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Autore: Makar    11/05/2014    1 recensioni
“Vedo ma soprattutto sento che c'è qualcosa di più in quel ragazzo, qualcosa di anormale, senza una spiegazione valida. Ne sono del tutto certa quando nei suoi occhi noto che le iridi non sono di un colore naturale. E' un colore acceso, molto intenso, che esprime tanta aggressività.
E' il colore degli occhi di un animale.
Quello di un lupo.
Poi penso a quelli del ragazzo della biblioteca. I suoi sono così freddi da congelarti il sangue.
Devono per forza avere qualcosa di più, qualcosa di spaventoso.
Di proibito.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
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Uno spiraglio di luce entra dalla finestra e mi stuzzica le palpebre, obbligandomi ad aprire gli occhi e a svegliarmi parzialmente. Mi giro nel letto, osservando l’ora sulla sveglia.
Sono solamente le sette del mattino, e siccome è sabato, posso dormire fino a tardi.
Tiro le coperte fino sopra il naso, annusando il profumo della scorsa sera che ancora non se n’è andato. Sto per ricadere nel sonno quando il mio telefono comincia a vibrare senza sosta, e dopo qualche grugnito disperato, rispondo.
«Pronto?» mugugno, ancora semiaddormentata.
«Danaë, dove sei?» strilla l’inconfondibile voce di Ellie, infuriata come non mai.
«Io.. sono a.. c-casa.»
«Sarà meglio che tu mi venga a prendere immediatamente se hai intenzione di parlarmi ancora.» piagnucola, stizzita.
«Dove sei?»
«Dagli Evans. Sbrigati!» dice, per poi riattaccare bruscamente.
Affondo la faccia nel cuscino e strillo esasperata, per poi alzarmi a fatica, trascinandomi verso le scale ed arrivare in cucina, sbadigliando a bocca spalancata.
Mia madre è già seduta al tavolo e sorseggia una tazza di caffè, con gli occhi puntati sulla televisione, che sta trasmettendo il solito giornale del sabato mattina.
Osservo meglio i suoi lineamenti: ha i capelli di un castano cioccolato uguale al mio, e il mio naso è la copia esatta del suo. Se non fosse per gli zigomi, la forma del viso e gli occhi, potrebbero scambiarci per sorelle, ma avendoli ereditati da papà, sono semplicemente sua figlia. Il volto è invecchiato, ma preserva tuttavia la sua solita bellezza giovanile.
«Ciao, figlia.» mi saluta, riportandomi coi piedi per terra, mentre mi siedo davanti a lei.
«Ciao ma’.» rispondo, acciuffando un waffle che trovo nel suo piatto e azzannandolo come un animale, per poi masticarlo con vigore, forse con troppo vigore.
«Divertita ieri sera? Chi ti ha portato a casa?»
Il terzo grado. Dovevi aspettartelo, ingenua.
Guardo mia mamma, impallidendo, e comincio a balbettare senza sicurezza, cercando di distrarla mentre cerco una scusa valida. Alla fine, decido di dire la verità.
«Un amico.» sussurro, mentre avvampo con violenza. Ho paura di ricevere una sgridata ed una ramanzina sulle solite cose –come il sesso sicuro, di cui mi aveva parlato a soli dodici anni- ma invece, la donna ignora completamente ciò che ho appena detto.
Ti ha sentito, ma ha preferito non commentare. Meglio così.
Stimo mia madre per non essersi soffermata su quell’argomento, ma soprattutto perché non è mai stata iperprotettiva con me in situazioni simili e non. La madre di Ellie, per esempio, non avrebbe mai tollerato che la figlia tornasse a casa dopo l’una di notte.
Ora, effettivamente, temo seriamente per l’incolumità della mia migliore amica, che è rimasta addirittura a dormire a casa di un maschio, con un maschio.
Scuoto la testa, chinandola, ma le parole di mia madre mi costringono a rialzarla per guardarla negli occhi «Non era venuta a prenderti Ellie?»
Deglutisco ed abbasso lo sguardo, e mia madre afferra al volo la mia risposta: Non parliamone. Mi schiarisco la gola e mi alzo dalla sedia, per correre in bagno e prepararmi in fretta, prima che Ellie possa chiamarmi di nuovo più arrabbiata di prima.
Infilo alla svelta un paio di bluejeans aderenti, una maglietta bianca scollata e larga con una felpa grigia, e dimentico di pettinarmi i capelli, spostando di volta in volta le ciocche all’indietro.
Prendo il telefono e le chiavi dell’auto di mia madre –una vecchissima Mercedes degli anni Ottanta- e in pochi minuti raggiungo la casa degli Evans, il cui giardino è stato ripulito da cima a fondo dalla scorsa sera. Mi chiedo quando lo abbiano pulito se la festa è finita da circa quattro ore, se non di meno, ma non mi interessa molto, non adesso.
Scendo dalla macchina e suono il campanello, e non ci vuole molto tempo prima che Blake mi apra la porta. Sorrido radiosa nel vedere il suo viso, ma la gioia si spegne subito, notando che lui è estremamente serio, e freddo. Glaciale.
Non saluta nemmeno, perciò decido che dunque tocca a me cominciare a parlare.
«Ciao, Ellie è in casa?» domando con voce flebile, mentre stringevo i pugni, tentando di non arrossire.
Lui annuisce ed apre un po’ di più la porta, permettendomi di vedere cosa v’è dietro di lui, ma soprattutto, com’è vestito lui.
I miei occhi scendono dal suo viso fino a soffermarsi al petto, coperto solo da una maglietta che lascia intravedere i muscoli scolpiti. Socchiudo la bocca, esterrefatta.
Era così bello, così perfetto, ma terribilmente lontano e freddo. Il mio cervello si pone una domanda importante: cosa gli ho fatto per meritarmi questo trattamento?
Fino a poche ore fa, quel ragazzo era così interessato a me che quasi stentavo a crederci, mentre ora è del tutto indifferente alla mia presenza, come se davanti avesse un postino.
Il mio cuore si crepa un po’, e tutto si ripete di nuovo: ogni occasione che colgo, la spreco miseramente. Allora è solo colpa tua, incapace.
Non posso che dare ragione alla Me interiore, che in un certo senso si diverte nel vedermi soffrire così tanto, per colpa mia. Scuoto la testa, grattandomi un gomito, ma la voce squillante e familiare innegabilmente femminile mi riporta al mondo dei vivi.
«Sei arrivata, finalmente.» sbotta, per poi uscire dall’abitazione, localizzando immediatamente la vecchia Mercedes ed accomodandocisi dentro.
Non sapendo cosa dire, sussurro un “Ciao” senza convinzione e ritorno nella macchina, osservando il portone di legno, nella speranza di vederlo ancora lì.
Ma lui non c’è.
Sospiro sconsolata, ed una volta accesa la macchina, so per certo che Ellie vuole ricevere domande su ciò che le è successo stasera. Ovviamente, solo per essere superiore.
«Tu hai molte cose da spiegarmi.» dico, senza distogliere lo sguardo dalla strada che stiamo percorrendo.
«Ehm, sì. Beh, ieri ho conosciuto un ragazzo, un amico del fratello di Mike, ed eravamo entrambi ubriachi, perciò.. puoi immaginare cos’è successo.» esclama, agitandosi nel suo sedile con un sorriso stampato sulla bocca e stringendosi nelle spalle.
«Tua madre?» chiedo, con un pizzico di soddisfazione nella voce.
Dopo qualche secondo, mi accorgo di ciò che ho provato nel farle quella domanda. Sono davvero soddisfatta nel sapere che la mia migliore amica è nei guai?
Si chiama gelosia, Danaë. mi dice la coscienza, mettendomi a tappeto.
Al sentire quelle parole, Ellie si irrigidisce all’immediato «Le ho detto che ho dormito da te. Spero non sia un problema..» mormora mortificata, grattandosi la nuca.
Faccio spallucce e le riferisco che non c’è nessun problema, finchè lei non mi chiede «E tu, ieri? Hai combinato qualcosa?» e mi spiazza completamente.
Sono confusa e totalmente indecisa se dirle la verità o inventarmi una bugia: se le dicessi la verità, non farebbe che pormi un sacco di domande, e se le dicessi una bugia, sono sicura che non mi chiederebbe ulteriori informazioni. Ovviamente, punto sulla bugia.
«Niente di che. Sinceramente, non ricordo molto.» rispondo, sfoggiando l’espressione più naturale possibile. Ellie sembra convinta, e ringrazio Dio per non aver intralciato i miei piani. Quando arriviamo davanti a casa sua, mi dice grazie e rientra in casa, mentre io spengo l’auto e mi accascio sul volante, chiudendo gli occhi e pensando a ciò che è successo qualche minuto fa, quando ho parlato con Blake.
Ieri sera avevo fatto qualcosa di male, probabilmente, per essere tratta in quel modo, ma non ricordo di avergli fatto qualche torto. Forse, quando ero ubriaca, posso avergli fatto o detto qualcosa che gli abbia dato fastidio, perciò estraggo il cellulare dalla tasca e controllo se per caso gli ho mandato qualcosa: nulla.
Ma allora, perché si è comportato così? Sbuffo esasperata, rilassandomi per qualche secondo. Forse Mike lo sa, ma dopo il quasi bacio di ieri sera, non credo di avere ancora il coraggio di rivolgergli di nuovo la parola. Sono un completo disastro, penso.
Sobbalzo non appena sento qualcuno bussare sul finestrino della macchina, e quando alzo la testa per vedere chi è stato, quasi non riesco a crederci.
Due occhi azzurri e freddi, i tratti spigolosi e due spalle enormi.
E’ il ragazzo della biblioteca, l’hai trovato! esclama la Me interiore, applaudendo estasiata, mentre io tiro giù il finestrino, la bocca socchiusa dalla sorpresa.
«Tutto bene?» mi domanda, inclinando leggermente la testa. Annuisco, arrossendo leggermente, mentre scendo dalla macchina, seguendo un istinto quasi primordiale.
«Penso di conoscerti, ma non ricordo bene chi sei.» constata lui, spostando in continuazione lo sguardo da me al catorcio che ho alle spalle. Prima che possa suggerirgli la mia identità, lui ha già intuito chi sono, ed esclama «Ah sì, tu sei quella che mi è venuta addosso!»
Questa volta, avvampo violentemente, mentre comincio a dondolarmi sui piedi nervosamente e mi chiedo perché la gente riesca a demolirmi con una sola frase.
«Sì, scusami ancora, non ero attenta..» mormoro timidamente, mentre sposto lo sguardo in tutte le direzioni tranne che nella sua. Quegli occhi mi spaventano, ma mi attraggono, e non voglio esserne vittima di nuovo, di quell’incantesimo così pericoloso.
«Come ti chiami?» mi chiede seccamente, arrivando direttamente al sodo.
«Danaë.» rispondo, cercando di smascherare lo stupore di quella domanda e di allontanare tutte le domande a riguardo: perché vuole sapere il mio nome? Gli interesso io, oppure me l’ha chiesto solo per un normalissimo gesto d’educazione?
Non conosco la risposta, perciò ignoro completamente questi “drammi” per ascoltare cos’ha di nuovo da dirmi «Io sono Joe.» e per stringergli la mano che mi ha posto.
Ha la mano gelida, e solo quel contatto fisico mi provoca la pelle d’oca, riportandomi al primo giorno in cui l’ho incontrato: anche allora era freddissimo.
Che fosse una coincidenza? Qualcosa mi suggerisce di no, ma cerco di non rimuginarci eccessivamente, probabilmente perché adesso non mi interessa davvero la sua temperatura corporea. «Io devo andare.» balbetto, mentre lui continua ad osservarmi dritto negli occhi.
«E’ stato un piacere.» replica lui, sogghignando. Ora, più che essere attraente, è spaventoso.
Salgo in macchina alla svelta e guido velocemente fino a casa, cercando di porre la distanza maggiore fra me e Joe, quel ragazzo così bello ma al contempo così inquietante.
Ma soprattutto, così freddo –fisicamente parlando-.
Scendo dalla macchina con ancora il suo ghigno stampato a fuoco nella memoria, quando davanti alla porta v’è una figura che mi da le spalle e che indossa dei jeans ed una semplice t-shirt. Mi chiedo chi sia, e per scoprirlo mi avvicino sempre di più.
Senza che debbia chiedere qualcosa, la figura si volta per guardarmi e quando la riconosco, mi cadono le braccia. E’ davvero lui?
Sì Danaë, è proprio lui. mi conferma la Me interiore, alimentando la mia curiosità.
«Ciao Danaë» mormora la sua voce roca e tranquilla, mentre il mio corpo freme e la mia testa sta per scoppiare. E’ lui.





-don't read me-
Ho approfittato del tempo libero per postare -finalmente!- il quarto capitolo. Ero un po' a corto d'immaginazione, ma mi ero imposta di finirlo entro oggi e finirlo decentemente. Spero lo sia lol Vi prego di farmi sapere tramite recensione la vostra opinione, e non smetterò MAI di ringraziare Alexya_ per le sue puntuali recensioni! Grazie di cuore, veramente!
Detto questo, alla prossima (: 

 
  
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