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Autore: Sherlocked_96    07/05/2014    1 recensioni
John, tornato a casa ubriaco, si dichiara a Sherlock, ma la mattina dopo non ricorda nulla. Sherlock, però, inizia a nutrire dubbi su cosa prova verso il suo coinquilino. Proprio quando decide di non far crollare la "barriera" che aveva innalzato attorno a sé, un terribile dolore lo porta in ospedale, dove gli viene diagnosticato un tumore.
[ritorno di Moriarty] [Johnlock]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

“Mycroft, giochiamo ai pirati?”
“Non sono in vena, Sherlock”
“Per favore, ti lascio fare il capitano se vuo!”
“… Va bene. Il capitano puoi farlo tu, comunque, sei molto più bravo di me”
“Lo so. Te lo dicevo per poter organizzare l’ammutinamento”
“Se non stai attento te l’organizzo io un ammutinamento. Qual è la rotta sta volta?”
“Edimburgo!”
“Non si arriva in nave ad Edimburgo, mio stupido fratellino”
“Non sono stupido. E dico che ad Edimburgo ci arriviamo in nave!”
“Va bene, ma…”

Mi svegliai in un letto d’ospedale. Avevo molti tubi attaccati al mio corpo e una gran confusione in testa. Le lenzuola erano ruvide e calde, il panorama terribilmente bianco.
Avevo sognato me da piccolo e un Mycroft meno piccolo di me ma comunque giovane e insopportabile almeno quanto il se stesso da adulto.
Mi scoprii a pensare che sarebbe stato bello giocare ai pirati un’altra volta. Che cosa smielatamente rivoltante.
Mi guardai intorno, ero solo nella stanza d’ospedale. In isolamento. Centinaia di possibilità su cosa mi fosse successo e quale patologia o malattia mi avessero colpito mi passarono come una lunga lista davanti agli occhi. Mi fermai su una delle ipotesi, che in seguito scoprii essere quella corretta. Non la dirò ora, comunque.
Se ero in isolamento significava che solamente i parenti potevano venir a farmi visita. O meglio, significava: Mycroft non voleva allarmare mia madre e quindi probabilmente non le aveva ancora detto nulla, ma sarebbe arrivato prima o poi. Era l’ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.
L’unica presenza che volevo attorno a me era quella di un dottore. Ma non di un dottore qualunque, piuttosto DEL dottore. Il mio dottore. John.
Non feci in tempo a formulare il pensiero che la porta si aprì lasciando entrare Mycroft. Eccolo lì. Merda.
Rimase in piedi per un po’, in silenzio, e io mi augurai che se ne andasse in fretta.
- Goodmorning, little brother.*
- Mycroft, per un attimo ho sperato che non saresti venuto.
- In qualità di fratello è mio dovere venirti a trovare.
- Non è vero. Cosa sei venuto a dirmi in realtà?
- Ero preoccupato per te, mio stupido fratello – mi ha ricordato molto le conversazioni di quando giocavamo ai pirati.
- Non sono stupido – ho quindi risposto per restare in tema. Lui si è seduto a peso morto sulla sedia davanti al letto e si è portato le mani al viso.
- Non hai detto ancora nulla a nostra madre, vero? – ho continuato. Lui ha alzato la testa.
- No.
- Lo  immaginavo.
- Ma prima o poi dovrò dirglielo.
- Che ho un tumore al cervello? Probabile. Ma tenta di farlo dopo che sarò uscito da qui, o me la ritroverò intorno ogni santo giorno.
Ha annuito.
- Sherlock... sei consapevole, per quanto tu possa crederlo impossibile, che sono preoccupato per te?
Ho alzato le spalle.
- Non sono riuscito a diagnosticarmi il tumore fino in fondo: di che tipo è?
- È un medulloblastoma.
- Meraviglioso, a ventisette anni sono rari gli individui che lo riscontrano, il 70% dei casi si presenta in età compresa tra i due e i diciassette – ho fatto un sorriso tirato – Sicuramente mi darà la possibilità di studiarlo a fondo. Quando mi dimettono?
Mycroft ha cercato una posizione più comoda sulla sedia.
- Tra qualche giorno, credo, vogliono vedere se il tuo organismo è stabile e la gravità del tumore… Ma, Sherlock… poi vorranno iniziare la cura farmacologica. E in seguito ti richiameranno per la chemio. Sai cosa significano, i farmaci per questo tipo di tumore?
Ho sentito un groppo salirmi dallo stomaco alla gola e la prima ondata di panico provata in vita mia: - Non glielo puoi permettere – scoprii con fastidio che la mia voce tremava.
- Ho già provveduto a farti ricoverare nel miglior ospedale di Londra, con un medico esperto e fidato, ma non c’è niente da fare. Ci dovrà essere una cura farmacologica.
- E per cosa, per un paio di anni in più di vita? – l’ho quasi urlato – Lo sai che i soggetti che, superati i 21 anni, riescono a viverne altri cinque sono solo l’80%? Non li voglio i farmaci, non… - ho sentito un forte dolore al centro della testa appena un poco più attenuato di quello provato a Baker Street piegarmi in due.
- Sherlock! – Mycroft si è alzato e stava per andare a chiamare un dottore, ma io sono riuscito ad afferrargli una manica e a sussurrare un nome, solo un nome: - John.
Ero sicuro che avrebbe capito. L’ho visto sfocato annuire, prima di cadere nell’incoscienza.

Avevo ripreso conoscenza, ma mai come in quel momento ho avuto bisogno di auto-commiserarmi. La cura farmacologica significava una riduzione considerevole dell’attività lavorativa del cervello. L’unica cosa che avevo da sempre temuto. Credevo che avrebbero potuto farmi di tutto, ma mai togliermi il pensiero. Non sapevo che fare. Sicuramente non avrei accettato di passare un paio d’anni come un allunato per viverli.
Il pensiero della morte mi ha spaventato per la prima volta. “Tutti dobbiamo morire” ho pensato, ricordandomi di cosa Moriarty mi aveva detto anni prima in una piscina deserta: “È quello che succede alle persone!”. Mi trovavo d’accordo.
Una nuova controllata ondata di panico mi travolse, dovuta forse alla mia persistente inattività. Ho cominciato a rigirarmi nel letto; forse mugugnavo, non saprei.
- Sono qui – la voce mi arrivò calda e confortante, mentre avvertivo una mano forte prendermi il polso.
- Cos… John? – ho aperto gli occhi. Era a pochi centimetri da me, seduto vicino al letto. Il suo sguardo serio e preoccupato lasciò il posto a un largo sorriso candido quando mi vide. Aveva gli occhi arrossati, quei suoi occhi così belli tra l’azzurro e il verde.
- Che bel disastro che mi combini. Sono quasi sicuro che sia stata colpa degli involtini primavera e del film dell’altra sera. Troppa demenzialità tutta insieme per i tuoi standard.
Per la prima volta da quando mi trovato in quel luogo – un paio di giorni, mi pareva d’aver capito – ho riso. John mi è venuto dietro. Solo con lui riuscivo a ridere davvero.
- Come è riuscito Mycroft a farti entrare?
- Mi ha fatto passare per il tuo fidanzato.
- Uhm – quell’informazione mi turbava in maniera non poco considerevole. Ma anche John, notai, sembrava imbarazzato.
- I medici dicono che ti dimetteranno tra tre giorni. Dovremmo tenere la soluzione sotto controllo e stare attenti, ma pare che tutto si stabilizzerà dopo un po’.
- Dovremmo? Hai… hai intensione di restare al 221B, quindi?
- Come… sì, ma certo, cosa ti fa pensare che me ne andrei?
- Credevo che un coinquilino con un tumore non fosse una cosa particolarmente piacevole con cui convivere.
- Ma sei tu il coinquilino col tumore. Non posso mica abbandonarti proprio ora che hai bisogno di un dottore – il suo sorriso si è allargato ancora, ma non era di quelli falsi che fanno le persone quando vanno a trovare i malati. Era un sorriso vero. – Sempre che tu mi voglia, ovviamente.
- Certo che ti voglio, John. – restammo in silenzio per un paio di secondi, dannatamente intensi, dannatamente lunghi. Non me ne fregava più niente della malattia, c’era solo John con i suoi occhi arrossati per causa mia, il sorriso candido e la mano che continuava a stringermi il polso.
- Sai, ti ho portato un paio di cose. – ho alzato un sopracciglio mentre lui si abbassava per rovistare in una ventiquattr’ore nera – Ecco qui. Credo che le odierai, ma comunque.
- Dovrei preoccuparmi?
- Appena un po’ – ha iniziato col posarmi tre riviste bianche e nere sul comodino.
- Cosa sarebbero?
- La “Settimana enigmistica”**! 
- Dio, non farai sul serio.
- So che non è granché, ma ho pensato che potesse in qualche modo tenerti attivo. Ma non è finita qui.
- Ah no?
- No.
- Ci stavo sperando.
- Sherlock!
- Scusa. Cos’altro mi hai portato? – mi augurai che non notasse il mio divertimento.
- Un nintendo DS con dentro un gioco del “Professor Layton” – cominciò allegro posando un dispositivo elettronico sopra le riviste. Ci avevo visto giocare i bambini, ogni tanto.
- Un che cosa?
- Un gioco del professor Layton. È un giallo virtuale in cui si risolvono i crimini. Era della figlia di mia cugina ma lei non lo usa più.
- Probabilmente perché ha superato i sette anni…
Lui ha incrociato le braccia, scherzosamente imbronciato, e io gli ho rivolto un sorriso storto.
- Su, sono proprio curioso di cos’altro sei riuscito a trovare per disgustarmi.
- Antipatico. Il prossimo ti piace per forza: è il libro sulle api che stavi leggendo.
- Ah, uhm, grazie, questo va bene.
- Credevo che avresti avuto da contestare anche su quello. Be’, ma c’è anche un’altra cosa: – “che il cielo mi aiuti”, pensai – Un libro d’approfondimento sul silicio!
- Mi aspettavo peggio. Grazie, davvero, per queste cose inutili e noiose. Sono serio. – credo di non essere riuscito a convincerlo.
- Ero sicuro che non ti sarebbero piaciute. Così ho portato Mr Trangupesce per farti compagnia!
- Trangupesce? Ora sì che sono nauseato – ma, ora posso ammetterlo, ero anche vagamente curioso. John riusciva sempre a stupirmi, in un modo o nell’altro.
Ha lentamente alzato la mano per creare un po’ di suspence, e infine mi ha aperto il palmo per lasciarci scivolare una minuscola lontra blu di peluche.
- Ma cosa…?
- La regalavano con una rivista al giornalaio. Ho pensato ti somigliasse. – non potevo dirgli quanto quel regalo mi disgustasse e allo stesso tempo mi colmasse di gioia. Penso di essere sembrato solo un po’ scettico.
- È… interessante – ho detto.
- Mr Trangupece è un tipo fastidioso come te, credo che andrete d’accordo.
- John, non sono un bambino.
- Lo so. Pensi che avrei regalato una lontra di peluche chiamata Trangupesce, ad un bambino? 
Ho riso di nuovo. Ma quando ho gettato uno sguardo all’orologio da polso che portava mi sono accorto che si stava facendo tardi.
- Forse dovresti andare, Hanna vorrà vederti – ho fatto notare in tono fin troppo neutro.
- Penso di no, considerato che l’ho lasciata ieri.
- Cosa? Davvero? – come avevo fatto a non accorgermene? Avrei dovuto dedurlo dal dopobarba e dalla camicia a quadretti, insomma!
- Sì, sai… credo non facesse più per me. Sono ufficialmente single.
Ho provato soltanto un’inspiegabile euforia. Fra tutti, quello era probabilmente il regalo più bello che mi avesse portato. Ma mi sono quasi subito sentito uno stupido. Quali speranze pensavo di avere? Nessuno vuole mettersi con un malato terminale. E fra l’altro io non amavo affatto John Watson. O così avevo tentato di credere fino a quel giorno, quando tutti i miei sospetti vennero spazzati via dall’assoluta consapevolezza di essere fregato.
Il dolore alla testa è tornato, ma prima di perdere i sensi ho fatto in tempo ad avvertire il mio coinquilino dirmi di riposare e lasciarmi un delicato bacio tra i capelli. Dolce, impercettibile. Forse ero troppo stanco per rinnegare il piacere di quel gesto. Sapeva della marmellata di ciliegie che avevo comprato.
- Torna presto a Baker Street, Sherlock.
“Tornerò presto, John”.   
 

*Nella versione inglese Mycroft  dice spesso “little brother” parlando con Sherlock e ho preferito mantenerlo, perché in italiano non mi suonava per niente (fra l’altro non ho mai visto la versione tradotta, ma forse è meglio così perché dicono che fa sanguinare le orecchie).
**Non sapevo qual era il corrispettivo inglese e ho deciso di lasciarlo in italiano xD

  
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