raggio di sole nel bel mezzo di un cielo completamente nuvoloso e cupo: il ricordo di Nadia faceva sempre quell’effetto.
“Eppure stai facendo qualcosa che lei non vorrebbe”, esclamò Ridley, sferrando quella frase come fosse una stilettata forte e accusatoria. “Nadia non lo vorrebbe”.
“Allora perché lo stai facendo anche tu?”, chiese Bastian di rimando, con la voce che aveva assunto una sfumatura più rigida e lievemente ferita, come un mugolio strozzato di una bestia trafitta.
Forse era stato troppo duro, d’altronde Bastian era soltanto un ragazzo, un beta buono, intelligente e per nulla incline alla violenza. Aveva perso molto, proprio come lui. Eppure, ciò che stava facendo andava contro il suo modo di essere. Sapeva che Nadia non avrebbe mai voluto vederlo in quel modo, non avrebbe desiderato vedere nessuno di loro in quello stato, a combattere come delle vere e proprie belve per fare ciò che lei aveva cercato di impedire, mettendo a rischio la sua stessa vita. Se Nadia lo avesse saputo, non li avrebbe mai perdonati.
“Mi piacerebbe capirlo”, la sua voce era piatta e arrendevole, senza alcuna speranza, proprio come il suo stesso animo che lo aveva abbandonato molti anni fa.
Un rumore di passi vicini interruppe quella strana conversazione fatta di domande mai enunciate e speranze ormai perse, portando sia Ridley che Bastian a voltarsi verso il nuovo arrivato. Julian li guardò con circospezione, mantenendo un sorriso vittorioso sul volto per nulla affaticato da quel breve scontro che avevano tenuto con i licantropi della famiglia Hale. Se avessero continuato, Julian li avrebbe uccisi in pochissimo tempo ma la verità era che lui voleva giocare. Ora che delle nuove pedine si erano fatte strada sulla sua personale scacchiera, Julian non avrebbe mai rigettato l’occasione per divorarle, una per una.
“Signori”, li salutò, allargando le braccia. “Pensate alla prossima mossa?”.
L’espressione di Bastian s’indurì, cercando immediatamente quella di Ridley che rimase fissa sulla figura di Julian, chiedendosi perché non  l’avesse ucciso quando poteva: semplicemente perché non avrebbe mai potuto farlo. Julian era l’alpha e lui il suo beta, il suo sottoposto.
“Già”, rispose Ridley, ovviamente mentendo ma senza lasciar trasparire nulla che potesse far intendere le sue fandonie. “Pensavamo al fatto che ora gli Hale potrebbero darci problemi”.
Julian rise di gusto, puntando le braccia dietro la schiena ritta e camminando accanto a loro, fingendosi pensieroso, quando, in realtà, lui non pensava quasi mai…agiva e nulla di più.
Bastian rimase immobile, accettando quella bugia che li stava risparmiando da una qualunque sofferenza che il licantropo avrebbe potuto impartire loro, senza alcuna remora.
“Sono solo tre sassolini da scalciare”, ribattè lui, con tono calmo e sicuro, come sempre.
“La porteranno sicuramente a Beacon Hills”, continuò Ridley, constatando una certezza che ormai tutti loro conoscevano. “Lì si presenteranno altri problemi”.
“Solo altri sassolini, Ridley”, dichiarò l’uomo, senza mostrare alcun segno di turbamento.
Cosa poteva intimorire Julian? All’apparenza, nulla.
Quell’uomo, o meglio, quel licantropo era imprevedibile come un terremoto improvviso che dal basso rompeva ogni fondamenta, lasciando una scia di distruzione; era letale, come lava bollente che, una volta iniziato il suo percorso, poteva soltanto continuare fin quando non si solidificava; era devastante come uno tsunami, in grado di travolgere tutto ciò che gli si parava davanti.
Julian somigliava ad una qualsiasi catastrofe naturale, pericolosa e vendicativa.
Era stato addormentato per anni, senza fare azioni dirette e avventate, ma ora si stava risvegliando, e non avrebbe permesso a niente e nessuno di ostacolare il suo volere.
“Tanti sassolini potrebbero essere un ostacolo”, insistette Ridley, sorridendo appena, in maniera sarcastica. “Soprattutto se ti vengono lanciati addosso tutti insieme”.
Bastian corrugò le sopracciglia a quella affermazione, scrutando entrambi.
“Non ho in mente di essere lapidato”, dichiarò Julian, ricambiando il sorriso che, però, non nascondeva nulla di ironico o vagamente scherzoso, bensì inquietante.
 
Non stava succedendo davvero, ne era quasi certa.
Si trattava solo di un incubo, nulla di più. Quello non era davvero il suo corpo ma soltanto una proiezione onirica che si spacciava per lei. Nulla di cui aveva memoria era successo sul serio. Madison ripeteva continuamente quelle frasi a sé stessa, sperando che da un momento all’altro tutto ciò che la circondava sarebbe stato risucchiato da un vortice per poi riportarla alla realtà.
Eppure, nulla di ciò che aveva sperato avvenne. Madison continuava a rimanere ferma nel soggiorno di quella casa che aveva condiviso con la sua migliore amica, un borsone ai suoi piedi e gli occhi colmi di lacrime che spingevano furiosamente per uscire, come un fiume prossimo alla piena.
Strinse le palpebre, ricacciando indietro le lacrime ancora una volta, poiché da quando aveva messo piede lì lo aveva fatto così tante volte da perdere il conto.
Stava lasciando che quella strana corrente di eventi la portasse via, lontana da quel porto sicuro che era stata la sua vita, e non capiva neanche come fosse potuto accadere. Le onde si abbattevano sulla riva di tutti i suoi ricordi, cancellandoli e lasciando soltanto la sabbia bianca e intatta come unica cosa da ammirare.
Le onde stavano eliminando uno alla volta tutti i momenti felici che aveva vissuto in quella casa, a partire da Keith.
Madison non aveva neanche il tempo di rammentarli che quelli sparivano subito, senza lasciare alcuna traccia, se non un incolmabile senso di vuoto e smarrimento.
Evitò di guardare fuori dalla finestra, sapendo che Derek, Peter e Cora la stavano aspettando da qualche parte, anzi, forse erano più vicini di quanto potesse pensare ma non lo sapeva.
“Dobbiamo lasciare la città e portarti con noi”, la frase di Peter nascondeva un pizzico di divertimento, anche se Madison non aveva idea di cosa potesse esserci di esilarante.
“Portarmi dove?”, aveva domandato lei, trovando il coraggio di alzare gli occhi dalla tazza ancora piena, ma ormai fredda, che stringeva tra le mani, per appigliarsi a qualcosa.
“Beacon Hills”, la risposta di Derek era stata telegrafica e fredda, come quelle dei messaggi automatici già registrati.
Era incolore, inodore, insapore, proprio come il modo in cui era entrato nella stanza: le braccia incrociate al petto e la schiena dritta, guardandosi intorno alla ricerca di una via d’uscita. La piega in su delle labbra che si era curvata a formare un sorriso si era sciolta come neve al sole.
“E’ da lì che vengo”, aveva risposto lei, stupita, e dimenticando per un attimo che stava parlando con tre membri della famiglia Hale e che la loro risposta poteva essere solo Beacon Hills.
“Davvero?”, domandò Peter, guardandola con maggiore curiosità, come se quel dettaglio potesse influire su qualcosa che la sua testa stava macchinando. “Questa è una bella coincidenza”.
Intanto, anche in Derek ci fu un lievissimo cambiamento a quella notizia, solo che Madison non poteva vederlo in alcun modo.
Era stato come un prurito appena percepibile che gli aveva fatto portare la mano dietro la nuca per capire se lo avesse sentito davvero, ma prima che potesse rendersene conto, era già sparito. Sembrava che il suo corpo avesse tentato di dirgli qualcosa: una leggera scossa per ridestarlo, per far sì che si ponesse quella domanda che lo aveva già reso dubbioso la seconda volta che aveva incontrato Madison.
Derek si era chiesto se la ragazza lo conoscesse, visto il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, e per un attimo era apparso anche a lui di averla già vista. Tuttavia, si trattava di un prurito, un ronzio che si era fatto sentire solo quando Madison aveva detto di essere originaria di Beacon Hills.

Derek Hale avrebbe potuto interpretare quell’esclamazione come un segno, magari positivo, ma Derek non era certo il tipo a cui piacevano le coincidenze, tutt’altro. Le trovava ignote e per nulla piacevoli, non erano altro che un velo sottile, dietro il quale si nascondevano i peggiori intenti.
Infatti, era stata una coincidenza il fatto che Jennifer si trovasse a scuola in una notte di luna piena, come lo era stato ciò che avevano iniziato.
Già, tutte perfette coincidenze. 
Per quel motivo, il fatto che Madison provenisse da Beacon Hills non lo rassicurò affatto e c’erano sempre più buone probabilità, almeno per lui, che quella ragazza nascondesse qualcosa.
Madison poteva ancora sentire gli occhi di Derek a poca distanza da lei, quasi rabbiosi, e ogni volta che li aveva incrociati aveva creduto che potessero cambiare colore da un momento all’altro. La paura che potessero diventare azzurri, mentre il resto del viso si deformava, l’aveva accompagnata per tutto il tempo in cui si era trovata sola con loro Se era vero che gli sguardi uccidevano più delle parole, Derek lo stava facendo lentamente.
Lasciare la città significava lasciare la sua vita, e soprattutto, Lana.
“Parlerò con lei”, aveva detto Madison, senza battere ciglio.
“E cosa le dirai? Devo andare via perché un licantropo mi cerca?”.
Non c’era tatto nella domanda retorica di Derek. Non c’era nulla che si potesse lontanamente paragonare alla gentilezza o alla compassione per ciò che stava succedendo. Cora non aveva rinunciato a guardarlo nel peggiore dei modi, concentrandosi poi su di lei.
“Se vuoi parlarle, fai solo attenzione”, aveva detto la ragazza con voce dolce. “Non vogliamo che qualcun altro sia coinvolto".
“Io avrei un’idea migliore”, la voce suadente di Peter destò la loro attenzione, attirando su di sé gli sguardi corrucciati. “Io direi di farla fuori!”.
“Peter!”, Derek quasi ringhiò alla proposta dello zio che sembrava stesse cercando in ogni modo di smorzare la tensione che si era venuta a creare.
“Come siamo suscettibili”, aveva aggiunto lui, sbuffando sonoramente. ”Stavo solo scherzando, sarebbe un inutile spreco di bellezza”.

Quando la porta di casa si aprì, Madison credette davvero di essere assalita da un attacco di panico, visto il modo in cui era sobbalzata e il battito del cuore che si era fatto più veloce della norma. La figura di Lana apparve poco dopo, con la borsa ancora tra le mani e un sorriso che le riscaldò il cuore, facendole venire voglia di piangere ancora di più per ciò che sarebbe successo a breve.
“Ehi”, la salutò l’amica, gettando la borsa sul divano per andarle incontro. “Sei sparita dopo quel siparietto molto interessante nel campus. Cosa voleva Keith?”.
Lana non aveva notato il borsone accanto a Madison, si era diretta verso la cucina, aprendo distrattamente il frigo per prendere qualcosa da mangiare.
“Peter è proprio niente male, sai?”, continuò lei imperterrita. “Spero di rivederlo, e se staremo appiccicate, accadrà di sicuro, mi porti fortuna”.
La ragazza, notando il silenzio di Madison, si voltò finalmente verso di lei e capì che qualcosa non era esattamente come sarebbe dovuta essere. Lana conosceva bene Madison e non ricordava di averla mai vista così sconvolta, neanche quando da bambina aveva scoperto che il suo gattino era sparito.
Si era presentata a casa sua, con il faccino triste e gli abiti zuppi di acqua a causa della pioggia, dicendole che non trovava il piccolo Bizet da nessuna parte.
“Madison?”, la richiamò Lana, facendo un passo verso di lei e prendendole le mani. “Tutto ok?”.
Madison le rivolse un debole sorriso e fece un cenno di assenso con la testa, traendo profondi respiri per trovare quella forza, sepolta sotto cumoli di paura e lacrime accumulate.
“Vai da qualche parte?”, chiese Lana, adocchiando il borsone blu accanto alla figura tesa di Madison, che aveva buttato solo oggetti a caso in quella borsa troppo leggera. “Cosa è successo con Keith? Ti ha detto qualcosa? Non dirmi che ti ha fatto del male”.
Madison leggeva chiaramente la paura dell’amica, al punto da percepirla sulla propria pelle, ed era abbastanza sicura che stessero tremando entrambe, temendo le stesse identiche cose.
“Devo andare via per un po’”, riuscì finalmente a dire Madison, parlando con una voce che non le apparteneva, roca e bassa, come se stesse confessando la peggiore delle colpe.
“Andare dove?”, chiese ancora Lana, continuando a non capire il motivo che aveva spinto Madison fino ad un tale punto di sconvolgimento. “Si può sapere cosa è successo con Keith?”.
“Lui non centra”, affermò l’altra, sperando di essere convincente, nonostante facesse lei stessa fatica a dare credito a ciò che stava dicendo, al castello di bugie che stava costruendo. “Devo solo andare via per un po’ di tempo e voglio che mi tu mi dia retta, per favore”.
“Come faccio a fidarmi di te, se non mi dici cosa sta succedendo?”.
A quel punto, Madison si avvicinò all’amica, afferrandola per le braccia con il viso sconvolto e il respiro affaticato di chi stava trascinando un masso enorme dietro di sé. Lana la guardò con quegli occhi esterrefatti e ancora più chiari, scrutando quel viso impaurito nella speranza di scorgervi la sua amica Madison, nascosta chissà dove, sotto quella maschera.
“Lana”, la supplicò Madison, con la voce spezzata dalla voglia di piangere. “Ho solo bisogno di andare via per un po' di tempo, non posso spiegarti tutto adesso, ma ho bisogno di andare via per un po' di tempo...tornerò, te lo prometto".
La ragazza rilassò di poco le spalle, senza smettere di guardare la sua amica.
Le lacrime le avevano rigato le guance e gli occhi erano rossi e lucidi, come se fossero pronti a cacciare tante altre lacrime ma che allo stesso tempo si stessero trattenendo. Le unghie di Madison affondarono leggermente nella sua pelle, senza farle male ma soltanto per aumentare quella stretta ferrea e il suo sguardo si faceva più bisognoso. Perché sembrava le stesse dicendo addio? Perché una parte di lei decise di crederle?
Lana non aveva idea del perché Madison la stesse pregando a quel modo, ma non ebbe il tempo necessario per pensarci, poiché la ragazza l’abbracciò all’improvviso. L’unica cosa che Lana sentiva con certezza era la morsa lacerante in cui le braccia di Madison la stavano stingendo e un buco allo stomaco.
Qualcosa era capitato alla sua migliore amica ma aveva deciso di non renderla partecipe, bensì di scappare, lontano da lei e da qualcosa che forse la stava inseguendo a perdifiato, solo che Lana Masters non aveva idea di cosa fosse.


 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Salve a tutti! Anche oggi sono qui che aggiorno con regolarità.
Non ho molto da dire su questo capitolo, solo le mie scuse per l’ultima scena tra Lana e Madison, poiché non sapevo come sbrogliare la situazione e visto che in TW non ci sono incantesimi che avrebbero potuto far dimenticare tutto a Lana, ho dovuto optare per questo addio tra le due amiche (avevo valutato anche la possibilità di farle estrarre i ricordi da Peter ma sarebbe stato alquanto surreale, poiché Lana non è certo l’unica che conosce Madison a Berkeley). Ovviamente, non è finita in modo così tranquillo. Lana rispetterà il volere di Madison e starà buona a Berkeley, almeno per ora, poi chissà. Per il resto, spero che vi piaccia la piega che sta prendendo la storia e che mi facciate sapere cosa ve ne pare al riguardo :)
Nel prossimo capitolo, saranno tutti a Beacon Hills e rivedremo anche i nostri eroi!
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che stanno spendendo anche solo un minutino per questa storiella e che mi stanno supportando. Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui <3
Alla prossima, un abbraccio!

 
   
 
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