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Autore: CainxAbel    08/05/2014    1 recensioni
Non è una scuola, ma un manicomio. Non è una scuola, ma l'inferno. Per me la Shinsengumi High school sembrava questo, fin quando mi chiesi se dei bellissimi occhi potessero farmi cambiare idea. No, questa non è la cronaca di un'asociale, ma non ho chiesto io di studiare qui, nel top del top dell'istruzione, come dicono.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hajime Saitou, Heisuke Todou, Nuovo personaggio, Souji Okita, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il professore Kazuma era un demone? Non lo sapevo, ma se fosse stato vero, il test sarebbe stato un inferno. Sfortunatamente non era falso. Il mio posto si trovava abbastanza lontano dai suoi occhi, o così pensavo. Fece l’appello, soffermandosi con lentezza straziante sui nomi e dei cognomi di noi poveri studenti. Secondo me si divertiva un sacco a torturarci in questo modo, come se non avessimo abbastanza motivi per preoccuparci. Solo a Saito sembrava non importare affatto. Aveva le braccia incrociate al petto e squadrava le espressioni degli altri. Per lui il test doveva essere una parte come un’altra della vita scolastica, nulla di più. Ero sicurissima che avrebbe ottenuto un punteggio alto.
“Chizuru Yukimura”.
La diretta interessata si guardò smarrita e si mosse a piccoli passi in quell’aula che sembrava immensa. La distanza tra un banco e l’altro mi pareva anni luce. Copiare qualcosa da qualcuno sarebbe stato difficile. Comunque il professore non ci chiamò in ordine alfabetico, infatti io, Misaki Tachibana, fui chiamata per ultima. Sfortunatamente Chizuru era abbastanza vicina a me e lo era anche Saito, che stava seduto proprio davanti a me. Ero sicurissima che non mi avrebbe aiutato in alcun modo. Mi sentii sprofondare. Heisuke borbottò qualcosa di incomprensibile. Gli occhi del professore Kazuma erano puntati su di lui. Anche il ragazzo che prima mi aveva spinto, Sanosuke Harada, non era molto lontano da lui. Sembrava compiere uno sforzo immenso nello stare fermo sul banco. Nulla era più fastidioso della voce del professore Kazuma, che sembrava compiaciuto della felice idea avuta dal corpo docenti quest’anno (quella di farci affrontare quel test infernale). Il cuore batteva a folle velocità nel petto: a momenti temevo che mi schizzasse fuori per tutta l’ansia che mi mise addosso. Mi torsi le mani, controllando l’orologio, mentre lui consegnava ( ovviamente sempre con quel sorrisetto compiaciuto) i test e la penna con cui avremmo dovuto svolgerlo. Avremmo avuto un paio di ore per risolvere tutti quei quesiti. 80  mostri da abbattere, mi ripetei, impugnando la penna come se fosse una katana, come se potessi davvero combinare qualcosa di buono.
“C’è una cosa che mi auguro con tutto il cuore” disse il professore Kazuma con un tono che mi fece venire i brividi.
Tutti ci raddrizzammo sulle sedie, vigili e attenti.
“ Me lo auguro soprattutto per i nuovi arrivati” aggiunse “ Che la vostra preparazione sia adeguata”.
Il suo sguardo si soffermò su di me e su pochi altri e questo non fece altro che aumentare la disperazione. Come ogni disperazione pre compito che si rispetti, la mia mente era già annebbiata dalla tensione ancora prima di iniziare. Trascorsero altri secondi di silenzio tombale, prima che lui ci desse il via per iniziare il test. Bastò leggere le prime domande per  disperarmi per davvero: date di eventi storici, calcoli complicati per completare reazioni chimiche di ogni genere, per non parlare dei meravigliosi quesiti che di logica avevano solo il nome. Le mani mi tremarono e il tempo sembrò scivolare via. Riuscii a rispondere a malapena a 10 domande nella prima mezz’ora. Il panico cresceva e per un attimo i miei occhi si soffermarono su un ragazzo che cercava di copiare qualcosa da Saito. Invano. L’occhiataccia che gli lanciò fu tale da farlo desistere. Il povero Heisuke si teneva la testa tra le mani. Secondo me stava pregando mentalmente non so chi di superare in qualche modo quella prova. Forse nulla di meno che Santo Itachi, martire da Konoha, anche se non era esattamente il patrono degli studenti. Non importava: bastava rivolgersi a qualcuno, non importava che si trovasse in aula o meno. Presto il professore Kazuma passò tra i banchi con quello sguardo demoniaco da fare paura: anche gli occhi si avvicinavano a un’inquietante sfumatura cremisi. Definirlo una specie di demone non era poi così sbagliato.
“Concentrati, Misaki. Qui c’è in ballo il tuo futuro di studentessa e guardi cosa combinano gli altri? Stupida!”
Cercai di mantenere gli occhi incollati su quelle maledette fotocopie. Per alcune risposte mi affidai semplicemente alla sorte, per altre non ero sicura. Erano proprio poche quelle che ero convinto di aver indovinato. Il foglio sembrava un campo di battaglia irto di croci e di no. Per alcune domande cambiai risposta un paio di volte. Il professore Kazuma ci osservava divertito. Secondo me sguazzava allegramente nella nostra disperazione. Le due ore trascorsero fin troppo rapidamente, e il tempo mi scivolò addosso, trascinandosi tutta la mia ansia. Quando la voce del professore Kazuma (oltre l’orologio) sentenziarono la fine della prova, tutti lasciarono le penne sul banco e lui passò a ritirare tutti i test, compreso il mio abominevole disastro. Bene o male che fosse andata, non sarei potuta tornare indietro. Avrei proprio voluto vedere come tenere alto “ l’onore” della famiglia, come diceva mio padre! Fui felice di uscire da quell’aula. Mi sembrò di poter riprendere a respirare. Heisuke si guardò intorno e si allontanò lungo il corridoio, parlando con Chizuru.
“Orribile! È stata la cosa peggiore che potesse capitarmi. Non ha fatto altro che guardarmi. Cosa potevo copiare? Da chi?”
Fu proprio il ragazzo a dire quelle parole, mentre Chizuru rideva sommessamente. Di cosa diavolo rideva? Non solo il suo amico aveva sofferto le pene dell’Inferno, ma si prendeva pure gioco di lui. Per quello che mi riguardava, poteva anche essere la prima della classe, ma in termini di amica non avrebbe mai ottenuto il punteggio massimo. Presto lasciai perdere pensieri del genere. Saito fu l’ultimo a uscire dall’aula.
“Questa sera alle ore 19 verranno resi noti i risultati del test, graduatoria compresa”.
Bastò quella frase per zittire tutti gli studenti che, come me, si erano cimentati in quella prova. Non ci aspettavamo di sapere subito quanto sarebbero stati bassi i nostri punteggi. Uscii dall’aula con abbastanza motivi per deprimermi e nessuno per sorridere. Sicuramente molti avrebbero riso di un punteggio orribile come quello che ero sicura di aver realizzato. L’unica consolazione è che tutti avrebbero il pomeriggio libero. Niente lezioni, niente club, solo quiete ( per quanto fosse possibile).          Avrei trascorso volentieri un’intera giornata al parco. I miei mi avevano detto che da qualche parte c’era un laghetto artificiale  e volevo restare un po’ per i fatti miei, se possibile. Cercai di non guardare altri studenti: non volevo nemmeno immaginare i loro visi. Percorsi a grandi passi il parco, come se avessi fretta. In fondo volevo trovare subito il laghetto e perdermi nei riflessi dell’acqua che, lo sapevo, mi avrebbero ispirato in qualche modo nello scrivere il testo di una canzone. Proprio nel momento in cui lo trovai, notai la ragazza che prima avevo visto disegnare. Lo stava facendo di nuovo: gli occhi sembravano guardare oltre, mentre parevano scorgere qualcosa che risultava invisibile ai miei. Pensai che, presa dai suoi disegni, non si sarebbe accorta di me. Che povera illusa che ero…
“Ehi, ciao”.
Pensai che stesse parlando con qualcun altro, ma non c’era nessuno che fosse abbastanza vicino a me. Non poteva di certo parlare da sola, pensai.
“Ciao” borbottai poco convinta.
Indietreggiai di un passo, temendo di averla disturbata.
“ Anche tu alla ricerca di un posto tranquillo…” commentò lei.
Ebbi l’impressione che un sorriso si disegnasse sulle sue labbra. Ero davvero alla ricerca della quiete, almeno per un po’. Forse mi era andata male: ancora non lo sapevo.
“Proprio così” dissi, senza nemmeno pensarci “Sono un’asociale del cavolo”.
Lei rise e io mi sentii imbarazzata per ciò che avevo detto con tanta sfacciataggine.
“Allora” mormorò lei, trattenendosi a stento dal ridere “ Come si chiama questa asociale del cavolo?”
“Misaki Tachibana”.
Pensai di aver detto qualcosa di strano. I suoi occhi brillarono e il sorriso sul suo viso si allargò ancora di più.
“Temo proprio che dovrai prepararti. Ti toccherà sopportarmi per un bel po’ e lo sai perché? sarò la tua nuova compagna di stanza”.

 
   
 
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