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Autore: MadLucy    19/05/2014    3 recensioni
Il principato di Dorne -l'unico a non essere stato sottomesso dai Targaryen.
Lancia del Sole -la capitale dove vengono orditi nuovi intrighi, che scuoteranno Westeros.
Un sole rosso trafitto da una lancia -lo stemma che raffigura le armi predilette dai dorniani.
Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati -il motto implacabile di una famiglia implacabile.
Loro discendono dalla stirpe della leggendaria principessa guerriera dei Rhoynar, Nymeria; loro sono i Martell. E vogliono partecipare al gioco del trono.
|raccolta di one-shot/flashfic sull'ottava grande casata di GoT|
#1: Elia Martell
#2: Oberyn Martell
#3: Doran Martell
#4: Ellaria Sand
#5: Arianne Martell
#6: Quentyn Martell
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Arianne, Martell, Elia, Martell, Oberyn, Martell, Vipere, delle, Sabbie
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Arianne
Arianne Martell.



Acqua.






Mi dispiace, principessa, non posso parlare.
L'acqua canta una canzone atona. Il sole mormora fra sè, spanto sui muri sbiancati di calce, pigro nell'incontestabilità del proprio imperio, sciocco nell'ottusità della sua certezza. La vasca di pallido marmo rosa offre un refrigerio elitario, rinchiudendo in un paradosso di piaceri contrastanti chi vi giace. La luce gocciola preziosa dai rubinetti d'oro. L'acqua non tace, impassibile.
Assopita, contempli. Il sole di Dorne ti friziona la fronte, inumidendola di sudore; le ciglia imperlate di scintille opalescenti cedono alle dita abili di quell'estate instancabile.
Assuefante. Allunghi un piede, facendolo emergere dall'acqua con la grazia di una sirena. Lo rimiri, in controluce, azzurro contro il marmo, scuro contro il pallore. Il nodo in gola non si risolve, non da solo, non lo farà. Odore di acri fiori senza ingenuità nè dolcezza ti mordono il palato, liberando nella mente una bolla vuota sempre più gonfia, sempre più rossa. Spezie diluite nell'acqua, incenso che si confonde con i pensieri. Un grosso scarabeo, dal dorso rilucente di variopinti bagliori, verde e viola e blu, procede lungo il bordo smaltato della vasca, come se avesse tutto il tempo del mondo per percorrerlo. E ce l'ha, forse. Chi lo può interrompere? Lo segui con lo sguardo. Senti i muscoli come contratti, attanagliati. L'acqua persevera, imperterrita, inclemente. Cade nella vasca. Ringhia verità. Sputa sentenze. È l'unica cosa che sa fare. Vapore rosa, suscitato dallo sfrigolare dei petali arroventati al sole, comincia a salire come nebbia. Veleno.
L'immobilità sorride serena e imperturbabile, opulenta ed indolente in quel lusso facile, senza sforzo nè cattiveria.
Mi dispiace, principessa, mi è stato ordinato di tacere.
Beffardo silenzio chiuso con una chiave d'oro.
Poi dici
basta.
Si alza come fa il vento, la figlia di Dorne. L'acqua schizza, infranta, violata, vituperata nell'esattezza liscia dell'inerzia. Schizza grottesco, sangue invisibile di macello senza testimoni. Morte veloce. Tutto muore in fretta. Lo scarabeo spalanca le grandi ali pesanti come mosaici, dispiegandole come ventagli, e svolazza su una pianta da vaso arancione. La nebbia, come tagliata con un coltello, fugge nel silenzio. L'odore dell'incenso si sostituisce al sapore del sangue, raggrumato nell'ultimo respiro in fondo alla gola, lì, all'altezza del petto -quel respiro di fumo e dolore.
È con rabbia che sfregi il lino delicato del tuo abito, abito fragile di regina che non s'alza dal trono, di prigioniera che carezza le proprie catene. Sa di sconfitta l'acconciatura ricercata dei tuoi capelli, quindi sradicate le forcine, sradicati di pettini, sradicata la debolezza di istanti di sconforto che i fantasmi sussurrano ancora. Via tutto, tutto. Il rumore degli smeraldi contro gli specchi è quello delle illusioni rimpinguate contro la nuda terra. Grosse ciocche nere rimangono fra le dita tremanti, come ciuffi di pelliccia di lupo, come testimonianze di una battaglia.
Avvoltoio che strappa tendini alla ricerca della carne, svisceri quel mondo di menzogne che s'erge temerario con la statica arroganza degli onnipotenti. Un letto di piume che non ti serve, lenzuola soffici su cui è dolore dormire. L'inutilità sfibrante di tanti specchi che si riflettono l'un l'altro, nel coro assordante d'una litania infernale.
La porta è ancora chiusa.
Qualcuno ha parlato, disse Areo Hotah.
L'ebbrezza della violenza, la maliziosa intelligenza della rabbia ti trascina in un mondo di verità che bruciano, in un castello di sabbia che il mondo vuole annegare nel mare -sarebbe così facile lasciare che le onde lo raggiungano e lo sommergano, consumandolo poco a poco, divorandolo torre dopo torre, sarebbe così facile lasciarsi lenire le ferite.
Ma l'acqua del mare è sale, e la carne di Arianne Martell non vuole essere sanata dal suo stesso aguzzino.
Volti si susseguono insieme ai brividi, insieme ai fremiti. La ferita che si spalanca come un sorriso diabolico sul viso di Myrcella Baratheon, sotto il bacio d'una lama. Arys Oakheart ed il suo ultimo sguardo. Il lampo arrossato della spada di Gerold Dayne, il disegno del suo mantello arricciato nel vento durante la fuga. Poche parole e frammenti di te stessa.
Qualcuno ha parlato.
Il sangue di chi è morto per te sulla lingua, lamenti tutto il dolore di una madre che assiste incatenata allo scempio di un figlio; via le tende, che oscurano quanto desideri vedere di più, via la scacchiera di cyvasse, l'ennesima lezione schiaffata senza bisogno d'alzare una mano. Via tutto. Tutto il resto. Rimane solo la porta e occhi a fissarti. Rimane una vetrata spalancata su colline di fuoco e bronzo, sole di acciaio e vento di spada. Dorne. Terra guerriera mai inchinata, mai piegata, mai spezzata.
Ne carezzi con le unghie troppo lunghe il riflesso. Ami Dorne fino a stare male, fino a che il cuore marcisce nella responsabilità di oneri di troppe corone, quando in realtà era una sola ad interessarti davvero -una sola che era tua, e una sola che avresti dovuto preservare.
Questo il tuo regno, questo il tuo limite. Le unghie affondano nel palmo. Hai cercato di fare quel che credevi giusto, già, la giustizia fallita della regina senza corona. Quanto valore ha, adesso? C'è chi cade e chi rimane in piedi, chi siede sul trono e chi giace sottoterra. Il resto è chiacchiera. Questo il tuo demone. Non c'è pietà, non c'è misura.
Voleva giustizia l'erede legittima, posposta alla vigoria di un baldo adolescente che riconosce come fratello solo perchè ha gli occhi di loro padre, Quentyn lo sconosciuto dall'aria familiare. Doran Martell è sempre stato un sovrano perspicace, svelto d'ingegno quanto non lo è d'azione, eppure è con titubanza che si figura Arianne sul trono; legittima e rinnegata perchè femmina, che sconta l'imperdonabile delitto d'indossare gonne e corsetti, bucata moneta di scambio nel mercato nero.
Voleva giustizia Arianne, e credeva di sapere come ottenerla. La gloria luccicava fra i boccoli biondi di Myrcella; la sconfitta sgorgò dallo squarcio sul suo viso. Un errore di calcolo. Una mossa azzardata. Perchè importa ancora -tutto ciò che importa- nell'aria asciutta di quella tomba di lusso.
Qualcuno ha parlato.
Un urlo ti attraversa, dal cranio alle caviglie. Scuote le viscere. Spacca il respiro. Un urlo che comincia a dilatarsi nelle parole d'inchiostro, vergate in un lettera di molti anni prima, scoperta per sbaglio e compresa troppo presto, un urlo che sopravvive e perdura negli anni come una promessa capitale. Ombre lunghe come spade striano la luce, svelando l'inganno d'una quiete di tempesta.
Voleva far rimpiangere a Doran di averla sottovalutata, Arianne. Fa quasi ridere pensarlo, adesso. Fa quasi piangere.
Le mani contro la porta, una supplica di gemme incastonate negli anelli contro il legno. Rumore di vento che infrange i rami con dita cattive. Pugni confitti di schegge che si abbattono imperiosi -imploranti. L'attacco strenuo di chi sa di non poter vincere e di non potersi arrendere. Nel tuo corpo c'è tutto il furore d'una terra invendicata, tutta l'angustia d'una femmina con sangue di re nelle vene, tutto il torto d'una guerriera senza armi.
Il sangue riga la porta, quasi scrivendoci l'alfabeto d'una devastazione ammutolita. Un delitto si è consumato in quella stanza, e hai ancora tutto il tempo per morire. Il rancore riaffiora fomentato da un pensiero troppo violento, si scioglie ancora in spuma nera, si fiacca nel dolore monotono d'un fallimento annunciato.
Lasci che la fronte ricada premuta contro la porta. Chiudi gli occhi. Il seno sussulta all'unisono con il respiro. Le labbra non vogliono sapere di stringersi, come i lembi sfilacciati d'una ferita.
La Torre della Lancia sembra in alto, più in alto del gioco dei troni, oltre il netto ed impavido cielo di Dorne che non conosce nuvole, oltre le tue intenzioni nè buone nè malvagie. E sempre sotto l'imperscrutabile volontà di Doran Martell. Per qualche doloroso, folle istante, ti senti solo l'ennesima pedina martoriata e cullata, illusa e disillusa, usata e scartata, elevata solo per essere spinta sul bordo della scacchiera, forte per finta, impotente per davvero. Per qualche doloroso, folle istante, ti senti sola fino in fondo all'anima.
Cadi a terra, come un animale ferito. È l'unica cosa che sai fare. Il gemito ti scuce le labbra, disarticolato, ossa rotte, melma insanguinata, bolo di cenere. Il sole sorgente sghignazza, ammantato di inaccessibile bellezza come il soggetto d'un ritratto morto, l'utopia d'un sogno sognato in passato.
L'acqua prosegue a raccontare la sua verità. Non acqua dolce, acqua salata, acqua di mare. La sabbia si scioglie informe sotto le dita. Il sordo lamento diventa lacrime.
Doran ti assorda, ti confina nella follia degenere della tua solitudine. Aspetti. Tutto ciò che riesci ad udire è il suo silenzio.

Nel delirio vedi tuo padre, lindo e nitido nel caos. Lui è inginocchiato al tuo fianco. Non ti tocca, l'ha sempre fatto poco, non servirebbe a nulla. Ti guarda con quella patina di distaccata tristezza che deteriora i suoi occhi da troppi anni.
-Rompere ciò che ti circonda non aggiusta ciò che hai spezzato.- Voce di stelo.
Non parli. I tuoi denti vogliono ancora mordere, le tue mani ricadono stanche di rovina, ma è nei tuoi occhi la lancinante consapevolezza del vero dissestante.
Un sospiro.
-Assomigli sempre di più a tua madre. Sempre di meno a me.-
Occhi incrostati di lacrime, nero di notti bevute e vissute e sofferte cicatrizzato sugli zigomi. Frammenti di gioielli sbrindellati. Forse hai cominciato a piangere, dopotutto.
-Verrà il giorno in cui saremo uguali, e parleremo l'uno di fronte all'altro come se non avessimo più segreti.-
Doran Martell si sgretola nelle spire del tuo sonno scarlatto. Il grido risuona ancora, più alto di prima, come il canto d'agonia d'un cigno.



Quando ti svegli, decidi che è ora di scommettere sull'ultima carta che ti è rimasta in pugno -l'ultima, dopo sarai fuori dal gioco. E smetti di mangiare.
Ci sono i crampi della fame nell'incavo del ventre, ma, quando si infrangono al suolo, i piatti d'oro che precipitano dalla finestra promettono vittoria.
Sorridi. Anche tu hai imparato ad aspettare.
































Note dell'Autrice: Perchè tutte le donne Martell sono una piccola meraviglia, Arianne in particolare. <3 Sì, lo ammetto, sono innamorata di lei.
Il prossimo capitolo sarà su Trystane, oppure su Quetyn... non ho ancora le idee chiare. Grazie per avere letto. Taaanto love. ^-^ *s'inchina*
Lucy
  
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