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Autore: thecitysmith    16/05/2014    2 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La notte prima della caduta della barricata, Grantaire scrisse lettere alle altre Città. Non avevano un ordine particolare, solo il peso delle sue parole, la cascata delle sue preghiere, mentre quelle più profonde restavano nella sua anima. Ma le lettere delle Città raggiungono la loro destinazione in alcune ore. E arrivano quasi sempre troppo tardi.


Questa volta non fecero eccezione.


X


Ottawa e Gatineau stavano giocando nel giardino quando vennero raggiunte da un maggiordomo. Con lui arrivò l’uomo che era incaricato della loro custodia, anche se alle due piccole non interessava poi più di tanto il suo nome, impegnate com’erano nei loro giochi, anche se presto sarebbero diventate adulte.


«Ottawa, porta qui tua sorella,» disse l’uomo, prima in inglese, e poi, dopo una pausa, in francese. Le sue spalle erano piegate all’ingiù. C’era qualcosa stretto nella sua mano. «Ho paura di avere brutte notizie per voi…»


X


Roma stava chiudendo la sua casa in vista della notte, anni di esperienza che ormai la costringevano a fare lei l’ultimo giro di controllo, quando vide la lettera atterrare ai suoi piedi. La raccolse e aprì la busta con attenzione. I suoi grandi occhi antichi si chiusero, e le rughe sul suo viso si approfondirono, mentre il dolore si scolpiva nel suo viso.


«Oh no, oh no…»


X


Berlino si svegliò con un sobbalzo. Non aveva avuto intenzione di addormentarsi, ma certe attività lo avevano cullato in un sonno soddisfatto. Adesso, non sarebbe più riuscito a ritornare a riposare. La sua fronte era umida di sudore freddo. Berlino si sedette.


«Cosa succede?», un mormorio sonnolento vicino a lui. Portsmouth lo avvolse con un braccio, il pollice che seguiva la linea del fianco del suo amante.


«Un brutto sogno,» Berlino guardò in basso, gli occhi pieni d’affetto.


«E allora torna qui, lascia che ti conforti.» Port lo morse e Berlino era tentato.


Ma c’era qualcosa nella stanza. Berlino fissò la lettera scivolare sotto la porta. Il simbolo sul retro della busta era familiare, anche se non l’aveva visto per un bel po’: una nave in mezzo a una tempesta e il motto, «Fluctuat nec mergitur». Si abbassò a prenderla nello stesso momento in cui qualcuno cominciò a prendere a pugni la porta. Entrambe le Città scattarono in piedi, infilandosi i pantaloni. Il bussare non accennò a smettere.


Portsmouth spalancò la porta e vide Londra immobile nella luce del corridoio. Il suo viso era rigato di lacrime.


«Ho bisogno di una nave.»


«Cosa succede?», domandò Portsmouth.


Berlino prese la lettera dal pavimento e l’aprì, la bocca che formava una singola, stretta linea. Una busta simile, anche se molto più accartocciata, spuntava fuori dalla tasca di Londra.


«Edimburgo e Cardiff sono qui, anche loro, lui ha ricevuto la lettera per primo e ci ha svegliati tutti. Abbiamo bisogno di una nave- la prima a salpare per la Francia.»


«Vai al porto, ce n’é una che leva le ancore stanotte.» disse Portsmouth, ancora stupito finché Berlino non gli tese la lettera. Port impallidì.


«Vieni anche tu?» chiese Londra, rivolta a Berlino.


«Certo.» Strinse la spalla di Portsmouth in un addio silenzioso (Tornerò presto), prima di seguire Londra nella sua corsa.


La voce di Portsmouth lo inseguì.


«É morto? É morto?»


X


«PARIGI!», un grido agonizzante. L’acqua si agitò nei canali e si mosse, con la stessa rabbia e dolore e confusione di quella voce.


Diverse guardie fecero irruzione nelle stanze di Amsterdam, per trovare la Città in preda a una rabbia devastante.


«Come osa?», chiese lei, rivolta agli uomini che la fissavano confusi. «Come osa dopo- dopo- con tutto quello che abbiamo passato? Come osa lasciarci invece di assumersi le sue responsabilità? Come osa andarsene come se- come osa arrendersi?», e il suo bellissimo viso si sciolse in lacrime.


«Cos’é successo?», chiese il suo ministro, appena arrivato.


«Parigi, lui é-», Amsterdam si prese la testa. «Non lo so. Non lo so! Non riesco a capire. Non riesco più a sentirlo!»


«Questa cosa potrebbe avere grandi conseguenze politiche,» il viso del ministro era preoccupato. «I suoi umani ne sono al corrente?»


Un vaso si infranse sulla parete vicino alla testa dell’uomo. Tutti si zittirono all’istante.


«Gli umani non c’entrano niente, « ruggì Amsterdam, e la sua voce era la voce di centinaia e centinaia. I suoi occhi brillavano d’odio. «E adesso fuori!»


X


Madrid galoppava lungo la strada, alzando polvere al suo passaggio. Si abbassò a mormorare parole incoraggianti al suo cavallo. Sarebbe stato un viaggio lungo.


Anche se era scuro, riuscì a vedere qualcuno avanzare sulla strada verso di lui. Tirò le redini più per la sorpresa che per altro.


«Lisbona?»


«Madrid!», esclamò l’altra Capitale, in spagnolo, dal momento che era sulle sue strade. Anche lei fece rallentare il suo cavallo. Entrambi sembravano esausti. «Ho già cambiato cavallo due volte nelle tue taverne, spero non ti dispiaccia.»


«No, ho ricevuto anch’io una lettera.»


«Dobbiamo fermarlo.»


«Lo so», e cercò di odiare Parigi per le guerre, ma era difficile. Anche Madrid era stato un impero, e conosceva la pazzia che ne derivava. Ma il fatto che volesse gettare al vento la sua vita avrebbe potuto precipitare la Francia nel caos.


«E se é troppo tardi?», disse Lisbona. Sul suo viso c’era una disperazione tranquilla, piena di dignità. L’Europa era ancora giovane. Non era pronta ad assaggiare il gusto amaro della perdita.


«No.»


E con quello, entrambi spronarono i loro cavalli, galoppando via nella notte.


X


Stoccolma era seduta assieme ad Oslo quando arrivarono le loro lettere. Il fuoco era acceso vicino a loro, più per abitudine che per altro; Oslo ormai non sentiva più il freddo. Entrambi guardarono le fiamme a lungo, prima di parlare.


«É morto?»


«Sì.»


Il fuoco sibilò, sprizzando scintille verso di loro.


X


Mosca venne svegliato dal suono di un pianto. Si rigirò, confuso e affamato ed era decisamente troppo presto per qualsiasi cosa fosse. Si sedette e si irrigidì, alla vista di San Pietroburgo, la sua piccola faccia da bambola accartocciata e piena di dolore.


«Io- Io-», balbettò, per la prima volta nella sua vita.


«Parigi», pianse lei.


«Cos’ha fatto?», chiese Mosca, prima che lei gli porgesse una piccola, triste lettera. La lesse attentamente. Ecco. Il costo dell’amore. Se ne sarebbe ricordato.


«Non capisco», disse San Pietroburgo, ed era ovvio che non capisse. Era fin troppo giovane. «Le Capitali non possono morire, giusto? Posso morire? Morirò?»


«No», Mosca la abbracciò, riscaldandola. «Certo che no.»


X


«É morto?»


X


«É morto?»


X


Atene camminava piano, come se fosse schiacciata da un peso immenso. La strada era lunga, ma non importava. Sarebbe arrivata comunque troppo tardi. Tutti loro, tutti sarebbero arrivati tardi. Ma camminava, perché aveva sepolto fratelli e sorelle e figli. Avrebbe fatto lo stesso per Parigi.


«Oh, bambino…», sospirò Atene. Stringeva la lettera, cercando di memorizzare le curve della calligrafia che vi era impressa prima che sparisse e diventasse polvere.


Il sole sorse.


E a Delfi sbocciarono i fiori.


X


«É morto?»


X


Arrivarono all’alba del giorno successivo, rossa di sangue. Troppo tardi. Non restava più nulla della barricata, tutto era stato portato via dalle guardie e dai cittadini. Nulla, se non ricordi, e le Città francesi.


Nell’oscurità erano arrivate insieme, e avevano lavato via il sangue dalle strade di Parigi, con dolcezza. Attorno a loro il mormorio di donne, alcune piangenti, altre che si rifiutavano di credere a quello che era appena successo, altre che condannavano. Il popolo di Parigi non aveva ancora capito cosa aveva perso.


Lì si riunirono le Città francesi. E non combatterono. Non ci furono scontri per la Capitale. Non quando davanti ai loro occhi c’era il risultato di guerre e combattimenti. Tolosa contò i cadaveri. Marsiglia era zitto. Nuova Versailles tormentata dai fantasmi del passato. Rouen arrivò ed esitò, senza sapere quanto quello fosse il suo posto, ma lo lasciarono restare senza fare domande. Era loro fratello, nonostante tutto.


Non suonarono i tamburi.


Le Città straniere restarono indietro, perché non era la loro cerimonia. Restarono nei vicoli, o passarono in punta di piedi nella piccola, brutta stanza in cui era morto il loro Parigi. Puzzava di sangue, e di alcool. Niente di speciale. Era… umano, stranamente. Si sorrisero l’un l’altro, perché era proprio da lui, no? Si tennero per mano. Alcuni si arrampicarono sui tetti, o si ritirarono nell’ombra, appena ombre negli occhi degli umani che non erano loro figli.


Soltanto una si fece avanti.


«Questo?», chiese la proprietaria del Café, scoprendo il volto di uno dei cadaveri. Parlava piano. Le sue stanze erano distrutte, sì, ma queste famiglie avevano perso molto di più.


«Sì. Lui.», disse la signora, dopo una pausa, ricordando il ritratto abbozzato e disperato che Parigi le aveva mandato. «Mi aveva spedito un ventaglio, una volta.»


«Lo conoscete?»


«Certo.», rispose Varsavia, con dolcezza, accarezzando i capelli di Feuilly. «É mio figlio.»


L’avrebbe riportato a casa, nei suoi confini, e l’avrebbe seppellito nella sua terra, come aveva chiesto Parigi. Varsavia aveva sempre onorato i morti.


Il cielo si fece scuro. Le stelle erano nere e fredde, e la luna si nascondeva.


(un intermezzo: Bordeaux in piedi nel mezzo dell’appartamento di Parigi, circondata da quadri di luce e bellezza e rosso. Urlò e pianse e gridò e strappò le tele con le sue mani nude, finché non c’era più nulla da fare se non piangere. Era ancora in ginocchio, circondata da frammenti di rosso, quando Lione la trovò e le avvolse le braccia attorno al corpo. Nessuna delle due disse una sola parola.)


A Parigi piovve per tutte e tre le settimane successive.


E la pira funebre fu difficile da accendere. Fu una cerimonia strana, con un prete che disse appena un paio di parole e poi, con uno sguardo ansioso, si allontanò, lasciandoli soli. Pensava fosse strano che questi figlioli prodighi, questi (martiri) traditori del loro Paese avessero così tante persone a dire loro addio.


Dicevano di essere membri delle famiglie, queste creature innaturali, bruciate. Umani con occhi brillanti, in piedi a sfidare il vento e la tempesta finché tutti i parenti non se ne erano andati, singhiozzando.

Le fiamme si alzarono contro la pioggia, in un’ultima resistenza.


«La maggior parte dei cadaveri era troppo danneggiata per essere riconosciuta», mormorò Tolosa. «Li abbiamo bruciati tutti insieme.»


«Va bene», disse Lisbona. «Come avete fatto a convincere il prete?»


«L’ho fatto io. E le famiglie - quelle che sono venute - hanno dato un po’ di denaro per pagarlo.» rispose Copenhagen. «Io ho aggiunto il resto. Sono morti come guerrieri. Era nel loro diritto.»


Guardarono mentre il fuoco si spegneva, piano. Prima che riuscissero a trovare il coraggio di avvicinarsi le ceneri si erano ormai raffreddate. Amsterdam lasciò che la polvere le scorresse tra le dita e aggrottò la fronte.


«Nessun corpo riconosciuto. E quindi? É morto?», disse, dando voce a quello che tutti stavano pensando.


«Lo spero», rispose Madrid, e subito venne sommerso da sguardi indignati, persino dai nemici della Francia. Non si parla male dei morti, soprattutto di quelli che in vita avevano sopportato enormi dolori. Alzò il mento e continuò, «Pensate se non lo fosse. Non sono così crudele.»


«In qualunque caso,» fu Roma a smorzare sul nascere la discussione, «Abbiamo perso molto, oggi. Dovremmo rispettarlo, e tornare a casa col nostro dolore.»


Le Città annuirono.


Ma Londra stava guardando da un’altra parte.


Là, sotto agli alberi, una figura si stava allontanando. Il suo passo era incerto. Aveva una bottiglia, in mano.


Londra, la pioggia che le batteva negli occhi, aprì la bocca per parlare.


(cosa avrebbe potuto dire? É là? Dobbiamo salvarlo/confortarlo/indebolirlo/ucciderlo. La Francia era un nemico. Le Capitali non hanno un cuore gentile.


Ma sapeva cosa voleva dire cadere, e cosa voleva dire volare, e cosa si provasse in un momento così, quando le mani di Elizabeth avevano tremato strette nelle sue e aveva detto, col suo ultimo respiro:


«Tutto ciò che ho per un altro po’ di tempo!»


Perdere la persona che ami ti apre dentro una voragine talmente enorme che non potrà mai essere guarita)


Londra restò zitta.


Le Città tornarono a casa. Non c’era più nulla che potessero fare.


X


«É morto?»


Sì.


No.


Potrebbe confortarvi sapere che Grantaire morì assieme a Enjolras.


Ma Parigi no.


X


Dopo, tanto dopo, ci fu una rivoluzione.


Il popolo di Parigi aveva sognato - una figura in rosso - di «lunga vita alla Repubblica!» - e quello che era stato solo un sogno era diventato realtà.


(non ti aveva deluso, in fondo, enjolras)


Il Re venne destituito, la Repubblica dichiarata.


La notte era davvero finita, e un nuovo mondo sorse come l’alba, con un cielo blu tanto quanto i fiori della serenella. Un uomo sorrise e sentì il calore del sole sul suo viso per l’ultima volta.


Si allontanò dalle folle festanti, scivolando giù nelle catacombe, e non fu più visto.


L’acqua era fredda.


E negli abissi, Atlantide aspettava.





Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo

Per questo capitolo, la traduzione è di barricadeuse e il betaggio di piuma_rosaEbianca abbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

E così, con un giorno di ritardo, ovviamente dovuto solo alla nostra voglia di prolungare un po' di più il nostro tempo con voi e con questa storia, siamo giunte alla fine di questa avventura.  E' stato bellissimo. Doloroso, stancante, difficile, ma davvero bellissimo. Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: siamo felicissime di essere riuscite a portarvi la bellezza che è questa storia, di avervi fatte avvicinare all'originale, e speriamo di avervi messo un po' di curiosità per il meraviglioso worldbuilding che sta dietro a questa storia. 

Grazie, grazie, grazie davvero tantissimo.

The Cities are still burning,
b + c.

  
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