Per ogni
evento la sua musica
Trascorsero
un paio di gironi di relax, mentre Reneè si
rimetteva in forze e Lan si occupava del campo base, aggirandosi tutto
il
giorno per il bosco alla ricerca di cibo, con l’intento di
fare un po’ di
scorta per l’ormai imminente viaggio verso le terre degli
elfi. O meglio, erano
di relax per il ferito, che si limitava a dormire e a mangiare quello
che la
ragazza portava dalle sue battute di caccia: non gli era permesso
nemmeno di aiutare
a preparare la selvaggina e cucinarla.
Non che gli
dispiacesse più di tanto poltrire e potersi
rimettere in forze, e sicuramente moriva dalla voglia di riuscire a
tornare a
casa, però era, come dire, imbarazzante farsi accudire da
una donna: era lei a
cacciare, a fare la guardia di notte, a perlustrare ogni mattina la
zona
intorno al campo per evitare di avere qualche brutta sorpresa. Lui era
relegato
al ruolo di malato nullafacente a carico della sua salvatrice. Non gli
era
permesso nemmeno alzarsi per raccogliere un po’ di rametti.
La mattina
del terzo giorno si svegliò per primo, e
silenzioso come un’ombra si vestì e
sparì nel bosco: era ora di smetterla di
fare il bambino e cominciare a fare l’uomo. O elfo.
Finì
di allacciarsi in vita la spessa cintura di cuoio a
cui era sempre agganciato il fodero del suo amato pugnale, e
scivolò nella
tenue luce prima dell’alba alla ricerca di una preda.
Vagò per una decina di
minuti, prima di avvistare un grosso cinghiale a poche decine di metri
da lui;
la caccia al cinghiale è sempre molto pericolosa, specie se
non si ha la forza
di scappare più rapidamente possibile, ma gli elfi si sa che
hanno una marcia
in più. Reneè prese ad avvicinarsi al grosso
animale, con movimenti lenti e
fluidi come lo scorrere dell’acqua; a pochi metri dalla preda
si fermò e chiuse
gli occhi, raddrizzando la schiena e le spalle, lasciando uscire tutta
la
tensione, le mani abbandonate lungo i fianchi, le orecchie ritte in
mezzo alle
ciocche di capelli. Cominciò a mormorare parole strane,
apparentemente confuse,
in una melodia cantilenante, poi la sua voce cominciò a
crescere di volume,
diventando chiara, cristallina, un suono che penetra nel cervello senza
passare
per le orecchie. Cantò per un paio di minuti, e il grosso
cinghiale si avvicinò
mansueto, annusandogli le mani.
Repentinamente
l’elfo estrasse il pugnale e lo conficcò
con precisione in mezzo agli occhi dell’animale, facendolo
affondare fino al
manico; la vittima non sussultò nemmeno prima di crollare a
terra morta.
Reneè
si riprese il pugnale e considerò la situazione:
come diamine avrebbe fatto a portare la carcassa fino
all’accampamento?
Di botto si
sedette a gambe incrociate sulle foglie
secche, che scricchiolarono, interrompendo il profondo silenzio che era
calato
sul bosco, e cominciò a vagliare tutte le alternative che
gli si presentavano
alla mente, quando un leggero tossicchiare lo fece girare.
Lan era
appoggiata ad un tronco, e sembrava un po’
stordita, come appena svegliata dalla trance, e lo guardava con un
misto di
ironia, rispetto e stupore, un coctail piuttosto strano per i suoi
lineamenti.
L’elfo
arrossì fino alla punta delle orecchie, ora
seminascoste dalle ciocche corvine.
- Da...- la
voce gli uscì stranamente acuta. – Da quanto
sei lì?
- Ti ho
seguito da quando ti sei alzato: lo capisco che
non ne puoi più di stare fermo, e così ti ho
lasciato andare, ma era mio dovere
tenerti d’occhio, non ti pare? L’ultima volta che
hai cacciato sei svenuto... –
rispose Lan, guardandosi con enorme interesse le unghie mangiucchiate.
Per un
momento rimase perplesso, senza parole, incapace di
concepire quello che gli era successo: aveva una guardia del corpo? Di
certo
funzionale, con i suoi due metri d’altezza fatti di muscoli
possenti e riflessi
pronti. Però erano due metri di guardia del corpo femmina. Qualcosa continuava a non
andargli a genio.
Per un
momento sentì la rabbia ribollirgli dentro: come
osava quell’emerita sconosciuta trattarlo in quel modo? Ma lo
sapeva con chi
aveva a che fare?
A
quest’ultima domanda si rispose da solo con un divertito
no,
visto che non le aveva mai detto niente (e meno male), e alla prima
rispose il
suo stomaco con un’ondata di nausea che lo fece piegare in
avanti.
Lan
alzò gli occhi al cielo, come a sottolineare il fatto,
ma non si mosse e attese che l’altro si raddrizzasse da solo,
quasi a
rispettare il suo malessere. In effetti, Reneè si riprese
quasi subito, e si
alzò a fronteggiarla, non proprio faccia a faccia,
più viso a pancia, ma almeno
la visuale non lo distraeva eccessivamente come se i suoi occhi si
fossero
trovato pochi centimetri più su... ma che accidenti stava
pensando??
Probabilmente
aveva avuto intenzione di dirle qualcosa di
caustico, ironico, ma se n’era dimenticato, così
si limitò a dire – Porti tu il
pranzo al campo?
Senza
attendere la risposta si avviò verso la radura, che
a momenti avrebbe cominciato a chiamare casa, e borbottò
qualcosa a proposito
dell’ “uso improprio di un prezioso pugnale da
battaglia per sbudellare una
stupida bestiaccia”. Il rossore non era ancora scomparso dal
suo viso.
Lan
alzò nuovamente gli occhi al cielo, prese la carcassa
sotto un braccio e seguì il mini-cacciatore che si trovava
per compagno di
avventure.
Il giorno
dopo erano finalmente pronti per intraprendere
il lungo viaggio che li avrebbe condotti nelle terre degli Elfi, nelle
sterminate
selve del Nord; impacchettarono i loro pochi averi (anche quelli di
Reneè
finirono nello zaino della sua guida nonostante le sue cavalleresche
proteste)
e cominciarono la marcia.
Sapevano
già che il viaggio sarebbe stato lungo e
faticoso, sia per la mancanza di mezzi di trasporto a loro
disposizione, sia
per le condizioni fisiche ancora un po’ precarie
dell’elfo, ma non potevano
permettersi di rimandare ancora la partenza.
Era da poco
passata l’alba, il cielo era grigio e freddo,
e nell’aria ristagnava ancora l’umidità
della notte; il terreno scivolava a
causa di tutte le foglie ormai marce, ma non si prospettava poi una
brutta
giornata, anche se probabilmente la sera sarebbero arrivate le piogge.
Le ore
trascorsero pigre, mentre i due avanzavano nella
boscaglia, fermandosi di tanto in tanto per permettere a
Reneè di prendere
fiato, mentre Lan si preoccupava di controllare i dintorni, andare in
avanscoperta
o procurare cibo.
Al tramonto
erano ormai al confine tra il bosco e le
campagne coltivate della gente del centro, un popolo di contadini,
piuttosto
pacifico ma molto sospettoso nei confronti degli stranieri; la
diffidenza era
l’eredità lasciata da troppi anni di razzie e
dominazioni dai paesi vicini. Le
nuvole si stavano ammassando nel cielo, e non promettevano niente di
buono,
così i due viaggiatori continuarono a passo spedito verso un
piccolo gruppo di
case che vedevano ormai poco distante. Entrambi erano silenziosi e
scuri in
viso, e la cosa era più evidente man mano che si
avvicinavano al villaggio,
mentre i tuoni cominciavano a farsi sentire in lontananza.
Lan sembrava
immersa nei suoi pensieri, e non dovevano
essere cose piacevoli vista la sua espressione, mentre l’elfo
continuava a
guardarsi in torno, guardingo, teso come una corda di violino, come se
si
aspettasse qualcosa di spiacevole da un momento all’altro.
Il sole era
ormai calato dietro l’orizzonte frastagliato
dalle basse colline quando finalmente si fermarono davanti alla
massiccia porta
di legno di una costruzione, l’unica che assomigliasse almeno
vagamente ad una
locanda. Non c’era nessuno per le strade, ma i due non se ne
stupirono, visto
che proprio in quel momento la pioggia prese a scrosciare.
Reneè
si riparò sotto la tettoia della casa, lanciando
occhiate furtive a destra e a manca, mentre la sua compagna rimaneva
sotto la
pioggia, imbambolata, come pietrificata. L’elfo stava
già aprendo la porta
quando se ne accorse; il rumore della pioggia era assordante, per cui
rinunciò
a chiederle spiegazioni, la afferrò per un braccio e
cercò di convincerla ad
entrare, visto che di certo non aveva la forza di
‘trascinarla’.
Una volta
dentro la piccola stanza, il silenzio calò come
melassa: lento e inesorabile, palpabile, e maledettamente appiccicoso.
Sembrava
che anche le persone si muovessero al rallentatore, come attraverso la
melassa,
appunto, più che altro perché nessuno si muoveva.
Il povero
elfo si trovò a metà strada tra i due fuochi,
ovvero tra Lan e il proprietario della locanda, che si fissavano, si
fissavano
in silenzio, attraverso la melassa. Dopo qualche momento, che
però era parso
lungo grossomodo come tutto il triassico, Reneè si
staccò dal braccio della
ragazza, avanzò verso l’uomo e si
schiarì la voce per richiamare la sua
attenzione.
Dopo un
po’, molto lentamente, l’interessato
spostò (e
abbassò) lo sguardo sull’elfo, anche se manteneva
un’espressione a metà strada
tra terrorizzato, furioso e spiazzato.
- Salve
buonuomo, siamo due viandanti senza un tetto sotto
cui trascorrere la notte, e vista l’attuale situazione
meteorologica, le
saremmo infinitamente grati se le fosse possibile affittarci una delle
sue
stanze.
Aveva
mantenuto un tono di voce molto basso, caldo, e
aveva parlato in fretta, tanto che l’altro aveva a malapena
intuito che voleva
una stanza.
- No.
- Come
sarebbe a dire no?! – Reneè era spiazzato di
fronte
alla risposta dell’uomo. O meglio, omino. In effetti, era un
vecchio basso e
gobbo, tanto da guardare addirittura l’elfo dal basso in alto
(non parliamo di
come vedeva Lan), con pochi capelli candidi in cima ad una testa
perfettamente
tonda.
- Ho detto
no. E ora fuori. – Il vecchietto lanciò
un’ultima rapida occhiata alla ragazza, poi
cominciò a sospingere Reneè verso
la porta, mentre questo continuava a protestare. Di colpo cadde il
silenzio, un
silenzio innaturale, poi l’elfo cominciò a
cantare, dapprima a bassa voce, poco
più che un sussurro, poi il suono crebbe
d’intensità, riempiendo la stanza come
fosse stato solido. E tornò il silenzio.
Il vecchietto
sbatteva le palpebre, intontito, ma si
diresse verso la stanza sul retro e ne tornò con una grossa
chiave, poi si
avviò verso le scale, senza guardarsi indietro né
spiccicare parola.
Reneè
si affrettò a seguirlo, prendendo dolcemente per un
gomito la ragazza, che sembrava molto confusa e inebetita.
L’elfo
gestì la situazione da solo, come se non ci fosse
nessuno in grado di comunicare con lui, e appena poté chiuse
a chiave la
pesante porta della stanza che gli era stata assegnata, poi si
appoggiò con le
spalle alla porta e scivolò lentamente verso il basso fino a
sedersi sul duro
pavimento.
Lan era
seduta sul letto al centro della camera, e si
massaggiava la fronte come se avesse un brutto mal di testa.
Allora, finalmente ce l'ho fatta a postare il nuovo capitolo, un po' più lungo degli altri...spero che l'attesa sia valsa la pena!
Leggete e recensite, al più presto posterò il prossimo episodio, che è già in fase di lavorazione.