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Autore: Angel_lily    13/05/2014    2 recensioni
“Le vedi, Albus?” ricordo che mi chiese, ma io non vedevo altri che lui “le stelle” aggiunse, continuando a non rivolgermi quello sguardo che bramavo “ti sembrano tanto lontane?” ricordo che sospirai, sdraiandomi accanto a lui e fissando gli occhi in quell’infinito tetto luminoso che minacciava di sommergerci ed avvolgerci, ma non avevo paura e non mi sentivo sopraffatto: nemmeno l’immensità dell’universo riusciva a farmi sentire debole quanto il suo profumo di sole e neve.
“Sono irraggiungibili” risposi, allungando una mano come per afferrarle.
“Oh no” mi contraddisse, voltandosi verso di me e osservando con curiosità il mio inutile e infantile tentativo “Io abbatterò tutti i limiti, Al” sussurrò, costringendomi a guardarlo negli occhi “e ti porterò anche le stelle, se è quello che vuoi”
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Salve a tutti cari lettori.
Mi chiamo e questa è la prima fanfiction in assoluto che scrivo sul mondo magico di Harry Potter, sono innamorata di questa saga da quando ero una bambina e non nascondo che cimentarmi con essa mi ha sempre spaventata e fatta sentire in qualche modo inadeguata. La svolta è avvenuta mentre rileggevo per l’ennesima volta i libri, completamente rapita dalla capacità di J. K. Rowling di dare ai suoi personaggi una caratterizzazione tanto complessa e completa allo stesso tempo.
La One Shot è una Gellert/Albus. Sono stata immediatamente affascinata e rapita dalla storia di questi due grandi maghi, che, sebbene sia solo accennata, ha un potenziale tanto carismatico da poter essere considerata uno dei perni principali dell’ultimo libro della saga. Non ho potuto resistere al pensiero di un giovane Silente, innamorato e conquistato dalla prima vera persona della sua vita con la quale potesse confrontarsi senza usare solo la metà della propria intelligenza! Non aggiungo altro e vi lascio alla storia ^^ spero ardentemente che possa piacervi!
Buona
lettura!

 

 

Ricordo ogni dettaglio di quel momento, persino il più insignificante.

Ricordo che la notte era limpida e che nei suoi occhi argentei brillava il pallore della luna, ricordo come si rifletteva sulla sua pelle chiara, dandole sfumature perlacee e luminescenti; ricordo il canto dei grilli e il continuo suonare di una musica indefinita, proveniente da chissà dove; ricordo la sensazione del vento fresco sul viso e il bisogno di correre dietro il suo entusiasmo per non perdermene alcun istante: ricordo il modo in cui mi faceva sentire vivo.

Gellert aspettami!” ricordo di aver esclamato, mentre cercavo di tenere il passo della sua sfrenata corsa verso quell’apparente libertà, attraverso campi di erbetta verde, scuri e infiniti sotto il cielo stellato: tutto il mondo sembrava nostro.

Ricordo come si fermò immediatamente e si lasciò cadere sul morbido letto di terra, per fissare gli occhi nel vuoto, carichi di esaltanti pensieri; ricordo di essermi soffermato per qualche istante a guardarli senza capacitarmi di quanto potessero apparirmi terribili e belli allo stesso istante: aveva le mani intrecciate dietro il capo folto di capelli dorati e il lungo corpo affusolato completamente abbandonato a quella sicurezza che gli è sempre appartenuta, come se niente potesse ferirlo, come se ogni cosa stesse aspettando il momento giusto per sottomettersi al suo volere; e io volevo essere una di quelle cose, una delle sue cose, una cosa su cui lui potesse rivendicare possesso e appartenenza. Volevo appartenergli più di quanto mi piacesse ammettere a me stesso.

“Le vedi, Albus?” ricordo che mi chiese, ma io non vedevo altri che lui “le stelle” aggiunse, continuando a non rivolgermi quello sguardo che bramavo “ti sembrano tanto lontane?” ricordo che sospirai, sdraiandomi accanto a lui e fissando gli occhi in quell’infinito tetto luminoso che minacciava di sommergerci ed avvolgerci, ma non avevo paura e non mi sentivo sopraffatto: nemmeno l’immensità dell’universo riusciva a farmi sentire debole quanto il suo profumo di sole e neve.

“Sono irraggiungibili” risposi, allungando una mano come per afferrarle.

“Oh no” mi contraddisse, voltandosi verso di me e osservando con curiosità il mio inutile e infantile tentativo “Io abbatterò tutti i limiti, Al” sussurrò, costringendomi a guardarlo negli occhi “e ti porterò anche le stelle, se è quello che vuoi” ricordo come non potetti fare a meno di arrossire né di continuare a fissare il suo sguardo sereno e risoluto “Arriverà il giorno in cui l’universo sarà nostro, in cui i nostri progetti diventeranno realtà e non ci sarà nessuno, nessuno, in grado di fermarci” mi rivolse uno dei suoi sorrisi più belli; solo qualche timido filo d’erba lo divideva da me, inerme al suo fianco, a sognare quel giorno insieme a lui “I maghi non dovranno più nascondersi” sussurrò ancora, facendo apparire un fiore con un solo, elegante e fluido movimento della mano “E noi li guideremo verso un futuro glorioso. Siamo destinati a farlo” con delicatezza lo spinse a posizionarsi sul mio petto, all’altezza del cuore, che cominciò immediatamente la sua martellante guerra per uscirmi dal petto “Tu ed io, Albus, siamo diversi, siamo unici” allungò una mano per spostare la ribelle ciocca di capelli che mi cadeva sul viso “per questo troveremo i doni” aggiunse, sorridendomi ancora, come se fosse la più ovvia delle conseguenze “anzi, saranno loro a trovare noi. La bacchetta, la pietra e il mantello… e saremo i padroni della morte” continuò a guardarmi, come se credesse che facendolo avrei potuto trasformare quella notte nel futuro che desiderava per entrambi.

“Vorrei essere te, Gel” ricordo che sussurrai, senza riuscire a trattenermi, lui sbuffò e si mise a sedere, stringendosi le ginocchia al petto, ritornando il ragazzo di diciotto anni, pigro, altezzoso, forse un po’ più fragile di quanto volesse apparire.

“Non dovresti voler essere meno che te stesso!” mi ammonì, il tono contrito e gelido, come se l’avessi appena ferito.

“Che cosa intendi?” domandai, ricordo che uno strano turbamento si impadronì del mio corpo mentre mi mettevo a sedere esattamente come lui: avevo forse detto qualcosa di sbagliato? Lo avevo forse deluso?

“Tu sei brillante e talentuoso” cominciò, e il suo tono risentito mi impedì di prenderli come veri e propri complimenti “non ho mai conosciuto nessuno come te in tutta la mia vita, Albus, nessuno!” si voltò a guardarmi, gli occhi spalancati ancora colmi del colore argenteo della luna piena “non hai motivo di voler essere me. Devi essere te stesso! E devi mettere a frutto i tuoi talenti!” fu allora che scattò qualcosa dentro di me, fu allora che capii che nel suo piccolo mondo di sicurezze io ero la sua unica debolezza: era lui a voler essere me. E questo era inaccettabile.

“Mi riferivo al tuo entusiasmo!” ricordo che esclamai, il cuore e lo stomaco colmi del bisogno di chiarire, di metterlo al corrente di quanto anche lui fosse speciale “al modo in cui mi hai messo a parte dei tuoi progetti e al tuo incredibile carisma! Non avrei mai potuto arrivarci da solo, Gellert! Se tu non fossi venuto qui a trovare Bathilda, io…” le parole mi morirono sulle labbra e lo osservai guardare queste ultime come se avesse potuto tirare fuori da esse la verità con un solo tocco di bacchetta.

“Tu?” mi incitò, ma quelle parole le avevo del tutto perse ormai. Anni di studi e premi di ogni tipo, eccellenze ed accademia, modi garbati, furbizia ed intelligenza, tutto perso di fronte ai suoi occhi bramosi “Albus” mi chiamò, mentre cercavo inutilmente di distogliere lo sguardo e staccarmi da lui “Albus, guardami” obbedii, come in ogni istante e ad ogni suo comando gli avrei obbedito “tu hai paura di quello che provi” sussurrò e solo allora mi resi conto di quanto fossimo vicini, ricordo che qualcosa all’altezza del mio stomaco sussultò, riportando alla mia mente quanto fossi terribilmente impreparato in materia di sentimenti “Ti senti attratto da me ma ti sembra così sbagliato” continuò, leggendomi il cuore come se esistesse per esso un incantesimo pari al legilimens e, allo stesso tempo, non esistesse alcuna occlumanzia per potersene proteggere “Lascia che ti riveli un segreto, Albus” le sue labbra sfiorarono il mio orecchio destro: ricordo quella strana sensazione di abbandono e impotenza, sebbene racchiusa nella tasca dei pantaloni possedessi una bacchetta che unita alla mia abilità avrebbe potuto dargli immediatamente del filo da torcere, ma io desideravo quella debolezza come non avevo mai desiderato nulla in vita mia, nemmeno il potere “non è sbagliato, è dannatamente naturale… non troverai mai più una mente come la mia, esattamente come io non troverò in un milione di anni e in un milione di mondi una mente come la tua, e non mi sentirò mai attratto da nessuno come lo sono da te e non vorrò mai nessuno al mio fianco in tutto questo che non sia tu” le sue labbra sfiorarono la pelle calda della mia guancia, lasciando una scia umida che mi diede brividi del tutto sconosciuti “Io ti desidero Al, e questo non è sbagliato… sei l’unica persona che potrei mai desiderare”

Fu allora che le sue labbra si posarono sulle mie, fu allora che per la prima volta in tutta la mia vita ebbi la sensazione di essere scollegato col mondo, che non mi importasse quanto profondamente potessi perdermi nei meandri di me stesso finché lui fosse rimasto lì a toccarmi come stava facendo, a farmi sentire il suo respiro sul viso, a ripetermi, come un mantra, quanto insieme fossimo speciali e quanto poco avremmo potuto compiere da separati. E il mio cuore ancora si crepa e sanguina mentre continuo a ricordare e realizzo quanto vero fosse, quanto grandi avremmo potuto essere, quanto pericolosi, se il cuore avesse continuato a battere a quelle stesse frequenze.  

Ricordo che mi lasciai sovrastare, ricordo la sensazione dell’erba che si appiattiva sotto il mio corpo e di lui che si insinuava tra le mie gambe, pericoloso e seducente, ricordo di aver desiderato che quel momento non finisse mai, che non smettesse mai di baciarmi, e ricordo di aver messo a tacere la troppo debole voce della coscienza che mi ripeteva in continuazione che era troppo tardi, che Ariana e Aberforth avevano bisogno di me, che non potevo lasciarli soli ancora per molto.

Ma le sue mani erano così calde mentre toccavano la mia pelle, nonostante la calura estiva, erano un dolce conforto, sbagliato e inspiegabile, come tutto quello che lo riguardava. E in cuore mio già lo sapevo, già sapevo che lui non avrebbe mai potuto essere come io desideravo che fosse, non avrebbe mai potuto accompagnarmi per sempre lungo la mia vita, sapevo che in alcuni recessi della sua anima io non avrei mai potuto seguirlo.

Ricordo che annaspai in cerca d’aria e le sue labbra si spostarono lungo il mio collo per darmi la possibilità di respirare, sebbene mi fosse impossibile farlo con la stessa non curanza di sempre, ero acutamente consapevole del modo in cui il suo corpo aderiva al mio, della morbidezza dei suoi baci, dei tocchi leggeri con cui cercava di convincermi che fosse normale che due ragazzi, appena diciottenni, si comportassero in quel modo, protetti dal buio perlato di una notte d’estate, in mezzo ad un campo d’erba sperduto alla periferia di Godric’s Hollow. Mai, mai in tutta la mia vita avrei creduto di poter desiderare tanto qualcosa che non avevo mai conosciuto. La mia voglia di lui era feroce ed esaltante, come il nostro assurdo progetto di trovare i Doni della Morte e diventarne i padroni, di metterci a capo di una rivolta, abbattere chiunque se ne sarebbe opposto, sottomettere i babbani e dare nuova gloria al mondo della magia.

“L’hai mai fatto?” ricordo che sussurrò ad un tratto, i capelli dorati appiccicati alla fronte leggermente sudata, gli occhi chiari quasi trasparenti e umidi, come un velo d’acqua posato su una lastra di ghiaccio.

“No” sussurrai di rimando, sentivo la sua erezione contro il mio bacino e arrossii violentemente constatando che non importava quanto talentuosi e unici fossimo nel nostro infinito e segreto mondo magico, in quel momento eravamo così normali, ed era imbarazzante, terribile ed imbarazzante, ed eccitante come poche delle cose che io abbia mai provato.  

Ricordo che lui sorrise e ricordo quel lampo di feroce soddisfazione che gli attraversò il volto scuotendomi talmente a fondo da farmi sobbalzare e combattere appena per allontanarlo da me, ricordo il suo sguardo incredulo e ferito mentre mi rimettevo in piedi e mi passavo una mano tra i rossi capelli lunghi, turbato e spaventato.

“Devo… tornare… a casa” balbettai, costringendo me stesso a non posare troppo insistentemente gli occhi su di lui, ancora inginocchiato in mezzo all’erbetta con le labbra rosse dei miei baci.

“Che cosa?” domandò, una punta di risentimento nella bella voce cristallina.

“Mi dispiace… noi ci… ci vediamo domani, d’accordo?” mi voltai, con tutta l’intenzione di scappare quanto più lontano da lui e da tutto quello che mi faceva provare.

“Possibile che tu sia tanto spaventato da me?” ricordo che dovetti raccogliere tutto il mio coraggio per voltarmi ancora una volta ad affrontarlo. Era lì, a pochi centimetri da me, in piedi, e il suo tono suonava il solito, tranquillo e gelido, ma io sapevo che era arrabbiato, per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti poche settimane prima e il mio mondo era completamente crollato su se stesso, per la prima volta lo vedevo davvero per quello che era: terribile e meraviglioso “Pensi che non debba combattere anche io contro tutto questo?” mi domandò mentre continuavo a chiedermi come riuscisse a sembrare così sicuro, così perfettamente a suo agio nell’affrontare un argomento tanto delicato “Tu non eri previsto, Albus Silente, sai benissimo che cosa mi ha portato a Godric’s Hollow e la mia cara prozia centra ben poco” sospirai, consapevole di essere sull’orlo di un baratro, poi lui cominciò ad avvicinarsi ed io seppi di essere finito per sempre “Il tuo assurdo tentativo di allontanarti da me è inutile” sussurrò ancora, una volta avermi raggiunto, guardandomi dall’alto al basso “ti ritroverai a tornare, ogni volta, o sarò io a cercarti” mi mise un paio di dita sotto il mento per costringermi a guardarlo “quanto a lungo credi che due anime gemelle possano evitarsi?” ricordo che avrei voluto rispondergli “all’infinito, se necessario” ma sarei stato troppo bugiardo per poterlo sopportare.

E adesso so, o almeno capisco completamente quanto il suo assoggettarmi avesse poco a che fare con il romanticismo, adesso quel ricordo mi fa vergognare di me stesso, e ancora di più perché non devo fare altro che rievocarlo per produrre un patronus completo e potente.

Ricordo di essere crollato ai suoi piedi come se mi avesse schiantato, ricordo il suo corpo seguirmi a ruota, le sue labbra cercarmi, le sue mani esplorarmi, ricordo la calura estiva che mi si appiccicava alla pelle e la leggerissima brezza fresca  che mi provocava brividi nei punti in cui lui mi denudava, ricordo la sua espressione bramosa e feroce, e quel dolce, indescrivibile, insopportabile dolore mentre mi penetrava, un centimetro alla volta, perché mi abituassi alla sua presenza, ben sapendo che non avrei mai imparato a farlo, ricordo di essermi sentito umiliato e felice allo stesso istante, di essermi sentito alla sua mercé, per la prima vera volta nella mia intera esistenza, tanto debole da non valere niente, da non esistere se non nei suoi gesti, nei suoi movimenti, nel suo volermi, nel suo assecondarmi.

Gellert… ti amo…” ricordo che sussurrai, le labbra aperte in un muto ansimo di piacere, gli occhi colmi di lacrime trattenute a cui non avrei saputo, e tutt’ora non so, dare una spiegazione che sia accettabile, ricordo il suo incedere ritmico e controllato, e il suo petto aderire alla mia schiena, mentre mi sollevava il capo stringendo i lunghi capelli per poter respirare a pochi centimetri da me.

“L’amore è debolezza” sospirò, la voce, di solito cristallina, era roca e profonda “Voglio la tua passione, voglio la tua anima e la tua ambizione, dammi la tua potenza, il tuo talento, la tua ossessione. Dammi questo, Albus, e vieni via con me”   

Solo il mio cuore sa che l’avrei fatto se le cose fossero andare diversamente, e forse lo sapeva anche lui.

 

Muovo lentamente la bacchetta perché l’immagine svanisca dalla superfice limpida del pensatoio, un occhio attento si accorgerebbe di quanta fatica mi stia costando, ma fortunatamente sono completamente solo nel mio ufficio.

Respiro lentamente, godendomi la libertà, la leggerezza, cercando tra i miei pensieri i dettagli di quel momento e costatando che non ci sono, non esistono più, che lui non esiste più, e che posso fingere, per un breve e innocuo frangente, di non averlo mai conosciuto.

E’ l’unico modo per affrontarlo senza impazzire.

Albus devi fare qualcosa!” le parole del ministro mi risuonano nella mente “sai che sei l’unico che può farlo! Fermalo prima che sia troppo tardi per tutti!”

Stringo la bacchetta e con un ultimo respiro profondo lascio il mio ufficio.

 

***

 

La cella di Nurmengard è fredda e umida, buia, desolata, lontana dal mondo. La osservo con estrema attenzione, registrandone i dettagli, immaginando una vita intera vissuta tra queste mura.

“Ho fatto un ottimo lavoro, non credi?”

Al centro della stanza, Gellert Grindelwald si erge in tutta la sua maestosità, un sorriso indecente a deformargli il viso perfetto, le braccia legate a due ceppi incatenati e magicamente indistruttibili. Lo osservo per qualche secondo prima di rispondergli, un rivolo di sangue gli cola sul mento, gli abiti distrutti dal combattimento che abbiamo da poco concluso e che mi ha visto vincitore: d’istinto stringo la sua bacchetta, la bacchetta di Sambuco, il primo dono che ora è in mio completo possesso.

“La cosa non mi meraviglia affatto” lui si passa la lingua tra le labbra, non so bene se per inumidirle o mettermi alla prova, ma siamo uomini ormai, e la mia capacità di controllare un inappropriato sentimento è di gran lunga superiore.

“Adesso tocca a te proseguire la mia opera, ti cedo umilmente il passo” mi rivolge un breve inchino continuando ad ostentare quell’assurdo sorriso, un moto terribile di rifiuto mi attraversa il corpo.

“Io non sono come te” pronuncio, bene attento a mantenere un tono che sia calmo e dignitoso.

“Oh no, tu sei sempre stato il più forte, il più temibile, il più talentuoso” questa volta le sue parole sono pregne di una gelida invidia “avrei dovuto sapere che prima o poi saresti tornato a prendermi”

“Sei diventato un mostro”

Guardami, Silente!” esclama, facendo un passo verso di me che sono costretto ad appellare tutta la mia calma per non allontanarmi “sono sempre stato un mostro! E soprattutto, il tuo incubo”

Il cuore mi si spezza nel petto, non avevo tenuto conto che cancellare i ricordi non avrebbe cancellato il sentimento, non avrebbe cancellato questa inutile debolezza che lo vorrebbe ancora diverso, che vorrebbe passare il resto della vita qui dentro insieme a lui, lontano dal mondo.

“Te lo ricordi? Eh?” domanda, gli occhi spalancati e folli “Ti ricordi come mi amavi?” scuoto appena la testa “pensi ancora di poterti liberare di me versando un paio di pensieri in un pensatoio?” non gli rispondo, è possibile che dopo tutti questi anni io sia ancora un libro aperto per lui?  

“Tu non mi hai mai amato, invece” mi costa fatica ammetterlo, vorrei scoppiare in lacrime, e invece mi costringo a rimane immobile e contenuto, mentre lui scoppia a ridere, continuando a guardarmi, confermando quello che non avrei mai voluto sapere, realizzando l’incubo che per tanto tempo mi ha perseguitato, che mi ha impedito di affrontarlo prima, di rivivere il dolore di quel giorno, di quella battaglia, della morte di Ariana, del senso di abbandono, della solitudine, di un amore non corrisposto.

“Te l’ho già detto, l’amore è debolezza” il silenzio che segue è spettrale, interrotto solo dalla sua risata incredula per qualcosa che non comprendo a pieno.

“Addio, Gellert” sussurro.

“IO TI ODIO, ALBUS SILENTE!” sbotta lui, tirando con ferocia le catene che lo tengono fermo, nel vano tentativo di raggiungermi, esco dalla cella mentre le sue grida mi seguono, parole urlate al vuoto che non mi sforzo nemmeno di decifrare per paura che possano toccarmi troppo a fondo.

Alzo ancora una volta gli occhi verso la prigione “Per il bene superiore” è scritto a grandi lettere e in quello stesso istante decido di adottarlo come giustificazione verso me stesso, o almeno verso la parte più debole di me, per aver appena lasciato a marcire l’unico amore della mia vita. Giro su me stesso e mi smaterializzo per poi riapparire di nuovo nel mio ufficio, solo e tremante, mi lascio cadere in ginocchio e prima di riuscire a darmi un contegno sono piegato su me stesso a singhiozzare il mio dolore mentre lentamente mi ripeto che non permetterò mai a nessuno di soffrire al mio stesso modo, che dedicherò la mia vita, da ora in poi, a proteggere quella degli altri, sperando di fare ammenda e di essere prima o poi perdonato.

Mi trascino dolorante verso il pensatoio, immergo la bacchetta e riporto i fili argentei della memoria nella mia mente, i ricordi ritornano, prepotenti e vividi, ed io mi ci affogo, realizzando di riuscire a respirare bene solo mentre mi uccidono.

 

L’oscurità cala su di me come un manto di tenebre, spesso e impenetrabile.
“L’amore è debolezza” mi ripeto, tenendomi la testa tra le mani, lottando contro il suo profumo ancora prepotente nell’aria che respiro…
“L’amore è debolezza” se anni fa avessi saputo come liberarmene completamente probabilmente ora non sarei qui a marcire nella stessa prigione a cui ho dato vita…
“L’amore è debolezza” una lacrima scende dai miei occhi, lasciando una scia umida sulle mie guance, la asciugo immediatamente, vergognandomi, sentendomi umiliato.
E’ solo da me stesso che sono stato sconfitto, da me stesso e dalla mia debolezza per quegli occhi rubati al cielo che non hanno mai smesso di perseguitarmi.
“L’amore è debolezza”
Ti odio Albus Percival Wulfric Brian Silente.
Ti amo.

 

 

   
 
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