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Autore: Bill Kaulitz    09/05/2014    2 recensioni
«Sai, Tom, c’è un vecchio mito giapponese...e dice che: se due amanti sfortunati commettono un suicidio, si reincarneranno come gemelli.» fece una pausa. «Ed io sono convinto che, quei due amanti, quei due gemelli, siamo proprio noi due.» - Questa è una FF twincest quindi, se non gradite il genere, siete pregati di non leggere. Peace&Love Thanks!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ti ricordi di me?'
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- Capitolo 10 -

Passarono diverse settimane da quando ‘Valerie’ si confidò con Tom e da quando, lui, si era riappacificato con il suo migliore amico, Andreas. Non ebbe più notizie del ragazzo che, apparentemente, scambiò per una ragazza; la ragazza dei suoi sogni; la ragazza perfetta. Forse troppo perfetta per poter essere reale. Non aveva alcuna intenzione di parlarci, né di sapere altro sul suo conto. Voleva metterci una pietra sopra e riprendersi la sua vita. Quella vita che, prima di conoscere Valerie, riteneva perfetta; quella vita che lo faceva sentire vivo; quella vita che non gli apparteneva. Era la vita di un’altra persona. Non era la sua. Non lo era mai stata.

Ad ogni modo, Tom e Andreas, ritornarono ad essere grandi amici; ma nessuno dei due osò mai parlare di quanto successe nell’appartamento di Andreas. Si buttarono tutto alle spalle e provarono ad andare avanti; anche se Andreas notò che, da quando Tom non aveva più contatti con ‘Valerie’, non era più felice; non era più lo stesso. Ma il sol pensiero che lei, fosse un lui, gli metteva paura. Come doveva comportarsi? Eppure, quel giorno nell’appartamento di Andreas, aveva fatto ciò che non si sarebbe mai aspettato da se stesso. Mai. Cosa gli provocava realmente timore?

L’unica cosa positiva, se così vuol essere chiamata, era che, da quando non aveva più contatti con ‘Valerie’, la voce era scomparsa. Non l’udiva più. Non riusciva però a capire se questo, fosse un bene o un male. Gli mancava quella voce oppure era felice di non sentirla più nella propria testa? Due domande, a cui non aveva minimamente risposta. Era certo, però, che la presenza fisica di quel ragazzo, gli mancava come l’aria. Aveva paura ad ammetterlo, ma era così. Nella sua testa, continuava a frullargli l’idea di prendere il suo fottuto cellulare e di comporre il suo numero; ma poi, quando riusciva a prenderlo in mano, improvvisamente lo posava di nuovo sul proprio comodino. Codardo. Sei un maledetto codardo! Ripeteva a se stesso. Delle volte, si schiaffeggiava copiosamente il viso come se volesse svegliarsi. Ma non c’era nulla da fare. Il terrore di affrontare una relazione con un uomo, era più forte del desiderio di rivederlo e di stingerlo nuovamente fra le proprie braccia, più forte di poter baciare ancora una volta quelle labbra così perfette e rosse. Aveva paura ad ammettere che, quasi sicuramente, era innamorato di lui. Ma chi era veramente ‘Valerie’? Qual era il suo vero nome? La sua vera storia l’avrebbe mai conosciuta? Questo, spettava solo a Tom scoprirlo.

 

«Buongiorno!» Tom si trascinò giù per le scale sorreggendosi al muro. Era praticamente uno zombie. La sera prima si era ubriacato talmente tanto da non ricordare nemmeno di come fosse tornato a casa o, tanto meno, di cosa avesse fatto. Quando Simone alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo e lo posò sul proprio figlio, tremò leggermente e strabuzzò gli occhi. Tom aveva due occhiaie violacee, come se avesse ricevuto due pugni in pieno volto. Lo aveva visto diverse volte svegliarsi dopo il post-sbornia, ma quella volta, era davvero conciato male.

«Per Dio, Tom. Che cosa ti è successo? Sembri appena uscito da un film dell’orrore.»

Aveva gli occhi incavati, due occhiaie violacee che gli arrivavano fin sopra gli zigomi e un colorito a dir poco pallido.

«Non sono per niente in vena di scherzare, mamma. Ho soltanto bisogno di una mega tazza di caffè extra forte, di una dozzina di waffles con lo sciroppo d’acero e di un quintale di panna.»

Giunto al tavolo, trascinò indietro una sedia e si lasciò cadere su di essa come un sacco di patate. Gettò la testa all’indietro e, con la bocca semi aperta e gli occhi socchiusi, gemette. «Cazzo, mi sento peggio di una pezza strizzata e gettata con violenza per terra per poter lavare ore ed ore il fottuto vomito di un neonato dal pavimento.» Tom era serio, moribondo e sfinito; Simone, invece, a quella frase, si lasciò sfuggire un risolino.

«Okay, straccio per pulire il vomito di un neonato, adesso ti preparo la colazione. Sono avanzati quattro waffles. La panna spray e lo sciroppo d’acero ci sono ancora. Il caffè è caldo, nella macchinetta. »

«Se non fosse per la mia dignità ed il mio orgoglio, ti chiederei di imboccarmi.» Tom sorrise leggermente e Simone lo seguì a ruota.

 

Tom ripulì con l’indice il piatto ancora sporco di panna e lo leccò con nonchalance, una, due e tre volte, fino a quando Simone non lo rimproverò. Un po’ di contegno, per Dio!

«Lasciami in pace!» sbottò poi, alzandosi di scatto dalla sedia e allontanando con arroganza il piatto oramai vuoto e pulito. Simone si meravigliò. Tom non era mai stato così scontroso con lei; insomma, era arrogante e brusco delle volte, ma non le aveva mai risposto male. Chiese che cosa avesse. Lui rispose nuovamente di lasciarlo in pace e che non aveva alcuna voglia di parlare.

«Sei mio figlio ed ho il diritto di sapere se c’è qualcosa che non va. »

«Ti ho già detto che non ho nulla. Ho ancora i postumi di ieri. Mi sono strafatto e ho bevuto fino a sentirmi male. Poi ho scopato come un dannato con due ragazze, contemporaneamente. Insomma, devo raccontarti tutti i cazzi miei? Eh?» alzò notevolmente il tono di voce. Quel giorno, Tom, non era affatto di buon umore.

La situazione era decisamente degenerata da quando non aveva più notizie di ‘Valerie’. Chiamare quel ragazzo così, faceva troppo strano. Non era il suo vero nome. Doveva almeno conoscerlo. O no? Qual era la cosa giusta da fare? Chiamarlo? Dimenticarlo? Eppure, ogni fottuto giorno che passava, sentiva sempre di più la sua mancanza.

 Simone lo guardò con gli occhi sbarrati, allontanarsi dal tavolo e a rifugiarsi nella sua stanza – capì che andò lì perché sentì sbattere violentemente una porta, e Tom sbatteva solo quella della sua stanza. –

 

«Vaffanculo! Vaffanculo!» cacciò un urlo, quasi da graffiarsi la gola. Batté i pugni sul tavolo. Si fece male. Improvvisamente cominciò a piangere. Ora era la porta a subire. Calci, pugni, urla. Sentiva un vuoto dentro di sé, un vuoto che solo quando stava con… Lui, riusciva ad essere colmato. Era dura da ammettere, ma era così. Era innamorato. Per la prima volta, quando pensava a qualcuno, gli batteva il cuore, come non gli era mai capitato prima d’allora.

Si lasciò cadere di petto sul letto e, con il volto sul cuscino, sfogò la sua collera, piangendo.

Ehi.

La voce. La sua voce. Era tornata.

Lasciami in pace.

Perché ti comporti in questa maniera?

Non ho voglia di parlare. Cristo sembro un pazzo!

No, non sei pazzo. Sei solo innamorato.

Dimmi se è normale sentire nella propria testa una voce che, a parer mio, non esiste.

Io esisto, Tomi. Esisto eccome. E sai perché riesci a sentirmi?

Non voglio saperlo.

È il legame, Tomi. È il legame che c’è tra me e te. Si chiama telepatia.

Non so che cosa mi leghi a te. Non mi interessa saperlo.

E invece sì. Lo scoprirai, ben presto.

I suoi pensieri vennero interrotti improvvisamente dalla vibrazione del cellulare. Gli era arrivato un messaggio, molto probabilmente. Si mise seduto sul letto sfatto e prese il cellulare posto sul comodino accanto a lui. Pigiò sul tasto in modo tale da illuminare lo schermo. Erano presenti due messaggi:

Andreas: visualizzato alle 14:57

Ehi imbecille, dormi ancora? Possibile che tu ti sia distrutto così tanto ieri? Chiamami appena ti svegli.

Tom sorrise e rispose al messaggio:

Mi sono alzato poco fa. Più tardi ti chiamo.

Inviò il messaggio e quando andò a visualizzare il secondo messaggio, gli si bloccò il cuore. Era lui. Il numero era ancora salvato con il nome ‘Valerie’. Il messaggio era secco, breve, freddo, privo di significato.

Valerie: visualizzato alle 14:59

Io li ammazzo.

Inizialmente non capì. Non aveva senso quel messaggio. Non voleva girare intorno al discorso, per questo, decise di chiamarlo.

Uno, due, tre squilli. Al quarto rispose una voce tremante, arrabbiata e singhiozzante. Stava piangendo.

Oddio, Tom. Oddio!

Era praticamente disperato.

Io li ammazzo, Tom. Li ammazzo.

Tom continuava a non capire.

Val.. Fanculo! Non so nemmeno come cazzo ti chiami. La smetti di piangere. Cosa cazzo vuoi?

Sono io, Tom. Sono Bill.

Silenzio.

Tom? Tom dimmi che ci sei ancora!

Sì, Tom era ancora in linea. Era rimasto pietrificato. Quel nome, quel nome gli ricordava qualcuno. Gli ricordava qualcuno di speciale. Qualcuno che, tempo fa, per lui, era di vitale importanza. Ma chi era realmente?

Lasciami spiegare. Vieni da me.

Cosa vuoi, ancora?

Tom continuava a non capire.

Smettila di sprecare tempo così. Cazzo, vieni!

Urlò e, subito dopo, terminò la chiamata. Il telefono di Tom, ben presto, fece un viaggio contro la parete beige della sua camera, finendo in pezzi. Si mise le mani fra i capelli e si accasciò sul letto. Subito dopo, giunse le mani in preghiera e le portò vicino le labbra:

«Non ho scelta.» disse. «Non ho scelta, devo andare!» si alzò rapidamente dal letto e, una volta fattosi una doccia rapidissima, prese i primi vestiti che gli capitarono in tiro e uscì di casa, senza nemmeno salutare Simone.

 

In macchina stava letteralmente tremando. Le mani non riuscivano a tener fermo il volante. Fortunatamente, quella mattina, Berlino non era trafficata come lo era solitamente. Il piede premeva contro l’acceleratore in maniera del tutto incontrollata; stava sfrecciando per la strada come se stesse gareggiando con qualcuno, su di una pista da rally.  La sua mente era completamente vuota. Vagava soltanto un nome, in quel momento: ‘Bill’. Forse, dopo anni di buio, una luce stava cominciando ad apparire nella sua vita. Quella vita che, prima di incontrare Bill, era vuota e priva di senso. Aveva capito che, molto probabilmente, l’essere innamorato di un ragazzo, non era poi così sbagliato. Ma chi era davvero Bill? Cosa centrava lui nella sua vita? Perché gli aveva detto: ‘Sono io. Bill! ’ La sensazione di averlo già visto, quindi, non era del tutto errata. Perché allora non ricordava né chi fosse, né come l’aveva conosciuto. E perché Bill, soltanto dopo il litigio, gli aveva svelato la verità? Nemmeno lui allora ricordava con esattezza chi fosse? La risposta a tutte queste domande che si stava ponendo, era unica e sola; la risposta era proprio lui, Bill. Soltanto lui avrebbe potuto colmare i vuoti di memoria; e forse, avrebbe potuto dare un senso a tutti quei flashback che continuavano a perseguitarlo. Quei due ragazzini. Quei due ragazzi potevano essere loro due, forse? Sì, doveva essere così. Non c’era nessun altra spiegazione logica.

Poco dopo arrivò a casa di Bill. Lui l’attendeva seduto sui gradini che conducevano al proprio portone. Stava fumando la quarta sigaretta, probabilmente – visto i tre mozziconi spenti che giacevano accanto ai suoi piedi. – voltava il proprio sguardo a destra e a sinistra. Stava forse aspettando Tom?

Parcheggiò poco lontano dalla sua abitazione, spense l’autovettura, mise la sicura e si avviò verso casa del ragazzo. Ogni passo che faceva, era una morsa allo stomaco. Non si era mai sentito così. Come le chiamavano le ragazzine innamorate? A sì; in quel momento era perseguitato dalle cosiddette farfalle nello stomaco. Un bruciore interno lo invadeva da capo a piedi. Non aveva nemmeno il coraggio di guardare diritto. Ogni passo, lo faceva con il capo chino, guardandosi le punte consumate delle proprie AirMax bianche. Qualche altro passo e si ritrovò difronte a lui.

Bill, non appena vide la figura di Tom davanti a sé, scattò in piedi. Gli vennero improvvisamente le lacrime agli occhi. In quel momento avrebbe voluto saltargli addosso e gettare attorno al collo di Tom le proprie braccia; ma rimase fermo lì, immobile davanti a lui.

I due ragazzi si guardarono per pochi attimi senza dir nulla. Entrambi esitarono. Nessuno dei due riusciva a dir qualcosa. Solo dopo un interminabile minuto di silenzio, uno dei due si fece coraggio e proferì parola.

«Cosa vuoi? Per quale motivo mi hai chiamato?» pronunciò in tono freddo e distaccato il rasta; tenendo basso lo sguardo dimodoché non si trovasse ad incrociare lo sguardo di Bill.

Bill fece un lungo sospiro. Chiuse gli occhi e cercò di trovare le parole giuste per affrontare il discorso.

«Mi sei mancato da morire.» cominciò lui, schioccandosi le dita delle mani in maniera decisamente troppo nervosa. La sua voce cominciò a tremare improvvisamente. Si sentiva un vero e proprio stupido. Ma doveva parlare. Doveva farlo.

«Sì, okay. Ma perché mi hai chiamato?» Tom continuava ad essere freddo e distaccato.

«Possibile che non ti ricordi nulla? Nemmeno dopo averti detto il mio nome?»

Tom continuava a non capire. Che cosa doveva ricordare?

«Senti, non capisco dove tu voglia arrivare. Comincio a stufarmi. Mi vuoi dire per quale motivo mi hai chiamato oppure devo girare i tacchi ed andarmene?» Finalmente, Tom, posò lo sguardo sugli occhi lucidi e tristi del ragazzo in piedi difronte a lui. Notò la sua amarezza, la sua tristezza. Si vedeva che doveva dirgli qualcosa. Molto probabilmente non aveva il coraggio di affrontare il discorso. Lui però, non era per niente una persona paziente. «Guarda, non voglio essere sgarbato, ma mi stai davvero facendo girare i coglioni!» Bill prese a singhiozzare. Per quanto la voglia di parlare fosse grande, la paura di essere giudicato pazzo, era di più.

Tom attese qualche altro attimo, ma quando notò che dall’altra parte non c’era alcun interesse di chiarire la situazione, stizzito, lo mandò a quel paese, accompagnando il ‘vaffanculo’ con un bel gesto della mano.

«Tomi, non te ne andare!»

Il moro lo afferrò inaspettatamente per un lembo della maglia, trattenendolo ed impedendogli di andarsene. «Non so come dirtelo. Non so come tu potresti reagire.» continuò

«Almeno provaci, cazzo! Provaci!» Tom si liberò violentemente dalla presa, costringendo Bill a fare qualche passo in avanti. «Sei sparito. Non ti sei fatto vivo. E poi? Poi te ne esci che mi devi parlare, e non mi parli. Insomma, decidi te cosa devi fare. Non voglio perdere altro tempo con te. Mi stai facendo esasperare.»

Tom si passò le mani sul viso, per poi portarle sulla propria testa e afferrare con forza i propri rasta.

«Tom, non è così facile come sembra. Non lo è per niente! »

«Provaci, allora! Come faccio a giudicare o ad esprimere un parere se non mi dici un cazzo di niente! Porco Dio, Bill.»

Bill cominciò a piangere. E cosa poteva fare se non sfogarsi in quella maniera? Tom lo stava letteralmente uccidendo con tutte quelle domande. La colpa, però, era solo e soltanto sua. Era stato lui a chiamarlo per dirgli che doveva assolutamente parlargli. Era stato così facile informarlo per telefono. No avrebbe mai immaginato che, dal vivo, sarebbe stato così difficile. Era un argomento troppo delicato. Eppure, nemmeno lui riusciva a crederci. Finalmente tutto aveva un senso; anche se, per quanto chiaro fosse, non riusciva a trovare le parole giuste per spiegarlo. Come poteva cominciare un discorso del genere? Come poteva far credere a Tom ciò che stava per riferirgli se, stranamente, nemmeno lui ancora ci credeva.

«Tomi.. Io…. Io sono.»

Forza Bill. Ce la puoi fare. Ce la devi fare. Dillo! Dillo!

Nella sua mente, Bill, cercava di darsi quanto più coraggio possibile. Quel coraggio che però, non riusciva a trovare.

Dal canto suo, Tom, cominciò a stizzirsi. Non aveva mai avuto riconoscimenti per la sua pazienza.

«Senti, Bill, se entro un secondo non mi dici tutto quello che hai da dire, quanto è vero iddio, me ne vado! »

La rabbia cominciò a fargli ribollire il sangue che, di conseguenza, schizzò dritto al cervello, provocandogli un forte mal di testa. Bill non volle sentire ragioni. Era più forte di lui. Come poteva raccontargli di una cosa così delicata? Lo avrebbe preso per un pazzo paranoico o peggio, per uno psicopatico. Ma cosa aveva ancora da perdere? Che cosa poteva accadergli di peggio? Niente. Tutto ciò che lo aveva ucciso, era già capitato. Adesso, però, non poteva permettere di essere soffocato ancora una volta. Doveva reagire. Doveva riprenderselo. Doveva riprendersi la sua vita. La sua vera vita. Ad ogni costo. Ma la paura di essere giudicato, era più forte di lui. Più grande di qualsiasi cosa.

«Cristo santo! Basta. Non ti voglio dar conto! Mi stai facendo perdere solo del tempo.» Tom stava per andarsene. Ma, improvvisamente, Bill lo afferrò per un lembo della t-shirt e lo trattenne. Poi, ciò che disse, venne tutto in maniera automatica. Si era finalmente sbloccato.

« .. Sono tuo fratello, Tom.» Silenzio. Un interminabile silenzio. «Tuo fratello.»

Ci era riuscito. Ce l’aveva fatta. Aveva finalmente vuotato quel magone che si stava portando in corpo; ma, dall’altro lato, non ci fu risposta. Restò muto. Con gli occhi quasi spalancati e la bocca semi aperta, continuava a guardare Bill. Sembrava un fantoccio privo di vita. Una bambola di pezza. Una statua di cera. Non ci fu reazione. Improvvisamente e, inaspettatamente, Bill gli gettò le braccia intorno al collo. Cominciò a piangere, bagnando il colletto della t-shirt, sporcandolo involontariamente di trucco.

«Dio Tom. Ora mi è chiaro. Mi è chiaro tutto.» cominciò. «Per anni l’hanno tenuto nascosto. Per anni. Ma adesso siamo… Siamo di nuovo insieme. Tu ed io. Non permetterò a nessun altro di portarti via da me. Non questa volta. Ora capisco il sentimento che ho subito provato per te. Ora capisco per quale motivo non riuscivo a trovare la persona giusta o non provavo nulla per nessuno. Infondo all’anima, inconsciamente, io sapevo di appartenere a te. Ti sono sempre appartenuto. Noi ci siamo sempre appartenuti. Fin dall’inizio.» riprese fiato. Singhiozzava.

Tom non proferì parola. Improvvisamente, afferrò Bill per le spalle o se lo scrollò di dosso. Lo guardò dritto negli occhi. Cercava una risposta? Cercava la verità? Stava dicendo solo un mucchio di cazzate, oppure era tutto vero ciò che gli aveva appena riferito. Continuò a fissarlo in quegli occhi che, fin dal principio, sapeva di aver già visto; quegli occhi che, ora come ora, erano abbottati di nero, gonfi e rossi per via delle troppe lacrime. Bill si sentì morire. Quello sguardo… Quello sguardo lo ricordava perfettamente. Ogni qual volta si posava su di lui, gli mozzava il fiato; quasi come se stesse per morire. Gli bloccava il battito del cuore per un istante, congelandogli il sangue nelle vene. Lui, solo lui era in grado di dargli questo effetto. Nessun altro.

«Lascia che ti spieghi com’è andata, Tom. Lasciami raccontare. Mio... Nostro padre ha confessato tutto. Per anni, Tom, per anni ci hanno tenuti nascosti gli uni dagli altri. Mi ha mentito sulla morte di mamma. Mi ha mentito sulla tua morte. E tua… Nostra madre… Ti ha mentito sulla mia morte o peggio. Forse non hai mai saputo della mia esistenza. Ma adesso... Adesso è tutto chiaro. Voglio solo aiutarti a ricordare, Tom. Ti prego. Ricorda tutto. Non chiedo altro!»

Singhiozzò, intrecciando nuovamente le braccia attorno al collo del fratello. Questa volta, Tom, non restò impassibile. Lentamente, avvolse l’esile corpo del ragazzo che si trovata di fronte. Socchiuse leggermente gli occhi e sprofondò nei suoi capelli corvini. Inspirò tutta l’aria che poté trattenere nei polmoni, in modo tale da poter svanire in quel profumo così fresco e delicato che emanava Bill. Un profumo che, in fondo al suo inconscio, aveva già sentito. Era così famigliare. Tutto, di lui, era così famigliare. Possibile che non se ne fosse mai accorto? Sebbene ancora non avesse capito del tutto la situazione, sapeva benissimo che non stava raccontando fandonie. Il modo in cui lo avesse messo a conoscenza della situazione – seppure in parte – gli aveva fatto capire quanta sofferenza ci fosse nelle sue parole e, se non fosse stato vero, non avrebbe mai avuto quella reazione.

Lo strinse ancora più forte. Ancora. E ancora. Quasi come volesse far parte del suo corpo. Bill tirò su un sospiro e si lasciò andare fra le sue braccia, di nuovo.

«Siamo insieme, ora. Tom, non ci separeranno mai più. Mai!» per quanto forte lo stesse abbracciando, provò a stringere ancora di più la presa, come se si volesse fondere con lui. Lo avrebbe fatto, se solo fosse stato possibile. «Voglio che tu sappia com’è andata! »

Bill si allontanò, seppure svogliatamente, dal sicuro abbraccio di Tom, per poterlo guardare negli occhi ed attendere una risposta. Dal canto suo, Tom, non sapeva né cosa fare, né come comportarsi, né cosa dire. Ancora non riusciva a capire. Non aveva ancora assimilato quell’unica informazione vitale che Bill gli avesse fornito, figuriamoci un intero discorso. Ma doveva assolutamente sapere come fosse andata realmente. Non poteva accettare tutto così, su due piedi, senza venire a conoscenza di tutto, alla perfezione. Doveva ricordare, doveva ricordare ancor meglio. Anche se, finalmente, tutto aveva un senso.

Quella voce. Quella voce era lui. Suo fratello. Quando sentiva continuamente quel ‘sono io, Tom’ era la sua voce. Al sol pensiero, gli vennero i brividi. Mi hai trovato, Tom. Ora devi solo ricordare.

Stupido. Era stato solo un grandissimo stupido. Perché non riusciva a capire sin dall’inizio? Perché? Quale era il problema? Per quale motivo sua madre, Simone, gli aveva nascosto una cosa così importante?

«Dammi questa opportunità, Tom. Dammi la possibilità di raccontarti tutto. Per favore.»

Tom non proferì parola per qualche istante; dopodiché, sospirando e buttando fuori l’aria accumulatasi nei polmoni, fuori dal naso, annuì, socchiudendo leggermente gli occhi.

«Okay, Tomi. Adesso dobbiamo solo andare via da qui. Andiamo al parco, d’accordo? Ti spiegherò tutto. Ogni cosa.»

Bill gli tese la mano. Inizialmente, Tom fu scettico. La guardò per qualche istante, senza afferrarla; ma una volta che Bill la protese ancora di più, sfoggiando uno splendido sorriso, Tom si tranquillizzò, ricambiò il sorriso e strinse delicatamente la mano magra ed affusolata del fratello.

«Sai…» improvvisamente, un suono flebile uscì dalla sua bocca. Bill lo invogliò a proseguire e a continuare quella frase che stava per cominciare. «…sono convinto che ricorderò tutto.»

Non appena sentì quelle parole, Bill sfoggiò un meraviglioso sorriso smagliante. Gli davano sicurezza, quelle parole. Lo aiutavano ad accumulare fiducia sia nei suoi confronti che in quelli del fratello.

   
 
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