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Autore: Berty_Poppins    19/05/2014    5 recensioni
La prima cosa che fai appena nasci è piangere, è un buon segno il pianto di un neonato, perchè se piange respira, se respira tutto è come dovrebbe essere. Nessuno ti dice di smetterla, nessuno si arrabbia. Sono tutti felici. Tu piangi e loro ridono.
[Shikamaru che consapevolmente resta in piedi quando suo padre muore, in sintesi]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shikamaru Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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We carry the dead in our hands.
There is no other way.

The dead are not carried in our memories. They died
in another age, long before this moment.
We shape them from the wounds
they left on the inanimate,
ourselves, as falling water
will turn stone into a bowl.

There is no room in our hearts
for the dead, though we often imagine that there is,
or wish it to be so,
to preserve them in our warmth,
our sweet darkness, where their fists
might beat at the soft contours of our love.
And though we might like to think
that they would call out to us, they could never do so,
being there. They would never dare to speak,
lest their mouths, our names, fill
quietly with blood.

We carry the dead in our hands
as we might carry water - with a careful,
reverential tread.
There is no other way.

How easily, how easily their faces spill.

[John Glenday - Portage]
 





La prima cosa che fai appena nasci è piangere e nessuno prova pena per te in quel momento; è un buon segno, il pianto di un neonato, significa che sta bene, perchè se piange respira, se respira tutto è come dovrebbe essere. Nessuno ti dice di smetterla, nessuno si arrabbia. Sono tutti felici.
Tu piangi e loro ridono.
Poi cresci. Hai le coliche e piangi, hai sonno e piangi, hai fame e piangi, caschi e piangi. Il primo giorno di accademia piangi, ti fanno male i denti e piangi, ti sbucci un ginocchio e frigni. Piangi per te stesso, tu sei il centro del tuo mondo, i bambini sono così, sono il centro del loro piccolo universo fino a quando, un bel giorno, si accorgono che non hanno mai smesso di crescere dal momento in cui hanno pianto per la prima volta.
L'adolescenza.
E tu sei maschio. I maschi non piangono. I maschi sono forti per definizione, chi è forte non piange, non ne sente il bisogno.
Hai il tuo team, hai i tuoi amici, hai il tuo sensei. Hai un padre con tendenze masochiste che però ti batte sempre a shoji, non gli serve neanche guardare la scacchiera per stracciarti, non ha neanche bisogno di esultare quando ti batte perchè nel profondo -- in quell'angolo che ogni buon genitore tiene nascosto per vergogna e che ogni tanto esce fuori con perle di saggezza che per le orecchie di un dodicenne non hanno nessun significato a parte 'che noia' -- spera di venire battuto, almeno una volta, per sapere che qualcosa di buono nella sua vita l'ha fatto a parte sposare tua madre.
Hai una madre, una di quelle dure da morire, toste da morire, severe da morire, ordinate da far schifo, così quadrate da far vergognare chiunque, ma che ogni tanto -- in quei giorni buoni quando ti alzi senza che lei sbraiti il tuo nome dalle scale, quei giorni lì che c'è il sole accompagnato da un venticello piacevole che smuove l'erba e le foglie sugli alberi con una dolcezza quasi materna, in quei giorni lì che sei contento di esserti alzato dal letto -- sorride.

E un giorno ti trovi a piangere davanti ad una sconosciuta. Non piangi perchè ti sei fatto male cadendo, piangi di vergogna, ed è una cosa che non augureresti a nessuno. La vergogna di non essere abbastanza, di essere fondamentalmente un codardo, una di quelle persone che mette a rischio la sicurezza del prossimo; e tuo padre è lì che te lo sbatte in faccia. Oltre al desiderio di voler sparire dalla faccia della terra non   sai   che   fare. Lo superi quel momento, è così che si dovrebbe andare avanti. Le cose si superano, ti rialzi tutte le volte che cadi, indipendentemente dal motivo che ti ha fatto finire per terra, ti dai due pacche sulle spalle, giuri e spergiuri che non accadrà mai più e vai avanti.
Fa sempre più male ogni volta che cadi, ma non piangi come quando eri bambino perchè non sei più un bambino. I bambini, se piangono, vengono consolati, vengono coccolati, vengono presi da sotto le ascelle e rimessi in piedi perchè da soli non lo sanno fare. Gli adolescenti, quelli come te che sanno combattere e che sanno quanto poco ci vuole per uccidere un altro essere umano, se piangono vengono chiamati immaturi.
Immaturo, in sintesi, significa non avere il senso di responsabilità -- che col piangere non c'entra assolutamente nulla se ci pensate. Non ha senso definire immatura una persona che piange, però al solo pensarci ti vengono i brividi, scoppiare in lacrime solo perchè le cose non vanno come vuoi tu, solo perchè ti hanno buttato a terra di nuovo. E' inconcepibile.
E poi, anni dopo, il tuo sensei muore, ti muore tra le braccia e non ce la fai. Non    ce    la    fai.
Hai la sensazione che tutta la tua vita fino a quel momento possa essere riassunta nella scacchiera che scaraventi dall'altra parte della stanza perchè Asuma ha creduto in te, perchè Asuma ha perso molto più della sua vita e tu non sai cosa fare. Tu eri lì.
Eri. Lì.
L'hai visto cadere, l'hai sentito morire e non hai potuto fare niente.
Ed ora cos'hai?, hai la mano dolorante per la forza che hai usato mentre spingevi via la scacchiera, hai la fronte così aggrottata che ti fa male e tuo padre non l'hai mai guardato così, non hai mai provato la voglia di scaraventare lontano anche lui, di spingerlo via, di fargli male. Invece piangi. Scoppi a piangere quando tuo padre va via e cadi consapevolmente stavolta perchè è lì che vuoi stare, per terra, impotente, indifeso, piccolo.
Non lo superi quel momento, non del tutto, ci sono cose che ti restano attaccate addosso. Non ti liberi da quella sensazione d'impotenza fino a quando non sotterri l'assassino di Asuma e ripensandoci lo rifaresti mille e mille volte, procurandogli più sofferenza ogni volta, umiliandolo ancora e ancora e ancora.
Non dimentichi quel momento, Asuma è sempre lì che ridacchia, ma lo lasci andare. Apri gli occhi, le mani, la testa e lo lasci andare, ogni tanto vai a riprendertelo, qualche volta torna tutto da solo e sei tu a lasciarlo entrare fino a quando non fa più così male.
Non un ragazzo, non un uomo. Stai in mezzo, nè qui nè lì, ci stai bene, ci stai comodo.
Vai in guerra. Tutto cambia.
Cambia la tua vita, cambia tutti.
Tuo padre -- che aveva un modo strano di bere il sake, che sbadigliava senza coprirsi la bocca, che guardava tua madre senza fiatare ma le parlava così, che ti ha sempre battuto a shoji, che ti ha insegnato l'onore nel piangere per qualcuno, che non ti ha mai aiutato ad alzarti ma ti ha fatto vedere come andava fatto -- muore. Tu non eri lì.
Non. C'eri.
E' diverso, stavolta. Ti stava parlando, tuo padre, ed eri consapevole che quelle sarebbero state le sue ultime parole. Non eri lì, l'hai sentito morire comunque. Te lo sei sentito morire dentro tuo padre.
Hai continuato a combattere, non ti sei lasciato cadere, non hai permesso a niente e a nessuno di buttarti a terra, ed è stato in quel momento che hai capito.
Che le ginocchia da bambino non le hai mai veramente smesse, che se tremano non è perchè hai paura, che tutte le ore passate per terra non te le sei realmente lasciate alle spalle; ti hanno accompagnato per tutta la tua vita, ti hanno -- lentamente ma con una sicurezza travolgente -- preparato a momenti più difficili, a momenti diversi e ti hanno dato la forza di sopportarle quelle ginocchia tremanti -- di sopportare il peso di te stesso sulle ginocchia che tremano.
Stavolta sai esattamente cosa fare.
Stavolta non sei solo, non proprio.
E piangerai, dopo, ti dispererai per te stesso, per chi hai perso, per tua madre, per le cose, i gesti, le parole che non ritroverai una volta tornato a casa.
Non sei pronto per aprire gli occhi, le mani e la testa, non sei pronto per lasciarlo andare come non eri pronto per sentirli andare via.
Gli uomini della tua vita.
E se cadi ora chi ti riprende, mh?, chi ti si metterà muso a muso, eh? Chi ti dirà la verità in faccia senza preoccuparsi di quello che senti? Come riuscirai ad alzarti stavolta se ti lasci cadere consapevolmente?, per cosa? Per chi? Perchè?
Non se ne vanno mai via certi momenti, te li ricorderai a vita, ti resteranno addosso finchè campi. Non è una brutta cosa, pensandoci.
Perciò non piangerai, non ancora, non piangerai fino a quasi affogarti, e non penserai a tua madre che chissà cosa sta facendo, chissà se l'ha capito, chissà cosa farà quando lo saprà.
Combatterai perchè è così che si fa.
Ringrazi tuo padre perchè sei riuscito a crescere mentre lo guardavi, hai smesso di essere immaturo giocando con lui a shoji, puoi solo ringraziarlo. Dopo -- dopo -- quando potrai solo ricordarlo -- e sperare di farlo nel modo giusto, non dimenticando le cose veramente importanti che facevano di tuo padre la persona che era, cercandolo sempre nelle piccole cose, quelle che da quando non c'è più ricordi con più chiarezza e che prima non avevano la minima importanza perchè c'era lui che le faceva e tu eri troppo impegnato a guardarlo per prestare attenzione alle piccole, minuscole, cose che le sue spalle e le sue mani portavano avanti -- non sai cosa farai e come la farai, ma non è ancora tempo per il dopo.
Ora si combatte, ora si va avanti.
Ora si sta in piedi.



[E un giorno, quando avrai la possibilità di sapere cosa vuol dire essere padre, proverai ad imitarli entrambi, gli uomini della tua vita, e non ci riuscirai perchè è così che funziona il futuro di cui tutti si riempiono la bocca senza realmente sapere di cosa stanno parlando. Non c'è mai una persona uguale ad un'altra, tu non sei Asuma, non sei tuo padre, e va bene così.
Te le ricorderai sempre le piccole cose che fanno di un uomo un uomo perchè certe impronte ti crescono dentro, maturano insieme a te e non te ne accorgi subito, come quando, dal bambino che eri, ti sei trasformato senza neanche volerlo o prevederlo in qualcos'altro.
Qualcuno, realizzerai dopo, che non ha mai strisciato, che non si è mai veramente piegato, che ha perso e che, una volta davanti il conto, ha vinto].








N/A
E l'ho fatto di nuovo. Stavolta però ho scritto più a me stessa, certe volte fa bene darsi degli immaginari schiaffi in faccia per rimettersi in piedi, per cui spero di non essere caduta troppo nel banale e spero davvero che vi sia piaciuta almeno un po' nonostante la tetrosità.
Angela.

  
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