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Autore: Elizabeth_Keats    28/07/2008    3 recensioni
La vera storia di cosa successe alla Compagnia dell'Anello e ai suoi derivati... Premettendo che non tutto il merito va ai soliti noti, soprattutto quando c'è di mezzo un orsachiotto che darà del filo da torcere ai nostri eroi... P.S.:sentitissime scuse alla memoria del grande John Ronald Reuel Tolkien; che non si offenda troppo per la storpiatura della sua illustrissima opera. P.P.S:sono gratite le recensioni
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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html cap3 il signore degli orsetti

3.  Colle Vento (ovvero: dove porta la scorciatoia?)

 

 

Lo chiamavano Colle Vento, ma in realtà lì, di vento, non ne tirava neanche un alito in quel periodo dell’anno. In mezzo a quelle brulle colline punteggiate qua e là da qualche alberello rachitico aleggiava un caldo soffocante, che mozzava le gambe e il respiro. In primavera quella doveva essere una zona favolosa per la villeggiatura, ma in quel periodo, all’inizio dell’autunno, tutto attorno a loro era smorto ed uguale. Un tempo quella era stata una zona molto importante e famosa per le vacanze di interi gruppi famigliari. Infatti, in lontananza si potevano ancora scorgere le ville, ora abbandonate, di illustri miliardari e proprietari di aziende multinazionali che davano loro una rendita da capogiro, in grado di permettergli di costruirsi (abusivamente) un piccolo paradiso con piscina in quei luoghi e passarci sei mesi l’anno. Ma da quando una centrale nucleare si era stanziata nei paraggi, c’era stato un fuggi fuggi generale e la zona si era spopolata nel giro di poche ore. Ed era finita per diventare quel completo schifo che si presentava agli occhi dei cinque, anzi sei, compari.

Eh, sì, proprio sei, poiché Buck, incredibile ma vero, era riuscito a scampare all’esplosione con solo qualche lieve graffio e bruciatura, nascondendosi sotto il popò di uno dei somari dei Nazculi, storditi dal fumo che si era alzato a causa della possente onda d’urto. Non che fosse stata una scelta molto prudente (il didietro era appunto l’arma segreta dei muli di cui parlavamo), ma almeno gli aveva evitato di ritrovarsi con il corpo ricoperto da ustioni di secondo e terzo grado, come era invece successo a un barbone che sostava lì vicino. Sfortunatamente, neanche i Nazculi non avevano riportato danni più gravi di qualche ammaccatura, ma Buck era riuscito comunque a sfuggire alle loro grinfie sgattaiolando via tra la confusione generale. Al momento la polizia stava risvoltando tutta Brea come un calzino per scoprire i responsabili di tutto quel casotto, ma l’orsetto non aveva di che preoccuparsi: erano ormai lontani da quella cittadina puzzolente e all’incirca a metà della strada che conduceva a Gran Burrone. Ma Buck sapeva, come del resto sapevano gli altri, che quelle nove orribili creature gli stavano alle calcagna e che presto si sarebbero rincontrati, poiché ai Nazculi sicuramente bruciava ancora non poco l’umiliazione di essere caduti nel loro stesso tranello. Ma, comunque, c’era Aragorn con loro e, quindi, non avevano nulla da temere, all’infuori del fatto che le provviste iniziavano ormai a scarseggiare (tutta colpa degli Hobbit, pensava Buck, tre pasti al giorno sono troppo pochi per loro!).

Aragorn era baldanzoso e non vedeva l’ora di mettere in pratica le sue “straordinarie” capacità, e tutti gli Hobbit contribuivano a gonfiare il suo orgoglio, mentre l’orsetto si limitava a compatirlo, come del resto soleva fare con tutti nuovi arrivati. Alla fine di quell’estenuante giornata di cammino (Pipino continuava ad urlare come un’aquila perché gli facevano male i piedi dalle vesciche), la ben sortita compagnia si accampò in una specie di conca protetta tra due alte colline, su una delle quali sorgeva una specie di sparuto edificio mezzo abbattuto dal tempo e ricoperto dal muschio, tanto da renderlo praticamente irriconoscibile. In realtà, si trattava di un vecchio circolo per anziani miliardari, dove nonnette e nonnini si ritrovavano per una partita a briscola, a scala quaranta oppure per un semplice solitario. Ma erano ormai lontani i tempi in cui, in quel grandissimo capannone in prefabbricato, risuonavano le grida stridule e gioiose di un qualche novantenne che aveva appena fatto tombola. Tutto era stato distrutto da una banda di teppisti, che avevano occupato l’edificio per più di un mese, per poi levare bandiera bianca quando la piccola stufetta a gas aveva fatto cilecca. Da allora più nessuno si era interessato a quella struttura “storica” e il tutto era caduto nella rovina più totale.

Prima di cena la “compagnia” fece un salto sulla collina per visitare quei ruderi macilenti e vedere se riuscivano a recuperare qualcosa di utile. Ma ormai non c’era più nulla da depredare tra quelle quattro mura che si reggevano in piedi per puro miracolo; trovarono solo qualche tessera dello scarabeo mezza interrata tra l’erba, una dentiera e due o tre buste di minestrone surgelato scaduto dal paleolitico e a dir poco immangiabile anche per quegli stomaci di ferro degli Hobbit.

«Mi domando perché abbiamo dovuto accamparci proprio vicino a questo schifo…» disse Merry dando un calcio a un pannello in prefabbricato, che andò all’istante in frantumi.

«Innanzitutto perché si sta facendo buio ed è rischioso proseguire il cammino tra le tenebre» rispose Aragorn, intento a raccogliere combustibile per il fuoco. «E poi perché è ormai ora di cena».

«Questo sì che mi piace» commentò Frodo, l’Anello al sicuro attorno al suo collo, mentre Sam esclamava: «Cucino io, vero?».

Così accesero il fuoco e cenarono in silenzio. Dato che, come già detto, le provviste erano ormai agli sgoccioli, Sam dovette ingegnarsi come poté. Quella sera, in particolare, cucinò tre o quattro topi ruspanti, da lui appositamente catturati lì vicino, in crosta con una deliziosa salsina di cardi (sfortunatamente si era dimenticato di togliere tutti gli spini…). Per il resto, la serata passò tranquillamente accanto a quel bel fuocherello che crepitava  soave tra le tenebre, infondendo una certa vitalità tra i commensali. Passarono la serata a raccontarsi storie famose, come Cappuccetto Rosso e Cenerentola, a cantare canzoncine dello Zecchino d’Oro e a ridere in compagnia con qualche barzelletta sconcia di Pipino.

E Buck? Che fine aveva fatto Buck? Be’, forse l’orsetto fu quello che quella notte (fino ad un certo punto…) se la spassò più di tutti quanti messi insieme. Senza che Frodo e gli altri se ne accorgessero minimamente, Buck era sgattaiolato fuori dal suo ripostiglio e aveva messo su una specie di party all’aperto dall’altra parte della collina, con musica spaccatimpani, luci colorate e accecanti e tanta birra e salatini. Ma vi chiederete, cari lettori, perché mai Buck avesse messo su così all’improvviso un festino e per di più in solitario… Be’, dovete sapere che quel giorno ricorreva una festività molto importante e famosa nel mondo degli orsacchiotti vivi e parlati come Buck, che non era certo il solo animale di pezza anomalo in circolazione. Si celebrava infatti… ehm… come diavolo si chiamava? Mmm… boh, nemmeno Buck si ricordava precisamente che avvenimento ricorreva, per lui l’importante era far baldoria, sempre e comunque. E l’essere lì a spassarsela tutto da solo non lo preoccupava affatto: così nessuno si sarebbe imbucato per sgraffignare i salatini. La musica era al massimo volume, le luci saettavano di qua e di là come impazzite, mentre Buck, al centro della pista, si scatenava come un matto, zampettando a destra e a manca come un grillo. Il tutto accadeva senza che anima viva, nemmeno Aragorn, Frodo, Sam, Merry e Pipino che sostavano lì vicino, si accorgesse di alcunché… anche se ancora per poco.

Eh, già, il destino è qualcosa di sovrannaturale e spesso terribile, pronto a farti lo sgambetto appena voltato l’angolo e abbassata la guardia, che pochi, anzi nessuno, sa controllare o anche solo prevedere. Ed era già scritto da tempo nel destino di quel povero, piccolo e indifeso animale di pezza che, proprio nel clou della festa, passassero da quelle parti i nove Nazculi, incazzati come non mai dopo l’avventura di Brea. Infatti avevano dovuto subire una ventina di controlli da parte della polizia locale prima di riuscire ad uscire indenni dalla città e lanciarsi all’inseguimento sfrenato di quei “sei buffoni da circo”. E le loro orecchie acutissime, come il radar delle loro cavalcature, non poterono fare a meno di notare qualche strano fenomeno nella zona circostante Colle Vento. In altrettanto meno tempo avevano capito che si trattava di coloro che avevano osato svergognarli a quel modo davanti a tutta la pubblica considerazione.

E, mentre la musica pulsava nelle orecchie di Buck, i nove somari con i loro cavalieri si avvicinavano con passo felpato ma incalzante. Ad un tratto, la notte fu squarciata da un urlo acutissimo, l’urlo di battaglia di quei nove spettri indemoniati, che rase al suo in un solo istante i pochi pannelli di prefabbricato ricoperti di muschio e licheni che ancora si reggevano in piedi sul colle erboso. I quattro Hobbit più l’uomo, appena udirono quell’urlo infernale, scattarono subito in piedi come delle molle, sguainando le spade e stringendosi a cerchio attorno le lingue fiammeggianti del fuoco.

«Non è stato il mio stomaco!» si affrettò subito a dire Sam.

«Ma allora cos’era quel… rumore?» balbettò Pipino, tremando come una foglia.

«Silenzio, Hobbit… non dobbiamo farci scoprire» li ammonì infine Aragorn.

Intanto Frodo strinse forte una mano attorno al freddo Anello che portava al collo. La tentazione di infilarselo al dito, e quindi, invisibile, trovare una via di fuga dentro ad una delle tante tane di marmotta collinare che aveva visto quanto erano arrivati era tanta, forse troppa. Ma doveva resistere. Deglutì rumorosamente, tanto che, per lo spavento, Aragorn estrasse repentinamente un machete lungo mezzo metro da sotto il mantello, per poi riporlo con cautela mentre Frodo puntava una torcia elettrica nella spessa coltre di oscurità che li circondava come un ring.

Dall’altra parte della collina, invece, Buck non si era subito reso conto, tra la musica assordante, di quell’urlo maledetto, e subito aveva pensato a un qualche guasto delle casse, che si erano improvvisamente messe a stridere. Poi, quando in lontananza aveva udito un rumore come di zoccoli, tutto gli era precipitato addosso con la capacità distruttiva di un iceberg. Oddio, i Nazculi!, urlò la sua coscienza nella sua testa, costringendo l’orsetto a nascondersi in fretta e furia dietro a un formicaio di aghi di pino (ma le colline non erano tutte brulle?) grosso come una carretta rovesciata. Ancora una volta, il suo cuore batteva e batteva così forte da far pensare a una motosega elettrica che stesse sminuzzando pezzo per pezzo i pochi brani di self- control che gli erano rimasti in corpo. Poi un altro urlo rimbombò nelle sue orecchie pelose, e Buck si accorse che proveniva proprio dall’altra parte della collina, proprio dove si trovavano i suoi compagni (amici è una parola troppo grossa) e il suo padrone. E proprio in quell’istante qualcosa, che non seppe ben spiegarsi, scattò in lui, e lo portò a correre affannosamente nella direzione degli Hobbit e dell’”eroe”. E mentre correva, il suo cervello pensava a raffica come una stampante, fotocopiando articoli su articoli su cosa avrebbe potuto causare quella reazione inaspettata. Forse, nella prima e ultima volta della sua miserabile vita, era riuscito a provare uno di quei sentimenti di amicizia e devozione permanente… veri? Di quelli che ti portano a rischiare il tutto per tutto pur di salvare le persone che ami da un brutto guaio?

Naturalmente no. Era il suo cellulare ultima generazione che continuava a lampeggiare nella mente di Buck come una luce al neon. Accidenti, che stupido era stato a lasciarlo lì incustodito in una tasca dello zaino di Frodo! Aveva risparmiato per quasi un anno per riuscirlo a comprare, e ora non poteva lasciarselo soffiare così facilmente da tre spettri con il culo grosso, nossignore!

Appena arrivò nella conca dove i quattro Hobbit e Aragorn erano accampati, gli si rizzarono tutti i peli della schiena nel vedere la compagnia stretta attorno al fuoco e circondata strettamente da quelle nove tenebrose figure, che maneggiavano e facevano roteare in aria mazze da baseball e battipanni, continuando a urlare come dei trogloditi. Intanto Aragorn stava davanti ai quattro Hobbit tremanti, cercando di difenderli tirando tizzoni ardenti in direzione del nemico. Dopo non molto nell’aria si diffuse un acuto sentore come di carne bruciata alla griglia e l’urlo di dolore dell’uomo si unì a quello spaventoso dei Nazculi. Che bel coraggio che aveva quel tipo, si ritrovò a pensare Buck. Certo pari alla sua irreparabile stupidità.

Conscio del fatto che non c’era da perdere un minuto di più (anche perché doveva spegnere assolutamente il cell se non voleva che la batteria si scaricasse!), Buck corse a gambe levate verso gli Hobbit, stretti in un abbraccio terrorizzato. Fortunatamente, riuscì ad arrivare alla meta senza essere scorto dai Nazculi, che sicuramente pretendevano la sua pezza, e a raggiungere le ginocchia di Frodo, che tremavano come le gambe di un tavolo senza chiodi durante un terremoto. Lì accanto Sam recitava un sussurrato rosario, con Merry e Pipino che rispondevano con un melanconico “amen!” ad ogni sua pausa. Frodo, invece, stringeva ad occhi chiusi l’Anello al petto e modellava le labbra a formulare una muta preghiera. Che Hobbit di poca fede, pensò Buck. Devo per forza intervenire, altrimenti qui si mette male per me, il mio cellulare e, sì, anche gli altri.

Come già gli era capitato la volta precedente a Brea, il piccolo orsetto di mise a pensare a macchinetta, in cerca di una soluzione per uscirne. Quando trovò qualcosa di abbastanza accettabile, gli si pose il dubbio di come rivelarlo a Frodo. Non poteva certo rivelare la sua vera natura di pupazzo parlante e pensante, accidenti, altrimenti si sarebbe subito scoperta la ragione dell’inspiegabile sparizione di quel pacchetto di caramelle mou. Quindi, decise di optare per lo stratagemma che usava di solito per comandare a Frodo di piantarla con i suoi soliti, lunghi e noiosissimi monologhi notturni: imitare la voce del suo pensiero. Infondo che ci voleva? Lui era un maestro in cose del genere… e poi tanto più un soggetto è spaventato tanto più è facile da manipolare.

«Frodo!» chiamò con la voce mistica che soleva usare in occasioni del genere. «Frodo… è la tua coscienza che ti parla. Rispondi!».

Repentinamente, udendo quelle poche parole e dato il fatto che la sua era ancora una mentalità allo stato primordiale, l’Hobbit sbarrò gli occhi, con il cuore che gli batteva in gola. Intanto che lui si guardava attorno mezzo tramortito per l’ulteriore spavento, gli altri continuavano a recitare sottovoce il rosario e Aragorn a tirare inutili sassate ai Nazculi, che continuavano ad avanzare.

«Frodo, tu non mi puoi vedere. Sono nella tua testa, cretino!» continuò Buck, recitando accanto alle sue ginocchia.

«Sei ancora tu? Cosa vuoi da me?» domandò Frodo, tremante.

«Non ti preoccupare, voglio solo aiutarti» sussurrò Buck, ben attento a non farsi scoprire. «Ora… mi senti ben bene?».

«Sì, ti sento forte e chiaro, Watson!» rispose Frodo, incantato da quella voce.

«Non è il momento di fare dello spirito, idiota!» esclamò l’orsetto. «Cerca di immagazzinare a dovere quello che sto per dirti, altrimenti, oltre a rimetterci la pelle, tu e tutta la tua stirpe sarete maledetti e costretti a chiedere l’elemosina vicino ai cimiteri per l’eternità!».

«Veramente io sarei single, ma se così tu dici, io ti credo».

«Bene, allora: il piano è questo…».

Così Buck gli spiegò il piano che la sua geniale, e a volte diabolica, mente giocattolo era riuscita a sfornare per parare il didietro agli altri (come al solito il lavoro sporco del pensare lo lasciavano sempre a lui!). Dovete infatti sapere che, tra i ruderi del circolo per anziani, si celava un passaggio segreto che, sottoterra, sbucava uno o due chilometri più avanti, sufficienti per avere un discreto vantaggio sui Nazculi e disorientarli. E Buck sapeva benissimo dove trovare l’entrata di questo passaggio segreto: era costituito da una piccola e sbilenca specie di capanno che sorgeva leggermente discosta dal resto dell’ex struttura, che sarebbe certo passata inosservata ai Nazculi se solo fossero riusciti a distanziarli un poco. Tutto questo Buck lo sapeva dopo l’accurata lettura di una guida turistica di Brea e dintorni che aveva trovato nella locanda “Il Somaro Rinculato” e che si era portato dietro durante il viaggio. E finalmente gli era tornata utile!

Appena Buck ebbe finito di spiegare tutto ciò che era necessario fare, tra cui anche il modo per aprire il passaggio segreto, si dileguò e andò a nascondersi al sicuro nello zaino di Frodo, dove ritrovò il suo amato cellulare.

Subito Frodo si affrettò a dire agli altri Hobbit: «Non disperate, cari amici. Conosco una via di fuga infallibile. Seguitemi».

E poi, rivolto ad Aragorn, che si era ridotto a lanciare manciate d’erba agli avversari, che intanto se la ridevano come dei matti, urlò: «Aragorn, vieni, dobbiamo scappare!».

«Obbedisco, capo! Ma… che ne facciamo di loro? Ci seguiranno!» rispose il prode.

Immediatamente Frodo ripensò alle parole che la sua coscienza gli aveva generosamente sussurrato e, rivolto ai nove spettri senza scrupoli, sbraitò: «Ehi, guardate! C’è il carretto del gelataio laggiù!».

Come un sol uomo, i Nazculi si voltarono nella direzione appena indicata dall’Hobbit, esclamando frasi come:

«Dove? Dove? Dov’è? Non riesco a vederlo…».

«Io prendo un doppio cono con cioccolato e panna».

«Non è che avresti qualche spicciolo da prestarmi?».

Intanto gli Hobbit più Aragorn avevano raccolto in fretta e furia tutti i loro averi ed erano corsi come delle saette su per la collina, così che, quando i Nazculi ebbero infine capito che non c’era nessuno gelataio all’orizzonte, voltandosi non videro più nessuno, solo qualche brace morente e il resto di una cena a base di sorci.

Il pendio della collina sembrò alla compagnia estremamente più ripido rispetto a quando l’avevano scalato quel pomeriggio e, quando ebbero appena oltrepassato la metà, già non né potevano più di correre come incalzati dal diavolo, con le lingue penzoloni e i piedi che andavano da soli (l’importante era salire).

«Li abbiamo seminati?» domandò Pipino a Frodo, andando al trotto.

«Non ti preoccupare e continua a correre!» gli sibilò l’altro.

«Non ne posso più… devo assolutamente fare una sosta!».

«Provaci soltanto e ti appiattisco come una padella!».

Bene o male, alla fine arrivarono tutti sulla cima del pendio, anche se non sarebbe stata una cattiva idea portarsi dietro un polmone d’acciaio. Di sotto le grida dei Nazculi continuavano a riecheggiare paurose. Dentro lo zaino, tra la coperta patchwork e la borraccia di idromele, Buck pregava che quegli idioti facessero la prima cosa giusta nella loro vita senza sbagliare: d’altronde dovevano semplicemente eseguire le sue indicazioni e sarebbero stati tutti in salvo!

«Deve essere quella l’entrata» disse Frodo ai compagni indicando una piccola e stretta casetta in legno tra l’erba alta. «Su, andiamo!».

La porta di quella specie di capanno per gli attrezzi, anche se molto più piccolo, si aprì con un cigolio che faceva presagire che sarebbe stata attaccata ai cardini ancora per poco, e all’istante tutti fecero a gara per incastrarsi in quel cunicolo buio della salvezza. Spingendo e lanciando cazzotti e parolacce a destra e a manca, alla fine tutti furono dentro e la porta fu richiusa, proprio mentre i Nazculi arrivavano in cima alla collina e fiutavano di qua e di là con il loro naso da tartufi. La compagnia stette in silenzio, pigiata come sardine in quell’angolo angusto, senza muoversi di un millimetro. Alla fine i Nazculi, quando non ebbero trovato che calzini sporchi tra le macerie, rinunciarono alla ricerca e tornarono alle loro cavalcature.

Quando si fu fatto di nuovo silenzio, Frodo disse: «Ci dovrebbe essere una specie di corda qui in giro, per aprire il passaggio segreto…».

«Una corda?» domandò Aragorn, incastrato in un angolo.

«Sì, una corda, una catena o qualcosa così».

Seguì un gran casino, mentre Frodo cercava quel dannatissimo aggeggio, andando a tentoni nel buio e palpando qua e là nasi e teste ricciute.

«Ehi, non spingere!» esclamò Sam. «C’è un buco qui in mezzo, ohi!».

«Oh, Sam, non fare il rompiballe, adesso!» gli rispose Frodo, continuando a cercare.

Solo allora la compagnia si accorse che nell’aria aleggiava una strana puzza nauseabonda di… mmm… come descriverlo? Un puzza strana eppure familiare… sì, ma non si riusciva bene a capire da dove provenisse esattamente. Tutti si tapparono contemporaneamente il naso e Buck, nel suo zaino, si pigiò la coperta sulla faccia e, visto che non poteva incrociare le dita, si votò al Signore con queste parole: “Onnipotente, è vero che non sono stato molto buono in questa breve vita, ma ora, nel momento più tragico, chiedo perdono per tutti i miei peccati, siano essi di stomaco, parolacce, sbeffeggi eccetera eccetera. Perdonami, ti prego!”.

Mentre Frodo continuava imperterrito a tastare attorno a sé in cerca di quella strabenedetta corda da tirare, il puzzo si faceva sempre più intenso e, in qualche modo, vicino. Era una puzza tipo di… tipo di… ah, sì, tipo di cessi pubblici…

«Ah, eccola!» esclamò alla fine l’Hobbit, trionfante.

E, tirando la corda con tutte le sue forze, commise l’errore più grande della sua vita e di cui in seguito si pentì amaramente, oh, sì. All’istante il pavimento sotto i loro piedi scomparve come per magia, e Frodo, Buck, Aragorn, Sam, Merry e Pipino si ritrovarono a precipitare nel vuoto, cadendo sempre più giù, sempre più giù.

Non seppero con esattezza per quanto tempo precipitarono in quell’abisso nero, ma alla fine… SPLASH!!! Un secondo dopo si ritrovarono a galleggiare in una spessa coltre di roba scura e melmosa, che emanava un tanfo a dir poco nauseabondo. E solo allora capirono dove in realtà erano caduti: la latrina del circolo anziani che, benché fosse passato ormai molto tempo dall’ultima volta che qualcuno ne aveva usufruito, era ancora piena di… Be’, tutti sappiamo bene di che cosa è piena una latrina! È più che superfluo dire che, una volta che uscirono di lì, circa due ore dopo, tutti avevano non poco la balle girate e per due giorni non fecero altro che guardare storto Frodo, portandosi dietro quell’incredibile puzza che ben difficilmente sarebbero riusciti a dimenticare. Buck, invece, non essendo certo il tipo che soleva ammettere i propri errori, per il resto del viaggio fino a Gran Burrone continuò a dar la colpa al destino. Almeno aveva qualcuno, anzi qualcosa, su cui scaricare la sua rabbia per il fatto di aver avuto per una settimana le orecchie piene di… be’, ci siamo intesi!


 

 

Dunque, dunque... lo so che questa storia non è un granchè, ma se siete arrivati a leggere fin qui cosa vi costa scrivere una piccolissima recensione??? Dai, anche solo due righe, una parola, anche un commento negativo mi va bene! Basta che mi dite cosa ne pensate pleaseeeeeeeeeee!!!!!!

Vabbè, almeno ho la mia fedele lettrice, LilFairy: visto? La pezza di Buck è più dura di quanto si possa pensare. Per gli Elfi, invece, dovrai aspettare il prossimo capitolo, che spero di aggiungere presto, anche se ho in mente qualche modifica. Infine, ti informo che l'abbonamento al Gazzettino Tombale dura 13 mesi XD e il costo è di circa 120 £; poi se ti interessa mensilmente ci sono anche degli allegati, tipo: "Accendete i fornelli dell'inferno (semplici ricette per incrontri bollenti)", "Perchè i morti lo fanno meglio (calcola la tua affinità di coppia)", "I consigli di Nonna Putrefazione: come mantenere morbidi i vostri mantelli neri", ecc. E grazie ancora per le tue splendide recensioni (almeno tu Xd)!!! A presti, honey!
  
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