19/05/2014
3 recensioni“Derek Hale, io ti odio.” – pensavo tra me e me, mentre lo guardavo fisso nei suoi occhi a mandorla dal colore indefinito – “Ma il motivo per cui ti odio è solo uno: sei semplicemente troppo.”
Quel bacio fu seguito da un altro, e un altro e un altro ancora, fino a quando le mie labbra non cominciarono a bruciare, per passione o per il gelo questo era tutto da vedere. Mi sentivo come un bambino che per la prima volta scarta il pacco sotto al pino e guarda al cielo ringraziando Babbo Natale per avergli regalato esattamente ciò che aveva chiesto per iscritto sulla lettera. Decidemmo di rimanere sulla collina fino al pomeriggio, perché avevamo capito che se ci fossimo mossi da lì non ci saremmo più sfiorati per troppo tempo, e questo i nostri corpi non potevano sopportarlo. Fummo così presi dallo stare appiccicati che ci dimenticammo di mangiare, bere e di qualsiasi altro bisogno primario. L’importante per entrambi era quello di toccarci sempre in qualche modo. Bastava anche solo che sfiorassi la sua caviglia con la punta della scarpa, in qualche modo dovevamo essere a contatto. Così appena provava ad allontanarsi, allungavo il braccio e lo afferravo per i polpacci per tirarlo verso di me. Il tempo che non passammo ad abbracciarci o baciarci, lo ingannammo con chiacchiere futili e risate imbarazzate di due innamorati che condividono il loro primo vero momento di intimità. Capii che quella era stata la giornata più bella della mia vita fino a quel momento, ogni istante non era paragonabile a qualsiasi altro che avessi vissuto. Era ancora meglio di quando durante quella fatidica notte condividemmo il silenzio interrotto solo dai nostri respiri, con le fronti appiccicate e le mani sullo sterno dell’altro.
Purtroppo, però, le giornate finiscono, e con loro anche l’emozione dello stare insieme. In macchina non feci altro che stringere la mano di Derek mentre sentivo brividi percorrermi ovunque. Neanche lui era indifferente alle carezze, anzi, forse lo era ancora meno di me, ma non voleva darlo a vedere a causa della sua fissa del mostrarsi come l’uomo dal cuore di latta che non era. E tutto andava benissimo così. Quando arrivammo davanti a casa mia, avevamo entrambi un’aria disperata. Eravamo stanchi, storditi e già malinconici di quello che avevamo fatto poche ore prima, ma felici.
Derek si slacciò la cintura, si accarezzò i capelli e poi si avvicinò a me fino a quando non riuscii a sentire l’anidride carbonica uscire dal suo naso.
“Sono solo tre centimetri, giusto?” – disse quasi sussurrando. Non potevo. Ero in un’auto parcheggiata di fronte a casa mia con il ragazzo di cui ero innamorato seduto accanto a me, e non potevo baciarlo.
Abbassai lo sguardo senza rispondere. Non eravamo più sulla collina, era tutto svanito. Quello era il nostro posto, l’unico dove potevamo essere noi stessi e comportarci come volevamo. L’unico posto dove avrei potuto urlare di amarlo alla follia senza che nessuno sentisse, dove saremmo potuti rimanere abbracciati per ore. In quel momento, però, non ci trovavamo nel nostro posto, e non potevamo farci nulla.
Mi guardò con aria dispiaciuta prima di dire:
“Ho capito. Passa una buona serata, Stiles.”
“Ciao Derek.” – accennai un sorriso, nonostante i miei occhi dicessero tutt’altro. Aprii la portiera della decappottabile e quando la chiusi alle mie spalle sentii il suono delle ruote sgommare. Se n’era andato.
***
Beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Non è molto lungo, ma per scriverlo ho completamente abbandonato lo studio ed essendo le 22:31 non ho potuto fare di meglio. Dedico questo capitolo a GH, che mi sta piacevolmente costringendo a continuare la storia. Bene, alla prossima direi.
-Ronnie.
Quel bacio fu seguito da un altro, e un altro e un altro ancora, fino a quando le mie labbra non cominciarono a bruciare, per passione o per il gelo questo era tutto da vedere. Mi sentivo come un bambino che per la prima volta scarta il pacco sotto al pino e guarda al cielo ringraziando Babbo Natale per avergli regalato esattamente ciò che aveva chiesto per iscritto sulla lettera. Decidemmo di rimanere sulla collina fino al pomeriggio, perché avevamo capito che se ci fossimo mossi da lì non ci saremmo più sfiorati per troppo tempo, e questo i nostri corpi non potevano sopportarlo. Fummo così presi dallo stare appiccicati che ci dimenticammo di mangiare, bere e di qualsiasi altro bisogno primario. L’importante per entrambi era quello di toccarci sempre in qualche modo. Bastava anche solo che sfiorassi la sua caviglia con la punta della scarpa, in qualche modo dovevamo essere a contatto. Così appena provava ad allontanarsi, allungavo il braccio e lo afferravo per i polpacci per tirarlo verso di me. Il tempo che non passammo ad abbracciarci o baciarci, lo ingannammo con chiacchiere futili e risate imbarazzate di due innamorati che condividono il loro primo vero momento di intimità. Capii che quella era stata la giornata più bella della mia vita fino a quel momento, ogni istante non era paragonabile a qualsiasi altro che avessi vissuto. Era ancora meglio di quando durante quella fatidica notte condividemmo il silenzio interrotto solo dai nostri respiri, con le fronti appiccicate e le mani sullo sterno dell’altro.
Purtroppo, però, le giornate finiscono, e con loro anche l’emozione dello stare insieme. In macchina non feci altro che stringere la mano di Derek mentre sentivo brividi percorrermi ovunque. Neanche lui era indifferente alle carezze, anzi, forse lo era ancora meno di me, ma non voleva darlo a vedere a causa della sua fissa del mostrarsi come l’uomo dal cuore di latta che non era. E tutto andava benissimo così. Quando arrivammo davanti a casa mia, avevamo entrambi un’aria disperata. Eravamo stanchi, storditi e già malinconici di quello che avevamo fatto poche ore prima, ma felici.
Derek si slacciò la cintura, si accarezzò i capelli e poi si avvicinò a me fino a quando non riuscii a sentire l’anidride carbonica uscire dal suo naso.
“Sono solo tre centimetri, giusto?” – disse quasi sussurrando. Non potevo. Ero in un’auto parcheggiata di fronte a casa mia con il ragazzo di cui ero innamorato seduto accanto a me, e non potevo baciarlo.
Abbassai lo sguardo senza rispondere. Non eravamo più sulla collina, era tutto svanito. Quello era il nostro posto, l’unico dove potevamo essere noi stessi e comportarci come volevamo. L’unico posto dove avrei potuto urlare di amarlo alla follia senza che nessuno sentisse, dove saremmo potuti rimanere abbracciati per ore. In quel momento, però, non ci trovavamo nel nostro posto, e non potevamo farci nulla.
Mi guardò con aria dispiaciuta prima di dire:
“Ho capito. Passa una buona serata, Stiles.”
“Ciao Derek.” – accennai un sorriso, nonostante i miei occhi dicessero tutt’altro. Aprii la portiera della decappottabile e quando la chiusi alle mie spalle sentii il suono delle ruote sgommare. Se n’era andato.
***
Beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Non è molto lungo, ma per scriverlo ho completamente abbandonato lo studio ed essendo le 22:31 non ho potuto fare di meglio. Dedico questo capitolo a GH, che mi sta piacevolmente costringendo a continuare la storia. Bene, alla prossima direi.
-Ronnie.