3. Colle Vento (ovvero:
dove porta la scorciatoia?)
Lo chiamavano Colle Vento, ma in realtà
lì, di vento, non ne tirava neanche un alito in quel periodo dell’anno. In
mezzo a quelle brulle colline punteggiate qua e là da qualche alberello
rachitico aleggiava un caldo soffocante, che mozzava le gambe e il respiro. In
primavera quella doveva essere una zona favolosa per la villeggiatura, ma in
quel periodo, all’inizio dell’autunno, tutto attorno a loro era smorto ed
uguale. Un tempo quella era stata una zona molto importante e famosa per le
vacanze di interi gruppi famigliari. Infatti, in lontananza si potevano ancora
scorgere le ville, ora abbandonate, di illustri miliardari e proprietari di
aziende multinazionali che davano loro una rendita da capogiro, in grado di
permettergli di costruirsi (abusivamente) un piccolo paradiso con piscina in
quei luoghi e passarci sei mesi l’anno. Ma da quando una centrale nucleare si
era stanziata nei paraggi, c’era stato un fuggi fuggi generale e la zona si era
spopolata nel giro di poche ore. Ed era finita per diventare quel completo
schifo che si presentava agli occhi dei cinque, anzi sei, compari.
Eh, sì, proprio sei, poiché Buck,
incredibile ma vero, era riuscito a scampare all’esplosione con solo qualche
lieve graffio e bruciatura, nascondendosi sotto il popò di uno dei somari dei
Nazculi, storditi dal fumo che si era alzato a causa della possente onda
d’urto. Non che fosse stata una scelta molto prudente (il didietro era appunto
l’arma segreta dei muli di cui parlavamo), ma almeno gli aveva evitato di
ritrovarsi con il corpo ricoperto da ustioni di secondo e terzo grado, come era
invece successo a un barbone che sostava lì vicino. Sfortunatamente, neanche i
Nazculi non avevano riportato danni più gravi di qualche ammaccatura, ma Buck
era riuscito comunque a sfuggire alle loro grinfie sgattaiolando via tra la
confusione generale. Al momento la polizia stava risvoltando tutta Brea come un
calzino per scoprire i responsabili di tutto quel casotto, ma l’orsetto non
aveva di che preoccuparsi: erano ormai lontani da quella cittadina puzzolente e
all’incirca a metà della strada che conduceva a Gran Burrone. Ma Buck sapeva,
come del resto sapevano gli altri, che quelle nove orribili creature gli
stavano alle calcagna e che presto si sarebbero rincontrati, poiché ai Nazculi
sicuramente bruciava ancora non poco l’umiliazione di essere caduti nel loro
stesso tranello. Ma, comunque, c’era Aragorn con loro e, quindi, non avevano
nulla da temere, all’infuori del fatto che le provviste iniziavano ormai a
scarseggiare (tutta colpa degli Hobbit, pensava Buck, tre pasti al giorno sono
troppo pochi per loro!).
Aragorn era baldanzoso e non vedeva l’ora
di mettere in pratica le sue “straordinarie” capacità, e tutti gli Hobbit
contribuivano a gonfiare il suo orgoglio, mentre l’orsetto si limitava a
compatirlo, come del resto soleva fare con tutti nuovi arrivati. Alla fine di
quell’estenuante giornata di cammino (Pipino continuava ad urlare come
un’aquila perché gli facevano male i piedi dalle vesciche), la ben sortita
compagnia si accampò in una specie di conca protetta tra due alte colline, su
una delle quali sorgeva una specie di sparuto edificio mezzo abbattuto dal
tempo e ricoperto dal muschio, tanto da renderlo praticamente irriconoscibile.
In realtà, si trattava di un vecchio circolo per anziani miliardari, dove
nonnette e nonnini si ritrovavano per una partita a briscola, a scala quaranta
oppure per un semplice solitario. Ma erano ormai lontani i tempi in cui, in
quel grandissimo capannone in prefabbricato, risuonavano le grida stridule e
gioiose di un qualche novantenne che aveva appena fatto tombola. Tutto era
stato distrutto da una banda di teppisti, che avevano occupato l’edificio per
più di un mese, per poi levare bandiera bianca quando la piccola stufetta a gas
aveva fatto cilecca. Da allora più nessuno si era interessato a quella
struttura “storica” e il tutto era caduto nella rovina più totale.
Prima di cena la “compagnia” fece un
salto sulla collina per visitare quei ruderi macilenti e vedere se riuscivano a
recuperare qualcosa di utile. Ma ormai non c’era più nulla da depredare tra
quelle quattro mura che si reggevano in piedi per puro miracolo; trovarono solo
qualche tessera dello scarabeo mezza interrata tra l’erba, una dentiera e due o
tre buste di minestrone surgelato scaduto dal paleolitico e a dir poco
immangiabile anche per quegli stomaci di ferro degli Hobbit.
«Mi domando perché abbiamo dovuto
accamparci proprio vicino a questo schifo…» disse Merry dando un calcio a un
pannello in prefabbricato, che andò all’istante in frantumi.
«Innanzitutto perché si sta facendo buio
ed è rischioso proseguire il cammino tra le tenebre» rispose Aragorn, intento a
raccogliere combustibile per il fuoco. «E poi perché è ormai ora di cena».
«Questo sì che mi piace» commentò Frodo,
l’Anello al sicuro attorno al suo collo, mentre Sam esclamava: «Cucino io,
vero?».
Così accesero il fuoco e cenarono in silenzio.
Dato che, come già detto, le provviste erano ormai agli sgoccioli, Sam dovette
ingegnarsi come poté. Quella sera, in particolare, cucinò tre o quattro topi
ruspanti, da lui appositamente catturati lì vicino, in crosta con una deliziosa
salsina di cardi (sfortunatamente si era dimenticato di togliere tutti gli
spini…). Per il resto, la serata passò tranquillamente accanto a quel bel
fuocherello che crepitava soave tra le
tenebre, infondendo una certa vitalità tra i commensali. Passarono la serata a raccontarsi
storie famose, come Cappuccetto Rosso e Cenerentola, a cantare canzoncine dello
Zecchino d’Oro e a ridere in compagnia con qualche barzelletta sconcia di
Pipino.
E Buck? Che fine aveva fatto Buck? Be’,
forse l’orsetto fu quello che quella notte (fino ad un certo punto…) se la
spassò più di tutti quanti messi insieme. Senza che Frodo e gli altri se ne
accorgessero minimamente, Buck era sgattaiolato fuori dal suo ripostiglio e
aveva messo su una specie di party all’aperto dall’altra parte della collina,
con musica spaccatimpani, luci colorate e accecanti e tanta birra e salatini.
Ma vi chiederete, cari lettori, perché mai Buck avesse messo su così
all’improvviso un festino e per di più in solitario… Be’, dovete sapere che
quel giorno ricorreva una festività molto importante e famosa nel mondo degli
orsacchiotti vivi e parlati come Buck, che non era certo il solo animale di
pezza anomalo in circolazione. Si celebrava infatti… ehm… come diavolo si
chiamava? Mmm… boh, nemmeno Buck si ricordava precisamente che avvenimento
ricorreva, per lui l’importante era far baldoria, sempre e comunque. E l’essere
lì a spassarsela tutto da solo non lo preoccupava affatto: così nessuno si
sarebbe imbucato per sgraffignare i salatini. La musica era al massimo volume,
le luci saettavano di qua e di là come impazzite, mentre Buck, al centro della
pista, si scatenava come un matto, zampettando a destra e a manca come un
grillo. Il tutto accadeva senza che anima viva, nemmeno Aragorn, Frodo, Sam,
Merry e Pipino che sostavano lì vicino, si accorgesse di alcunché… anche se
ancora per poco.
Eh, già, il destino è qualcosa di
sovrannaturale e spesso terribile, pronto a farti lo sgambetto appena voltato
l’angolo e abbassata la guardia, che pochi, anzi nessuno, sa controllare o anche
solo prevedere. Ed era già scritto da tempo nel destino di quel povero, piccolo
e indifeso animale di pezza che, proprio nel clou della festa, passassero da
quelle parti i nove Nazculi, incazzati come non mai dopo l’avventura di Brea.
Infatti avevano dovuto subire una ventina di controlli da parte della polizia
locale prima di riuscire ad uscire indenni dalla città e lanciarsi
all’inseguimento sfrenato di quei “sei buffoni da circo”. E le loro orecchie
acutissime, come il radar delle loro cavalcature, non poterono fare a meno di
notare qualche strano fenomeno nella zona circostante Colle Vento. In
altrettanto meno tempo avevano capito che si trattava di coloro che avevano
osato svergognarli a quel modo davanti a tutta la pubblica considerazione.
E, mentre la musica pulsava nelle
orecchie di Buck, i nove somari con i loro cavalieri si avvicinavano con passo
felpato ma incalzante. Ad un tratto, la notte fu squarciata da un urlo
acutissimo, l’urlo di battaglia di quei nove spettri indemoniati, che rase al suo
in un solo istante i pochi pannelli di prefabbricato ricoperti di muschio e
licheni che ancora si reggevano in piedi sul colle erboso. I quattro Hobbit più
l’uomo, appena udirono quell’urlo infernale, scattarono subito in piedi come
delle molle, sguainando le spade e stringendosi a cerchio attorno le lingue
fiammeggianti del fuoco.
«Non è stato il mio stomaco!» si
affrettò subito a dire Sam.
«Ma allora cos’era quel… rumore?»
balbettò Pipino, tremando come una foglia.
«Silenzio, Hobbit… non dobbiamo farci scoprire»
li ammonì infine Aragorn.
Intanto Frodo strinse forte una mano
attorno al freddo Anello che portava al collo. La tentazione di infilarselo al
dito, e quindi, invisibile, trovare una via di fuga dentro ad una delle tante
tane di marmotta collinare che aveva visto quanto erano arrivati era tanta,
forse troppa. Ma doveva resistere. Deglutì rumorosamente, tanto che, per lo
spavento, Aragorn estrasse repentinamente un machete lungo mezzo metro da sotto
il mantello, per poi riporlo con cautela mentre Frodo puntava una torcia
elettrica nella spessa coltre di oscurità che li circondava come un ring.
Dall’altra parte della collina, invece,
Buck non si era subito reso conto, tra la musica assordante, di quell’urlo
maledetto, e subito aveva pensato a un qualche guasto delle casse, che si erano
improvvisamente messe a stridere. Poi, quando in lontananza aveva udito un
rumore come di zoccoli, tutto gli era precipitato addosso con la capacità
distruttiva di un iceberg. Oddio, i Nazculi!, urlò la sua coscienza nella sua
testa, costringendo l’orsetto a nascondersi in fretta e furia dietro a un
formicaio di aghi di pino (ma le colline non erano tutte brulle?) grosso come
una carretta rovesciata. Ancora una volta, il suo cuore batteva e batteva così
forte da far pensare a una motosega elettrica che stesse sminuzzando pezzo per
pezzo i pochi brani di self- control che gli erano rimasti in corpo. Poi un
altro urlo rimbombò nelle sue orecchie pelose, e Buck si accorse che proveniva
proprio dall’altra parte della collina, proprio dove si trovavano i suoi
compagni (amici è una parola troppo grossa) e il suo padrone. E proprio in
quell’istante qualcosa, che non seppe ben spiegarsi, scattò in lui, e lo portò
a correre affannosamente nella direzione degli Hobbit e dell’”eroe”. E mentre
correva, il suo cervello pensava a raffica come una stampante, fotocopiando
articoli su articoli su cosa avrebbe potuto causare quella reazione
inaspettata. Forse, nella prima e ultima volta della sua miserabile vita, era
riuscito a provare uno di quei sentimenti di amicizia e devozione permanente…
veri? Di quelli che ti portano a rischiare il tutto per tutto pur di salvare le
persone che ami da un brutto guaio?
Naturalmente no. Era il suo cellulare
ultima generazione che continuava a lampeggiare nella mente di Buck come una
luce al neon. Accidenti, che stupido era stato a lasciarlo lì incustodito in
una tasca dello zaino di Frodo! Aveva risparmiato per quasi un anno per
riuscirlo a comprare, e ora non poteva lasciarselo soffiare così facilmente da tre
spettri con il culo grosso, nossignore!
Appena arrivò nella conca dove i quattro
Hobbit e Aragorn erano accampati, gli si rizzarono tutti i peli della schiena
nel vedere la compagnia stretta attorno al fuoco e circondata strettamente da
quelle nove tenebrose figure, che maneggiavano e facevano roteare in aria mazze
da baseball e battipanni, continuando a urlare come dei trogloditi. Intanto
Aragorn stava davanti ai quattro Hobbit tremanti, cercando di difenderli
tirando tizzoni ardenti in direzione del nemico. Dopo non molto nell’aria si
diffuse un acuto sentore come di carne bruciata alla griglia e l’urlo di dolore
dell’uomo si unì a quello spaventoso dei Nazculi. Che bel coraggio che aveva
quel tipo, si ritrovò a pensare Buck. Certo pari alla sua irreparabile
stupidità.
Conscio del fatto che non c’era da
perdere un minuto di più (anche perché doveva spegnere assolutamente il cell se
non voleva che la batteria si scaricasse!), Buck corse a gambe levate verso gli
Hobbit, stretti in un abbraccio terrorizzato. Fortunatamente, riuscì ad
arrivare alla meta senza essere scorto dai Nazculi, che sicuramente
pretendevano la sua pezza, e a raggiungere le ginocchia di Frodo, che tremavano
come le gambe di un tavolo senza chiodi durante un terremoto. Lì accanto Sam recitava
un sussurrato rosario, con Merry e Pipino che rispondevano con un melanconico
“amen!” ad ogni sua pausa. Frodo, invece, stringeva ad occhi chiusi l’Anello al
petto e modellava le labbra a formulare una muta preghiera. Che Hobbit di poca
fede, pensò Buck. Devo per forza intervenire, altrimenti qui si mette male per
me, il mio cellulare e, sì, anche gli altri.
Come già gli era capitato la volta
precedente a Brea, il piccolo orsetto di mise a pensare a macchinetta, in cerca
di una soluzione per uscirne. Quando trovò qualcosa di abbastanza accettabile,
gli si pose il dubbio di come rivelarlo a Frodo. Non poteva certo rivelare la
sua vera natura di pupazzo parlante e pensante, accidenti, altrimenti si
sarebbe subito scoperta la ragione dell’inspiegabile sparizione di quel
pacchetto di caramelle mou. Quindi, decise di optare per lo stratagemma che
usava di solito per comandare a Frodo di piantarla con i suoi soliti, lunghi e
noiosissimi monologhi notturni: imitare la voce del suo pensiero. Infondo che
ci voleva? Lui era un maestro in cose del genere… e poi tanto più un soggetto è
spaventato tanto più è facile da manipolare.
«Frodo!» chiamò con la voce mistica che
soleva usare in occasioni del genere. «Frodo… è la tua coscienza che ti parla.
Rispondi!».
Repentinamente, udendo quelle poche
parole e dato il fatto che la sua era ancora una mentalità allo stato
primordiale, l’Hobbit sbarrò gli occhi, con il cuore che gli batteva in gola.
Intanto che lui si guardava attorno mezzo tramortito per l’ulteriore spavento,
gli altri continuavano a recitare sottovoce il rosario e Aragorn a tirare
inutili sassate ai Nazculi, che continuavano ad avanzare.
«Frodo, tu non mi puoi vedere. Sono
nella tua testa, cretino!» continuò Buck, recitando accanto alle sue ginocchia.
«Sei ancora tu? Cosa vuoi da me?»
domandò Frodo, tremante.
«Non ti preoccupare, voglio solo
aiutarti» sussurrò Buck, ben attento a non farsi scoprire. «Ora… mi senti ben
bene?».
«Sì, ti sento forte e chiaro, Watson!»
rispose Frodo, incantato da quella voce.
«Non è il momento di fare dello spirito,
idiota!» esclamò l’orsetto. «Cerca di immagazzinare a dovere quello che sto per
dirti, altrimenti, oltre a rimetterci la pelle, tu e tutta la tua stirpe sarete
maledetti e costretti a chiedere l’elemosina vicino ai cimiteri per
l’eternità!».
«Veramente io sarei single, ma se così
tu dici, io ti credo».
«Bene, allora: il piano è questo…».
Così Buck gli spiegò il piano che la sua
geniale, e a volte diabolica, mente giocattolo era riuscita a sfornare per
parare il didietro agli altri (come al solito il lavoro sporco del pensare lo
lasciavano sempre a lui!). Dovete infatti sapere che, tra i ruderi del circolo
per anziani, si celava un passaggio segreto che, sottoterra, sbucava uno o due
chilometri più avanti, sufficienti per avere un discreto vantaggio sui Nazculi
e disorientarli. E Buck sapeva benissimo dove trovare l’entrata di questo
passaggio segreto: era costituito da una piccola e sbilenca specie di capanno
che sorgeva leggermente discosta dal resto dell’ex struttura, che sarebbe certo
passata inosservata ai Nazculi se solo fossero riusciti a distanziarli un poco.
Tutto questo Buck lo sapeva dopo l’accurata lettura di una guida turistica di
Brea e dintorni che aveva trovato nella locanda “Il Somaro Rinculato” e che si
era portato dietro durante il viaggio. E finalmente gli era tornata utile!
Appena Buck ebbe finito di spiegare
tutto ciò che era necessario fare, tra cui anche il modo per aprire il
passaggio segreto, si dileguò e andò a nascondersi al sicuro nello zaino di
Frodo, dove ritrovò il suo amato cellulare.
Subito Frodo si affrettò a dire agli
altri Hobbit: «Non disperate, cari amici. Conosco una via di fuga infallibile.
Seguitemi».
E poi, rivolto ad Aragorn, che si era
ridotto a lanciare manciate d’erba agli avversari, che intanto se la ridevano
come dei matti, urlò: «Aragorn, vieni, dobbiamo scappare!».
«Obbedisco, capo! Ma… che ne facciamo di
loro? Ci seguiranno!» rispose il prode.
Immediatamente Frodo ripensò alle parole
che la sua coscienza gli aveva generosamente sussurrato e, rivolto ai nove
spettri senza scrupoli, sbraitò: «Ehi, guardate! C’è il carretto del gelataio
laggiù!».
Come un sol uomo, i Nazculi si voltarono
nella direzione appena indicata dall’Hobbit, esclamando frasi come:
«Dove? Dove? Dov’è? Non riesco a
vederlo…».
«Io prendo un doppio cono con cioccolato
e panna».
«Non è che avresti qualche spicciolo da
prestarmi?».
Intanto gli Hobbit più Aragorn avevano
raccolto in fretta e furia tutti i loro averi ed erano corsi come delle saette
su per la collina, così che, quando i Nazculi ebbero infine capito che non
c’era nessuno gelataio all’orizzonte, voltandosi non videro più nessuno, solo
qualche brace morente e il resto di una cena a base di sorci.
Il pendio della collina sembrò alla
compagnia estremamente più ripido rispetto a quando l’avevano scalato quel
pomeriggio e, quando ebbero appena oltrepassato la metà, già non né potevano
più di correre come incalzati dal diavolo, con le lingue penzoloni e i piedi
che andavano da soli (l’importante era salire).
«Li abbiamo seminati?» domandò Pipino a
Frodo, andando al trotto.
«Non ti preoccupare e continua a
correre!» gli sibilò l’altro.
«Non ne posso più… devo assolutamente
fare una sosta!».
«Provaci soltanto e ti appiattisco come
una padella!».
Bene o male, alla fine arrivarono tutti
sulla cima del pendio, anche se non sarebbe stata una cattiva idea portarsi
dietro un polmone d’acciaio. Di sotto le grida dei Nazculi continuavano a
riecheggiare paurose. Dentro lo zaino, tra la coperta patchwork e la borraccia
di idromele, Buck pregava che quegli idioti facessero la prima cosa giusta
nella loro vita senza sbagliare: d’altronde dovevano semplicemente eseguire le
sue indicazioni e sarebbero stati tutti in salvo!
«Deve essere quella l’entrata» disse
Frodo ai compagni indicando una piccola e stretta casetta in legno tra l’erba
alta. «Su, andiamo!».
La porta di quella specie di capanno per
gli attrezzi, anche se molto più piccolo, si aprì con un cigolio che faceva
presagire che sarebbe stata attaccata ai cardini ancora per poco, e all’istante
tutti fecero a gara per incastrarsi in quel cunicolo buio della salvezza.
Spingendo e lanciando cazzotti e parolacce a destra e a manca, alla fine tutti
furono dentro e la porta fu richiusa, proprio mentre i Nazculi arrivavano in
cima alla collina e fiutavano di qua e di là con il loro naso da tartufi. La
compagnia stette in silenzio, pigiata come sardine in quell’angolo angusto,
senza muoversi di un millimetro. Alla fine i Nazculi, quando non ebbero trovato
che calzini sporchi tra le macerie, rinunciarono alla ricerca e tornarono alle
loro cavalcature.
Quando si fu fatto di nuovo silenzio,
Frodo disse: «Ci dovrebbe essere una specie di corda qui in giro, per aprire il
passaggio segreto…».
«Una corda?» domandò Aragorn, incastrato
in un angolo.
«Sì, una corda, una catena o qualcosa
così».
Seguì un gran casino, mentre Frodo
cercava quel dannatissimo aggeggio, andando a tentoni nel buio e palpando qua e
là nasi e teste ricciute.
«Ehi, non spingere!» esclamò Sam. «C’è
un buco qui in mezzo, ohi!».
«Oh, Sam, non fare il rompiballe,
adesso!» gli rispose Frodo, continuando a cercare.
Solo allora la compagnia si accorse che
nell’aria aleggiava una strana puzza nauseabonda di… mmm… come descriverlo? Un
puzza strana eppure familiare… sì, ma non si riusciva bene a capire da dove
provenisse esattamente. Tutti si tapparono contemporaneamente il naso e Buck,
nel suo zaino, si pigiò la coperta sulla faccia e, visto che non poteva
incrociare le dita, si votò al Signore con queste parole: “Onnipotente, è vero
che non sono stato molto buono in questa breve vita, ma ora, nel momento più
tragico, chiedo perdono per tutti i miei peccati, siano essi di stomaco,
parolacce, sbeffeggi eccetera eccetera. Perdonami, ti prego!”.
Mentre Frodo continuava imperterrito a
tastare attorno a sé in cerca di quella strabenedetta corda da tirare, il puzzo
si faceva sempre più intenso e, in qualche modo, vicino. Era una puzza tipo di…
tipo di… ah, sì, tipo di cessi pubblici…
«Ah, eccola!» esclamò alla fine
l’Hobbit, trionfante.
E, tirando la corda con tutte le sue
forze, commise l’errore più grande della sua vita e di cui in seguito si pentì
amaramente, oh, sì. All’istante il pavimento sotto i loro piedi scomparve come
per magia, e Frodo, Buck, Aragorn, Sam, Merry e Pipino si ritrovarono a
precipitare nel vuoto, cadendo sempre più giù, sempre più giù.
Non seppero con esattezza per quanto
tempo precipitarono in quell’abisso nero, ma alla fine… SPLASH!!! Un secondo
dopo si ritrovarono a galleggiare in una spessa coltre di roba scura e melmosa,
che emanava un tanfo a dir poco nauseabondo. E solo allora capirono dove in
realtà erano caduti: la latrina del circolo anziani che, benché fosse passato
ormai molto tempo dall’ultima volta che qualcuno ne aveva usufruito, era ancora
piena di… Be’, tutti sappiamo bene di che cosa è piena una latrina! È più che
superfluo dire che, una volta che uscirono di lì, circa due ore dopo, tutti
avevano non poco la balle girate e per due giorni non fecero altro che guardare
storto Frodo, portandosi dietro quell’incredibile puzza che ben difficilmente
sarebbero riusciti a dimenticare. Buck, invece, non essendo certo il tipo che
soleva ammettere i propri errori, per il resto del viaggio fino a Gran Burrone
continuò a dar la colpa al destino. Almeno aveva qualcuno, anzi qualcosa, su
cui scaricare la sua rabbia per il fatto di aver avuto per una settimana le
orecchie piene di… be’, ci siamo intesi!
Vabbè, almeno ho la mia fedele lettrice, LilFairy: visto? La pezza di Buck è più dura di quanto si possa pensare. Per gli Elfi, invece, dovrai aspettare il prossimo capitolo, che spero di aggiungere presto, anche se ho in mente qualche modifica. Infine, ti informo che l'abbonamento al Gazzettino Tombale dura 13 mesi XD e il costo è di circa 120 £; poi se ti interessa mensilmente ci sono anche degli allegati, tipo: "Accendete i fornelli dell'inferno (semplici ricette per incrontri bollenti)", "Perchè i morti lo fanno meglio (calcola la tua affinità di coppia)", "I consigli di Nonna Putrefazione: come mantenere morbidi i vostri mantelli neri", ecc. E grazie ancora per le tue splendide recensioni (almeno tu Xd)!!! A presti, honey!