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Autore: Tomi Dark angel    14/05/2014    6 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Non tutti conoscono la felicità. Alcuni pensano di averla abbracciata, di abbracciarla tuttora, ma non è così. Felicità è una parola difficile, un concetto osticamente realizzabile. In molti si sentono parte di essa, in molti si sentono in potere di assorbirla, di capirla.
Sbagliato. Errore.
La felicità non và capita. La felicità non và cercata.
Essa giunge e basta, abbraccia, accarezza, bacia ogni anfratto di corpi abbandonati al suo tocco gentile. E chi sa capirlo, chi sa accettare che un giorno, attraverso circostanze totalmente ignote e sorprendenti, la felicità arriverà, allora quell’uomo, quell’uomo sarà felice davvero.
Ed è proprio su chi come John Watson non cerca costantemente la felicità… è proprio lì che la felicità pone le sue mani. Le distende, allunga le dita, tocca la sua piccola essenza di fragile umano e, gentile, gli concede una fortunata possibilità.
John capisce che qualcosa è cambiato quando schiude le palpebre, infastidito da un brillante riflesso di luce. C’è profumo nell’aria, e comincia a far caldo.
Si accorge di essere disteso tra morbide coperte, agglomerati di scaglie e drappeggi alari più preziosi dell’oro, più morbidi di qualsiasi seta pregiata. Non si arrischia a muoversi, non schioderebbe un muscolo da lì, perché quello è il suo paradiso.
Si guarda intorno, penetra con gli occhi l’oscurità soverchiante per scoprire che forse, infondo, non è poi così buio: l’intera stanza è percorsa da cristalli di luce, riflessi da scaglie brillanti e corna luminose lì, dalla penombra dello stesso letto in cui John si è risvegliato.
Sherlock Holmes siede con la schiena poggiata contro il muro, la testa china a causa delle corna che spingono contro la parete, forandola, il viso pallido come madreperla. Ha i capelli scombinati che gli cadono preziosi sulla fronte e intorno al viso, le labbra schiuse, le ciglia nere corvino per cui qualsiasi essere umano ucciderebbe. È una bellezza irraggiungibile, principesca, ma inconsapevole. Sherlock non sa di essere splendido, non si cura granché del suo aspetto. Eppure, nella sua distratta eleganza, sa essere più bello di qualsiasi drago, più affascinante di qualsiasi essere umano.
John si accorge di avere il capo adagiato sulla sua coscia coperta dal lenzuolo. Le braccia di Sherlock lo circondano, lo proteggono, gli promettono serenità. E John ci crede, perché si fida di Sherlock.
-So che sei sveglio.- mormora Sherlock così all’improvviso che John sussulta. Sarebbe caduto dal letto se le braccia della Furia Buia non l’avessero trattenuto.
-Sherlock! Da quanto sei…-
-Da sempre. Non ho dormito.-
John si raddrizza imbarazzato, si volta a guardarlo per incrociare l’occhiata dell’unico brillante occhio che Sherlock si concede di aprire. Vorrebbe accarezzargli il volto, vorrebbe baciarlo. Ma ha capito ormai, che deve aspettare, che sarà Sherlock a venire da lui al momento giusto.
-Perché non hai dormito? Ero così scomodo?- sorride, cercando di non fissargli l’ampio petto scoperto, gli addominali appena pronunciati e i fianchi duri che sinuosi si tuffano tra le coltri, strette intorno alla sua vita.
Sherlock contrae appena le sopracciglia in un accenno di espressione infastidita.
-Il sonno rallenta i ragionamenti. E poi, noi non siamo fragili come voi: possiamo astenerci dalle funzioni vitali per circa sei giorni, se così desideriamo.-
John annuisce, abbassa gli occhi perché non sa cosa dire. Vorrebbe ringraziarlo per averlo trasportato dalla vasca da bagno (dove si era addormentato) al letto. Vorrebbe ringraziarlo per essere venuto da lui proprio la sera in cui gli incubi si erano fatti soverchianti. Vorrebbe ringraziarlo perché adesso, John è certo di avere un angelo a guardargli le spalle. E quell’angelo ha due ali da drago.
-Perché io, Sherlock?- chiede all’improvviso. – Perché sei venuto da me?-
Alza gli occhi, incrocia quelli limpidi del drago. Per la prima volta, una minuscola seppur sfuggente scintilla di dolcezza gli illumina il viso, distende i suoi tratti, lo trasforma nella creatura caritatevole più bella che luce abbia mai avuto modo di toccare.
-Non lo so.- risponde lentamente, e sputa quelle parole con disgusto, come se  assaporasse l’asprezza in ogni lettera. –E odio non sapere le cose. Mi disturba. Io non ti conosco, John. Perché sei umano, perché sei l’umano così come doveva essere all’inizio. Sei… sei quel tipo d’umano in cui credeva mia madre.-
Sherlock distoglie lo sguardo, pare innervosito. Ha le labbra tirate, sigillate con forza, segno che sta trattenendo faticosamente le argentate volute di fumo che rischiano di palesarsi all’esterno.
Ma John non ha paura. John non potrebbe temerlo, mai.
Allunga una mano, la appoggia su quel viso tanto prezioso, tanto… umano. Ed è caldo. Caldo di vita, caldo d’emozioni mai espresse.
-Com’era tua madre?-
-Cosa c’entra, adesso?-
-Parlamene, Sherlock. Parlamene e… non so, cosa vorresti in cambio?-
Sherlock distoglie il viso, sfugge alla presa di John. Chiude gli occhi, ricorda, affonda nelle pieghe dei giorni passati. Camminando tra i corridoi del Mind Palace, comincia ad aprire le porte necessarie. Non l’ha mai fatto, non s’è mai azzardato a schiuderle. Eppure adesso, lo fa. Per John, sempre per John.
-Era bella.- mormora infine. –Profumava di… vento, credo. E di girasoli. Sorrideva sempre.-
Parla così dal suo Mind Palace, finché non ascolta le sue stesse parole fuoriuscire timide dalle labbra vere, materiali. Accarezza un’immagine di sua madre, rivede il suo sorriso, la sua grandezza nel saper perdonare ogni sbaglio altrui. Conosceva bene il mondo, sua madre. Lo conosceva, e lottava per curarlo di ogni insana ferita. Ogni giorno, ogni ora. Voleva soltanto un posto migliore dove crescere i suoi figli. Un posto amichevole, senza guerra. Non è andata così.
-Lei voleva la pace. Più di chiunque altro, lei voleva la pace.-
Sherlock stringe forte gli occhi aridi, asciutti. Non crede di aver mai avuto lacrime da versare. Pianse una sola volta, secoli addietro, e non lo farà mai più.
All’interno del Mind Palace, tutte le porte si chiudono di schianto, si lasciano sigillare e rimangono in silenzio, ricolme di un nuovo ricordo, di un nuovo momento prezioso e memorizzato.
-Sherlock, non…-
Toc toc.
La porta. Qualcuno bussa due volte, velocemente, spezzando l’incanto dell’atmosfera.
Sherlock e John si voltano di scatto, fissano la porta di legno come se potesse esplodere da un momento all’altro. Immobile per alcuni istanti, John sceglie di saltare giù dal letto di scatto, rischiando di inciampare e rompersi l’osso del collo contro la poltrona.
-Dio santo!-
Sherlock si sporge dal letto, lo fissa senza capire.
-Sherlock, devi uscire di corsa! Muoviti!-
E senza aspettare risposta, John corre ad aprire la porta. Confida nella velocità della Furia Buia nel dileguarsi, nel suo essere silenzioso, nella sua discrezione.
-Mrs Hudson! Che piacere.- esclama quando vede la piccola signora in piedi sull’uscio. Sorride, ha qualche lieve graffio in viso, ma sta bene. Come sempre, come John ha sempre voluto che fosse.
-John caro, come stai?- domanda lei, guardandolo con occhi luminosi, comprensivi. Occhi da madre.
Lui la abbraccia di slancio, stringe a sé quel corpo fragile, ma allo stesso tempo forte come un uragano. È Mrs Hudson, è parte della sua famiglia: sua madre, sua amica.
-Non doveva venire qui, vi avrei raggiunta io.-
-Oh, certo. Ma sei così impegnato John… Gregory mi ha detto cosa hai fatto.-
John scioglie l’abbraccio, la guarda in viso preoccupato. –Cosa ha detto?- domanda, ma nell’istante in cui Mrs Hudson apre bocca per rispondere… la catastrofe.
-John.-
E John raggela, perché quella voce proveniente dalla sua stanza, lui la conosce bene. È calda, morbida, profonda. Sherlock.
Si volta di scatto, intravede lo sprazzo di un’ala oltre la porta socchiusa. Perché accidenti non si è allontanato?
-John, c’è qualcuno con te?- domanda appunto Mrs Hudson e John comincia a sudare freddo. No, con lui non dovrebbe esserci nessuno. Perché Sherlock doveva sparire, perché Sherlock ha sempre fatto così: adesso però, è diverso.
-Io…-
Uno schianto, il rumore di qualcosa che esplode. Poi fumo leggero, grigiastro, sporco. E Mrs Hudson tossisce.
Sherlock!
Gettando all’aria ogni precauzione, John corre nella sua stanza, seguito da Mrs Hudson. Spalanca la porta, quasi la sfonda nell’impeto d’urgenza che lo spinge a cercare la Furia Buia. Si aspetta di trovarlo nei guai, si aspetta di vederlo avvinghiato a un suo simile in un corpo a corpo pauroso. Ma non è così.
Sherlock siede ancora sul letto, le coperte tirate fin sopra il mento, la schiena aderente al muro e la testa dritta, che incassa quasi completamente le corna nel muro. Le ali non si vedono e la coda, se John ci fa caso, occupa arrotolata lo spazio in ombra che passa sotto il letto.
Sherlock ha gli occhi socchiusi, e grazie a Dio è in penombra e Mrs Hudson non ci vede bene, altrimenti si accorgerebbe sia degli occhi serpentini, sia delle punte acuminate che gli delineano la mandibola.
-Lei deve essere la proprietaria dell’ex appartamento di John.- dice Sherlock.
Memorizzare.
Porta ottocentouno, corridoio quarantasei. Donna divorziata, il marito la tradiva. Casalinga, pochi amici, casa distrutta, famiglia defunta. Ha bevuto un tè caldo ma scadente poche ore fa.
-Oh… oh!-
Mrs Hudson si copre la bocca con una mano, passa lo sguardo da John a Sherlock. Al primo occorrono due secondi di panico e confusione per capire cosa sta pensando.
-No… no, Mrs Hudson, lui è… un… mio paziente.-
-Oh John, dovevi dirmelo. Ecco perché eri così scostante ultimamente.-
-Scost… no! Non capisce, Mrs Hudson, io…-
-John.-
John si volta, incrocia lo sguardo urgente di Sherlock: cerca di dirgli qualcosa, cerca di spiegargli perché è ancora lì. E John vorrebbe saperlo. Veramente. Ma non con Mrs Hudson davanti.
-Ehm… Sherlock, credo sia ora di cambiarti le fasciature.-
Sherlock lo guarda, inarca un sopracciglio. Stringe le labbra per trattenere o il fumo o una rispostaccia, ma non replica.
-Oh, certo. Un tuo paziente. Nel tuo letto.- Mrs Hudson fissa John con occhi scintillanti che non promettono nulla di buono. Sorride come sorriderebbe lo Stregatto di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, e questa non è una buona cosa. John preferirebbe affrontare un altro drago piuttosto che avere a che fare con una Mrs Hudson in procinto di trasformarsi in una fan sfegatata dello slash.
-Io…-
-John.-
-Sherlock! Piantala di chiamarmi, conosco il mio nome!-
-A me non sembra, o mi daresti retta.-
Mrs Hudson batte le mani con tanta forza che John sobbalza e Sherlock tossisce, lasciandosi sfuggire dalle labbra una nuvoletta (fortunatamente quasi invisibile) di fumo argentato.
-Oh, siete meravigliosi, cari! Tranquillo Sherlock, vi lascio da soli. John è un po’ tardo in certi casi, ma ti assicuro che è un bravo ragazzo.-
-Mrs Hudson!!!-
Ma Mrs Hudson non lo ascolta e anzi, lo abbraccia velocemente e fa lo stesso anche con Sherlock. John lo vede irrigidirsi, stringere le labbra ai limiti del possibile mentre anche dalle narici comincia a fuoriuscire il fumo. È a un passo dall’esplosione quando Mrs Hudson lo libera e, voltatasi, esce di casa in fretta, senza salutare. John è certo che a breve quella storia la conoscerà tutto il quartiere, e questo è un guaio.
-CHE CAZZO FAI?!- esplode appena la porta si chiude. –Dovevi sparire, l’hai sempre fatto! Come ti salta in mente di…-
-Non potevo uscire.-
-Come no?! E accidenti, dopo tutto questo tempo, potevi far sparire le ali e non l’hai mai fatto?-
-Non posso farlo, infatti.-
-Non raccontarmi storie, cornuto di un rettile!-
-John.-
-E adesso Mrs Hudson andrà in giro a distribuire volantini da fan girl assatanata, e…-
-John.-
-Fammi finire! La mia vita è rovinata, te ne rendi conto?! Neanche andassi a prostitute, dannazione! Io…-
-JOHN!!!-
-CHE C’È!!!-
Sherlock inspira profondamente, lottando quasi disperato contro il fumo che spinge per fuoriuscirgli dalle labbra. Deglutisce una, due, tre volte, e alla fine, nonostante la gola a pezzi, si sente in grado di respirare dalla bocca.
Non vuole pensare di essere stato così imbecille. Non vuole pensare di aver raggiunto un tale picco di stupidità. Proprio lui, Sherlock Holmes, principe decaduto e mente brillante, forse una delle più brillanti del mondo.
Ma…
-Sono incastrato.-
Silenzio. John lo guarda, pare trattenere il respiro.
-Sei… cosa?-
Sherlock sbuffa, stringe i pugni sotto le lenzuola per nascondere il nervosismo e la rabbia verso se stesso.
-Incastrato. Sono incastrato, John.-
E per dimostrare la sua affermazione, muove appena la testa per mostrare la piccola porzione di corna non ancora affondata nell’intonaco.
-Oh, e hai bisogno di un muro nuovo.-
Inarca la schiena, mostra le ali che hanno sfondato la parete alle sue spalle e adesso invadono totalmente la cucina.
È un istante, un altro attimo di silenzio. Poi, John scoppia a ridere. Si piega in due, appoggia una mano al materasso mentre con l’altra si tiene lo stomaco dolente. Ha le lacrime agli occhi e il viso rosso.
-John! Non ridere!-
Ma John ride più forte, cade in ginocchio e si accascia a terra, dove rotola sulla schiena nel disperato tentativo di respirare.
-JOHN!!!-
-Che succede?-
Noah sbuca dal bagno, sbatte le palpebre nell’oscurità per vederli meglio. Alle sue spalle c’è Molly, e questo annienta lentamente la risata di John.
-Hai finito?- sbuffa Sherlock, piccato. Non si preoccupa di essere praticamente nudo, coperto solo da un lenzuolo in presenza di una ragazza che lo guarda con fin troppo interesse. A John questo non piace.
-Molly- dice, alzandosi a sedere col fiatone e il viso bagnato di lacrime. –che ci fai qui?-
Lei si riscuote, sussulta e pare sforzarsi pesantemente per distogliere gli occhi da Sherlock, ancora immobile contro il muro. Noah lo raggiunge sorridendo e lo aiuta a liberarsi, lottando contro gli sbuffi della Furia Buia, le sue rispostacce, l’intonaco e le ali che, ingombranti, sembrano poco intenzionate a lasciare la cucina adiacente.
Intanto, Molly si inginocchia al fianco di John, volta faticosamente le spalle a uno Sherlock ormai libero dal lenzuolo e quindi gloriosamente nudo. John stringe i pugni, spera che la sua amica se ne vada all’istante.
Non riconosce quella sensazione di rancore mai covato nei confronti della dolce e gentile Molly. In effetti, un’emozione del genere riferita alla sua persona, appare quasi anomala, insana, malata. E John si sente malato, perché Sherlock è nudo e lei si sforza di non guardarlo quando in realtà vorrebbe girarsi, stringerlo a sé, toccarlo. No, a John non va bene. Ma deve controllarsi. Deve…
-Abbiamo… be’, in realtà io ho pensato che… potresti volare.-
-Eh?-
-Sì, ti ho visto. Quando hai affrontato quel drago enorme e… e ti facevi sballottare a destra e a sinistra mentre volavi a dorso di drago. Insomma, non sei abituato. E se invece lo fossi?-
John sbatte le palpebre, non capisce. Poco distante da loro, Sherlock si immobilizza. Fissa Molly con rinnovato interesse, corruga le sopracciglia, scava ogni informazione utile dagli angoli del suo Mind Palace per decifrare, per capire.
Stanza undici, corridoio settantasei.
-Volete fare un test di volo.- deduce infine, e Molly annuisce, le mani strette in grembo, la postura rigida. Si sforza ancora di non muoversi.
-Eh?! Ma siete impazziti?- esclama John, sbarrando gli occhi. Ma Sherlock la pensa diversamente.
-Non è una cattiva idea.-
-Sherlock!-
-John, hai rischiato di ucciderti l’ultima volta. E io non posso sballottarti a destra e a sinistra come un inutile sacco di sabbia. Usa il cervello, se impari ad adattarti alle nostre movenze, anche io saprò combattere meglio di conseguenza.-
John fissa Sherlock, legge nei suoi occhi uno scintillio di… fiducia? No, non Sherlock, non è possibile. Eppure, John sente che qualunque decisione prenda, Sherlock la rispetterà.
Lo farà perché Sherlock rispetta lui.
Lo farà perché è Sherlock.
Lo farà perché così è giusto.
-John?-
Molly lo richiama alla realtà, lo costringe a distogliere faticosamente lo sguardo da quello magnetico del drago, ancora seduto sul letto.
Adesso tutti lo guardano, tutti lo studiano. Ma soltanto Sherlock sa vedere, sa capire. Soltanto lui ci riesce, semplicemente perché è Sherlock.
E John si fida, farebbe qualsiasi cosa per lui. È diventato parte del suo universo, forse ne ha conquistato il centro con la sua freddezza, con la sua… umanità. Perché più di tutti loro, il vero umano così come doveva essere all’inizio, così come lo vorrebbe ogni favola mai narrata, è proprio lui.
-Ci sto.-
 
-Ho detto una stronzata. Non ci sto affatto!-
John si agita, stringe forte una delle punte cervicali di Noah mentre il drago svetta maestoso sui miserabili resti dello stesso edificio che un tempo era stato il più alto della città. Al loro fianco, Sherlock si erge alto e bellissimo, coi capelli scompigliati dal vento e gli occhi limpidi che saettano, studiano, cercano. Alla luce tenue della luna, la sua pelle pare composta di madreperla.
-Forse non è stata una buona idea aspettare la notte per farvi spiccare il volo. Qualcuno potrebbe vedervi.- dice Molly, aggrappata convulsamente a John. Forse ha più paura di lui, forse teme il vuoto e la morte, ma nulla le ha impedito di accompagnarli. Ha scelto di dare ai draghi una possibilità, ha scelto di pensare con la sua testa. Ha scelto di seguire Hound e le sue preghiere di pace.
-Gli edifici della zona sono tutti evacuati. Questo è il punto in cui l’ultimo attacco si è intensificato, perciò si temono crolli edilizi o sprofondamento di qualche tratto stradale. Teorie sorprendentemente esatte, considerate le crepe che circondano il palazzo poco più a nord di qui e i crolli generatisi sotto alcuni tratti di strada.- spiega Sherlock, guardando in basso. Si accovaccia, artiglia i miseri resti del cornicione per guadagnare equilibrio mentre dilata le narici e annusa l’aria, in cerca di odori allarmanti.
Nulla.
Stanza dodici, corridoio novantanove. Odori.
-Possiamo andare.- conferma, raddrizzandosi.
-Non potremmo aspettare…-
Ma improvvisamente, Molly perde la voce.
Noah piega le cosce possenti e spinge forte sulle zampe, gonfiando ogni singolo muscolo. Si getta nel vuoto con leggerezza, senza peso, come se il suo corpo massiccio non pesasse affatto. Nel momento stesso in cui si affida all’aria, egli diventa aria stessa.
Le ali si spalancano, schioccano sorde allo schiaffo del vento che le accoglie, ne gonfia le vele e sforza muscoli e tendini in un unico assemblaggio di creatura padrona dell’aria.
John si abbandona alle movenze di Noah, cerca di assecondarle. Tuttavia, quando il drago interrompe la caduta per risalire in morbide spirali, John si sente sballottare di lato. Si aggrappa forte alle punte cervicali del drago, stringe i denti per non cadere. Contro le ginocchia, sente urtare le ali possenti di Noah, ampie come vele di tre navi messe insieme, abbastanza audaci da sfidare il vento. Lo catturano, lo rimescolano, lo riutilizzano a piacimento come spinta suprema verso un cielo più alto, più lontano.
-John.-
E John, ormai in procinto di vomitare, si volta. Lo fa perché non può farne a meno, lo fa perché quella voce è per lui un richiamo, un ordine, un bisogno di rispondere.
Incrocia lo sguardo di Sherlock, lo vede volare senza sforzo accanto a Noah. Non sbatte quasi le ali, non sforza alcun muscolo. Semplicemente, si affida al vento, lo sfrutta, lo domina più di qualsiasi altro drago. Lui è una Furia Buia, lui è fuoco, aria e tempesta. Lui è velocità, e volare, è nel suo sangue come lo sarebbe il nuotare per un pesce.
John guarda le sue ali, si lascia ammaliare dai riflessi cangianti che emettono. E d’improvviso, la nausea sparisce.
John quasi non se ne accorge ma lentamente, con calma, i suoi riflessi di soldato si risvegliano. Poco a poco, le sue occhiate ammirate si trasformano in studi accurati del corpo che ha davanti, delle ali che osserva interessato. Le studia mentre si piegano, facendo virare il corpo verso destra e sinistra, le guarda sbattere e salire, o piegarsi in avanti per scendere.
Poco a poco, John capisce, imita, studia. E quasi senza accorgersene, adatta il corpo a quello di Noah, piegandosi di lato quando lo sente virare o appiattendosi in avanti quando il drago scende in picchiata. Cerca armonia, sincronizzazione, equilibrio.
Sorride, assapora il vento che gli schiaffeggia il viso. E improvvisamente, per lui è come guardare il mondo con occhi non suoi.
Qualcosa cambia, il suo sguardo pare mutare ogni cosa, ogni angolatura. John non combatte più il vento, perché ormai il vento lo possiede, lo aiuta, lo spinge sempre più su, sempre più lontano. E grazie ad esso, John si sente libero.
Sfrecciano sotto un mare di stelle cadenti, più giù della luna, sotto una cappa di sfumato blu cobalto. Il mondo si prostra ai loro piedi, si stende come minuscola coperta dove i fiumi diventano nastri e le foreste a nord, nella terra dei draghi, si trasformano in distese puntinate di svariate tonalità smeraldine. Londra, con la sua grigia miseria e il suo lurido odio malato, è ormai lontana, racchiusa nel suo terrore che impedisce ai suoi abitanti di esporre il naso oltre la soglia sicura di una porta di casa perennemente sigillata.
Sorridendo in preda all’euforia, John spalanca le braccia e urla. Felice, libero, non più uomo ma drago. Potrebbe avere ali e coda, corna e scaglie, e non cambierebbe niente. Perché adesso conosce la libertà, adesso si sente leggero come l’aria e amico di quest’ultima.
-Ottimo lavoro.- mormora Sherlock, improvvisamente vicinissimo. Si è accostato a Noah per un istante, prima di oltrepassarlo e tuffarsi in basso, verso il fiume. Rimpicciolisce, sparisce alla vista con uno scintillio, ma quando ricompare, svariati minuti dopo, è affiancato dagli albatros.
John li vede posizionarsi intorno a Sherlock, inglobarlo nello stormo come farebbe una famiglia. Ed è bellissimo.
Noah vira a destra, sbatte forte le ali, s’innalza appena verso il cielo. Adesso vola più lentamente, in maniera pacata, serena. E John non ci mette molto a capire che in realtà, Noah e Sherlock li stanno conducendo da qualche parte.
-Dove andiamo?-
Sherlock evita il suo sguardo, irrigidisce i muscoli del viso e del corpo. Se John non lo conoscesse bene, penserebbe che ha… paura.
-A est. C’è una cosa che dovete vedere.-
 
Note dell’autrice:
Eeee tanto per cambiare sono in ritardo. Tanti auguri a me!
John: tanti auguri un cavolo! C’è un rodeo di struzzi in corridoio! Mrs Hudson è ingestibile ormai, non posso…
Irene: ihaaaaaaaaa!!!
…………………………………………………………………………..
John: perché Irene cavalcava uno struzzo rosso?
Colpa mia, credo che la storia delle scaglie vermiglie le abbia dato alla testa…
John: sicuramente è una visione migliore di Mrs Hudson in perizoma… torno a tentare il suicidio.
Ok, a dopo! Dunque, spazio ai ringraziamenti!!!
Come sempre, dedico ogni mio sforzo e ogni più sentito ringraziamento a coloro che più di tutti meritano ogni parola di questa storia e ogni ora passata a scrivere. Grazie a voi, draghetti recensori, che non mancate mai di commentare, di farmi sorridere e di aiutarmi a scrivere ancora e ancora. A voi:
Kimi o Aishiteiru
FFk
Sparrow
Fatelfay
Sonia_0911
Bbpeki
Grazie a tutti e a presto!

Tomi Dark Angel
 

 
  
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