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Autore: hikaru83    09/05/2014    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Hana e Kaede si fossero conosciuti da bambini? E se poi si fossero dovuti separare? E se si ritrovassero al liceo? Se volete sapere quello che sarebbe potuto succedere entrate in questo mio mondo. Una nuova storia con i personaggi che tanto amiamo, vi aspetta!
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi per il quinto capitolo, come slanif sa bene è stata un impresa, quindi non prendetevela se è un po’ più corto degli altri, ok? Come sempre i personaggi non sono miei e non ci guadagno nulla a scrivere. A dopo per note e ringraziamenti.
 

Cap 5
 

La serata scorre tranquilla, va beh tranquilla è un modo di dire, diciamo che i ragazzi si divertono molto, soprattutto ai danni di Akira, e della sua presunta carenza di potassio. Presto arriva il momento dei saluti, si sono divertiti così tanto da non essersi neanche accorti del tempo che passava.

Le coppie si dividono, ognuno va per la propria strada, anche se Sendoh all’inizio, aveva provato a seguire Rukawa e Hanamichi ma era stato bloccato dallo sguardo di ghiaccio di Kaede.

“Non guardarmi male Ru Ru, ti ricordo che abito anch’io nel vostro quartiere, non posso mica traslocare... Ok ok vado da Kosh, ma ho una domanda, prima o poi potrò tornare a casa?”

“Hn!”

“Se poi ti degnassi di rispondere con le parole una volta ogni tanto...” Continua Akira fintamente irritato mentre si allontana da loro con le mani in tasca raggiungendo Koshino.

“Ma davvero abita nel nostro quartiere?” Chiede Hanamichi appena gli altri spariscono dalla visuale.

“Purtroppo!”

“Ma quanto sei cattivo!” Continua il rossino con un sorriso. “Perché gli hai impedito di tornare con noi?” Gli chiede poi.

Ma quanto sei ingenuo, vorrebbe rispondergli Kaede ma non sa se è davvero pronto a sentirsi dire la verità. Doveva ammettere che appena aveva sentito la sua confessione al tavolo agli altri ragazzi dentro di sé aveva iniziato a saltare felice come un demente anche se da fuori non trapelava nulla.

“Aveva bisogno di una scusa per invitarsi di nuovo da Koshino, tutto qui.” Inventò su due piedi, anche se poi gli pareva una balla del tutto plausibile.

“Allora non sei cattivo, al contrario sei un buon amico!” Kaede si sentì un po’ in colpa nel far credere a quell’ingenuo del do’aho di essere migliore di quello che fosse in realtà, ma come aveva letto una volta da qualche parte, in amore e in guerra tutto era lecito.

Camminarono uno a fianco all’altro, in silenzio, probabilmente Kaede era l’unico a sapere quanto Hanamichi si trovasse a suo agio nel silenzio. Quello che ancora non poteva sapere però era che Hanamichi si trovava a suo agio solo perché erano insieme, solo perché con Kaede a fianco non aveva bisogno d’altro. Ma come detto questa è una cosa che Kaede non può sapere, non ancora almeno. Raggiunsero in fretta, troppo in fretta per entrambi, la casa di Rukawa. Quella casa che lo aspettava come sempre vuota e buia.

“Beh do’aho ci vediamo domani. Se vuoi passo a svegliarti per l’allenamento mattutino, anche se è sabato io vado comunque.” Gli dice, con un tono di voce di chi non vorrebbe separarsi dall’altro ma non trova una scusa plausibile per rimanere in sua compagnia. E poi cosa avrebbe dovuto fare? Invitarlo per bere qualcosa? Avevano sedici anni cosa gli poteva offrire? Un tea alle 23? Inoltre sicuramente a casa di Hanamichi lo stavano aspettando.

Hanamichi osservò prima la casa, poi Kaede e ancora un’altra volta la casa, poi il suo sguardo si illuminò. Gli era venuta un’idea per non separarsi da Kaede, perché neanche lui voleva separarsi dalla sua kitsune, ma al contrario di quest’ultimo lui era un tensai, e i tensai hanno sempre idee geniali, che tensai sarebbero altrimenti?

“Senti un po’ kitsune.” Iniziò con voce sicura, con il tono di uno che butta lì un’idea, come se non avesse cercato di trovare una scusa qualunque per tutto il tragitto dal pub all’ingresso della casa di Rukawa per stare con lui ancora. “Che ne dici se vieni a dormire da me?”

“Cosa?”

“Ma sì che c’è di male? Casa tua è deserta, i tuoi sono a Tokyo e poi domani non c’è neanche scuola. Dai non dirmi che preferisci rimanertene tutto solo quando puoi passare il tuo tempo con il mitico tensai!” Ti prego fa che dica sì, fa che dica sì,  si ripeteva intanto nella testa Hanamichi.

“Ma i tuoi?”

“Per i miei non c’è problema. E poi il mio letto è grande per poterci stare entrambi, prometto che ti faccio scegliere il lato su cui dormire e cercherò di non agitarmi troppo durante il sonno, anche se questa cosa non è che posso controllarla molto. Sarà come quando eravamo piccoli e litigavamo fino a pochi secondi prima di dormire sul nome delle costellazioni.” Era certo che Kaede non poteva essersi dimenticato delle innumerevoli volte che avevano condiviso il letto da piccoli. Lo sguardo di Rukawa era indeciso, ma non perché non sapeva se accettare o meno, figurarsi se avesse potuto si sarebbe stabilito vita natural durante a casa di Hanamichi, più precisamente nel suo letto, ma non sapeva cosa dire, non era mai stato bravo ad esprimere ciò che provava, nessuno gliel’aveva mai insegnato. “Dai, se non vuoi dividere il letto abbiamo anche un futon. Insomma, se è per quello che ho detto al bar...” gli occhi si intristirono cosa che ovviamente Rukawa non avrebbe mai permesso, il fatto che fosse la sua reazione ad aver fatto credere a quel do’aho quella cosa così scema, e ad aver messo nei suoi occhi quel velo di tristezza era una cosa che non si sarebbe mai perdonato. Figurarsi, lui che non voleva stare da Hanamichi perché quest’ultimo era gay certo, come no? E lui cos’era? Anzi quello era un motivo ancora più ragionevole per passare la notte da Hana, ma ancora Kaede non sapeva come dirglielo, in questo momento malediceva il suo rapporto tremendo con le parole, ma non sapeva proprio come fare.

“Non è per questo, figurati.” Riuscì almeno a dire. Ma che futon e futon, Kaede nel letto di Hanamichi ci sarebbe stato benissimo, magari in futuro non solo per dormire, ma per ora si sarebbe accontentato anche di quello. Lo sguardo di Hanamichi tornò allegro, la tristezza già dimenticata. La sua kitsune non lo giudicava male, non era una gran consolazione visto che per quello che ne sapeva era etero, ma almeno non l’aveva allontanato.

“Perfetto allora entriamo, prendi lo spazzolino, il borsone per gli allenamenti di domani mattina, e giusto l’occorrente per passare una notte fuori casa e andiamo da me.”  Rukawa guardò gli occhi di Hanamichi e non trovò nessun motivo per rifiutare l’offerta, anche perché poi passare del tempo con lui non era forse quello che desiderava di più al mondo?

Fece come detto, l’unica azione in più fu quella di lasciare un messaggio alla segreteria del cellulare della madre, non chiamavano mai, ma meglio evitare crisi di panico inutili. E così, in men che non si dica si ritrovarono in strada, ancora una volta, uno accanto all’altro.  La casa di Hanamichi al contrario di quella di Rukawa era illuminata.  La luce dell’ingresso accesa e dalla finestra che probabilmente dava sul salotto si vedeva la classica luce bluastra di una tv accesa.

“Quanto ci scommetti che staranno facendo finta di ronfare sul divano? O per meglio dire mia madre fa finta, mio padre ronfa beatamente. Gli dico sempre di non aspettarmi in piedi, ma niente, tutte le volte fanno di testa loro.”

“Beh, io non sono un esperto, ma non è così che si comportano i genitori?”

“Già!” Superano il cancelletto, e aprono la porta d’ingresso. “Sono a casa!” Quasi subito la madre di Hanamichi si presenta all’ingresso con uno sbadiglio teatrale che sa di finto lontano a un miglio, prima di accorgersi che c’è anche Kaede con suo figlio. Non che se ne stupisse granché, a dire il vero, quando erano piccoli non riuscivano mai a separarli, e ora che si erano ritrovati sembravano aver ripreso da dove erano stati interrotti da bambini.

“Ben tornato caro, oh ma non sei solo vedo.”

“Kacchan era solo a casa e così l’ho invitato, non ti dispiace vero mummy?”  Due occhioni da cucciolo indifeso e il modo di chiamarlo che aveva cominciato ad usare in USA erano le armi che Hanamichi usava spesso contro la madre, ben sapendo che dopo non gli avrebbe negato nulla.

“Certo che no! Ci pensate da soli a sistemarvi vero?”

“Nessun problema, mamma!” Dal divano Hanamichi vide sollevarsi un ben più addormentato padre che con  passo stanco si avvicinò a loro.

“Oh bene sei tornato, che piacere Kaede ci sei anche tu. Cara...” dice praticamente ad occhi chiusi alla moglie. “...adesso che è tornato sano e salvo possiamo andare a letto, per favore?” La madre di Hanamichi si guarda intorno imbarazzata, quante volte ha detto al marito di non far capire ad Hanamichi che stava in piedi perché era preoccupata?

“Ma certo, insomma mica devi chiedermi il permesso, sei un adulto no? Che sciocchezza, come se io l’avessi obbligato.” Dice mentre sale le scale, non c’è niente da fare pensa Hanamichi mentre la guarda sparire al piano di sopra, sua madre doveva fare l’attrice. “Mi raccomando controlla che sia chiuso tutto prima di salire, non ti dispiace vero? Sono così stanca...” gli dice con sguardo malevolo, della serie adesso vai a farti un giro che quando vieni di sopra ti spiego cosa puoi dire e quando aprire bocca.

“Hanamichi ti ricordi quello che ti ho detto ieri a pranzo?” Gli chiede il padre.

“Sì papà.” Rispose con un sorriso suo figlio.

“Segui quel consiglio, non sposarti mai, ricordatelo sempre, altrimenti sarai legato a vita con il tuo aguzzino e quando te ne renderai conto sarà troppo tardi!”

“Tesoro quanto ci vuole a controllare, coraggio non vorrai dormire sul divano, vero?” La voce della moglie fece mettere sull’attenti il padre.

“Arrivo subito cara!” Poi si voltò un’altra volta verso il figlio, e con un’aria melodrammatica. “Ricordatelo, mai!” Hanamichi osserva il padre salire le scale lentamente, come se stesse andando al patibolo.

“I tuoi sono una forza sai?” Gli disse Rukawa che era rimasto fino a quel momento in silenzio a osservare quella famiglia, con un misto di invidia e curiosità.

“Sì lo so!” Rispose Hanamichi con un sorriso, poi però il suo sguardo divenne malinconico.

“Cosa c’è?” Kaede non riusciva a sopportare di vedere lo sguardo del suo do’aho incupirsi, era più forte di lui, lo voleva vedere sempre felice.

“Mi è venuto in mente quando la mamma è venuta a prendermi l’anno scorso appena l’avevano avvertita del malore di papà, non hai idea della paura che avevamo, abbiamo rischiato di perderlo, capisci, ho rischiato di perdere mio padre.”

“Dev’essere stato molto difficile, io non so immaginarmelo. Lo sai il rapporto con i miei è quello che è però l’idea che possa perderli, mi spaventa. Ma alla fine è andato tutto bene per tuo padre, e ora siete tornati.”

“Sì hai ragione. Senti andiamo su di sopra, comincio ad essere un po’ stanco, ho ancora gli orari sballati.”

“Certo, in fondo ho sonno anch’io.”

“Ma dai? Una kitsune narcolettica che ha sonno, non l’avrei mai detto.”

“Do’aho! Muoviamoci.”

Salirono le scale quasi di corsa, come se entrambi non vedessero l’ora di ritrovarsi da soli nella mansarda, cosa del tutto vera del resto, anche se nessuno dei due aveva il coraggio di ammetterlo con l’altro. Rukawa fu il primo a essere pronto per sprofondare nelle braccia di Morfeo, visto che non poteva certo sperare di finire in quelle di Hana per il momento. E aspettava il compagno in camera sua osservando con curiosità ciò che lo circondava, e che in serata non aveva potuto guardare con calma.

Hanamichi era sempre stato caotico, fin da piccolo, perché tendeva a conservare tutto, l’unica cosa vuota nella sua stanza era, generalmente, il cestino della spazzatura. Si ricordava ancora quando da piccolo lo aveva visto conservare le carte colorate di caramelle e cioccolatini, e alla sua domanda sul perché le conservasse ricordava ancora di come lo avesse guardato stranito e di come Hanamichi invece di parlare ne scelse una un bel rosso rubino, e un’altra azzurra, e ancora una verde smeraldo, lo avesse preso per mano e portato in giardino gli avesse passato quella verde dicendogli di guardare il mondo attraverso quella carta colorata. L’aveva fatto, anche se non ne capiva il motivo, all’improvviso Kaede si era ritrovato in una foresta pluviale, riusciva quasi a sentire il canto degli uccelli esotici, poi Hanamichi gli diede la carta rossa e gli chiese di fare lo stesso, e Kaede si trovò su Marte a capo della missione spaziale. Fu il turno di quella azzurra, e venne catapultato in una spiaggia poco prima dell’alba, quando la luce azzurrina colpisce la sabbia, il mare e gli scogli rendendo tutto della stessa sfumatura. Si era voltato verso Hanamichi incredulo. ‘Ora hai capito?’ Gli aveva chiesto con un sorriso soddisfatto. E sì, Kaede aveva capito, anche se sospettava che la magia non fosse in quelle carte colorate, ma in Hanamichi. Erano passati anni ma era divertente notare che, mentre la scrivania e praticamente ogni superficie piana fosse già piena di roba, il cestino dei rifiuti fosse comunque immancabilmente vuoto.

“Kit pronto per andare a nanna?” La voce di Hanamichi alle sue spalle lo fece voltare di scatto. “Io di solito dormo solo con i boxer, abitudine presa a Los Angeles, sai non ho mai sopportato il caldo, ma se per te è un problema...”

“Nessun problema!” Coprire il corpo di Hanamichi, soprattutto visto e considerato che era l’unico a poterselo godere, era un eresia. 

Si sistemarono nel letto e Kaede fu colpito dal profumo di Hanamichi, non avrebbe dormito molto quella notte ne era certo, ma non gli importava minimamente. La cosa importante era evitare di perdere il sangue dal naso, non sarebbe stato molto carino.
Il fatto di essere sdraiato a pochi centimetri da Hanamichi, tanto vicino da poterlo stringere a sé faceva battere forte il cuore di Rukawa. Il calore del corpo così vicino al suo lo faceva sentire in pace con il mondo, in un bozzolo di calore solo per loro.

“Kit, non trovi che sia lo spettacolo più bello del mondo?”

“Hn?”

“Il cielo stellato, a Los Angeles non se ne vedevano tante di stelle. Insomma Kanagawa è una città, ma le luci artificiali non sono le stesse di Los Angeles. Secondo me questo è lo spettacolo più bello del mondo da poter guardare prima di addormentarsi, non trovi anche tu?”

“Sì, è davvero il più bello, non sai quanto vorrei poterlo vedere tutte le notti.” Gli rispose Kaede che non stava affatto guardando il cielo che potevano osservare dalla finestra proprio sopra le loro teste, ma il profilo di Hanamichi, che ignaro gli rispose.

“Basta che vieni a dormire qui, per me puoi farlo quando vuoi.” Basterebbe dormire con te in qualsiasi parte del mondo, pensò Rukawa. “Piuttosto, non mi hai raccontato molto su di te, cosa hai fatto in questi anni?”

“Ho giocato a basket!” Gli rispose Kaede, era ovvio no?

“Ok, e oltre al basket?” Disse Hana con un sorriso, non c’era niente da fare, la sua kitsune e le parole non andavano proprio d’accordo.

“Oltre al basket cosa?”

“Non so, amici, ragazze, avrai fatto qualcosa no?”

“I miei amici, se così li vuoi chiamare, li hai incontrati, le ragazze non mi sono mai interessate, l’unica degna della mia fiducia è Ayako, e il basket mi ha decisamente affascinato.”

“In pratica hai vissuto come me! Ayako sembra una tipa a posto, mi piace il suo modo di fare, schietta, sincera, allegra, Ryota è proprio fortunato.”

“Sono certo che lo sa.”

“Quindi non ti interessano le ragazze? Intendi dire che sei troppo impegnato per interessartene o che proprio non ti interessano?”

“Non mi interessano.”

“E quindi al posto di chiederti delle ragazze, dovrei chiederti dei ragazzi?” La voce era quasi un sussurro, non voleva credere di essere tanto fortunato, a Kaede non interessavano le ragazze!

“Non c’è proprio nessun ragazzo di cui parlare.” A parte te. Quanto avrebbe voluto trovare il coraggio per parlare e dirglielo, in fondo ormai sapeva che era gay e dalle domande che gli stava ponendo sembrava interessato, ma se non fosse così? Se fosse semplicemente interessato per l’amicizia che li legava?

“Allora siamo proprio uguali io e te. Ora smetto di rompere, è mezzanotte passata e se vuoi davvero che domani mattina alle sei io mi svegli è meglio se ci mettiamo a
dormire, sei d’accordo?”

“Sì. Buona notte do’aho!”

“Good night fox!” Gli rispose Hanamichi, in quella lingua che Kaede conosceva per averla studiata a scuola, ma in un certo modo un po’ diversa. Hanamichi quando parlava in quell’inglese americano non aveva nessun accento giapponese, parlava quella lingua come se fosse la propria, con la sicurezza di chi è abituato ad usarla sempre. Hanamichi chiuse gli occhi, Kaede avrebbe voluto fare lo stesso, ma non riusciva proprio a decidersi a farlo. Il profilo di Hanamichi non riusciva a bastargli, ne voleva sempre di più, voleva riempirsi la mente di quell’immagine. E così lo osservò mentre il sonno lentamente lo trascinava con sé. Quando fu certo che si fosse addormentato accarezzò il profilo perfetto di quel viso tanto amato con un dito. L’indice sfiorò la pelle tesa della fronte, le curve del naso, le labbra morbide, il mento e il collo.  Hanamichi si mosse nel sonno e si girò verso di lui accoccolandosi contro il suo petto e nascondendo il viso nella curva del collo. Il respiro caldo di Hanamichi sulla sua pelle, il modo così semplice e naturale in cui il suo corpo si era adattato al proprio, fecero sentire Kaede terribilmente felice, non sapeva come avrebbero fatto la mattina dopo, era certo che si sarebbero imbarazzati, soprattutto la sua testa rossa, ma non gli interessava in quel momento. Ora voleva solo godersi quell’istante perfetto, al domani ci avrebbe pensato dopo.

Quando la luce tenue della mattina lo svegliò, Kaede si rese conto di essere ancora il cuscino di Hanamichi. Sapeva che era meglio separarsi da quel caldo abbraccio ma non ne trovava la forza. Era difficile separarsi da lui, ma doveva farlo o il respiro di Hanamichi sul suo collo lo avrebbe portato a fare qualche pazzia, come ad esempio alzargli il viso e rubargli un bacio. E lui non voleva rubarglielo, voleva che il loro primo bacio, perché oramai era certo che sarebbe riuscito ad averlo, fosse voluto da entrambi e quindi entrambi dovevano essere svegli. Così a malincuore si sciolse da quell’abbraccio, operazione decisamente complicata visto come persino le loro gambe si fossero intrecciate, ma per fortuna ci riuscì senza svegliare il compagno. Decise di andare a farsi una doccia fredda per svegliasi e calmarsi, ma prima di lasciare la stanza accarezzò un’ultima volta il volto di Hanamichi che riposava ancora. Una volta chiusa la porta della mansarda scese con cautela e in silenzio la scala e andò verso il bagno, per fortuna che quella casa la conosceva come la sua e che i signori Sakuragi non l’avevano stravolta, si avvicinò alla porta del bagno quando sentì le voci dei genitori di Hanamichi provenire dalla porta della stanza patronale. Non avrebbe mai ascoltato, non gli piaceva che si impicciava degli affari degli altri, però la frase che aveva sentito aveva svegliato la sua curiosità, curiosità che prima del ritorno di Hanamichi non sapeva neanche di possedere, si avvicinò con cautela alla porta e ascoltò in silenzio.

“Non trovi che Hanamichi sia più felice?”

“Sì, l’ho notato anch’io, è da quando aveva sei anni che non avevo più visto quell’espressione felice sul suo viso, solo quando giocava a basket, quando riusciva a superare le partire più difficili o battere gli avversari più forti aveva un espressione del genere, ma mai come quella che ha ora.”

“Sarà merito di quel ragazzo?”

“Certo non è merito mio, o tuo caro. È ovvio che quel ragazzo centri qualcosa.”

“Vorrei tanto che Hanamichi si confidasse con noi, insomma siamo i suoi genitori, non crederà che non ce ne siamo accorti?”

“Non lo so caro, ma non puoi biasimarlo, non è certo un argomento facile con cui parlare con i genitori.”

“Lo so, ma vorrei poterlo aiutare, non voglio che abbia paura di parlare con noi, è nostro figlio e vorrei che capisse che noi non possiamo fare altro che amarlo.”

“Il nostro bambino, lo capirà vedrai.”

“Forse non puoi più chiamarlo bambino cara.”

“Hanamichi sarà sempre il mio bambino.”

“Non discuto!”

“Vorrei solo che si decidesse a parlare con quel ragazzo, sono così carini insieme.”

“Non cominciare ad impicciarti tesoro, seguiranno i loro tempi, lasciali in pace.”

“Io non mi impiccio! Solo che vorrei vedere quello sguardo felice negli occhi di Hanamichi sempre, è una cosa tanto sbagliata? E quel ragazzo sembra l’unico in grado di farlo.”

“Lo so cara, lo so. E non è affatto una cosa sbagliata, lo voglio anch’io, ma oramai è abbastanza grande, deve prendere le sue decisioni, fare i suoi sbagli, e ha bisogno di capire e riconoscere i suoi tempi per rispettarli, e questo vale anche per quel ragazzo.”

“Beh sai che mi è venuta voglia di preparare una bella colazione americana, chissà se a quel ragazzo piace.”

“Tesoro nessuno può resistere ai tuoi pancake, nessuno!”

“Allora mi metto al lavoro.” Kaede si allontanò veloce dalla porta e si nascose giusto in tempo per non essere scoperto. Ritornò nella stanza di Hanamichi con il cuore in gola. Se quello che aveva sentito era vero, e doveva esserlo, non poteva avere le traveggole, Hanamichi provava qualcosa per lui, forse non ne era ancora cosciente, però quel sentimento c’era, doveva trovare il modo di dichiararsi, doveva assolutamente trovare le parole giuste. Questo lo portò a un'unica possibile soluzione, aveva bisogno di aiuto. Akira, Ayako e Hisashi erano la sua unica possibilità per non rischiare di arrivare al momento clou e cominciare a boccheggiare come un pesce fuori dall’acqua. Cazzo, non si sarebbe mai liberato di loro appena avrebbero capito di essergli indispensabili.

“Ede dov’eri andato?” Gli chiese Hanamichi che si doveva essere svegliato da poco. Lo guardava con negli occhi confusione e tristezza, si era sentito solo in quel letto senza Kaede, gli era piaciuto un sacco usarlo come cuscino. Quando la notte prima aveva sentito il suo viso sfiorato dalle dita leggere di Kaede si era sentito morire, e aveva fatto finta di essersi addormentato per potersi stringere a lui, nascondere il viso sul suo collo e perdersi nel calore e nel profumo di Kaede. Non era stato molto onesto, ma cavoli quale altra possibilità aveva? Non poteva credere che potesse essere davvero quello che Kaede voleva, non riusciva a vedersi come Kaede lo vedeva, come l’intera Kanagawa lo vedeva, ma degli altri ad Hanamichi non interessava. Non si era mai considerato bello, neanche lontanamente carino, visto come lo avevano fatto sentire fin da piccolo, il massimo che poteva dire di sé è che era strano, differente dagli altri, e che questo fosse un bene era una cosa per cui doveva ancora trovare qualcuno che lo convincesse. Quando si era svegliato senza Kaede si era sentito perso, solo e abbandonato e aveva creduto di aver solo sognato. Poi Kaede era rientrato in camera e non aveva potuto far a meno di chiedergli dove fosse andato.

Kaede si perse in quello sguardo smarrito e prese la sua decisione, non gli importava un fico secco di non potersi più liberare di loro, voleva Hanamichi e questo bastava per sopportare tutto, lui valeva qualsiasi prezzo.
 

Continua

 
Note: Non ho molto da dire su questo capitolo, a parte come sempre ringraziare slanif, Pandora86 e Arcadia_SPH per le belle recensioni al capitolo precedente,  Clarabella che l’ha inserita tra le preferite, ricordate e seguite, reginaveleno89 che l’ha inserita tra le seguite, Zakurio  che l’ha messa tra le ricordate, e tutte voi per essere giunte fino a qui.
  
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