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Tutto bene, sospirone di
sollievo e mille grazie per tutti gli auguri che ho ricevuto.
L'operazione agli occhi è stata un successo YAY!
Capitolo nuovo e forse anche un altro fra non molto.
Perdonate l'attesa.
Mel Kaine
The Heart of Everything
27 -
/What about us? /
Il pranzo quel
giorno fu completamente diverso.
Harry si
presentò a tavola con rassegnazione, pronto a mangiare come al solito
tutto e certo di sentirsi male dopo.
Invece il suo
piatto non era pieno come sempre, non poté impedirsi di guardarlo
sollevato, ma subito alzò lo sguardo per vedere se i due signori lo
avevano visto. Era da stupidi essere contenti perché ti hanno dato poco
cibo, Harry lo poteva capire, ma non era riuscito a trattenersi.
Il signore con
i capelli chiari lo guardava attentamente e gli sorrideva. Harry
pensava ogni volta che avesse un sorriso gentile e se non fosse stato
uno dei due signori che lo avevano portato via dal suo uomo-Sevreus
Harry, forse, lo avrebbe anche trovato simpatico, almeno un pochino, ma
non poteva dimenticarsi di quel giorno orribile in cui li avevano
separati.
L’altro
signore, invece, non si era accorto di nulla, ma Harry se lo aspettava.
Sembrava spesso perso in un mondo tutto suo, come faceva a volte Harry,
solo che le fantasie del signore non dovevano essere tanto belle, ogni
volta sembrava sempre più scuro in viso.
“Va meglio
così, Harry?” chiese Lupin.
“Sì, signore”
rispose il bambino.
Immediatamente
Sirius abbandonò i suoi pensieri per unirsi alla curiosa conversazione.
“Cosa, Remus?
Ci sono problemi?”
“No, al
contrario – sorrise il licantropo. – Semplicemente ho maturato il
pensiero che se Harry è così magro perché ha mangiato poco prima di
arrivare qui cercare di fargli riprendere peso a tappe forzate,
riempiendogli il piatto, non è la scelta migliore. Credo che Harry
preferisca mangiare meno e forse, un po’ più spesso, dico bene, Harry?”
Il bambino alzò
lo sguardo su di lui.
Ecco, allora
era stato il signore dai capelli chiari a pensare a quello. Certamente
non poteva essere stato l’altro signore.
Il piccolo
Harry lo guardò negli occhi, come gli aveva insegnato il maestro e gli
rispose:
“Sì, grazie
signore Lupo”.
Remus scoppiò a
ridere per la quanto mai adeguata storpiatura del suo nome, ma quando
incrociò gli occhi di Sirius vide la tempesta in quelle iridi e tornò
serio.
Il suo amico
doveva essere furioso.
Con quella
frase il bambino aveva reso chiaro che sapeva perfettamente i loro nomi
( o quasi perfettamente ) e che l’unico motivo per il quale non li
usava era che non ne aveva nessuna intenzione.
Temendo di aver
fatto peggio nel tentativo di fare la cosa giusta Remus si affrettò a
cambiare discorso.
Quel pomeriggio
Harry non si sentì male e appena poté corse nella sala dei libri per
sedersi accanto alla poltrona e fantasticare sul suo uomo-Sevreus.
Ecco, adesso
erano in un bosco, e i due signori li rincorrevano, anche se quello con
i capelli chiari non sembrava tanto convinto, ma lo faceva perché gli
era stato detto dall’altro. E loro scappavano e si rifugiavano in una
casetta di legno dove il maestro tirava fuori le sue pentole enormi e
creava un liquido magico super-forte. Poi si nascondevano fra i rami e
quando il signore passava loro gli gettavano addosso un secchio con il
liquido magico e subito il signore si dimenticava perché li stava
inseguendo, diceva loro buongiorno e spariva. Così Harry ed il Maestro
potevano fare una gita nel bosco e vedere gli animali e accendere un
fuoco e fare merenda.
Piano piano si
addormentò, un po’ più sereno.
Ancora incerto
se parlare o meno a Sirius della lettera e dei suoi sospetti Remus lo
lasciò da solo, fino a che non fu proprio il suo vecchio amico a venire
a cercarlo.
Sembrava più
calmo, ma Remus poteva sentirlo sulla pelle, Sirius aveva accusato il
colpo e forse non lo aveva incassato così bene come voleva fargli
credere.
Comunque quel
pomeriggio sembrava deciso a ritentare la fortuna con il bambino. Aveva
persino comprato dei dolcetti per la merenda.
Ma quando
trovarono il bambino, ancora in terra, ancora nella biblioteca,
nuovamente addormentato, Sirius chiuse la porta e sbottò.
“Possibile,
Remus? Sono giorni, giorni che sta lì in terra, come… come un cucciolo
abbandonato, dannazione. Non so nemmeno se sia normale per un bambino
dormire così tanto di giorno…”
“Non saprei
proprio, Sirius, non ho consigli utili in questo campo, sai che di
bambini ne so quanto te…”
“Eppure non
sembrava. A pranzo la tua scelta, a differenza della mia, ti è valsa un
ringraziamento personalizzato”.
Remus si
aspettava quel commento ed era più che felice che il suo vecchio amico
se la prendesse con lui piuttosto che con il bambino. Lupin sapeva che
non doveva essere facile per Sirius, non doveva esserlo affatto. Su di
lui gravavano troppe responsabilità e nonostante tutta la sua
spavalderia Sirius non si era affatto rimesso dai suoi anni di
prigionia.
“Suvvia,
Sirius, non avertene a male. Devi sapere che non sono stato io ad avere
quell’idea, anche se sì, ho voluto fare il grand’uomo, lo ammetto” e
rise, alleggerendo la tensione fra loro.
Questo attirò
subito l’interesse di Sirius, così come Lupin si aspettava.
“Che vuoi dire?”
“Volevo
mostrartela ieri, ma era tardi. La lettera misteriosa. Non è altro che
una serie di consigli su come occuparsi del bambino. E’ là che ho
trovato quell’idea”.
“E chi te l’ha
mandata? Albus?”
“Minerva”.
“Minerva?”
“Già. Come te
non so che pensare. Credo sia meglio parlarne con Albus al più presto.
Ci sono molte cose che non capisco, Sirius, sinceramente”.
“Mh. Il
problema è che non so quando potrò essere presente. Le cause per i miei
beni venduti illegalmente stanno per cominciare”.
“Lo capisco, ma
dobbiamo trovare il modo, sento che è importante, Sirius”.
Il mago dai
capelli scuri si passò una mano sul viso.
“D’accordo,
farò quello che posso”.
‘Maestro
Sevreus’
‘Maestro
Sevreus’
‘Maestro
Sevreus’
Snape si alzò
di scatto dalla scrivania su cui stava studiando testi antichi.
Era notte
fonda, ma non aveva avuto desiderio di dormire.
Non poteva
certamente convincersi adesso che era stato il vento o l’alcol o il
dolore.
L’aveva sentito
distintamente.
Risuonare fra
le pareti della sua testa, triste e disperato.
Harry.
“Harry, come
stai?” chiese a voce alta.
Forse stava
impazzendo, forse no.
Scrivere quella
lettera l’aveva fatto sentire utile giusto il tempo di scriverla.
Naturalmente non avrebbe mai potuto firmarla con il proprio nome, quel
cane bastardo di Black l’avrebbe bruciata prima di consegnarla al
dannato lupo mannaro e i consigli che sperava leggessero erano più
importanti di una lurida questione d’orgoglio.
Ma anche quella
luce di conforto si era già spenta e la sensazione che Harry non stesse
bene, che fosse disperato ( come lui? ) si era conficcata nella sua
testa come quella voce che lo chiamava.
Aveva ripreso
in mano le redini della sua vita molte volte in quegli anni, uscendo da
qualsiasi situazione, ma adesso si sentiva stanco.
Forse una di
quelle notti sarebbe andato da Albus e lo avrebbe salutato, per sempre.
Con qualcosa
nello stomaco e meno fame Harry si sentiva un po’ meglio, ma i giorni
felici li aveva ormai dimenticati. Il signore cercava di passare del
tempo con lui ed Harry non si sarebbe certo permesso di evitarlo, ma
avrebbe voluto. Quello che faceva o diceva semplicemente non gli
interessava. Harry non sapeva niente di un certo gioco che il signore
chiamava ‘quinci’ e qualcosa e non capiva nemmeno perché il signore
sembrava convinto che Harry dovesse per forza volerlo giocare
assolutamente. Harry non voleva giocare. Voleva imparare. Voleva
conoscere, scrivere, leggere. Tutte quelle cose che il Maestro aveva
cominciato ad insegnargli e che a Harry piacevano tantissimo. E poi
Harry non avrebbe giocato a niente se non poteva avere la sua palla, il
suo primo ed unico regalo di Natale. Sapeva che il signore spesso si
comportava meglio di suo Zio Vernon e non lo picchiava e non gli urlava
brutte parole quando Harry non mostrava interesse, ma tutto era diverso
ora.
Il Maestro gli
aveva spiegato che Harry doveva fare quello che sentiva giusto, quello
che voleva, a patto che non andasse contro le regole buone dei grandi
buoni, quelle che ‘vigevano’ per proteggerlo dalle cose che ancora non
conosceva o capiva.
Harry sapeva
cos’era un padrino e se davvero il signore era il suo padrino Harry
poteva capire perché cercava di passare il tempo con lui, ma quello che
non poteva perdonare al signore, al nonnino e anche al signore coi
capelli chiari era di non aver chiesto cosa voleva Harry.
Avevano
sbagliato.
Per la prima
volta Harry lo sapeva.
Quei grandi
avevano sbagliato.
Era libero di
saperlo, di sapere che anche i grandi sbagliavano e che avevano
sbagliato con lui. Che non era Harry ad essere il solo a sbagliare.
Questo, questo
era stato il regalo d’addio del Maestro.
E mai, niente,
mai, davvero mai, sarebbe stato altrettanto bello e importante.
“Maestro
Sevreus…”
“Sì,
Harry?”
“Harry
può…”
“Harry…”
un tono di lieve rimprovero.
“Oh,
sì, Maestro. Scusa, Maestro. Posso chiedere cosa stai facendo, Maestro?”
“Certo,
chiedere è sempre permesso. Lo scriverai per me dopo e lo metteremo nel
tuo quaderno delle regole”.
“Sì,
Maestro!”
Silenzio.
Il bambino lo guardava, rapito.
“Cosa
fai, Maestro?”
“Sto
creando una pozione, Harry”.
“Cos’è
una pozione?”
“È
un liquido magico con delle proprietà, cioè delle caratteristiche,
diverse a seconda degli ingredienti che vengono usati per prepararlo.
Lo studio di come riconoscere tutti gli ingredienti ed i loro
molteplici, che vuol dire ‘tanti’, usi è quello che io insegno in
questa scuola”.
Il
bambino lo guardò negli occhi, la piccola bocca schiusa in una ‘oh’
sorpresa, la testolina piegata di lato, come sempre quando qualcosa lo
lasciava perplesso.
“Ma
il Maestro non insegna a cucinare?”
Severus
soffocò una risata mentre immaginava che faccia avrebbero fatto i suoi
studenti se mai avessero sentito una cosa simile. La sua reputazione
sarebbe crollata come un castello di sabbia. Fortunatamente quei
momenti erano solo loro e Snape era un ottimo Occlumante.
“Per
quelle persone che non conoscono la magia potrebbe sembrare un piatto
cucinato con ingredienti strani, Harry. Ma noi siamo maghi e pozioni
come questa possono aiutarci a salvare la vita di altre persone e
ottenere la soluzione a molti problemi”.
“Il
Maestro salva le persone?”
“Occasionalmente,
Harry”.
Il
bambino batté le manine, estasiato.
“Il
Maestro è un eroe, Harry lo sapeva!”
“No,
Harry, non credo ci sia nessuno né in questo mondo né in un altro che
possa considerarmi un eroe”.
Labbra
tirate in un leggero broncio.
“Harry
c’è. Per Harry il Maestro è un eroe, un grande eroe”.
Quanto si era
sbagliato, ma ormai doveva già essersene accorto.
Severus Snape
non era e non sarebbe mai stato un eroe per nessuno.
Si destò da
quell’ennesimo ricordo con apatia.
Non provava più
nemmeno dolore.
Solo
desolazione.
Quei ricordi
invadevano spesso la sua mente, durante il sonno travestiti da sogni e
adesso anche di giorno, come stupide fantasie a occhi aperti.
Frammenti
perduti, come petali caduti da steli marroni ed appassiti.
Il tempo li
avrebbe ricoperti di polvere come la cornice con la foto di Lily,
sfocando i contorni dei visi, lasciando solo una vaga sensazione di
aver perso qualcosa (tutto) nello scorrere di un tempo non voluto e
tiranno.
‘Maestro,
cosa fai?’
Le domande di
Harry, la sua voce, rimanevano nell’aria a lungo, anche dopo che le
fantasie si erano assopite ed egli sempre rispondeva loro, come se
conversassero, lui ed il suo bambino, di nuovo.
“Aspetto una
vita in cui riavrò tutto quello che ho perso, Harry” mormorò.
Ma gli unici
occhi che si fermarono a guardarlo erano quelli delle stelle nella
Torre di Astronomia.
Continua…
Nota
grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
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