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Autore: mairileni    19/05/2014    5 recensioni
Contiamo alla rovescia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutte (*v*)/

 

Sì, nuovo capitolo. No, non ho vie di mezzo con le tempistiche. 

Dunque, siamo giunti alla fine della seconda parte di questa storia (ce ne sono quattro, ahivoi). Sono mooolto contenta del seguito che sta avendo e della quantità di visite che continua a ricevere, quindi grazie grazie *vi manda molti fiori bianchi e rosa*.

 

Io vi ringrazio di essere qui e come sempre spero, per quei cinque minuti che impiegherete per leggere, di riuscire a trascinarvi un po' nel mio mondo ovattato fatto di scrittura e viaggi mentali. 

 

Oh, dimenticavo: nel caso qualcuna di voi se lo sia chiesto, i vari titoli hanno sì un collegamento — che probabilmente vedo solo io, I know — con i capitoli che accompagnano. ----- ATTENZIONE: DA QUESTO PUNTO IN POI L'AUTRICE SI PERDERÀ IN ELUCUBRAZIONI E APPROFONDIMENTI DI DUBBIA UTILITÀ. PERTANTO, SE NUTRITE SCARSO INTERESSE PER LA NATURA DEI PROCESSI MENTALI DI QUEST'ULTIMA, POTETE DIRETTAMENTE PASSARE ALLO SCRITTO ----- Ad esempio, ad esempio, finora abbiamo avuto: 

Chiamate: introduce la natura della storia stessa, in cui ogni capitolo si apre con una chiamata.

Chi Amate: si riferisce ai due protagonisti, legandoli indissolubilmente (ognuno è quello che ama l'altro, ed è quindi menzionato solo in funzione a quest'ultimo). 

Chi Ama Te: o anche Colui Che Ama Te, frase in cui il complemento oggetto è rappresentato dal protagonista assoluto di questa storia, ovvero Brian Molko (il soggetto è Matt, sì).

Arsi: si riferisce alla sensazione che i protagonisti sentono alla gola per il desiderio reciproco che provano

Alzarsi: si riferisce al fatto che Brian si “alza” dalla propria situazione di stallo (nel capitolo è proprio lui a proporre di rivedersi, finalmente) 

Scalzarsi: me lo dite voi, perché ora vi lascio alla lettura ^_^


(Scusatemi per la tanta logorrea, ma che so, magari vi interessava) 

 

Un grazie speciale alle fedelissime LBeyes e _nick e a comeundone, che su Twitter mi fa tanti complimenti dolci dolci <3. Grazie anche alla Nai, a TwistedDreamer, a Fedenow,a Linnea e a Orienqueen.

 

Ditemi cosa ne pensate, se avete un attimo! 

 

Baci,

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

    

 

 

 

SCALZARSI

 

 

 

    «Pronto? Ah, dimmi Stef. Domani non posso. Dopodomani? Dopodomani va bene. A casa tua. No, non so a che ora passo. Però arrivo. 

    «... no che non so a che ora passo. Quando mai ti dico per che ora passo. Mai! Ecco, appunto. Ci vediamo dopodomani. Ok. Ciao.» 

 

 

 

 

 

 

1

 

 

 

    «Il vostro fidanzamento era quindi ormai ufficiale, Brian, non è così? Insomma, dopo il tuo compleanno avete fissato il vostro primo appuntamento... consensuale.»

    «Non c'era proprio nulla di ufficiale, Anna.» Brian si stropicciò un occhio con le dita. «Proprio nulla. Di ufficiale c'era il suo fidanzamento con Kate... Kate... ah, oddio, come diavolo...?»

    «Hudson?», imbeccò Anna.

    «Hudson, già già. Giusto. Kate Hudson. Il loro fidanzamento era ufficiale. La dolce attesa di lei era ufficiale. L'antipatia reciproca delle nostre band, anche quella era ufficiale. E forse era proprio questa... sottospecie di clandestinità ad alimentare la nostra storia.»

    

Anna si stava pulendo gli occhiali. Brian non capiva fino a che punto fosse arrabbiata per quel tizio dei fiori — doveva averci messo davvero il cuore, poverina — e fino a che punto, invece, fosse semplicemente stufa di stare a sentire le noiose storie dei suoi clienti. Teoricamente non avrebbe nemmeno avuto bisogno di lavorare. A quanto ne sapeva Brian, era una ricca di famiglia. 

 

    «E non è proprio per tale clandestinità che poi vi siete lasciati?»

    «Non proprio, anzi, direi che... ma questo è successo dopo. La sera del mio compleanno era, in qualche modo, iniziata la nostra vera storia. Ci siamo rivisti il giorno dopo.»

 

Fece una pausa per rimettere al loro posto il prima e il dopo. Gli riusciva sempre più difficile. Specie sotto l'effetto di quella robaccia.

 

    «E...?», incalzò Anna.

    «Il nostro appuntamento era fissato alle otto. Ero talmente nervoso che alle sette ero già pronto per uscire. Doveva passare a prendermi a casa mia.»

    «E non si è presentato?», chiese allora lei con un certo astio. 

 

Brian si voltò verso di lei. Bingo! Il tizio dei fiori doveva averle detto che sarebbe passato e poi doveva averle dato buca senza più nemmeno telefonarle. Altrimenti perché tanto odio nel pronunciare quella frase? 

    Povera Anna.

 

    «No, no», si affrettò a rispondere Brian. «Cioè, sì, sì che si è presentato!»

    Anna abbassò il tono di voce. «... Ah.»

    «Stavo usando quel tono basso solo perché sto cercando di mettere in ordine il tutto.»

    «Sì, sì, ho capito. Scusa.»

 

Povera Anna.

 

    «E...» No, sul serio, povera Anna, forse vuole parlarne.

    «E...?»

    «Ehm, sì, e allora, la sera dopo il mio compleanno, ero lì, in ansia, e... alle sette e otto minuti suona il campanello. Io apro la porta e...     

 

 

 

2

 

 

 

    ... buonasera, Brian», trillò allegramente Matt, il sorriso a trentadue denti – storti – parzialmente nascosto dalla sciarpa.

 

Brian rimase un attimo lì impietrito, una mano che teneva aperta la porta del suo appartamento, l’altra a giacere inerme lungo il fianco, la bocca socchiusa in una elegante “O”; questo è completamente scemo.

 

    «Bellamy, ti do dieci secondi per sparire dalla mia vista e ripresentarti ad un orario accettabile: dieci, nove, tre, due…»

 

Matt rise di gusto, come aveva l’irritante abitudine di fare quando Brian si arrabbiava con lui. «E andiamo, di quanto sarò in anticipo?»

    

    «Sei in anticipo di…» Guardò l’orologio, guardò Matt, sbatté le palpebre due volte. «… cinquantadue minuti, Bellamy.»

    «Però sei pronto», notò asciutto Matt, e lo prese in contropiede.

    «Non sono affatto pronto.»

    «Ah no?» Sembrava l’avesse chiesto con scetticismo, percorse il suo corpo già perfettamente vestito con lo sguardo per due o tre volte.

    «No», si sentì rispondere.

    «Cos’è che dovresti ancora fare?»

    «…»

    «…»

    «Pettinarmi.»

 

Matt stava ancora sulla soglia.

 

    «Pettinarti», registrò. «Posso entrare?»

 

Brian lo guardò, si chiese se avesse ascoltato anche solo una singola parola di ciò che aveva detto, si rispose che probabilmente no, non lo aveva fatto. Disarmante. Era disarmante.

 

    «… sì», capitolò.

 

Si spostò, Matt lo oltrepassò. Brian si guardò attorno, gli occhi che saettavano veloci tra gli oggetti nella sua visuale, registrò ogni cosa fuori posto in un inventario che si sarebbe tenuto in testa per tutta la sera; gli sarebbe servito. Lo fece sedere sul divano con un cenno, “arrivo subito”, sparì in bagno. Si ritrovò davanti allo specchio a pettinarsi i capelli, nonostante se li fosse pettinati già quattro volte, quella sera. Cercò di perdere tempo, si convinse di aver bisogno di un bottone aperto in più, lo aprì e poi lo richiuse, e poi lo aprì di nuovo. Lisciò le pieghe che la sua camicia non aveva, si impose di calmare il respiro e si disubbidì.

    Si sporse sul lavandino per guardarsi il viso da distanza minore, e registrarvi i segni dell’età; gli sarebbe servito anche quello, in un secondo momento.

    Pensò che avrebbe voluto prendersi lo sterno e tirarselo fuori dal petto, pur di liberarsi della pressione che sentiva in quel punto.

 

    «Brian! Ci sei?»

 

Sentì che Matt si era alzato dal divano per cercarlo, lo sentiva, che si stava avvicinando, e gli diede fastidio, perché che cazzo mi metti fretta a fare, se ti sei presentato alla porta di casa mia con cinquantadue minuti d'anticipo? Gli venne automatica una maggiore pressione dei palmi sui bordi del lavandino, che sfruttò solo per darsi la spinta necessaria a rimettersi dritto.

    Non è giusto.

 

    «Brian!»

 

Di nuovo quella cosa al petto.

    Si sforzò di pensare alle cose da mettere in ordine che c'erano nell’ingresso di casa, e quando vide la figura di Matt comparire nel riflesso dello specchio e appoggiarsi allegramente contro lo stipite, braccia incrociate al petto e sorriso sereno, decise che avrebbe elencato quelle cose in ordine di grandezza.

 

    «Brian, è tutto ok? Ho fatto un giro nel tuo salotto, e ho notato che…»

 

Polvere, chiavi…

 

    «… perché ne ho uno uguale, ma dell’edizione precedente, l’avevo comprato in una libreria vicina al centro qualche anno fa, e…»

 

… posacenere, libro, penna…

 

«… quindi anche a te piace Flaubert!»

 

… no, la penna è più piccola… polvere, chiavi, penna…

 

    «Brian?»

 

… posacenere, libro, cappello…

 

    «Brian?!» Lo strattonò per una spalla, a Brian sembrò di risvegliarsi da un sogno.

    «Sì», rispose Brian, senza sapere bene a che cosa. Gli occhi di Matt rimbalzarono sullo specchio e si tuffarono nei suoi.

 

    «… Brian.»

    «Ci sono. Andiamo?»

 

Matt gli scoccò un’espressione perplessa che Brian ebbe l’accortezza di schivare, sorpassandolo per uscire dal bagno; lui lo seguì in sala e poi nell’ingresso, lo guardava mentre si faceva abbracciare il collo dalla sciarpa di lana, l’aria assente e i movimenti meccanici. Brian, da parte sua, aveva notato alcune monete impilate fuori dal portaoggetti (eh no, sarebbero dovute andare dentro al portaoggetti!) e le aveva aggiunte alla lista che si era scritto in testa – le avrebbe inserite dopo la polvere e prima delle chiavi. Fino a quel momento aveva funzionato, no? La tensione che prima sentiva sul petto aveva liberato lo sterno ed era andata ad impregnare lo spazio che lo separava da Matt.

    Certo, magari ora Matt si sentiva in imbarazzo e il silenzio pulsava un po’ nelle orecchie, ma almeno Brian aveva ripreso a respirare.

    Perché, poi, questo imbarazzo? Cosa c'è oggi di tanto diverso da ieri?

 

    «Brian, sei sicuro di stare bene?» Si stava preoccupando.

    «Sì. Ho solo dormito poco.» Era vero.

    «Se non te la senti non c’è problema, possiamo rimandare.»

 

Riuscì ad ottenere che Brian si voltasse verso di lui con aria interrogativa. «No. Voglio che usciamo.»

 

Questa piatta e sincera ammissione fece sorridere Matt, non se l'aspettava. La colse, l’assaporò per qualche istante e se la mise in tasca. «Vuoi che usciamo», ripeté.

 

    «Sì», confermò Brian. Si era come… addolcito – no, non addolcito, domato era la parola giusta –, e Matt lo trovò bellissimo. Glielo disse.

    

    «Sei bellissimo.»

    «No.»

    «Come vuoi.»

 

Brian prese il cappello nero dal mobile su cui lo aveva posato, si annotò mentalmente che avrebbe dovuto toglierlo dalla sua lista delle cose da mettere in ordine; se lo calcò in testa, indossò la giacca. Pronto. Sentiva Matt che lo fissava – smettila di fissarmi così forte.

 

    «Andiamo con la mia macchina, ti va?», chiese Matt.

 

Brian gli disse che gli andava, finse di cercare le chiavi per qualche secondo, finse di essere sorpreso quando le ritrovò in tasca – Matt sorrise con un piccolo sbuffo, per la cosa –, non sapeva nemmeno che senso avesse, cercare di guadagnare tanto tempo. Si impose di calmarsi e questa volta si ubbidì.

 

    «Dove mi porti?» chiese, mentre uscivano di casa.

 

Matt non rispose, Brian non insistette.

 

 

 

3

 

 

 

Era un ristorante che Brian etichettò fin dal primo momento come “pacchiano” – del resto, l’ha pur sempre scelto Bellamy; si sviluppava in un locale di forma regolare, l’intonaco bianco costellato di quadri che Brian etichettò come “croste”. I tavoli erano tutti coperti da agghiaccianti tovaglie… gialle? Ocra? Brian non riuscì a definirne il colore. Pensò che Matt era partito male, pensò che Matt si sarebbe dovuto riscattare in qualche altro modo, pensò che ciascuno di quei tavoli era troppo vicino ai tavoli degli altri clienti.

    Matt sorrise cordialmente al proprietario, salutò, si voltò verso Brian.

 

    «Andiamo al tavolo?», chiese, notando la titubanza dell’altro. 

 

Si sentì rispondere di sì e fece strada all’interno della sala. Brian lo seguiva, disegnava con gli occhi l’attaccatura dei capelli sulla sua nuca; ad ogni tavolo a cui passavano accanto, pregava con tutto il cuore che Matt decidesse di non sedersi, o che decidesse di sedersi subito, che dicesse “mettiamoci lì” o “no, questo non mi piace”. Che dicesse qualcosa, diamine! Brian aveva la paura irrazionale delle sorprese, o meglio, del farsi cogliere impreparato, e lo metteva in agitazione rimettersi alle decisioni imprevedibili di un altro – sì, anche solo per un insulso tavolo.

    Doveva dirmi prima dove saremmo andati e a che tavolo ci saremmo seduti.

    Non sapeva perché, ma gli ricordò la sensazione che provava da bambino quando alle feste c’era il gioco delle sedie – la massima tensione che lo attanagliava nello spazio tra una sedia e l’altra. Era la stessa tensione, solo con i tavoli.

    Il gioco dei tavoli.

    Li avevano superati tutti, Matt proseguiva inesorabile, salirono una scala che Brian non aveva notato e sbucarono in una piccola terrazza coperta, grande finestra su un lato, tutti tavoli vuoti tranne uno, apparecchiato. Brian guardò il tavolo, guardò Matt, guardò ancora il tavolo e Matt rispose alla domanda che non gli era stata posta facendo un cenno con la mano che stava a significare: “Sì, puoi sederti”.

 

    «Dà sulla città» mormorò Brian, incollando il naso al vetro.

 

Matt stava qualche passo più indietro, lo guardava guardare fuori.

 

    «Sì.»

    «L’avevi prenotato?»

    «Sì. Ti piace?»

    «Sì.»

 

Si scollò dalla finestra e Matt fotografò con gli occhi il modo in cui il suo fiato aveva appannato il vetro, lo guardò mentre si sedeva con aria stralunata.

    La tovaglia è sempre di un colore indefinibile, pensò Brian, ma qui sta bene. Beh. Nemmeno troppo, forse.

    Matt prese posto davanti a lui, gli porse uno dei due menù, “cosa prendi?”, “non saprei, tu?”, poi solo il rumore delle pagine e quello delle macchine, spezzato dal vetro spesso della finestra.

    Dal nulla, si misero a chiacchierare del più e del meno – una conversazione leggera, che scorreva veloce e senza intoppi, senza che Brian sentisse il bisogno di aprirsi la cassa toracica come un armadio per non soffocare i polmoni. Matt gli aveva detto che quando i Placebo si erano formati da poco e i Muse non si chiamavano nemmeno così, gli era capitato di sentire una loro canzone, ma non si ricordava quale fosse.

 

    «Il motivetto lo sapresti ripetere?», fece Brian.

    «No, non ne ho idea! Sono abbastanza sicuro fosse la canzone di un video, o qualcosa del genere.» Fissava un punto indefinito della tovaglia, concentrato. «... ma non me lo ricordo. Avrà fatto schifo, come ogni cosa vostra», scherzò, pungente.

    «Forse avresti fatto bene a prendere ispirazione, Bellamy, almeno adesso potresti essere famoso per la tua musica, e non perché la tua donna è un'attricetta di commedie romantiche.»

    «…»

    «…»

 

Brian si chiese se scusarsi sarebbe servito a qualcosa o avrebbe solo alimentato l’imbarazzo, ma da un lato sperava che Matt desse una risposta intelligente a quella provocazione che gli era uscita un po’ volutamente, un po’ per sbaglio. 

 

    «Mucca.»

 

Ecco, “mucca”, ad esempio.

 

    «Prego?»

    «Nel video. Ad un certo punto c’era una mucca.» Matt lo guardava negli occhi, serio.

 

Una ritirata in grande stile, Bellamy, concesse mentalmente Brian.

 

    «Bruise Pristine.»

    «Oh. Sì, può essere.»

 

Il cameriere li salvò da un imbarazzo che altrimenti si sarebbe potuto protrarre anche all'infinito, e “cosa desiderate ordinare?”, “per me la specialità del giorno” e “per me lo stesso”.

    Parlarono prima che arrivasse il vino, dopo che fu arrivato il vino, prima che arrivasse la cena e dopo che fu arrivata la cena.

 

    «Perché questo stile così androgino, Brian?», chiese Matt, ad un certo punto della serata.

    Brian sorrise. «È stata la cosa più ribelle e insieme la più semplice da ottenere, a suo tempo.» Fece una pausa. «Ero minuto, poco mascolino, portavo i capelli da donna... è bastato aggiungere il mascara secco di mia madre e il profumo da poco che riuscivo a comprare di nascosto.»

    «Di nascosto?»

    «Quando hai iniziato a suonare il piano, Bellamy?», fece di botto.

    «C-cosa?»

 

Brian aveva sollevato il suo calice e aveva nascosto la bocca dietro di esso, il vetro appoggiato alla punta del naso, le dita intorno al gambo. Gli occhi erano seri. Ripeté la domanda.

 

    «Oh. Me l’ha... me l’ha insegnato mio padre, sì... è stato il primo strumento che ho imparato a suonare.»

    Brian annuì. «Com'è tuo padre?»

    Un sorriso amaro. «Tu lo sai?»

    «Oh. Scusa.» 

    «Non c'è problema.» 

 

Restarono qualche attimo in silenzio, Matt sorrideva, Brian no. 

 

    «Beh, parte tutto da lì, no?», riprese Matt.

    «Da lì dove?»

    «Un po’ di grane e qualche nota di musica classica.»

 

Brian gli disse che si trovava d’accordo, Matt gli chiese quali fossero i suoi compositori preferiti, Brian rispose di amare Tchaikovsky. Parlarono per talmente tanto tempo che a interromperli fu lo stesso cameriere che li aveva serviti, per avvisarli che a mezzanotte il ristorante avrebbe chiuso. Parcheggiarono lontano da casa di Brian e poi camminarono, parlarono ancora, e Matt lo guardava fumare con calma.

 

    «... no, dico sul serio, lo sai a chi somigli, con quel cappottone nero, il cappello e tutto?», disse Matt, ridacchiando.

    «A chi somiglio, sentiamo?!», fece esasperato Brian.

    «Hai presente Frollo?»

    Brian si ruppe in una risata. «Fottiti, Bellamy.»

    «Ehi, Claude, guarda che sono cattolico, eh, non scaldarti!»

   

Brian gli mollò uno schiaffetto piuttosto effeminato sul braccio.

 

    «Ehi, Brian.»

    «Che c'è?»

    «Kyrieeee eleeeiiisooon.[1]»

    «Dio, come sei infantile, Bellamy.» Ma ormai rideva.

 

Ci furono altri scambi su questo genere; “ehi, giudice Frollo, ma ce l'hai ancora quella sbandata per Esmeralda?”, e “fottiti”, e “se vuoi che iooo, io ti proteggaaa...”, “Bellamy, ti prego!”, “... di me soltanto d'ora in poi dovrai fidartiii...”[2]. Poi tornarono entrambi seri, solo vaghi sorrisetti dipinti sulle labbra.    

 

    «Alloraaa...», fece Matt.

    «Allora?», incalzò Brian, cercando di mantenere un'intonazione annoiata. 

 

Erano al portone. Esattamente come ventiquattr'ore prima. Matt moriva dalla voglia di salire, ma lui non l'avrebbe affatto aiutato. Questa voleva proprio godersela.

 

    «Beee'...»

    «Be'?»

    «Ecco... magari ti accompagno fino alla porta del tuo appartamento, se vuoi.»

    Brian sollevò un sopracciglio. «Ah sì?» Oh, non aveva intenzione di aiutarlo in nessun modo. 

    «Aha. Sai... magari puoi cadere sulle scale...»

    «Prendo l'ascensore.»

    «Be'... puoi... cadere anche in ascensore, volendo.»

    «Stai forse cercando di salire da me, Bellamy?», chiese Brian, che la risposta la conosceva già benissimo.

    «No, no, affatto, era per dire.»

    «Ah, era per dire.»

    «Era per dire.»

   

Brian lasciò passare qualche secondo.

 

    «Buonanotte, Bellamy.»

    «Buonanotte, Brian.»

 

Negli occhi di Matt c'era una traccia di delusione, ma del resto era preparato.

    Chissà com'era dentro la casa di Brian.

    Chissà com'era dentro Brian.

    Gli rivolse un ultimo sorriso e fece dietrofront per andarsene. 

 

    «Bellamy!»

 

    Si voltò di scatto.

 

    «Brian?»

    

    Brian era ancora sotto al portone, ma ora che Matt poteva vederlo da poco più lontano ne notò l'elegante figura intera. Ciao Brian, pensò, irrazionalmente. 

 

    «Bellamy, io volevo dirti che... sono stato bene.»

    «Anch'io, molto», fece Matt, mostrando un gran sorriso.

    «No, voglio dire...» Dio, che fatica. «... sono stato davvero molto bene. Come non stavo da tantissimo tempo.» 

    «Sul serio?», chiese Matt.

    «Sul serio», rispose Brian. «Per quanto possa contare», aggiunse più sbrigativo, come per togliere solennità al momento.

    «Questa sera mi addormenterò contento, Brian. Per quanto possa contare.»

    «Ah, i nani dormono?»

    «Non lo so, tu dormi, Brian?»

    

Brian non riuscì a contenere una risatina. Non capiva fino a che punto gliela stesse dando vinta, e fino a che punto, invece, Matt stesse vincendo da solo.

 

    «Brian, ci esci di nuovo con me?»

    «... venerdì?»

    «Domani.»

    «Ma siamo usciti anche stasera! E ieri!»

    «Ma venerdì è tra cinque giorni. Non so tu, ma io cinque giorni non aspetto.»

    «...»

    «...»

    «... probabilmente neanch'io. A domani, Bellamy.»

 

Matt salutò sorridendo e tirando su una mano. Indietreggiò di un poco e poi si girò. 

 

    «Matt?»

   

Pensò che evidentemente a Brian venivano in mente le cose che doveva dire solo quando i suoi interlocutori erano sul punto di andarsene. Poi realizzò di non aver mai sentito il proprio nome pronunciato dalla voce di Brian, prima d'ora, e gli sembrò... bello. 

    Non glielo avrebbe fatto notare. Provocarlo, in quel momento, sarebbe stato fuori luogo.

    Si voltò.

    Brian fissava qualche punto indefinito del marciapiede. 

    Polvere, monete, chiavi...

 

    «Sì?»

 

    ... penna, posacenere, libro...

 

    «Brian? Mi hai chiamato?»

    «... Vuoi salire?»

    Matt sfoggiò un sorrisetto divertito, irriverente e forse anche un po' imbarazzato. «Perché ora hai cambiato idea?»

    «... ho... ho una gran paura di cadere in ascensore.»

 

 

 

 

 

 

4

 

 

 

Sono proiettato alla nostra prima notte insieme. Non parlo del prima o del durante, parlo del dopo. Parlo di te che dormivi alla mia destra. 

    Quando una persona dorme al mio fianco, controllo sempre che respiri. Sì, sì, lo so che è stupido. Ho sempre paura di vedere il respiro bloccarsi. Lo sai che tu respiri talmente piano che mi è saltato il cuore in gola più di una volta, prima di capire che non stavi male? Le spalle le muovi pianissimo, e quasi impercettibilmente. 

    Su... giù... su... giù, che mi sembra di stare in barca.

    Capita che mi svegli, durante la notte, e ogni volta la prima cosa che faccio è voltarmi a destra — il tuo lato — per controllare che tu ci sia. Non ci sei, ma se ci fossi saresti girato di spalle, perché a quanto pare ci stai bene, in quella posizione. E non ci sei, ma se ci fossi mi farei piccolo piccolo, come facevo quando c'eri, e mi avvicinerei il più possibile a te e alla tua bolla di calore umano. Sei una specie di stufa, lo sai?

    Sono fuori. È la prima volta che abbandono la scrivania della mia stanza e ti scrivo da fuori. Sono in quel bar di Camden, sai quello oltre il ponticello, vicino alla parte rialzata? Quello. Sono qui da solo dieci minuti, ma probabilmente saprò già di birra. La gente beve. Io invece me la bevo e basta. In questo momento sono un po' arrabbiato con te, Matt, lo sai? Del resto è colpa tua se ora sto così. Ma del resto è soprattutto colpa mia se tra noi è finita. Ancora non mi va di parlarne su questi stupidi fogli.

    Prendo della roba. Non ti gasare, non è solo per te. È per tutto quanto assieme. Anche se in realtà, diciamocelo, è soprattutto per te. Non è roba particolarmente forte, ma è abbastanza perché la gente se ne accorga. Non ti sto facendo il processo, sto soltanto dicendoti che effetto mi fai, anche se capisco che sarebbe più romantico se te lo dicessi in un altro modo. 

    Non ti sto facendo il processo. Non ti sto facendo nessun processo. In effetti questa cosa delle lettere altro non è che un modo più elegante di parlare da solo.










NOTE: 1 e 2 — Matt sta cantando, rispettivamente, la parte corale de Le campane a Notre Dame, e l'intro di Via di qua, entrambe tratte dalla colonna sonora de Il gobbo di Notre Dame (Disney). Nella prima è presentato il personaggio di Frollo, nella seconda è Frollo stesso a cantare.

 

   
 
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