Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: syontai    14/05/2014    8 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Capitolo 36

Buon Noncompleanno!

Il profumo delle bianche campanule raccolte in un piccolo bouquet era la nota dominante che invadeva i suoi sensi. Tutto intorno c’era aria di festa, eppure un religioso silenzio sovrastava quella prateria immensa, mossa appena da un lieve venticello. Non sapeva perché, ma sentiva un’ansia crescere dentro di lei, e il mazzolino che stringeva in mano subiva le conseguenze della sua impazienza. Il vestito che indossava sembrava essere stato creato apposta per il suo corpo: era di un bianco candido, ma sopra il busto, e sulle spalle il tessuto era più fine, di seta purissima, quasi trasparente, e ricamato con motivi floreali. Il respiro affannoso si infrangeva sul velo che non le permetteva di avere una visuale completa, ma creava una sorta di atmosfera opaca e poco chiara. Chi stava aspettando con tanta fretta, talmente tanta da iniziare a sudare freddo? Un rintocco lontano catturò per poco tempo la sua attenzione, poi tutto fu di nuovo inghiottito nel nulla. Qualcuno le afferrò la vita da dietro, e sobbalzò non poco per il timore, finché non sentì una voce calda sovrastare perfino quel profumo che tanto l’aveva attratta.
“La mia principessa non vede l’ora di sposarmi” disse Leon stringendola forte a sé. Violetta si voltò di scatto e sorrise inconsapevolmente, mentre il principe, come rapito, le accarezzava i capelli, raccolti da un lato, e resi luminosi più del solito. Vargas non nascose affatto il suo apprezzamento nei confronti dell’abito da sposa che tanto aveva sperato di vedere, e si morse il labbro senza smettere di guardarla incantato.
“Sei in ritardo. Che razza di principe sei, Leon Vargas?” scherzò Violetta, cercando di alleviare la tensione che cresceva sempre di più dentro di lei, mentre a differenza sua lo sposo sembrava stranamente calmo. Alzò il velo con cura, attento a non sgualcirlo, e allo stesso tempo le mani scorrevano lungo il tessuto con la stessa impazienza che aveva provato prima lei nell’attesa.
“Del titolo di principe non me ne faccio nulla, mi basta essere l’uomo che ami” sussurrò Leon, dandole poi un dolce bacio. Le sfiorò una guancia con il pollice durante quella manifestazione d’amore, e quando si separarono sorrise. Mai aveva visto Leon sorridere in quel modo: era un sorriso ricco di felicità pura che la lasciava folgorata per la sua bellezza. Per l’occasione il principe indossava l’uniforme con gli stemmi del Regno: un paio di pantaloni di pelle semplici e neri, e una cintura di cuoio dove  rilucevano alcune piccole spille dorate, e sul cui lato era legato il fodero della spada. Portava una maglia scura pregiata appena visibile al di sotto della maglia di ferro. Sul capo faceva sfoggio di una semplice corona argentata senza pietre preziose incastonate. Il sole accarezzava i loro volti, mentre si guardavano innamorati come non mai. Si, per una volta ne era sicura: negli occhi di Leon si leggeva puro amore nei suoi confronti, ed era talmente devastante che neppure il fuoco avrebbe potuto essere altrettanto distruttivo. “La nostra prima notte di nozze sarà bellissima” le promise tutto d’un fiato, quasi non riuscisse a contenersi per l’emozione. E anche lei al solo pensiero di dormire con Leon, di potersi rifugiare tra le sue braccia ogni qual volta ne sentisse il bisogno, si fece rossa in viso. Non fosse che qualcosa la turbava, rovinando ogni suo progetto futuro.
“Leon…ma tu non devi già sposarti?”. Il vento si fermò, e il sorriso sul volto di Leon si spense, mentre una figura dietro di loro apparve dal nulla. “Già, io devo sposarmi, ma voglio farlo con te” disse sicuro, mentre una lunga ombra offuscava la distesa.
“Principe Vargas, sono arrivata”. Una ragazza affascinante, dalla lunga treccia bionda, ancheggiò fino a raggiungerli. Il vestito era uguale a quello di Violetta, e sembrava indispettita. Non appena vide che avevano le mani strette le une con le altre serrò le labbra, facendole diventare sottilissime. “E lei chi è?” domandò inquisitrice con aria imperiosa. I tratti della donna le apparivano sfocati, e non riusciva a memorizzarli ma solo la voce la infastidiva.
“Lei è…” cercò di spiegare Leon, ma non gliene venne dato il tempo. La donna lo strappò via afferrandolo per il braccio. Rapidamente il clima mutò: nuvoloni neri e gonfi di pioggia slittarono nel cielo, proiettando la loro cupa ombra sulla terra. Una strana nebbia fitta si diffuse pian piano, sollevandosi e avvolgendo nelle sue spire Leon e la sua futura moglie, quella vera, che si stavano incamminando verso una meta sconosciuta. Il giovane si voltava di tanto in tanto e la guardava: forse voleva raggiungerla, mollare tutto e correrle incontro, ma qualcosa glielo impediva. Violetta non riusciva a stare lì ferma, senza fare nulla, ed ebbe la folle intenzione di corrergli dietro, se qualcuno non avesse cercato di fermarla, prendendole il polso da dietro.
“Non ne vale la pena”. Quel ragazzo le era familiare: aveva i capelli arruffati e ricci e gli occhi scuri e intensi nascondevano molto dolore, ne era sicura. Ma quelle parole non fecero altro che alimentare la sua rabbia.
“Lasciami!” strillò, sperando così di attirare anche l’attenzione di Leon, ormai lontano; quest’ultimo si voltò nuovamente con un’espressione mesta, e abbassò il capo in segno di sconfitta, quindi si lasciò inghiottire dalla nebbia. Più tentava di divincolarsi, più Violetta si ritrovava impossibilitata a muoversi a causa della salda presa del ragazzo. “Che cosa vuoi da me?” gli si rivolse contro come una belva. Perché non le aveva lasciato inseguire il suo Leon? Lei non voleva perderlo, ma era anche vero che era stanca di combattere. Lara, Jackie…era stanca. Voleva un po’ di serenità, non chiedeva poi tanto, eppure quello strano mondo non era intenzionato a concedergliela.
La presa di Maxi si indebolì e al suo posto una mano candida gli sfiorò il polso, lasciandole i brividi.
“Non permettere a nessuno di ostacolare il tuo lieto fine”. Musica pura che si trasformava in parole soavi le trasmisero tranquillità. Tutto intorno vorticava, e i colori si mescolavano, creando variopinti uccelli che mostravano le loro ali con orgoglio. “Perché sarai tu sola con le tue scelte a stabilire il futuro…ecco il tuo dono, Violetta”.
Ecco il tuo dono Violetta.
Alice.
Violetta si svegliò con un sussulto e il respiro affannoso. Un altro di quei sogni così realistici. Quella voce…l’aveva già sentita da qualche parte. Era forse comparsa in qualche altro sogno? Si voltò verso il letto di Lena, e nel buio sentì l’amica respirare profondamente. Invidiava Lena per quel sonno così sereno, mentre lei adesso non si azzardava più a chiudere occhio, per paura di rivivere quell’incubo. Eppure era iniziato tutto nel migliore dei modi: la pianura soleggiata, il matrimonio con Leon…il matrimonio. Quelle immagini di pura gioia le scorrevano ancora davanti agli occhi, e mai, mai si era chiesta cosa avesse provato suo padre il giorno delle nozze con la ormai defunta moglie, ma adesso per la prima volta si sentiva vicina a quelle sensazioni. Conosceva da così poco tempo Leon, e aveva dovuto lottare duro per poter scoprire la sua vera natura, e già desiderava potersi considerare sua consorte, come una bambina sognatrice? Strinse forte il cuscino tra le braccia, e prese a fissare il soffitto. Si sentiva veramente immatura e fare sogni del genere, ma non poteva certo porre limiti al suo inconscio, e in un certo senso ne era riconoscente. Dopo la notizia che le aveva dato Lena, almeno poteva concedersi il lusso di vivere nei sogni qualcosa che non avrebbe mai vissuto nella realtà. Ma neppure nella dimensione onirica le era concesso più di un solo attimo di felicità, che la misteriosa sposa di Leon era intervenuta a reclamare ciò che era suo di diritto. Già…suo di diritto. Ancora non aveva digerito quella batosta, e sentiva un peso opprimente sullo stomaco, che era certo non sarebbe andato via fino a quando non avrebbe parlato con Leon. Non sapeva cosa aspettarsi, se delle scuse, o delle semplici spiegazioni, non sapeva come sarebbe stato il loro rapporto da quel momento in poi, ma era certa di volerlo affrontare. Avrebbe pensato a cosa fare la mattina dopo, quella notte però non riusciva a smettere di rfilettere, e se ogni pensiero avesse prodotto rumore, probabilmente anche Lena avrebbe passato la notte insonne proprio come lei.
Quando voleva Leon sapeva davvero essere introvabile. Aveva cercato ovunque: al campo di allenamento, e in tutti i luoghi in cui era solito andare, si era fermata perfino di fronte al labirinto di rose, senza però trovare il coraggio di entrarvi, visti i precedenti. Aveva l’incredibile capacità di scomparire proprio quando aveva qualcosa di importante da dirgli. Incrociò Thomas mentre rientrava nel castello, che le rivolse un gioioso saluto. Dal giorno dell’interrogatorio con Lena sembrava veramente sollevato, e ogni motivo era valido per cercare di stare in sua compagnia. Non che a Violetta dispiacesse, ma temeva che mal interpretasse la sua cortesia e il suo sincero sentimento di amicizia, e per questo a volte cercava di declinare educatamente quegli inviti. Quella mattina però, fortunatamente, il Bianconiglio era preso da ben altre preoccupazioni e la sua propensione a invitarla a fare passeggiate o a rinchiudersi in biblioteca per continuare le ricerche sulla fuga non trovava alcun adito.
“Hai visto Leon?” chiese lei, mentre Thomas, avendola salutata appena, si fermò di colpo, scrutandola pensieroso.
“Come mai vuoi parlare con il principe?” ribatté il ragazzo, avvicinandosi con un certo sospetto. Una scusa, aveva bisogno di una scusa. “Ordini della regina…devo riferirgli un messaggio”. Sperava di aver colto nel segno, ma Thomas non cessava di sbattere prepotentemente le palpebre, per poi tornare a fissarla di sbieco.
“Solitamente ordini del genere sono affidati a Jackie”.
“La regina ha incontrato me, e visto che non ha tempo da perdere mi ha ordinato di trovare Leon”. Alla parole ‘tempo’ il Bianconiglio ebbe un sussulto, e si ricordò dell’infinità di compiti che avrebbe dovuto portare a termine quella mattina, a partire dal parlare con le sentinelle per riferire i nuovi turni di guardia. Ovviamente aveva scritto tali orari anche su una pergamena custodita in un cassetto chiuso a chiave del comodino della sua stanza, in modo da poterli sfruttare per una loro eventuale fuga.
“Mh…se non è al campo di allenamento, potrebbe anche essere nel suo studio” spiegò Thomas. Dopo avergli dato indicazioni precise per raggiungere la stanza, cominciò a correre disperatamente verso le mura, guardando di continuo l’orologio. Ancora una volta, tanto per cambiare, era in ritardo.
Violetta non sapeva nemmeno dell’esistenza di quel piano. Era passata tante volta di fronte alla sala da pranzo, ma mai si era resa conto della presenza di una piccola scala sulla destra che conduceva in alto. Erano scalini in pietra bassi che giravano intorno a un pilastro. Piccole feritoie permettevano di avere una scarsa visuale del giardino che circondava il castello, ma almeno grazie ad esse l’ambiente risultava sufficientemente illuminato. Quando però raggiunse il piano superiore le sembrò di essere tornata nel buio della notte, se non per la presenza di alcune fiaccole. Fece un respiro profondo di fronte a una porta in legno d’acero, e si decise a bussare.
“Avanti”. La voce di Leon era parecchio annoiata, e non appena la sentì il cuore le balzò in gola. Si chiese se non fosse il caso di non entrare, e di scappare a gambe levate, ma ormai doveva farsi coraggio e andare avanti. Entrò in quello che era un piccolo e modesto studio dalla pianta quadrata. Librerie di legno pregiato circondavano tutte le pareti, da cui emergevano pergamene di tutti i tipi in mezzo a vecchi libroni. Leon stava scribacchiando di malavoglia qualcosa, intingendo rapidamente la piuma d’oca in un piccolo recipiente di cristallo pieno di inchiostro, e lasciando che esso scorresse liberamente sul foglio. Non appena alzò lo sguardo scattò in piedi, e si illuminò di colpo. Subito dopo però si rese conto della sua reazione esagerata e con un colpo di tosse cercò di mantenere un po’ di contegno.
“E’ bello che tu sia venuta…qui” disse con un po’ di esitazione, cercando termini consoni alla situazione, anche se in quel momento il suo cervello mandava sempre meno impulsi, facendolo sentire solo e soprattutto parecchio stupido. Cercò di aggirare il piccolo scrittoio che li separava ma per venirle incontro diede una botta con la gamba allo spigolo, e gli sfuggì un gemito di dolore.
Violetta in un’altra occasione sarebbe scoppiata a ridere e non avrebbe aspettato un solo secondo ad abbracciarlo, e a lasciarsi cullare dalle sue dolci parole. Ma quel peso che aveva sentito durante la notte era cresciuto sempre di più, e non poteva tenerselo dentro.
“Ho saputo che ti sposerai”. Tagliente come una lama quell’affermazione raggiunse il cuore di Leon, che alzò lo sguardo atterrito e spaventato. “Volevo congratularmi” aggiunse ironica.
“Non è come credi…te l’avrei detto, ma non era poi così importante” tentò di giustificarsi con ben poca convinzione.
“Non era importante? Leon, tu ti sposi! E io…e noi…”. Era talmente arrabbiata da non riuscire a trovare le parole, ma anche Leon stava cominciando ad alterarsi.
“Noi cosa? Perché dobbiamo rovinare tutto per uno stupido matrimonio? Io voglio stare con te!”. Era estremamente confusa, ma non gliel’avrebbe data vinta in quel modo: non sarebbe cascata ai suoi tranelli per tenerla buona, non ora che la questione era così seria…che pensava, che sarebbe stata la sua amante? Davvero era così sicuro che avrebbe messo da parte la sua dignità solo per lui?
“Non penso che dovremmo più vederci…stiamo sbagliando” mormorò, mentre il suo sguardo esprimeva tanta di quella delusione da trapassare Vargas da parte a parte. Il principe non riuscì più a contenere la sua ira e cominciò a gesticolare mentre le urlava contro: “Va bene! Come vuoi tu! Ero io a sbagliarmi nel credere che tu fossi diversa dagli altri! Non mi hai nemmeno chiesto cosa ne penso io di questa storia, non sai che la mia futura ‘sposa’ non ricordo più che aspetto abbia, dato che l’ultima volta che l’ho vista avevo dieci anni…non sai che io questo matrimonio non l’ho mai voluto. Non l’ho scelto io, perché io non potrò mai scegliere, capisci?”. Violetta scuoteva la testa, incredula, e corse via, forse impaurita dalla sua reazione. Temeva che il vecchio Leon prendesse il sopravvento? Il rumore della porta segnò il culmine, e Leon per la rabbia diede un pugno allo scrittoio, che fece addirittura cadere il calamaio posto sul bilico. L’inchiostro gli sporcò gli stivali, ma non gliene importava nulla. Ancora una volta la sua vita era capace di riservargli solo delusioni. Solo ora si era reso conto di aver reagito fin troppo male, e non biasimava certo Violetta nel volergli stare lontano; non riusciva ancora a contenere la rabbia, e a volte credeva di trasformarsi in un mostro assetato di sangue. Si lasciò cadere sulla sedia e si portò la testa tra le mani, mentre cercava di trattenere quelle poche lacrime che volevano uscire. Respirò profondamente, ma presto i respiri si trasformarono in singhiozzi.
‘Ero io a sbagliarmi nel credere che fossi diversa dagli altri’. No, lei era diversa davvero, e lui l’aveva persa. Forse per sempre. Il suo stupido orgoglio aveva preso il sopravvento, e invece di spiegare la situazione aveva finito per aggredirla.
‘Non penso che dovremmo più vederci…Stiamo sbagliando’. Era facile per lei. Lui non riusciva a starle lontano, non ce la faceva proprio. Allo stesso tempo voleva rispettare la sua decisione, per quanto ingiusta la ritenesse.
 
Odiava ammettere di aver sbagliato, eppure era così. Quando Leon le si era rivoltato in quel modo aveva capito che si era comportata esattamente come tutti gli altri; l’aveva giudicato, l’aveva allontanato a causa di alcuni pregiudizi che si era fatta, forse condizionati da quello che era il vecchio Leon. Sentiva che era ormai troppo tardi per chiedere scusa, e forse era stato un bene mettere fine a quella relazione che si rendeva sempre più pericolosa di giorno in giorno. Incrociare Leon per i corridoi era un vero e proprio supplizio, eppure lui non l’aveva mai fermata per alcun motivo, seppure nel suo sguardo apparisse ogni sorta di supplica. La guardava a volte languidamente, a volte con un’impercettibile nota nostalgica, sempre cercando di non darlo a vedere a nessuno. Odiava manifestare le sue debolezze, e questo Violetta lo sapeva bene, ecco perché da ogni dettaglio sul suo volto riusciva a risalire a un’emozione, cosa che per chiunque altro sarebbe stata impossibile. In quei giorni aveva riflettuto molto sulla strana donna che era apparsa nel suo sogno, e il suo istinto le diceva che doveva trattarsi di Alice. Il problema è che per quanto provasse a chiedere informazioni tutti rispondevano che erano secoli ormai che la ragazza era tornata nel suo mondo, lasciando il Paese delle Meraviglie, e che le sue domande apparivano perciò alquanto sciocche. Perfino Humpty, per quanto avrebbe voluto aiutarla, aveva dovuto convenire che ricercare una persona leggendaria scomparsa da ormai troppo tempo, era come cercare un ago, non in un pagliaio, bensì in cento pagliai straripanti di fieno. Di colpo però si ricordò di qualcuno in particolare, che le aveva detto qualcosa a proposito di Alice.
“Cara signorina, mi scusi per questa spiacevole interruzione, dicevo che lei assomiglia molto ad Alice. Anzi, posso affermare con certezza che lei potrebbe essere uguale ad Alice. Meglio ancora, potrei dire tutto il contrario”.
‘…questa bambina si chiamava Alice. Si, proprio Alice. Alice era una persona davvero speciale, che dopo varie disavventure finì a corte dalla Regina di Cuori, che l’aveva invitata a una partita a croquet. Solo che il fenicottero rosa non voleva ascoltare la povera bambina, quindi…”
La quercia e il ghiro. Avevano nominato Alice per due motivi diversi, eppure entrambi sembravano saperla lunga sul suo conto. Avrebbe voluto parlarci, ma come uscire indisturbata da quella prigione dorata, senza far insospettire nessuno? Stava scendendo la scalinata principale quando a metà incrociò con lo sguardo Leon, che procedeva  nella direzione opposta. Non appena la vide, Vargas esitò appena, e provò a dire qualcosa, ma, forse ritenendolo inutile, abbassò lo sguardo e continuò a salire uno scalino dietro l’altro, in un religioso silenzio. Avrebbe potuto fermarlo, e forse avrebbero raggiunto un chiarimento, ma non era certa che tutto sarebbe stato come prima. E per cosa poi? Per una relazione ondivaga che rischiava di essere scoperta ogni secondo mettendo in pericolo entrambi? Lei razionalmente non poteva. Il suo cuore le urlava il contrario, e metterlo a tacere era sempre più difficile. Non sapeva che Leon potesse essere entrato così dentro la sua anima, lasciando un’impronta tanto grande. Stava per uscire quando incrociò anche Thomas, e un sorriso spontaneo le comparì sul volto: aveva un piano. 
“Se non torniamo prima del tramonto manderanno una pattuglia a cercarci, io te lo dico” borbottò Thomas, ormai al limitare della foresta. Non sapeva nemmeno lui come fosse riuscito ad ottenere un lasciapassare, eppure eccolo stringere nella mano una piccola lamina di metallo con inciso il simbolo del Regno di Cuori.
“Devo solo trovare qualcuno…se vuoi puoi aspettarmi qui” esclamò la ragazza, avanzando senza paura nella fitta selva, che metteva parecchia paura al compagno.
“F-forse è meglio” balbettò il Bianconiglio, tremando dalla testa ai piedi, al rumore sordo di un qualche animale lontano. Violetta annuì e cominciò a seguire il cammino rosso brillante; inevitabilmente le venne in mente il primo incontro con Leon. Chi avrebbe mai detto che le cose sarebbero cambiate a tal punto? Non doveva pensarci. Scacciò quei ricordi, e soprattutto l’immagine di Leon, dei suoi occhi che brillavano alla luce del sole, che le chiedevano di essere salvato; e lei si stava tirando indietro, per paura. Era una vigliacca, ma tutto era contro di loro, e non ce la faceva più a combattere per qualcosa che forse sarebbe scemato per conto suo. Il bosco si richiudeva sopra di lei, e pian piano le sembrò di tornare in quei giorni, quando la porta che l’aveva condotta lì si era dissolta nel nulla. Lì era iniziata la sua avventura, ed ora era tornata per cercare delle risposte. La colonna di fumo che proveniva dalla casa del Cappellaio Matto fu per lei una sorta di guida…la probabilità di ritrovare la vecchia quercia in quel vasto bosco era quasi nulla, ma almeno avrebbe potuto parlare con il Ghiro in tutta tranquillità. Sempre nella speranza di non uscire pazza dalle mille stramberie di quel gruppetto.
Raggiunse nuovamente il portico dell’accogliente casetta, e notò che la porta era stata verniciata con un rosso brillante. Si sentiva ancora odore di vernice fresca, quindi dovevano aver fatto quel lavoro da poco tempo. Già si udivano numerosi schiamazzi e urla selvagge che non lasciavano presagire nulla di buono, ma non aveva tempo da perdere, il sole già stava dando cenno di avvicinarsi alla linea dell’orizzonte. Bussò una volta, ma nessuno venne ad aprire. Due volte, tre volte. Niente. Il vetro della finestra vicino si infranse, e una tazzina schizzò a velocità supersonica, mancandola di poco.
“Mancato, testa di rapa!” strillò una voce ben nota all’interno della casetta. La porta si aprì di schianto e Beto sghignazzò alla vista della giovane. In testa aveva un cappello pieno di colori sgargianti che si diffondevano a macchie su tutto il tessuto, e portava un paio di occhiali sbilenchi sporchi di briciole.
“Buon Noncompleanno!” disse euforico, stringendola in un forte abbraccio da cui probabilmente non sarebbe uscita viva, se la Lepre non lo avesse richiamato dentro. Senza aggiungere altro la trascinò all’interno, e chiuse la porta dandole un forte colpo con il piede, mentre rideva a più non posso.
“Buon Noncompleanno!” fecero in coro Beto e la Lepre, correndo intorno al tavolo da tè, mentre il Ghiro dormiva beatamente con un buffo cappello da notte da elfo, che terminava con un vaporoso pon pon rosa. Violetta sorrise forzatamente, cercando di mostrarsi educata il più possibile, nonostante già avesse una gran voglia di fuggire da quella gabbia di matti.
“Certa gente è proprio maleducata” borbottò il Cappellaio, senza scomporsi un attimo, e afferrando al volo una teiera che gli aveva lanciato il compare, per poi versarsi una quantità di tè ben maggiore della capacità della tazzina. Bevve tutto d’un fiato, quindi fece un cenno entusiasta alla Lepre, che prese una mazza da baseball. La lanciò con foga, e quest’ultima la colpì frantumandola all’istante.
“Punto per la Lepre!” rise sguaiatamente Beto. Poi si rivolse di nuovo alla sua ospite con una faccia seria: “Davvero una gran maleducata!”.
“Si può sapere che cosa ho fatto di male, di grazia?” ribatté Violetta acida. Non aveva voglia di mettersi a litigare, ma non poteva accettare che le desse della maleducata senza alcun motivo.
“Ma non è difficile, ragazza!” cominciò Beto, sedendosi sulla sedia, che già provata da chissà quali pericolose azioni da parte dei suoi possessori, si sfasciò all’istante, lasciando l’uomo con il sedere per terra, il che provocò altre innumerevoli ed interminabili risate. Beto poi fece cenno di fare silenzio e si alzò con fare imperioso, risultando comunque parecchio goffo. “Noi” marcò bene la parola. “Noi ti abbiamo fatto gli auguri di Noncompleanno, ma tu? Tu no, signorina sgarbata”. Alzò la punta del naso con fare offeso. Noncompleanno? E che festa era? Violetta ripassò a mente tutte le festività che conosceva: festa di compleanno, Natale, Pasqua, al più poteva considerare tra quelle anche Santo Stefano e Capodanno, ma poi non ne ricordava altre. Si sentiva presa in giro, perché Noncompleanno era anche un nome fin troppo buffo per una festa.
“E che festa sarebbe?” domandò, alzando il sopracciglio con aria confusa.
“Ma questa ragazza è davvero ignorante oltre che maleducata!” si intromise la Lepre, guardandola con astio. Beto lo zittì dandogli uno scappellotto sulla schiena, e continuò a fingersi profondamente offeso.
“Non conosci la festa di compleanno, forse?”.
“Certo che la conosco”.
“E allora, sciocchina, non puoi non conoscere il Noncompleanno, che si festeggia quando non è il tuo compleanno! E oggi è anche il mio Noncompleanno!” esclamò lasciandosi trascinare nuovamente dall’entusiasmo.
“Ma è un’assurdità! Allora dovremmo festeggiare tutti i giorni, tranne quello del nostro compleanno…e poi dovremmo festeggiare anche quello, perché sarebbe il giorno del nostro compleanno” riassunse brevemente il suo ragionamento la ragazza.
Beto sbuffò e un ciuffo volò verso l’alto per poi tornare ad afflosciarsi sulla sua fronte. “E per quale motivo non dovresti festeggiare tutti i giorni?”.
Quella domanda inizialmente la spiazzò, quindi ci pensò un po’ su, e trovò da sola una risposta convincente: “Perché altrimenti si sminuirebbe il significato del festeggiamento, no? E’ una follia vera e propria!”. Beto aprì la bocca per ribattere, ma uno sbadiglio attirò l’attenzione di tutti i presenti. Il Ghiro aveva aperto i suoi occhietti assonnati, e stava allungando con una lentezza logorante il braccio per afferrare la teiera.
“Ghiro, proprio di te avevo bisogno! Spiegale per favore che il Noncompleanno è una festa importante!” si lamentò Beto. Sembrava un bambino, mentre si inginocchiava di fronte alla sedia dell’amico appena svegliatosi, e lo implorava di ricevere una mano in quella discussione che non aveva né capo né coda.
“Io dico che ha ragione chi non ha ragione. E siccome la ragazza ha ragione, allora non ha ragione, perché se avesse ragione, allora avrebbe la ragione di avere ragione, e a ragione aggiungerei! E allora cadiamo un vero e proprio assurdo. Insomma, la ragazza non può avere ragione!” esclamò con fare concitato, prima di chiudere nuovamente gli occhi. Violetta, che a quel punto non aveva alcun interesse a far prevalere la sua opinione si avvicinò al Ghiro, mentre Beto già stava dando il via ai festeggiamenti per aver vinto quella sfida.
“Ghiro…” lo chiamò piano, sperando che l’animale si risvegliasse dal suo perenne letargo. Il Ghiro riaprì gli occhi, e si ritrovarono faccia a faccia. Violetta prese posto sulla sedia di fianco, e sfiorò piano il suo pelo ispido.
“Vuoi sapere di Alice, giusto?” chiese l’altro con gli occhi lucidi, di un nero vivissimo.
Come l’aveva capito? Che fosse capace di leggerle nel pensiero? L’animale sorrise mestamente, e si guardò intorno, timoroso di qualcosa.
“Come sai che cosa voglio chiederti?”. La sua domanda era dettata da sincera curiosità, e non era riuscita a trattenerla, per sua fortuna il Ghiro sembrò abbastanza comprensivo, a dispetto di tutti i personaggi che le era capitato di incontrare in quel bosco.
“Ragazzina, ti stai immischiando in una questione molto più grande di te…e penso che sia presto. Se lo Stregatto ha preferito non dirti ancora nulla…”.
“Camilla?!” lo interruppe sorpresa, non aspettandosi che uscisse fuori proprio quel nome.
“Ma certo…non sai che…?”. Stava per aggiungere qualcosa ma Beto li interruppe con un sorriso nervoso cominciando a dire cose assurde e senza senso, finché il Ghiro non tornò ad appisolarsi.
“Ghiro! Ghiro!” cercò di richiamarlo Violetta, ma invano. Nel frattempo in tutta fretta Beto aveva tirato fuori un pacchetto giallo dall’aria festosa, e glielo porse.
“Per il tuo Noncompleanno. Mi raccomando conservalo con cura, potrebbe esserti utile!”. Per essere una consegna dei regali fu piuttosto frettolosa. Prima che potesse ribattere qualunque cosa Beto la accompagnò alla porta, adducendo come scusa il fatto che si fosse fatto tardi, e che altrimenti non avrebbe ritrovato la strada del ritorno. E in effetti il rossore del tramonto aveva già invaso l’intera foresta. Voleva dire qualcosa, magari per convincerli a risvegliare il Ghiro per continuare quella conversazione, ma le venne sbattuta letteralmente la porta in faccia. Beto le urlò dall’altra parte un ‘Buona fortuna!’, e si ritrovò sola soletta a ripercorrere il sentiero rosso, mentre si passava tra le mani il pacchetto. Prima di arrivare da Thomas decise di aprirlo, e quindi slacciò il sottile filo argentato, che lasciò scoperta una piccola scatolina di legno finemente lavorata. Lo aprì e al suo interno vi trovò un piccolo fungo.
“Un fungo?!” esclamò sorpresa, mentre lo tastava con cura. Era molto gommoso, ed aveva delle lamelle di un colore che tendeva all’arancione, mentre il cappello era di un marrone chiaro con alcune macchie più scure. Era pulitissimo, non una macchia di terra sporcava il gambo bianco, ma rimaneva comunque un regalo molto strambo da fare. Beto le aveva caldamente consigliato di conservarlo, e in fondo non le costava nulla farlo, anche se il suo primo pensiero era stato quello di buttarlo nel mezzo del manto erboso della foresta.
 
Quella sera, nonostante ci fosse il divieto di aggirarsi fuori dal castello, si trovava troppo piena di pensieri per riuscire a dormire. Decise di uscire solo per qualche istante, per prendere un po’ d’aria, e poi sarebbe tornata dentro. Ma mentre camminava, immersa in alcune riflessioni, che giravano tutte intorno al misterioso personaggio di Alice, non si rese nemmeno conto di aver raggiunto il lago che per la prima volta aveva scoperto in compagnia di Thomas. Ricordava bene quel giorno, era il giorno in cui Lena le era corsa incontro per avvertirla del ritorno di un Leon morente. Poteva ancora sentirla quella voce affannata e spaventata. Bagliori fuggenti apparivano e scomparivano sulla superficie dell’acqua, inseguendosi ininterrottamente, provocati dalla luna, che sembrava voler essere coperta da un fitto manto di nuvole. Una leggera pioggerellina si fece subito sentire, e il suo istinto la portò a cercare riparo sotto il padiglione. Non appena ebbe raggiunto il cancelletto di legno, ancora una volta cavernosi sussurri sembravano volerla avvertire.
‘Non è ancora il momento’
‘Non ora’
‘Non è il giorno giusto’
Troppi pensieri, e adesso ci si mettevano anche misteriose voci che le davano ordini. Era già successo, ma allora gli aveva dato minore peso. Con un piccolo sbuffo ignorò completamente quei consigli e si ritrovò a passeggiare all'interno del padiglione. Intorno alle colonne che sorreggevano il tetto, delle edere rampicanti salivano fino in cima. Parte del padiglione si affacciava direttamente sul lago, e senza pensarci neppure un secondo si appoggiò con i gomiti, sulla ringhiera di legno, e si portò il viso tra le mani. Le gocce ticchettavano incessanti, turbando l’apparente calma del lago, e le ninfee si lasciavano trasportare senza alcuna preoccupazione. Tutto intorno il buio. Le sembrò di sentire un rumore di passi poco distante, ma non ci fece particolarmente caso. Un leggero scricchiolio sembrò volerla riscuotere, ma anche quel richiamo fu vano. Alice…che mai poteva avere Alice a che fare con lei? In più si aggiungevano altri interrogativi: come mai Camilla non voleva che lei sapesse? E cosa le stava dicendo il Ghiro in suo proposito? Per di più Beto le era sembrato fin troppo strano, più del solito, non poteva non credere che lui sapesse tutto, ma non avesse voluto che anche lei fosse a conoscenza di determinati fatti. Una rana gracchiò per poi tuffarsi con un piccolo tonfo. Quella leggera pioggia sembrava aver smesso, e allungò la mano verso l’esterno per esserne sicura. Non voleva ripetere l’esperienza del labirinto in cui per poco non si era presa un malanno in piena regola. Non fosse stato per Leon…per poco non si morse la lingua tra i denti, arrabbiata come non mai. Perché finiva sempre per pensare a lui, anche quando apparentemente non c’entrava nulla? Sembrava albergare costantemente tra i suoi pensieri, e non aveva mai pensato che allontanarsi dal principe le avrebbe fatto così male. Ma era stato un bene per tutti: in fondo il matrimonio era stato solamente la punta dell’iceberg, un pesante e pericoloso insieme di paure e incertezze. Aveva donato certezze a Leon, ma a costo di perderne, a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita; perché se Jade avesse anche solo sospettato qualcosa temeva che una corda avrebbe stretto il suo collo prima ancora che potesse implorarla. E poi per cosa? Forse Leon non era innamorato, forse cercava solo un conforto, e il suo rischio sarebbe stato doppiamente inutile. Non aveva senso rischiare per qualcuno che non provava un sentimento forte nei suoi confronti, giusto? Suonava tutto più come una sorta di auto convincimento che altro. Sospirò, aggiungendo anche la voce Leon alla lista delle sue preoccupazioni. Il legno della ringhiera però cedette di colpo, e per poco non le scappò un urlo, mentre perdeva lentamente l’equilibrio. Ma qualcuno la afferrò da dietro, stringendola prontamente a sé, e Violetta si ritrovò a fissare i pezzi di legno che galleggiavano sul pelo, facendo su e giù.
“Lo avevo detto che quel legno era marcio e che andava cambiato!” digrignò tra i denti il suo salvatore. Non appena sentì la sua voce, arrossì all’istante, e si voltò di colpo, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto di Leon. Aveva la bocca semiaperta per quanto era rimasta sconvolta dal vederlo lì, di fronte a lei, che la stringeva ancora con forza, nonostante ormai fosse salva. Dopo attimi interminabili, si divincolò dalla stretta, e Leon la lasciò fare, continuando a guardarla con un’espressione dolce.
“Mi hai seguita, di nuovo. E’ una tua abitudine pedinare le persone, anche di notte?” chiese, cercando di apparire fredda e distaccata, sebbene il suo cuore le stesse suggerendo tutto il contrario. Vargas non si mosse di un passo, e si grattò la testa, fissando verso il basso. L’aveva evidentemente messo in difficoltà.
“Facevo fatica a prendere sonno…e ho pensato di fare una passeggiata, quando ti ho visto uscire; non ho resistito e ti ho seguito” ammise colpevole, alzando di poco le spalle. Diretto e conciso, proprio tipico di Leon. Non era tipo da girare intorno ad un argomento, ma ancora non le risultava chiaro perché avesse deciso di pedinarla.
“Beh…ti devo ringraziare. Di nuovo. Mi hai risparmiato un bagno notturno” disse, abbassando anche lei il capo. “Vado a dormire” aggiunse subito dopo, intendendo porre fine a quell’assurdo incontro. Leon la fermò per un braccio, facendola voltare nuovamente verso di lui. Si ritrovarono ancora una volta a guardarsi incantati. Leon fissava di continuo i suoi occhi per poi percorrere ogni tratto del suo viso, e fermarsi di colpo sulle labbra. Risalì fino ad incrociare nuovamente il suo sguardo. Ogni volta che sentiva quel verde ricercarla, implorarla, le gambe cedevano di colpo, e come se fosse in grado di leggerle il pensiero, Leon fece scorrere il braccio libero lungo la vita, attirandola lentamente a sé.
“Perché mi eviti?” le chiese con voce roca, mentre la mano con cui l’aveva fermata risalì lentamente il braccio sfiorandole una ciocca di capelli.
“Avevamo preso una decisione”.
“La decisione l’hai presa solo tu”.
“E tu dovresti rispettarla”. Un minuto di silenzio, sufficiente a farle credere di aver vinto. Non sapeva di quanto si stesse sbagliando.
“Ci ho provato, ma non ci sono riuscito”. A questo punto però la curiosità ebbe il sopravvento, e con un sussurro trovò appena la lucidità di dire: “E come mai? Non dovrebbe essere difficile per uno come te…potevi chiamare Lara, o qualche altra…”. Leon si innervosì particolarmente al solo sentire quel nome, e la sua espressione divenne quasi un ringhio, ma poi si ricompose, prendendo un respiro profondo. Ormai il petto di Violetta sfiorava il suo, ed ogni reazione del corpo non poteva sfuggire all’altro. Così quando si rese conto di quanto forte batteva il cuore della ragazza, si aprì in un mezzo sorriso. Non era troppo tardi, doveva solo ammettere quello che provava;dopo ore e ore di iutnerminabili riflessioni era finalmente giunto ad una semplice conclusione.
“Proveresti mai a chiedere ad un uomo di smettere di respirare?” le chiese serio, attendendo con ansia una risposta di qualsiasi tipo.
“Non vedo cosa c’entri…”. Forse stava anche per ribattere ma un solo sguardo di Leon la fece tacere. Si trovavano ancora stretti l’uno all’altro, ed era strano parlare in quel modo, ma nessuno dei due sembrava farci caso, troppo presi da quello che stavano dicendo, da quei battiti frenetici che i loro cuori facevano come se tentassero di riunirsi. Leon non si era mai sentito più emozionato in vita sua, e ben sapendo dove voleva andare a parare, sperava solo che lo credesse sincero, perché lo era. Per la prima volta si stava aprendo del tutto, senza alcun tentennamento, senza incertezze. Le stava donando il suo cuore, e si sentiva particolarmente strano.
“Mi sono sentito allo stesso modo; da quella mattina mi sono sentito morto dentro, e solo quando ti vedevo in giro al castello mi sembrava di tornare a vivere…”.
Per la prima volta Leon non andava al sodo, e non sapeva se ridere o lasciarsi guidare dalle sue parole, in paziente attesa di una conclusione. Ma l’impazienza aveva sempre la meglio nel suo animo. “Che cosa stai cercando di dirmi, Leon?” le uscì d’un tratto. La domanda era stupida, ma per Leon era l’occasione giusta, quella che doveva cogliere al volo.
“Non è facile per me, ma tu lo sai meglio di chiunque altro…solo che io…lo sai, ho bisogno di te, davvero”. Ma non era finita, lo sentiva. Le parole gli stavano per uscire, parole mai dette, ma sentite fin dal profondo. Quello forse era il posto ideale: avvolti nella notte, nessuno avrebbe potuto giudicarlo, o riconoscere quel Leon che tanto era temuto per la sua crudeltà. Ma lei si, lei poteva vederlo, poteva leggere i suoi pensieri con un solo sguardo, e leggeva le sue emozioni come se fossero un libro aperto. E allora perché tacerle la dedica di quel libro? Perché nasconderle la prima pagina, quella che tutti sfogliano e di cui nessuno si cura? E senza alcun preavviso, a dispetto di tutto quello che si era preparato nella mente, di tutte le continue riflessioni che l’avevano portato a quella conclusione, il silenzio fu rotto da quelle due semplici parole.
“Ti amo”.









NOTA AUTORE: Ciao a tutti, e scusate per il ritardo. So che molti mi vorranno male per come si interrompe il capitolo, ma purtroppo ci stava tutto, e così vi lascio anche con un po' di dubbio su come reagirà Violetta (autore crudele che non sono altroooo *sogghigna*). Mh...cercando di riassumere perchè sono in ritardo con la pubblicazione, e non voglio dilungare l'attesa...dopo un sogno bellissimo (*^*), rovinato sul più bello, dove compaiono anche Maxi, che si rivela 'ostile' ai Leonetta; ma oltre Humpty...QUALCHE SANTO CHE APPOGGIA LA LEONETTA? Fermi tutti, dalle parole della donna, alias Alice (ormai è quasi chiaro, su xD), che si diverte a turbare Violetta (?), sembra che lei sia dalla nostra parte *fa una ola per Alice*, e in più fa una strana e oscura rivelazione a Violetta per quanto riguarda un dono che possiede...Mhhhhh *riflette* No, aspetta io so di che si tratta xD Comuuuuunque, c'è un litigio tra Leon e Violetta, in cui sembra che la ragazza voglia porre fine alla loro storia (la sofferenza nello scrivere quel pezzo...la sofferenza pura). Violetta prova a parlare con il Ghiro, ma scopre solamente che lo Stregatto sembra nasconderle qualcosa...mh...*lo aggiunge alla lista degli interrogativi* 
E POI MOMENTO FINALE, E LEON SI DICHIARA *O* Ok, io amo particolarmente quella scena, non chiedetemi perchè, ma il modo in cui è successo, i dialoghi...no, niente, scleri miei, fate finta di nulla xD Come sempre ringrazio tutti voi che recensite, e che continuate a seguire questa storia (di cui stiamo per raggiungere il punto vivo xD). Oh, insomma, grazie a tutti, e...alla prossima! Buona lettura :D
syontai :D 
 
 
 

   
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: syontai