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Autore: antigone7    18/05/2014    5 recensioni
Ci sono incontri che, per quanto casuali e assurdi, un po’ la vita te la cambiano.
Zoe è una ragazza tutto sommato pragmatica: non crede nel Fato, nel Destino, nella Predestinazione, e tutto il resto. Pensa che le cose che le succedono siano perlopiù volute da lei, ma che la restante parte ce la metta la casualità pura e semplice. Nessuna volontà divina.
Per questo, quando una mattina sul treno incontra Giacomo, ragazzo spigliato nonché cantante di un gruppo poco famoso, Zoe decide che è troppo complicato, che... no, non è interessata a lui. Ma c’è una cosa che non ha calcolato: le sue scelte possono non coincidere con quelle delle altre persone e, in questo caso, chi l’avrà vinta?
Una storia che parla d’amicizia, d’affetto, d’amore, ma anche di errori, di silenzi e di scelte sbagliate. Perché a volte bisogna sbattere ripetutamente contro un muro, prima di capire da che parte andare.
"E la verità è che sono stata una codarda."
"Ma non avevi tutti i torti. Non sappiamo come potrebbe andare. Siamo diversi."
"L'unica vera differenza che vedo ora tra me e te è che tu almeno sei riuscito ad accettare di essere innamorato di me."
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XVIII



“Amico, ti stai mettendo nei guai.”
“Grazie, già lo so.”
Niccolò si stravaccò meglio sul letto di Giacomo, portando le mani dietro la testa per stare più comodo. “Sei innamorato cotto.”
“So già anche questo, ancora grazie tante, Nico.”
“Se vai avanti a far finta di nulla in questo modo ti troverai col cuore rotto in mille pezzettini e un’amicizia rovinata. Due amicizie rovinate, contando che potrei anche smettere di parlarti se continui a comportarti da invertebrato.”
Giacomo sbuffò, prendendo una felpa dall’armadio e gettandola malamente nel borsone appoggiato sopra al letto, accanto al suo amico – o presunto tale. “A parte sottolineare l’ovvio, hai consigli utili da darmi?” domandò, vagamente scettico.
Aveva finalmente trovato il tempo e il coraggio di parlare a Niccolò di tutto il casino che aveva combinato con Zoe e lui non aveva fatto un piega, come se si aspettasse ogni virgola di ciò che gli aveva svelato. Era davvero così trasparente? Aveva pure evitato di raccontargli i dettagli, come ad esempio il bacio – i baci, in verità – che si erano scambiati a Mantova, perché gli sembrava di essere abbastanza patetico già così. Ma Niccolò aveva compreso comunque appieno la situazione e, nonostante ciò, ora se ne stava lì a borbottare banalità come “l’amore ti fa male” o “se n’erano accorti tutti un miliardo di mesi fa”.
“Vuoi un consiglio?”
“Sarebbe gradito sì,” rispose Giacomo, continuando a riempire il borsone che, oltretutto, gli serviva proprio per andare a trovare Zoe a Padova nel weekend. “Se non è una delle tue solite cagate.”
“I casi sono due, Pioggia,” cominciò Niccolò, sedendosi per assumere una posizione più seria e formale. “O la lasci perdere per un po’ aspettando che ti passi questa cotta – ma la vedo dura; oppure le dici cosa provi per lei, la baci in stile Gone With The Wind e aspetti una sua reazione. Semplice.”
“Sarà semplice per te! In entrambi i casi perderei la sua amicizia.”
“Perché, quello che stai facendo adesso è giusto, invece? Andare da lei appena schiocca le dita, continuare ad assecondarla, fare finta che la situazione non ti pesi, ascoltarla mentre ti parla dei suoi problemi con quell’altro idiota… Ma sei masochista o cosa?!”
Giacomo sapeva, in fondo, che il suo amico aveva ragione, ma non vedeva altre vie d’uscita. Sospirò, sedendosi anche lui su un angolo del letto. “Non saprei cos’altro fare.”
Niccolò gli batté due colpetti sulla spalla. “Dille quello che provi. Non può andare così male.”
“No, può andare anche peggio…”
“Questo è impossibile, dai.”
Giacomo scosse la testa, convinto. “Ma se appena ha sospettato un vago sentimento da parte mia mi ha sbattuto fuori dalla sua vita senza pensarci due volte, come pretendi che accolga bene una mia dichiarazione seria? Come minimo tenterebbe di darmi fuoco.”
“Da quand’è che sei diventato Mister Pessimismo Cosmico, eh, Giacomino? Di solito un lato positivo lo trovi sempre, ricordi?”
“C’è poco da stare allegri stavolta… Mi secca ammetterlo ma hai ragione: sono solo un masochista se penso di poter andare avanti così.”
“Infatti non puoi,” affermò il moro, e fermando con un gesto della mano le sicure lamentele dell’altro, continuò. “Lo sai anche tu che non puoi andare avanti così, su. Quella ragazza è sempre riuscita a tirare fuori la parte più irrazionale e nascosta di te; è riuscita persino a farti incazzare più di una volta. Dopo Beatrice stavi molto più attento nei tuoi rapporti con l’altro sesso, come se avessi paura di scottarti, ma con Zoe sei sempre stato te stesso, cioè istintivo, avventato e geloso. Ma sincero. Prima o poi ciò che provi per lei verrà fuori da sé, sei troppo poco furbo per evitare di dirglielo.”
“Grazie eh,” borbottò Giacomo, con un pizzico di sarcasmo. Ma in realtà sapeva che Niccolò in quel momento non era altro che la voce della sua coscienza: una coscienza rompicoglioni e che parlava terra terra, certo, ma che lo conosceva perfettamente e sapeva prevedere le sue mosse.
“Quindi? Farai come dico io?” insistette quello, speranzoso.
“Non credo. Non so.”
“E che hai intenzione di fare, in alternativa?”
Lui scrollò le spalle, incerto. “Aspetto la fine del mondo. Non dovrebbe mancare molto.”
“Dio, Pioggia, quanto sei melodrammatico!”
“Ma cosa vuoi che faccia? Vado a Padova per il weekend e le faccio compagnia, come mi ha chiesto. Mi fa comunque piacere rivederla, sai, anche se sono passate solo due settimane dall’ultima volta.”
“Qualsiasi cosa pur di starle accanto, eh?”
Giacomo gli lanciò uno sguardo a metà tra l’ironico e lo scoraggiato. “Sono un caso senza speranza.”
“Direi di sì, amico. Di buono c’è che secondo me non resisti due giorni senza esplodere, quindi probabilmente noi spettatori vedremo un’evoluzione della faccenda già nelle prossime ore.” Diede una pacca sulla spalla all’amico, un po’ per incoraggiarlo un po’ per prenderlo in giro. “Da panico,” concluse infine, sul volto dipinto il tipico sorriso di chi la sa lunga.

Zoe sapeva bene che quello che stava facendo non era moralmente corretto. Si giustificava con la propria coscienza dicendosi che no, non aveva mentito a Pioggia, aveva solo omesso dei particolari che comunque lui avrebbe scoperto presto. Ma anche questa convinzione serviva a poco, perché sia Zoe che la sua coscienza in fondo sapevano che Giacomo meritava di conoscere la verità: e cioè che lei quel sabato sera meditava di farsi aiutare da lui per far ingelosire Davide.
Si sentiva meschina anche solo a pensarlo, lei generalmente non era tipo che usava così le persone, ma purtroppo quell’idea le era balenata in mente quasi all’istante, appena si era ricordata che proprio quel sabato in cui il suo amico andava a trovarla a Padova c’era una festa organizzata dalla facoltà di Lettere, evento a cui Davide sarebbe stato presente quasi di sicuro, visto che tra i gruppi che avrebbero suonato ce n’era uno che a lui piaceva molto, quello che avevano sentito la prima volta che erano usciti assieme.
Non che avesse invitato Giacomo a Padova solo per attuare i propri loschi piani, quello no. La faccenda della festa e di Davide le era venuta in mente solo dopo aver chiesto al salentino di raggiungerla per il weekend.
La verità era che, nonostante si rendesse conto che nel suo rapporto con Giacomo c’era qualcosa di strano, di irrisolto, in quel periodo sentiva più che mai il bisogno di vederlo, di averlo accanto; sentiva – e non sapeva bene il perché – il bisogno di lui. Pensava fosse un sentimento legato al fatto che Giacomo ormai era diventato un suo punto di riferimento e, dal momento che lei era un po’ giù di morale per tutta la storia con Davide, sentiva la necessità di avere al suo fianco una persona di cui si fidava e che l’aiutasse a sorridere. Ma non era solo quello: sapere che vedere Giacomo e stare in sua compagnia era una cosa che la rendeva felice di per sé, senza tutti i fronzoli e le giustificazioni mentali che lei stessa ci costruiva sopra. Ergo, si sentiva ancora più uno schifo a pensare di usarlo per giocare sporco con Davide, perché Pioggia non lo meritava.
Perciò il senso di colpa continuava a perseguitarla, tanto che resisté appena cinque o sei minuti prima di spifferare a un Giacomo appena arrivato nel suo appartamento di Padova ciò che la tormentava.
“Stasera ci sarà anche Davide,” esordì mentre lui appoggiava il borsone ai piedi del letto. “Credo.”
Giacomo, dopo aver appoggiato lo sguardo per più tempo del dovuto sul letto – era a una piazza e mezza, significava che avrebbero dormito insieme, cavolo – assimilò le parole di lei, alzò la testa e la guardò allibito. “Come?”
“Hai capito bene.”
“Spero di no.”
“Giaco…”
“Cioè,” la interruppe lui, con una voce a metà tra l’irritato e il ferito, “più che altro non capisco che c’entra adesso. Bene, ci sarà anche lo stronzo al concerto, vorrà dire che cercheremo di evitarlo, questo intendevi?”
“Sì. Cioè, no.”
Giacomo sbuffò spazientito. “Sì o no?”
“No.”
“Hai intenzione di parlargli?”
Zoe non aveva più voglia di mentire. “Sì, se lo vedo sì.”
“Hai intenzione di usarmi come burattino per fargli credere che hai un ragazzo e stai bene?”
Dannazione, ma come faceva a leggerla in quel modo impressionante? Nemmeno lei stessa riusciva a capirsi tanto bene, delle volte. “No, io…”
L’amico le lanciò un’occhiata scettica che la fece capitolare.
“L’idea era quella di fargli vedere che sono andata avanti, sì. Se sei d’accordo ovviamente, Pioggia, non vorrei mai fare una cosa tanto meschina come usarti per…”
“Vuoi che faccia finta di essere il tuo ragazzo?”
Zoe arrossì fino alla punta dei capelli al solo pensiero: quell’eventualità non l’aveva realmente presa in considerazione, le sarebbe bastato molto meno. “No, che dici? Vorrei solo fargli vedere che sono serena, che sono felice e che ho della gente attorno a me e…”
“Ah quindi non volevi farmi fare da esca per farlo ingelosire?”
“Esca non è il termine adatto…” tentennò Zoe abbassando lo sguardo fino a fissarsi intensamente i piedi. Ora che l’aveva ammesso ad alta voce si vergognava sul serio.
“Però se si ingelosisce ti fa piacere?” Giacomo sospirò, passandosi stancamente una mano fra i capelli come per riordinare le idee. “Vorresti che tornasse strisciando da te, vero?”
“Beh… Non so bene nemmeno io cosa voglio. Vorrei che mi vedesse e che, non so, pensasse che si è perso qualcosa e sì, vorrei che pensasse di tornare a corteggiarmi, forse. Mi dispiace, Giaco, mi dispiace tanto, sono una persona terribile.”
Giacomo le si avvicinò e le passò con delicatezza una mano sulla guancia. “No, non lo sei. So come ti senti, io volevo fare la stessa cosa a Beatrice, l’ho voluto per molto molto tempo. Ma non commettere il mio stesso errore, Zò, non pensare di rivolere a tutti i costi una persona che non ti merita. Lo rivorresti indietro, è così?”
“Non ne sono sicura. Mi ha fatto stare male, questo sì. Ma a volte…a volte penso che se tornasse a provarci con me ci metterei un attimo a decidere di far ripartire le cose da dove le abbiamo interrotte. Mi piaceva come mi faceva stare.”
“Quindi se lui stasera ti avvicinasse…?” le domandò Giacomo col cuore in gola.
“Non lo so, Pioggia, non ne ho idea. Forse non lo accoglierei a braccia aperte ma nemmeno lo rifiuterei, ecco. Uffa, che schifo che sono!” concluse con un broncio.
Giacomo sospirò e la guardò intensamente, ferito. Zoe aveva lo sguardo abbassato che vagava sul pavimento, ma se avesse visto gli occhi di lui avrebbe senza dubbio capito cosa celavano: malinconia, tenerezza, comprensione, ma soprattutto dolore e affetto. Un affetto e un dolore troppo grandi per essere fraintesi da chicchessia. Giacomo era spaccato in due dal dolore: la vedeva stare male, non poteva fare niente per lei e in più provava dei sentimenti fortissimi che non aveva il coraggio di confessare.
“Zoe,” disse infine, facendo in modo che lei alzasse gli occhi per guardarlo, “verrò con te stasera, ma non chiedermi di aiutarti a riconquistarlo, per favore. Ti voglio troppo bene per aiutarti a riavere una persona che già ti ha fatto del male e potrebbe fartene ancora. Troppo.”
Lei gli si avvicinò e lo abbracciò, mettendosi in punta di piedi e passandogli le braccia dietro al collo. “Grazie,” bisbigliò sincera, “ho davvero bisogno che tu stia accanto a me adesso.”
“Anch’io,” sussurrò lui di rimando, abbracciandola a sua volta col cuore in gola. “Troppo,” ripeté, più sincero che mai.

“Sei pronto, bello?”
Giacomo, seduto sul divano a fissare sovrappensiero un punto imprecisato del muro, sussultò lievemente. Zoe era in camera a prepararsi da più di un’ora ormai, obbligata dalla sua coinquilina, Sara, a sottomettersi a una “terapia intensiva di trucco, parrucco e alta moda”, così aveva detto la pazza. La stessa pazza che in quel momento di trovava davanti alla porta con aria soddisfatta e sorniona, sicuramente orgogliosa di mostrare i risultati delle sue fatiche.
“Sì…” rispose lui vago.
“Non fare quella faccia poco convinta, sai, sono sicura che invece rimarrai folgorato!”
“Immagino di sì,” la assecondò lui, evitando di specificare che erano mesi ormai che restava folgorato ogni volta che vedeva Zoe, anche senza trucchi, acconciature o vestiti. Ok, alt: Zoe senza vestiti era un pensiero che andava immediatamente rimosso se voleva mantenere un briciolo di compostezza e di sanità mentale.
“Quanto entusiasmo!” Sara sorrise e aprì la porta tirando Zoe per un braccio. “Ta-daaaaah!”
A Giacomo Zoe piaceva sempre, anche al naturale, anche quando era in pigiama pronta per andare a dormire, però doveva riconoscere che la coinquilina della sua amica aveva fatto davvero un ottimo lavoro. Indossava un vestito semplice, probabilmente tirato fuori dal proprio armadio, blu con una leggera scollatura tonda sulla schiena; i suoi capelli non erano troppo diversi dal solito, forse solo un po’ ordinati con il ferro in modo che i boccoli risultassero più definiti; e sì, era truccata abbastanza, e anche se non risultava per niente volgare, la differenza sul suo viso, di solito quasi privo di trucco, era comunque evidente. Era… bella. Era Zoe, cavolo. E non era per lui che si era truccata, vestita, pettinata e… messa i tacchi?
Giacomo si alzò in piedi e le si avvicinò, quasi per verificare di non avere le allucinazioni. E infatti no, non le aveva, Zoe era alta circa otto centimetri più del solito. Non l’aveva mai vista coi tacchi! Il suo sguardo stupefatto non sfuggì neanche alla diretta interessata, perché, imbarazzata, abbassò gli occhi e arrossì ancora più di prima.
“Beh…?” chiese, confusa.
“Hai i tacchi?”
“Che ti sembra, genio?”
Almeno quando apriva la bocca dimostrava di essere sempre lei. Giacomo sorrise. “E ci sai camminare?”
“Stronzo!” lo insultò lei sporgendosi per spingerlo e, nel farlo, ondeggiando un po’, quasi a dimostrazione del fatto che la domanda di lui non era poi così fuori luogo.
“Va bene, tranquilla, sono pronto a raccoglierti se cadi.”
“Grazie, sei carino!”
Sara interruppe il quadretto, curiosa, rivolgendosi a Giacomo. “Allora, che ne pensi?”
Lui la guardò sorpreso, come se si fosse dimenticato che nella stanza c’era una terza persona, poi riguardò Zoe da capo a piedi, la fissò con uno sguardo caldo e affamato, che diceva già tutto. Infine tornò a voltarsi verso Sara per risponderle, non sapendo di essere già stato sufficientemente chiaro.
“È bellissima,” disse soltanto, sincero. “Hai fatto un ottimo lavoro.”
Sara sorrise, saputa, e Zoe intervenne per evitare ulteriori commenti imbarazzanti.
“Perfetto, noi andiamo. Grazie mille Saretta, forse ci vediamo dopo, o forse no, dato che sicuramente uscirai pure tu… Quindi a domani!”
“Buona serata, siete proprio carini!”
“Sì, certo. Ciao ciao!” troncò Zoe mettendosi la giacca e uscendo.

L’inizio della serata fu abbastanza tranquillo, i gruppi che si alternavano sul palco erano bravi, la birra che spinavano al gazebo era buona, il clima era mite essendo una serata di maggio, tirava solo una leggera brezza primaverile. Una pacchia, insomma.
Poi tra la folla spuntò Davide, e tutto cambiò.
Innanzitutto, cambiò visibilmente l’umore di Zoe. Stava allegramente chiacchierando con Giacomo e un suo compagno di corso incontrato per caso, quando notò la testa che stava cercando da un po’ e un peso le si poggiò sullo stomaco. Improvvisamente si pentì di aver sperato che arrivasse, era stata così bene fino a quel momento, da sola con Giacomo.
Quest’ultimo notò subito il disagio di lei e capì cosa stava per succedere; si scusò con il ragazzo con il quale stavano parlando, prese Zoe per un braccio con delicatezza e la portò poco più in là.
“Tutto bene?” le chiese notando lo sguardo perso di lei.
“Sì, c’è…”
Non servì che finisse la frase. “Lo so, me lo indichi così almeno mi faccio un’idea della situazione?”
“Quello con la maglia nera dietro di me. Non fissarlo.”
Giacomo non ascoltò la raccomandazione e guardò spudoratamente l’oggetto del desiderio della sua amica. “E tutta la bellezza di cui mi parlavi dov’è?” chiese con tono noncurante e un po’ scherzoso, come a voler da un lato mascherare la gelosia e dall’altro sdrammatizzare la situazione.
“Uff, Pioggia, mi piace, ok?”
Lui sentì la solita stretta allo stomaco. “Va bene, va bene, scherzavo. Però io sono più bello!”
Zoe a quel punto riuscì a sorridere. “Certo, è ovvio.”
“Oh, un sorriso, che miracolo! Come intendiamo procedere?”
“Non ne ho la più pallida idea…”
“Ok, vuoi provare a parlargli? O hai cambiato idea?” domandò, sperando che la risposta fosse ovviamente la seconda.
“No, bu, non lo so,” ripeté lei, in confusione, prima di riprendersi un po’ e tentare un’ipotesi. “Magari continuiamo a bazzicare qui intorno finché non mi nota e poi vediamo che succede?”
“Mi sembra un’ottima idea, capo.”
“Bene. Bene. Andiamo.”
Prima di muoversi per andare più vicino al punto dove si trovava Davide, Zoe finì tutto d’un fiato il bicchiere di birra che aveva in mano e si diresse al bar per prendersi qualcosa di decisamente più forte. Un gin tonic, per iniziare, sarebbe andato benissimo.

Una buona mezz’ora più tardi, cioè solo dopo aver bevuto un gin tonic e mezzo mojito, Zoe si avvicinò un po’ a Davide, seppur fosse ancora tentennante e imbarazzata.
“Ciao,” lo salutò fingendosi sorpresa di vederlo lì e lui, che in quel momento era stranamente da solo, ricambiò la sua espressione stupita con una faccia altrettanto meravigliata.
“Zoe! Ciao!” le diede due baci sulle guance e la guardò da capo a piedi, studiandola. “Sei bellissima stasera, piccola, lasciatelo dire! Ti trovo davvero bene, mi fa piacere…”
Giacomo osservava la scenetta da poco lontano, amareggiato, pronto a intervenire a un segnale dell’amica, come avevano precedentemente concordato. Vedeva il sorriso timido e comunque bellissimo di lei e si domandava come facesse quell’idiota a non accorgersi di cosa stava rifiutando. Perché, anche se da un lato gli dispiaceva per Zoe, dal momento che avrebbe solo voluto vederla felice, quel fantoccio la stava senza dubbio rifiutando. Faceva tutto il simpatico, grandi sorrisi, buffetti sul braccio di lei, ma a una persona esterna alla situazione era evidente che era solo contento di essere corteggiato, ma che non aveva assolutamente altri interessi.
Così decise da solo di intervenire, anche senza segnale: non voleva vederla umiliata. Si avvicinò con decisione ai due e, prima di mettere una mano sulla spalla di Zoe, sentì solo uno stralcio di conversazione.
“Oh sì, certo, non sai che sollievo, pensavo fossi arrabbiata con me, non potrei mai sopportarlo…” stava dicendo lui con un’espressione fintamente contrita.
“Zoe!” lo interruppe allora Giacomo, non sopportando una parola di più. “Ti stavo cercando, eccoti finalmente!” continuò schioccandole un bacio sulla guancia.
Lei gli lanciò un’occhiata a metà tra il confuso e l’incazzato, così decise di continuare la messinscena da solo.
“Non mi presenti al tuo amico?”
“Sì, certo… Giacomo, Davide.”
“Piacere,” dissero i due ragazzi all’unisono, mentre si stringevano la mano. Zoe trovò la situazione alquanto surreale, ma non riuscì a dire nulla, così un silenzio imbarazzante con sottofondo musicale regnò nei secondi successivi, finché Davide non lo ruppe.
“Beh, scusate, ma io dovrei raggiungere…”
Non terminò la frase ma mosse la mano con un cenno vago verso la propria destra, quindi sorrise un’ultima volta, salutò e si allontanò senza ulteriori spiegazioni.
“Cosa diavolo ti è saltato in mente, si può sapere?” Zoe aggredì subito Giacomo, curiosa di sentire la sua spiegazione. “Eravamo d’accordo che ti saresti avvicinato solo dopo un  mio cenno!”
“Beh, ho cambiato idea!”
“E perché?”
“Zoe…” Giacomo sospirò prima di continuare. “Quel tipo ti sta prendendo in giro.”
“E tu che ne sai?”
“Sono un uomo e riconosco i comportamenti degli altri uomini.”
Lei pestò un piede per terra, a mo’ di capriccio. “Tu non sei un uomo, sei un bambino! Ecco cosa sei, un dannato bambino presuntuoso!”
“Ma cos’è successo di così tragico?”
“Io e Davide stavamo finalmente parlando in tranquillità e lui si è allontanato proprio quando sei arrivato tu, guarda caso!”
A quel punto anche il salentino cominciò a innervosirsi: l’aveva salvata da una possibile tragedia e lei invece di essergli grata lo accusava? Di cosa poi? Era solo un bene se quel damerino se n’era andato col suo arrivo. “Ma lui non è interessato a te!”
“Come fai a dirlo?”
“Zoe, ma perché sei così cieca? Le cose ti si parano davanti agli occhi in maniera evidente e tu fai finta di non vederle, sempre, sempre!”
Lei lo guardò confusa. In realtà neanche Giacomo in quel momento sapeva più bene cosa di cosa stava parlando, se dell’altro ragazzo o di se stesso e dei sentimenti che provava per lei.
“Come, scusa? Io sarò poco sveglia, ma non mi sembra che poco fa Davide mi stesse rifiutando.”
“Stava giocando con te! È solo lusingato dalle tue attenzioni perché è una persona vanitosa!”
“Ma senti chi parla!” sbuffò Zoe, girando la testa in un’altra direzione, infastidita. “Ascolta, io non so se tu…”
Il resto della frase le morì in gola mentre i suoi occhi puntavano una scena che non avrebbero voluto vedere. Davide con la persona che doveva raggiungere. Una ragazza mora e piuttosto carina che di sicuro non era sua sorella, a giudicare dalla loro intimità fisica.
Giacomo seguì il suo sguardò e sospirò: non sapeva se essere felice per aver avuto ragione o se essere triste per Zoe. Ok, forse era più sollevato che triste, se voleva essere sincero. Prese Zoe per un braccio e la portò verso la cassa del bar.
“Vieni, ragazzina, la serata non è ancora finita.”

Zoe scoprì presto che non faceva male come aveva pensato. Nel momento in cui aveva visto Davide che palpava il culo di quella ragazza, certo, aveva provato una certa fitta dalle parti dell’addome, ma poi, col passare dei minuti, il dolore era praticamente scomparso. Era come se le cose le fossero diventate improvvisamente chiare ed evidenti, come se la nebbia nella sua testa si fosse diradata mostrando una scritta a caratteri cubitali che in realtà era lì da sempre: Davide è un pezzo di merda, diceva la scritta, e non è lui il ragazzo per te.
No, in realtà parte della nebbia era ancora bella che presente, d’altronde non era subito pronta a tutte le rivelazioni della sua vita, lì, quella sera. E i drink che aveva bevuto, infatti, più che ad anestetizzarla – come aveva detto Giacomo, sbagliando – servivano a cancellare la restante foschia che permaneva in una certa zona del suo cervello. Forse non avrebbero funzionato, ma tentar non nuoce, si dice.
La nebbia, però, com’era ovvio, invece di sparire, cominciò a un certo punto a farsi ancora più fitta e difficile da attraversare. Le magie dell’alcol. Per fortuna c’era Giacomo a tenerla d’occhio, il suo prode cavaliere senza macchia pronto a riportarla a casa sana e salva.
“Zoe?”
“Giacomo! Che carino che sei stasera!”
Lui ridacchiò. Forse era un pelo brillo pure il suo amico, a pensarci bene.
“Che stai facendo?” le chiese, guardando con sospetto il bicchiere che lei aveva in mano.
“Oh! Simone mi ha offerto una sambuca!” rispose Zoe come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Giacomo aggrottò le sopracciglia in un’espressione buffissima, che la fece ridere. “Chi è Simone?”
“Lui!” fece Zoe, indicando il barista. “Simone! Ehi, Simone!”
Il barista, indaffarato altrove, le fece un cenno con la mano, e lei mise su un broncio un po’ offeso. “Prima era così amichevole e adesso che non sono più sola invece…” Poi improvvisamente si accorse di una cosa. “Ehi, ma che stai facendo?”
Giacomo, che la abbracciava da dietro, le braccia appoggiate al suo ventre, alzò le spalle.
“Che diavolo…? Perché mi abbracci così?” ripeté Zoe, ma senza spostarsi.
“Non voglio mica che ci provi pure con il barista, sei già abbastanza ubriaca, direi.”
“Ah per quello! No no, ma sto bene! Dai, un’ultima sambuca. Simone, due sambuche!”
Giacomo si lamentò un po’, ma poi bevve con lei senza problemi, dopodiché la portò a ballare, e infine si allontanò andando a prendere qualcos’altro da bere. Tutto in un turbine di qualche minuto, o così almeno parve a Zoe.
Poi, d’un tratto, non lo trovava più. L’aveva perso di vista solo un paio di secondi, le pareva, eppure Giacomo era sparito. Si girò tra la folla per cercarlo e si sentì afferrare da una mano decisa, che la tirò verso un corpo solido. Cominciò automaticamente a ballare con quel corpo.
“Ti stavo cercando,” gli disse docile, lasciandosi abbracciare come non aveva mai fatto prima.
“Oh, piccola, anch’io…”
Un attimo, quella non era la voce di Giacomo. Si girò veloce, per trovarsi di fronte un Davide che la guardava soddisfatto dall’alto.
“Tu non sei Giacomo,” affermò Zoe, piuttosto ovviamente.
“Dire di no,” rispose lui.
“Io però cercavo Giacomo.”
“Beh, hai trovato me, no?”
“E sai per caso dov’è Giacomo?”
Le si era decisamente incantato il disco.
Davide sbuffò, ma continuò a sorridere ammiccante e a stringerla, ballando con lei. “Ti sei messa i tacchi, sei davvero bella stasera.”
“Perché sono più alta di qualche centimetro?” chiese lei dubbiosa.
“No, beh, qualche centimetro non guasta, ma stai proprio bene.”
Ma Zoe già non lo ascoltava più e si guardava in giro, come cercando qualcosa o qualcuno.
Davide se ne accorse. “Questo Giacomo… è il tuo ragazzo per caso?”
“No!” si affrettò a rispondere lei, confusa.
“E com’è che continui a chiedere di lui, allora?”
A Zoe pareva piuttosto ovvio: era ubriaca e le si era semplicemente incantato il disco. E mentre apriva la bocca per rispondere, un’altra verità piuttosto ovvia le si affacciò in testa. Il disco! Non si era incantata in altro modo di fronte a Davide, le si era solo incantato il disco! Cercava semplicemente Giacomo, quando si era accorta che non era lui ad abbracciarla, bensì Davide, non era stata né contenta, né imbarazzata, né nient’altro, a dire il vero. Niente di niente. Nada.
Rimase qualche secondo così, con in testa questi pensieri decisamente stupidi e sconclusionati, ma anche molto veri, con la bocca ancora aperta a inghiottire aria e lo sguardo vagamente assente, poi si riprese, guardò Davide – non provando assolutamente niente, niente – e sorrise.
“Perché sono venuta qui con lui. Ora, ti dispiace dirmi se l’hai visto?”
Davide rimase parecchio basito dal suo disinteresse totale. Allora Zoe si guardò intorno e notò Giacomo, poco più in là, che la fissava con tanto d’occhi, mentre in mano aveva due bicchieri di plastica. Lei gli sorrise, cercando di essere rassicurante, e gli si avvicinò senza nemmeno salutare Davide. Mentre si allontanava, borbottò solo un “torna dalla tua amichetta, sporco viscido doppiogiochista”, e sparì senza verificare se lui l’avesse sentita o meno.
“Giacomo!”
“Zoe.”
“Ti stavo cercando!”
“Non mi pareva…”
“Ma dai, Pioggia, davvero, non fare il geloso adesso! L’ho scaricato, ok?”
Mentre lo rimproverava, Zoe raggiunse Giacomo e gli gettò le braccia al collo, alzandosi più di quanto i tacchi non facessero già, per appoggiarsi alla sua spalla e trovarsi immersa nel suo profumo. Il ragazzo allargò le braccia appena in tempo per farle spazio, ma parte del contenuto dei bicchieri si rovesciò comunque. Nessuno dei due se ne preoccupò minimamente.
“L’ho scaricato,” continuò Zoe, stringendosi a lui, “e non sono mai stata più felice, e ti stavo cercando per dirtelo, e in realtà ti stavo cercando anche da prima, te, cercavo te, non lui, ti cercavo perché eri sparito e non ti trovavo, e perché non mi interessa lui se ho te, tu sei molto più importante, molto, molto di più, davvero. Molto di più.”
Il cuore di Giacomo batteva all’impazzata. Non riusciva a rispondere. Si maledisse mentalmente per essersi fatto trovare impreparato, le mani occupate dai bicchieri che gli impedivano di stringerla a sua volta.
“Giaco, andiamo a casa?”
Le avrebbe detto di sì in ogni caso, ma quella voce, dannazione, quel sussurro nel suo orecchio… Zoe stava cercando di farlo impazzire.
“C-certo,” balbettò, confuso.
Zoe si staccò da lui. “Dammi qui.”
Prese uno dei bicchieri che aveva in mano e lo bevve d’un fiato, dopodiché lo guardò come dire “beh, che aspetti?”. Giacomo seguì il suo esempio e così facendo si riscosse un attimo. Le si avvicinò per darle un bacio sulla guancia.
“Sì, andiamo,” disse, prendendole la mano per condurla fuori dalla folla.
Zoe si lasciò trascinare, disorientata e un po’ intorpidita, ma finalmente serena. Non aveva problemi a mettersi nelle mani di Giacomo, non la disturbava farsi guidare la lui, si fidava. Anzi, in quel momento era un bene che lui fosse lì con lei, per lei, pronto a sorreggerla, ad accompagnarla mano nella mano. Anche perché a dire il vero aveva qualche problema a camminare.
“Posso togliermi le scarpe?” gli chiese una volta arrivati in una strada più defilata, fermandosi.
“Non credo sia una buona idea, potresti prendere un vetro.”
“Ma mi fanno male!” piagnucolò lei, tuttavia ricominciò comunque a camminare, controvoglia.
“Resisti ancora un po’,” la tranquillizzò Giacomo, passandole un braccio sulla schiena per sostenerla e approfittando per stamparle un altro bacio sulla testa.
Una volta varcato il portone del palazzo, Zoe lo fermò con uno strattone al braccio e, guardando preoccupata le scale che dovevano accingersi a salire, gli ripeté la domanda.
“Ora posso togliermi le scarpe?”
“Non so, Zò, sembrano piuttosto sporche, non ce la fai a resistere fino all’appartamento? Sono solo due piani.”
“Lo so quanti piani sono, ma queste scarpe mi stanno uccidendo,” fece lei, con la voce lagnosa tipica di una bambinetta. “E poi c’è una signora che viene a pulire le scale tutti i lunedì!”
“Oggi è sabato.”
In realtà a Giacomo non importava molto se si toglieva le scarpe o meno, già il fatto di essere riuscito a impedirglielo per strada era da considerarsi un miracolo, visto com’era ridotta la ragazza. Semplicemente gli piaceva guardare il visetto imbronciato di lei. Anche se, a dirla tutta, le scale non sembravano granché pulite.
“Ma dai, come sei schizzinoso, uffa, io… Ti prego… Lasciami…”
Il broncio di Zoe era sempre più divertente e carino.
“Guarda, non…”
Giacomo non riuscì a finire la frase, che si trovò la bocca della ragazza sulla propria. Non capiva come fosse successo, doveva essersi perso qualche passaggio. Poco prima Zoe era lì, a un paio di metri da lui, che si lamentava delle scarpe, un attimo dopo se la ritrovava addosso, che lo baciava. Giacomo, da sobrio, si riteneva un ragazzo abbastanza sveglio. Ora sicuramente non era sobrio, forse non era neanche al massimo delle proprie facoltà mentali, ma capiva comunque con molta chiarezza che quella era un’occasione da non perdere. Cinse la vita di Zoe con le braccia e ricambiò il suo bacio.
Era diverso dai baci che si erano scambiati in precedenza: era passionale, deciso, maturo, pieno di cose non dette, decisamente poco da amici. Era fantastico. Ed erano entrambi belli che ubriachi. Non durò molto, ma quando Zoe si staccò di qualche centimetro, guardandolo con occhi imploranti e vagamente divertiti, a Giacomo venne voglia di perdersi in quegli occhi scuri, quasi neri, di annegare in lei, di baciarla ancora e ancora, di dirle che l’amava. Si fermò per ascoltare ciò che lei aveva da dire.
“Ti prego, posso togliermi le scarpe?” Zoe gli diede un altro bacio in bocca e poi concluse, spudorata. “Per favore?”
“Sì che…” Giacomo si schiarì la gola con un colpo di tosse, ancora confuso. “Sì che puoi… Puoi tutto, se me lo chiedi così,” rispose serio.
Lei gli si avvicinò di nuovo, lasciandogli sul labbro inferiore una cosa a metà tra un bacio e un morso, dopodiché si abbassò per togliersi le scarpe e iniziò a salire i primi gradini.
Giacomo si riprese in tempo per seguirla, senza trattenersi dal ridere – era pur sempre ubriaco – e dal rimproverarla. “Sei proprio una maledetta sfacciata!”
“Perché?” chiese lei di rimando. Non si girò, e pur senza poter vedere la sua espressione, lui sapeva che la sua amica stava sorridendo.
“Si tratta così un ragazzo?”
“Così come?” insisté Zoe che nel frattempo, arrivata al pianerottolo, aveva appoggiato le scarpe a terra per cercare le chiavi nella borsa.
“Come prima! Guarda, sono proprio contento di non avere a che fare con te dal punto di vista sentimentale, se sei sempre così, è una…”
Per la seconda volta in pochi minuti, fu interrotto da un bacio, ma stavolta era più preparato. La strinse subito a sé e rispose al bacio, poi si allontanò di qualche centimetro e la sgridò. “Allora è proprio un vizio!”
Lo sguardo dolce e la voce sussurrata che usò contrastava con le sue parole di biasimo. Zoe fece una smorfia buffa, poi aprì la porta e fece cenno al ragazzo di seguirla dentro l’appartamento. A Giacomo girava la testa e, lo sapeva, non era solo per l’alcol – anche se quello contribuiva senza dubbio alla causa. Erano i baci, ma era soprattutto il fatto di sentirsi dire da Zoe che lui era importante per lei. Era il fatto che adesso, raggiunta la camera, lei gli si era nuovamente buttata tra le braccia, baciandolo, e che così, nella penombra e nel silenzio quasi assoluto della stanza, poteva sentire, oltre al battito assordante del proprio cuore che martellava cercando di uscirgli dal petto, anche quello di Zoe, che pareva andare all’unisono col suo, altrettanto forte e altrettanto veloce.
L’urgenza con cui si baciarono gli disse che forse l’amicizia di cui parlava sempre Zoe non era del tutto normale nemmeno per lei; gli confermò che c’era dell’altro dietro a quella patina di imbarazzo che permetteva loro, da sobri, di sfiorarsi a malapena prima di sentire che qualcosa non quadrava; gli fece capire – ma già lo sapeva – che avevano perso un sacco di tempo a rincorrersi e negarsi un contatto che invece sembrava essere ciò per cui erano nati: baciarsi, stringersi, respirarsi a vicenda.
Senza rendersi conto di come fosse successo, Giacomo si ritrovò sul letto, steso sopra di lei, senza maglietta. Aprì gli occhi per guardare Zoe e la trovò bellissima, perfetta, con gli occhi serrati e la bocca ancora socchiusa; lei alzò quasi subito la testa per cercare di nuovo le sue labbra, e lui non la fece attendere, la baciò ancora e ancora, senza trattenersi, per poi lasciarle una scia di baci sul mento e sulla gola e sul collo.
Gli sembrò di non aver mai voluto nient’altro in tutta la sua vita, temette che fosse tutto un sogno, per quanto era contento, e infine, all’improvviso, sentì farsi strada dentro di lui la sensazione che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa che non andava.
“Sei ubriaca,” mugugnò confuso, tra i baci.
Zoe ridacchiò. “Lo so, anche tu.”
“Siamo… Siamo ubriachi e… Zoe, no!”
La fermò di colpo, bloccò la sua mano che lo accarezzava sul petto e stava scendendo sempre più giù, e si allontanò da lei, spostandosi lo spazio sufficiente per riuscire a respirare senza prendere l’aria dalle sue labbra.
“Che c’è?” chiese lei, divincolandosi dalla sua presa e guardandolo storto.
“Siamo tutti e due ubriachi, Zò, e parecchio. Cazzo!”
Giacomo batté la mano sul materasso, frustrato, e sospirò forte per cercare di riprendersi.
“E quindi?” Zoe sembrava non capire il punto. “Siamo adulti e, mi pare, entrambi consentie… conze… cont…”
“Dai, non riesci neanche a dire la parola ‘consenzienti’, ti prego!”
Zoe rise e rotolò fino ad arrivare più vicina a lui, appoggiando la testa sul suo petto. Giacomo non poté fare a meno di condividere quel sorriso. La testa gli scoppiava e non voleva fare altro che stringere il corpo di lei, così vicino, non lasciarlo andare più tutta la notte. Ma non poteva. Non così, non per qualche ora soltanto, trovandosi poi il giorno dopo più lontano da lei che mai. Guardando il soffitto, sospirò nuovamente, cercando le parole per spiegarsi.
“Ragazzina, io lo vorrei, lo vorrei tanto, davvero. E non solo stasera. Ti voglio sempre, sei la cosa che più mi riempie i polmoni, il cuore, il cervello. E il fegato, quando mi fai arrabbiare. Per la maggior parte della mia giornata non faccio altro che pensare a te.”
Non sapeva se fosse una bella idea farle una dichiarazione in quel momento, da ubriaco, con la possibilità di pentirsene di lì a poche ore, ma ormai che aveva cominciato non riusciva più a fermarsi. Aveva ragione Niccolò, dannazione, non sarebbe mai riuscito a trattenersi.
“Sono pazzo di te, Zò, completamente, porca puttana. E mi dispiace, perché probabilmente non dovrei ma è colpa tua, tutta colpa tua. Ma non posso venire a letto con te ora, sarebbe un errore, me ne rendo conto persino da ubriaco fradicio. Se lo facessimo domani dovremmo fare i conti con troppe cose.”
Il respiro di Zoe si era fatto più regolare. Giacomo la guardò, accarezzandole piano i capelli. Probabilmente stava dormendo o si sarebbe addormentata a breve. Magari la mattina dopo non si sarebbe nemmeno ricordata quello che le stava dicendo.
“Già così sarà un casino,” concluse lui. “Zoe?”
Lei mugugnò qualcosa di incomprensibile.
“Buonanotte, Zò.”
















Se vi domandate con che coraggio io torni dopo una cosa come tre anni di mutismo, beh, tranquilli, me lo domando anch'io. La verità è che ho passato dei momenti strani con cui non voglio assolutamente stare qui ad annoiarvi ora, né a giustificarmi. Ora non riesco più a scrivere come una volta, questo è vero. Ma lasciare una storia che avevo già cominciato a pubblicare a metà - anzi, lasciarla quando mancavano solo pochi capitoli al termine - mi dava davvero un sacco di fastidio. Senza contare che parte dei capitoli finali era già scritta. Quindi mi sono rimessa di buona lena per cercare di terminare, mi è passata anche per l'anticamera del cervello l'idea di cancellare tutto e rimettere a posto - e ci sarebbe molto da riordinare in questa storia - ma il risultato, per ora, è questo capitolo. Che avevo iniziato a scrivere ancora anni fa e che ho dovuto rattoppare e modificare ora. E credo che si veda, perché può benissimo essere che troviate poca coerenza coi capitoli precedenti. Mi dispiace. Ma se c'è ancora qualcuno che è interessato a leggere - e recensire - io ne sarei grata. Le recensioni mi hanno sempre spinta a scrivere, anche le critiche.
Sto pubblicando alla velocità della luce, perché sono di fretta ma anche perché penso che potrei pentirmene, quindi se ci sono erroracci mi scuso in anticipo.
Spero di riuscire a terminare questo casino di storia in un tempo accettabile. Grazie dell'attenzione a chi è arrivato fin qui. :)




  
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