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Autore: slanif    08/05/2014    4 recensioni
HanaRu
Questa fan fiction è stata scritta per il contest “Ispirandovi Alle Immagini” indetto da AoKise92 e Sara.1994 sul Forum di EFP.
Tra le sei immagini a mia disposizione, ho scelto le due inserite nel testo i cui credits vanno alle autrici (che purtroppo non so chi siano).
Buona lettura!
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad Occhi Chiusi
di slanif
 
 
 
Un’altra soleggiata giornata sorgeva sulla città di Kanagawa, illuminando le sue strade della calda luce dorata del mattino e vedendo i primi avventori riversarsi su di esse.
Chi per andare a lavoro, chi per andare a scuola o a svolgere delle semplici commissioni, Kanagawa alle sette del mattino era già in pieno fermento e persone in giro, compresse dentro l’affollata metropolitana cittadina dirette alla propria destinazione finale.
Ed Hanamichi si trovava proprio lì, spiaccicato contro il vetro fresco, in una fastidiosa oppressione che gli faceva digrignare i denti dal nervoso. Perché diavolo tutte le mattine dovevano essere così? Perché doveva sempre ritrovarsi compresso in qualche angolo di uno qualsiasi dei vagoni bianchi e rossi, sempre in piedi per venti minuti buoni non trovando mai uno straccio di posto a sedere? E andava bene che le persone anziane stessero sedute (certa educazione di base la conosceva pure lui, nonostante fosse un teppista!), ma tutti quelli che leggevano il giornale ed erano abbastanza giovani da stare in piedi? Avrebbero pure potuto cedergli il posto, qualche dannata volta…
Ringhiò, rendendosi conto dell’assurdità dei suoi pensieri.
Probabilmente il fatto che non dormisse troppo bene, ultimamente, a causa di pensieri decisamente molesti, gli causava pensieri troppo sciocchi e infantili! E la cosa più sorprendente era che il suo aspetto, di solito minaccioso e che incuteva timore nel prossimo, ultimamente non riscuotesse nessun tipo di reazione. Nemmeno la zazzera rossa, ormai rasata, risultava abbastanza minacciosa da far decidere il soggetto del suo sguardo omicida a prenderlo sul serio…
Sbuffò, spingendo con i palmi delle mani sul vetro freddo mentre la città di Kanagawa scorreva sotto i suoi occhi, alternata a lunghe e buie gallerie illuminate fiocamente da qualche sporadica lampadina gialla.
Quando finalmente giunse alla sua fermata, fu praticamente sputato fuori dal vagone, e quasi inciampò sui suoi stessi piedi a causa di tanta foga. Per fortuna, i suoi riflessi da sportivo gli permisero di rimanere in equilibrio e proseguire come se nulla fosse, ignorando le occhiate divertite di qualche altro avventore che aveva notato la sua défaillance. Quindi imboccò la strada cementata, circondata da muretti alti almeno un paio di metri e siepi alte altrettanto che delimitavano i giardini e le varie proprietà di quelle case belle ed eleganti, in quel quartiere per bene in cui sorgeva il suo liceo: lo Shohoku.
Sbadigliò, mentre una lacrima gli si formava all’angolo dell’occhio, portandosi una mano davanti alla bocca e affondando di più la mano nella tasca della divisa nera dai bottoni dorati, così terribilmente da teppista che non si stupiva che tutta Kanagawa pensasse che quel liceo fosse in realtà la scuola di formazione della peggiore feccia della città.
Era così assonnato e così impegnato a pensare al fatto che si era dimenticato la cartella a casa (ma non che gli servisse granché, visto che alle lezioni era sempre disattento. Un peso in meno da riportare a casa!) che non si accorse del fruscio alle sue spalle e soprattutto della bicicletta di Kaede Rukawa, sua nemesi e acerrimo rivale, nonché motivo per cui non chiudeva occhio, arrivare a tutta velocità alle sue spalle in sella a suddetto mezzo di ciclo mozione e atterrarlo con la sua ruota, investendolo.



“KITSUNEEE!” urlò, cadendo a faccia avanti.
Non aveva nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che era lui e che si era addormentato sulla bicicletta come suo solito!
“Nh?” domandò Rukawa, mentre apriva un solo occhio e contemporaneamente precipitava a faccia avanti sull’asfalto, in un groviglio di braccia e gambe non ben distinguibile al cui centro c’era la bicicletta ammaccata dalle continue cadute, pali presi in pieno e persone investite da parte di Rukawa.
Hanamichi rovinò a terra, riuscendo a mettere le mani avanti e a non spiaccicarsi completamente sull’asfalto, salvaguardando il suo viso dal doloroso impatto. Quindi si tirò su, facendo forza sui gomiti, cercando di districarsi da quell’incastro e voltandosi verso il suo compagno di squadra che aveva ancora la faccia mezza addormentata.
“KITSUNE! Porca miseria! Potevi ammazzare il grande tensai!” sbraitò, mentre altri studenti dello Shohoku gli passavano vicino ridacchiando, assistendo ad uno dei loro soliti battibecchi per cui erano famosi in tutta la scuola.
Kaede spostò gli occhi magnetici su di lui, con un movimento veloce e annoiato al tempo stesso: “Sai che perdita…” soffiò, con tono ironico.
Hanamichi sentì la tempia sulla fronte pulsare furiosamente: “KITSUNEEE! BRUTTO BASTARDO!” urlò, a pieni polmoni.
Ma a Rukawa non importò un bel niente, anzi. Sembrò del tutto indifferente, e sbuffò spazientito: “Come diavolo fai ad avere voglia di urlare di prima mattina?”.
Sakuragi si indignò di fronte a tanta indifferenza: “Se tu non mi prendessi sotto con la bicicletta, io non urlerei!”.
“Smettila di farne una tragedia… sei vivo e non sei ammaccato da nessuna parte” disse Rukawa, scoccandogli un’occhiataccia da capo a piedi “Pensa alla mia povera bicicletta, piuttosto…”.
Alla testa rossa venne quasi da ridere: “Pensare alla tua bici? Ma che vuoi che me ne freghi? E’ la tua degna bicicletta, kitsune: inutile e fastidiosa!”.
Kaede sbuffò di nuovo: “Idiota” disse.
“Stupida volpe!” rispose l’altro.
Rimasero a fulminarsi con lo sguardo a vicenda per un po’, fino a quando Hanamichi decise di alzarsi, sgrullandosi la polvere dai pantaloni.
“Sei incorreggibile, kitsune!” ridacchiò, avviandosi verso l’istituto, mollando lì Rukawa che si tirava su e rialzava anche la sua ammaccata bicicletta prima di posteggiarla nel parcheggio apposito, scoccando un’occhiataccia al compagno di squadra, anche se questi non poteva vederlo avendogli dato le spalle.
 
Quando Hanamichi giunse in classe, tirò un sospiro di sollievo.
Quello sguardo glaciale, ma al contempo intenso della kitsune umana, gli aveva fatto tremare il petto, il cuore e soprattutto il basso ventre.
Già…
Il basso ventre…
Era lui il problema per cui non dormiva. Era lui, laggiù, ad essere sempre sveglio.
E Hanamichi lo ignorava, si rigirava, e lo ignorava ancora e si rigirava di più e alla fine doveva cedere e concedersi quel piacere solitario che all’inizio lo aveva fatto sentire in colpa e a cui adesso non riusciva a rinunciare.
Pensare di toccarsi con l’immagine di Kaede Rukawa in testa era stato sconcertante.
Kaede Rukawa? Quel Kaede Rukawa? L’egocentrico, glaciale, mono espressivo e monosillabo compagno di squadra che non faceva altro che sbattergli in faccia quanto fosse più bravo di lui a basket? Inverosimile…
Eppure era proprio così che andava tutte le notti: lui si metteva buono nel letto, cercando di dormire, e invece ecco qua che la sua mente cominciava a vagare e le immagini di Rukawa, con i suoi salti eleganti e i suoi tiri perfetti, si affacciavano timidamente alla sua mente fino a quando quegli innocenti pensieri si tramutavano in un Rukawa nudo sotto la doccia, che lo fissava con quegli occhi accattivanti, invitandolo ad entrare con lui.
Sakuragi scosse la testa, grattandosi i capelli con foga e stringendo i denti, strizzando gli occhi disperato.
Non voleva pensare a quelle cose. Non voleva pensare a quelle immagini! Ci mancava solo che si eccitasse a scuola e sarebbe stato lo zimbello di tutti una volta di più!
Il fatto che l’immagine di Rukawa che lo invitava a fare la doccia insieme fosse così terribilmente eccitante non era da considerare, in quel momento.
 
Quando giunse l’ora dell’allenamento pomeridiano, Hanamichi arrivò in palestra fischiettando.
Non sapeva perché il basket gli piacesse tanto, considerando che all’inizio lo odiava e che detestava tutti quelli che ci giocavano, ma tant’è che se ne era letteralmente innamorato e adesso, di fronte a quello sport così bello, ogni suo problema spariva e veniva scacciato dal pensiero che presto le sue scarpe avrebbero striduto sul parquet lucido e la palla ruvida gli avrebbe irritato i polpastrelli.
Riusciva persino a dimenticare quello scomodo pensiero che gli attraversava a volte il cervello e che suonava alle sue orecchie come: non è solo del basket che ti sei innamorato.
Nooo! Lui innamorato di Rukawa? Ma non era possibile!
Okay, Rukawa era un bel ragazzo e si toccava pensando a lui, ma… a lui piaceva Harukina cara! Non l’algida kitsune! E il fatto che Harukina cara non lo tenesse sveglio e la kitsune sì, era del tutto irrilevante!
Sì sì… era assolutamente così!
Vero?
“Per la miseria…” sussurrò, esasperato, aprendo la sua sacca sportiva con stizza e cercando al suo interno i calzoncini bianchi e la canotta nera da indossare.
Quando li trovò li tirò fuori con stizza e li gettò sulla panca di legno, cercando di scacciare i dubbi dalla sua testa.
A lui non piaceva Kaede Rukawa.
Neanche un po’.
Non esisteva!
Ne sei proprio sicuro?
Scosse la testa, digrignando i denti. La sua coscienza doveva decisamente imparare a stare zitta…
 
Quel giorno gli allenamenti furono peggio del solito. Akagi non aveva fatto altro che urlare e Ayako aveva regalato sventagliate a destra e manca come fossero cioccolatini il giorno di San Valentino. La testa sua, di Miyagi e di Mitsui erano martoriate dai pugni del Gorilla e dalle sventagliate della manager, e persino il perfetto caschetto moro di Kaede era stato scosso da quelle crudeli botte in testa.
“Smettetela di litigare e datevi da fare!” sbraitò Akagi per l’ennesima volta in direzione di Sakuragi e Rukawa, che continuavano a punzecchiarsi e a lanciarsi pallonate dal centro del campo.
“E’ colpa sua, Gorilla!” si indignò Hanamichi, indicando infantilmente la sua nemesi che lo fissava annoiato, con le mani premute sui fianchi magri e stretti.
“Non hai cinque anni, Sakuragi! Smettetela immediatamente tutti e due!” urlò il capitano dello Shohoku, sempre più arrabbiato.
Hanamichi sbuffò, ma decise di impegnarsi per quel poco che ne restava così da evitare altre botte sulla sua già confusa e assonnata testa.
Così facendo, cinquanta minuti dopo gli allenamenti si conclusero senza altri litigi rilevanti.
Questo era per Hanamichi un sollievo, e stava già per avviarsi agli spogliatoi quando la voce ridacchiante dell’allenatore Anzai lo richiamò: “Sakuragi”.
Il diretto interessato si voltò con espressione sorpresa: “Mh?”.
“Vieni qui, Sakuragi” rise ancora il signor Anzai.
“Che c’è, nonnetto?” domandò il rossino, arrivando di fronte al grasso e rotondeggiante allenatore.
“Devi fermarmi un altro po’, Sakuragi” gli disse, fissandolo da dietro gli occhiali piccoli. L’uomo aveva uno sguardo vivace e al contempo malefico, ma Hanamichi non se ne accorse.
“Va bene” sorrise “A quale allenamento hai deciso di sottoporre il grande tensai, nonnetto?” rise, afferrando un pallone con una sola mano e stringendolo senza difficoltà con solo le dita.
“A dire la verità non sarò io ad allenarti, Sakuragi, ma…” gli occhi del signor Anzai lampeggiarono “Rukawa”.
“LA STUPIDA KITSUNE?” urlò il rossino, sconvolto.
No, no, no, no, no! Non era possibile! Riusciva a sopravvivere ai suoi scabrosi pensieri perché aveva quelle buone ore di distanza dalla sua nemesi, ma adesso? Passare altro tempo in palestra con lui, da solo… altro che fantasie! Lì rischiava di sbatterlo sul parquet e non rispondere più delle sue azioni!
No.
Un momento.
Che diavolo stava pensando?
A lui non piaceva Kaede Rukawa! Quante volte doveva dirlo?
“Io non ho bisogno dell’aiuto della stupida volpe per imparare a giocare a basket! Semmai è lui che ha bisogno dei miei consigli!” sbottò, irritato, cercando di mascherare la tensione.
“Do’aho”.
Si voltò di scatto, osservando Rukawa che lo osservava da centro campo, facendo girare la palla a tutta velocità sulla punta del dito indice.
“STUPIDA VOLPE!” sbraitò.
 
L’allenamento intensivo tête à tête con Rukawa durò per una settimana intera, alla fine di ogni allenamento.
L’allenatore Anzai aveva ordinato all’ala piccola dello Shohoku di insegnare all’ala grande i tiri da tre e a fare le finte.
Erano stati sette giorni belli e brutti insieme. Gli piaceva poter passare più tempo con la kitsune umana, ma non facevano altro che litigare e punzecchiarsi e alla fine passavano molto più tempo del dovuto in palestra, perché perdevano tempo. Hanamichi sbraitava irritato, Kaede sbuffava sconsolato. Un continuo battibecchi senza fine.
Eppure, in quella settimana, Hanamichi si sentiva incredibilmente migliorato. Si era sorpreso nel vedere quanto la kitsune, nonostante i monosillabi e le pochissime frasi spese, fosse in realtà un maestro così chiaro e perspicace. Hanamichi non aveva avuto difficoltà nell’imparare la posizione giusta, né a copiare i movimenti dell’algida volpe e farli suoi. A volte Rukawa usava solo il corpo e gli occhi puntati su di lui per spiegargli un concetto, senza parole, ma solo muovendosi.
E quei movimenti rendevano Hanamichi sempre più inquieto ogni pomeriggio che passava.
Se prima aveva pensato che Kaede fosse sexy, adesso ne era assolutamente certo.
E non era solo il corpo a rendere Kaede sexy e accattivante, ma il suo modo stesso di muoversi. Soprattutto il movimento degli occhi, con quelle lunghissime ciglia nere e folte che si alzavano e abbassavano lentamente, scaturivano sulla testa rossa un fascino assoluto.
“Porca miseria…” gemette, ormai sotto la doccia, sbattendo la testa contro le piastrelle del muro in un movimento ripetuto e afflitto “Non può piacermi Kaede Rukawa, non può…” gemette sconsolato.
Eppure, dovette alla fine ammetterlo, era proprio così. Quei lunghi pomeriggi glielo avevano confermato: non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
E la sera a casa la sua patta tirava ancor prima di entrare nel letto e far vagare la mente. La sua patta tirava anche in palestra, con Rukawa di fronte, e lui si copriva con la palla, intavolando una litigata per cercare di calmare il bollore al basso ventre e nascondere il rossore sulle guance dovuto l’eccitazione come a una reazione alla rabbia.
Si rese conto di non poter continuare così.
Era ridicolo!
Gli piaceva Kaede Rukawa. O per lo meno il suo corpo.
Okay.

No, okay no, ma doveva accettarlo per forza, no? non era mai stato un tipo che rinnegava i suoi sentimenti, né che non si guardava in faccia e non affrontava le cose di petto. Anzi, spesso si era buttato in innumerevoli situazioni di getto, ignorando qualsiasi pensiero razionale, solo perché sentiva che doveva farvi fronte! E adesso, sicuramente, la forza d’animo non doveva mancargli!
Quella era pur sempre la kitsune e lui era pur sempre il do’aho e loro due erano pur sempre rivali.
Questa, sicuramente, non era una realtà incoraggiante…
Sbuffò, chiudendo il getto caldo e infilandosi l’accappatoio celeste, avviandosi quindi con le infradito blu ai piedi che facevano un rumore buffo a causa dell’acqua sul terreno, verso la panca su cui aveva poggiato la sua roba.
Quando vi giunse, notò che Rukawa non era ancora arrivato. Il compagno di squadra si era fermato ancora in palestra, a fare qualche altro tiro. Era un vero e proprio stacanovista, e sicuramente Hanamichi in altre circostanze si sarebbe fermato con lui, giusto per dargli ancora un po’ fastidio, ma aveva promesso ai suoi amici di uscire con loro dopo oltre una settimana in cui non li aveva molto considerati, perciò non aveva tempo.
Si vestì in fretta, infilandosi la maglia rosso fuoco come i suoi capelli e canticchiando una stupida canzone creata sul momento, con un motivetto che suonava molto megalomane persino alle sue orecchie. Ma non se ne curò. Che gliene importava? Era da solo in quel grande spogliatoio…
O forse no?
Una mano calda gli coprì gli occhi, oscurandogli la vista e costringendolo a chiuderli, per non sentire le ciglia compresse e piegate, che prudevano. E una palla da basket finì tra le sue mani, senza che lui quasi se ne accorgesse.
Cercò di scansare quella mano, ma la presa era salda.
“CHI CAVOLO E’?” urlò, irritato.
Nessuna risposta, solo il rumore lieve di un respiro.
“Se sei tu Yohei, ed è uno dei tuoi stupidi scherzi, giuro che ti pesto a sangue!” minacciò, sempre più arrabbiato.
Ma il sangue furente gli si gelò presto nelle vene.
“Non sono Yohei…” sussurrò la voce calda e profonda di Rukawa, a un millimetro dal suo orecchio.
“K… kitsune!” disse sorpreso, arrossendo miseramente “Che cavolo stai facendo?” domandò ringhiando, alla disperata ricerca di nascondere l’imbarazzo.
Aveva il compagno di squadra alle spalle, che gli sfiorava il corpo col proprio, e la sua mano calda premuta sugli occhi.
“Adesso facciamo un gioco, do’aho…” sussurrò ancora Rukawa.
Il cuore di Hanamichi gli saltò direttamente in gola: “U… un gioco? Ma sei diventato tutto scemo?” domandò.
Ma non giunse risposta, solo un fiato caldo sul suo collo. E poi due labbra tiepide poggiate su di esso.
Hanamichi venne scosso da un fremito in tutto il corpo. La scarica elettrica lo attraversò da capo a piedi, gelandogli la schiena.
Kaede Rukawa lo stava baciando.
Kaede Rukawa lo stava baciando.
“R… Rukawa… cosa fai?” ansimò, mentre quelle labbra calde sfioravano sensuali la sua pelle fresca di doccia, profumata di muschio bianco e così invitante alle narici del moretto.
Un morso leggero sulla spalla fu l’unica risposta che Kaede gli diede, prima di far scorrere la lingua da quel punto fino al suo collo, poi fino all’orecchio.
A quel nuovo contatto, Hanamichi sobbalzò di nuovo: “Kitsune… è uno scherzo? Se lo è, è davvero di pessimo gusto!” sbraitò.
Sentì Rukawa muoversi e arrivargli di fronte, quindi una delle mani della kitsune andarono a toccare il pallone da basket incastrato tra i loro corpi, e la mano calda sui suoi occhi si scansò.
Quando tornò a poter vedere, sentendo l’aria fredda sulla pelle, si ritrovò a specchiarsi in quelle iridi magnifiche che lo avevano catturato.
“Non è uno scherzo, do’aho” disse Rukawa, con voce profonda, lasciando la mano poggiata sulla sua fronte.
A quella risposta Hanamichi lo fissò confuso, sgranando i grandi occhi nocciola con sorpresa.
La kitsune lo stava seriamente baciando senza nessun intento malefico sotto?
Possibile che fosse tutto ancor più facile di quanto ogni sua più rosea aspettativa avesse mai idealizzato?
Era davvero plausibile il fatto che anche alla kitsune, quello strano rapporto tra loro, avesse fatto nascere un’attrazione fisica tra di loro?
Perché Hanamichi era certo che fisicamente, Rukawa lo attirava come una calamita… ma poi? Il carattere del moretto era un disastro completo, così freddo e scostante, e lui invece era la classica persona che ha sempre bisogno di attenzioni e amore… che futuro avrebbero potuto avere loro due insieme? Così diversi, così opposti…
Smise di domandarselo e di farsi tante paranoie quando le labbra morbide di Kaede si posarono sulle sue, più carnose. Sgranò ancor di più gli occhi e sentì il pollice di Rukawa solleticargli il naso e la guancia. Quindi un calore intossicante e la netta sensazione che quel momento era speciale.



Il bacio fu lungo e intenso, appassionato ma dolce, senza fretta. Le loro lingue duellarono armoniose, bisognose di assaporarsi. Le narici respiravano ogni odore possibile. Gli occhi ci chiusero e li trasportarono nella magia di quel momento.
Quando si staccarono, Rukawa rimase a pochi centimetri dalla sua bocca. La mano sulla sua fronte scese sulla sua guancia in una lieve carezza, quindi si fermò sulla sua spalla. L’altra, teneva ancora salda la palla da basket tra i loro corpi, specchio di quella di Hanamichi dall’altro lato.
“Ci siamo incontrati grazie al basket, do’aho, ma non è solo di questo che voglio che sia fatto il nostro rapporto…” sussurrò Rukawa, con voce bassa, fissandolo deciso negli occhi.
Sakuragi sapeva perfettamente che quelle iridi non scherzavano. Era lo sguardo deciso e fiero, convinto, che la kitsune aveva in campo quando giocava contro un avversario che lo stimolava e voleva vincere a tutti i costi.
Sorrise.
“Per una volta la pensiamo uguale, kitsune…”.
“Per una volta il tuo cervello funziona nel modo giusto, do’aho…” rispose Rukawa con ironia.
Hanamichi lo guardò torvo: “Stupida volpe!”.
Un bacio gli chiuse le labbra, interrompendo qualsiasi parola possibile e qualunque battibecco che sarebbe sicuramente nato. D’altronde, era così che avevano imparato a rispettarsi. A conoscersi. A piacersi. A toccarsi.
E Hanamichi sentì proprio quel forte impulso: toccare la kitsune.
Perciò scagliò la palla lontano, con un gesto secco del polso, sentendola rimbalzare e rimbombare sulle pareti e il pavimento, in un sottofondo che non aveva niente di romantico ma che per loro era la migliore musica.
Gli strinse le braccia intorno al corpo, abbracciandolo per la prima volta, sentendo una gioia in petto, consapevole che quello era meglio dei suoi sogni e che qualunque cosa fosse nata in quel momento, lo avrebbe sicuramente portato alla follia.
Perché Rukawa era bravissimo a farlo impazzire… nel bene e nel male.
Ma soprattutto, in quel preciso momento, nel bene. Perché quella lingua e quelle mani che scorrevano sul suo corpo, gemelle delle sue altrettanto frementi e desiderose di toccare, preannunciavano un duello che entrambi i ragazzi aspettavano e che Hanamichi aveva sognato molte e molte volte.
Però c’era un problema… e il telefono che prese a squillare nella sua sacca glielo ricordò.
Si staccarono subito e Hanamichi afferrò il cellulare, rispondendo a Yohei: “Pronto?”.
“Ma dove cavolo sei?” gli domandò l’amico dall’altro capo, alterato.
“Scusa… tra un po’ arrivo… ho fatto tardi… ho avuto un… uhm… contrattempo” si giustificò, arrossendo, scoccando un’occhiata imbarazzata alla kitsune, che lo fissava in silenzio e con una luce divertita nello sguardo.
“Beh, muoviti! Non esiste solo il basket!” sbottò Mito, mettendo giù.
Hanamichi fissò basito il cellulare, quindi si voltò verso Kaede: “E’ meglio che vada… Yohei si è davvero incazzato…”.
“Nh” rispose Rukawa, col solito monosillabo.
Hanamichi si depresse. Tanto menefreghismo lo ferì. Questo era tutto quello che si meritava dopo quel bacio e quelle parole? A quanto pare sì…
Perciò prese a tirar su la sua roba, chiudendo la sacca e mettendosela in spalla con un’espressione sconsolata e torva al tempo stesso in viso.
“Beh, ciao, kitsune” disse incerto, non sapendo bene cos’altro dire.
Era stato un sogno? Se l’era immaginato?
Si erano baciati o no?
“Peccato, do’aho…” disse Rukawa, bloccando Hanamichi sul posto, fissandolo maliziosamente e sfilandosi la canotta nera rimanendo a petto nudo “Avevo proprio voglia di farmi la doccia in compagnia…”.
Hanamichi divenne un tutt’uno con la sua t-shirt rossa mentre l’immagine reale di Rukawa mezzo nudo si sovrapponeva a quella immaginaria di tutte le sue più spinte fantasie fatte nelle notti precedenti.
“PERCHE’ DEVO USCIRE CON I MIEI AMICI?” urlò, sbattendo la porta, uscendo alla velocità della luce da quella stanza con quel diavolo tentatore dentro che, non ne fu sicuro, ma sentì ridacchiare a sue spese…
 
 
 
**FINE**
 
Kitsune: Volpe in giapponese.
Tensai: Genio in giapponese.
Do’aho: Idiota.

   
 
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