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Autore: finnicksahero    20/05/2014    4 recensioni
Mi sono sempre chiesta come si sono conosciuti Finnick e Annie, e durante l'ora di Chimica è nata questa storia. Dal testo:
-Piacere Finnick- dico porgendogli una mano, lei si volta verso di me ancora con il broncio sulle labbra e tende una mano -Annie Cresta-
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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*Contenuti forti.

Capitolo quarantacinque.

Annie.


 

Buio.

La cella era buia e sporca, sentivo i topi passarmi sui piedi e sul corpo scheletrico, tremavo tutta e lo facevo tutto il giorno, per la paura.

Johanna mi rassicurava parlandomi di Finnick, diceva che mi avrebbe salvato, come sempre, ci speravo. Ero sull'orlo di un precipizio troppo alto e la terra si stava sgretolando sotto i miei piedi, facendomi cadere a nell'oblio.

Vidi la porta aprirsi la luce entrò e io cercai di catturarne un poco, ero soffocata da quel buio e volevo la luce, volevo che m baciasse il volto pallido e sporco, ne avevo bisogno per poter stare meglio, volevo vederla per rendere un po' più stabile quella terra traballante, Peeta venne trascinato fino alla sua cella poco distante dalla mia, era svenuto e picchiato, vedevo il sangue uscirgli dal naso, pensai fosse morto, ma poi emise un gemito quando lo lanciarono dentro la sua cella peggio di un sacco di una rete da pesca, mi vennero incontro e iniziai ad agitarmi, finii in iperventilazione iniziai a piangere non facendo rumore.

Eravamo tipo una decina circa, ma due erano morti la scorsa notte una era una bambina di appena quattordici anni, struprata fino alla morte, non era altro che una bimba in fin dei conti, con quale coraggio potevi fare una cosa del genere ad una bambina? Rabbrividii ripensando al suo corpo ricoperto di sangue, pallido e freddo, gli occhi nocciola caldi, morti e gelidi, altre lacrime scesero sulle mie guance lasciando dei solchi dove prima c'era lo sporco.

L'altro ragazzo che era morto, aveva diciassette anni, ucciso perché era ribelle, lo avevano messo nella cella accanto alla mia, erano entrati armati e avevano puntato dritto a me e alla fine erano svoltati alla mia sinistra, lui gli aveva urlato che avrebbero ucciso lui, non la ribellione, loro senza tanti complimenti gli avevano sparato. Il sangue era arrivato fino al mio volto, quella notte non riuscii a dormire, pensando a quel ragazzo bello come il sole e spento come una candela senza più ossigeno.

'Sarò io la prossima' pensavo ogni volta che la porta veniva aperta, toccai le parole incise prima che io arrivassi li, c'era scritto ''Speranza'' i miei polpastrelli la tracciarono per bene, io stavo esaurendo anche quella, era così poca la mia speranza che mi era attaccata ad un'incisione su un pavimento lercio.

Un pacificatore aprii la mia porta notai che era vestito di nero, iniziai a gemere per la paura, mi tirò per i capelli e io urlai per il dolore feci per alzarmi in piedi ma mi diede un calcio nello stomaco ributtandomi a terra, tossii ripetitivamente e lo guardai -Puttana che non sei altro- sibilò sputandomi sul viso.

'Tocca a me' pensai, non volevo morire, non volevo no. Mi trascinarono per tutto il pavimento, piansi in silenzio aspettando il colpo di grazia.

Mi buttarono dentro una stanza bianca, senza altri colori solo dei piccoli coltellini, che si usavano per pulire il pesce, chiusero la porta e mi rinchiusero dentro, mi sedetti a terra prendendomi la testa fra le mani e sentii la sua voce come in un sussurrò, cedetti e piansi -Finn- mormorai senza voce ormai, rimasi li troppe ore, ero quasi cieca, avevo fissato quel bianco troppo a lungo, alla fine mi addormentai.

Mi svegliai ore dopo, il silenzio era assordante, sentivo i miei respiri farsi irregolari, mi guardai attorno per trovare una via d'uscita, ma non trovavo niente. Risi. Dopo tutto risi, non potevo fare altro, sentivo che il terreno si stava spaccando e io stavo cadendo ridendo come un'ebete, perché non riuscivo a lottare, non volevo lottare. Ormai il terreno era andato.

Stavo cadendo, una caduta con un solo finale. E non era dei migliore, presi la mia testa fra le mani, era così rumorosa urlavano tutti la dentro, -ZITTA- urlai e mi si schiarirono le idee, vidi le lame e sorrisi, ecco la morbida caduta.

Andai a prendere quei coltellini, volevo veramente farmi del male? 'Si che lo vuoi' mi sussurrò la mia vocina interiore, ormai era un sussurro ma non avevo nessun altro da ascoltare e poi lo volevo fare, sorrisi alla stanza -Vi piace l'uccellino in gabbia eh?- urlai quasi felici, iniziai ad incidermi le braccia quel bianco si colorò, i miei abiti presero di nuovo quel rosso vivo che avevano avuto la settimana prima, mi era venuto il ciclo e mi ero sporcata, non avevo il coraggio di dirglielo, mi vergognavo e la paura era troppo. Andai al muro e iniziai a scrivere con il mio stesso sangue mentre ridevo, avevo scritto sono pazza a grandi lettere.

Le forze vennero meno e mi accasciai a terra, lasciando che il sangue circondasse la mia figura, facendomi morire, sorrisi, finalmente la pace eterna -Sono morta- sorrisi al cielo e chiusi gli occhi, le porte si aprirono e due medici iniziarono a fasciarmi le ferite, li pregai di farmi morire loro mi accarezzavano la testa sporca e mi cullavano dolcemente -Vi prego- pregai, mi sorrise gentilmente, aveva gli occhi azzurri gentili gentili, mi infilarono un ago nel braccio e guardai il soffitto bianco.

L'oblio mi assalii, stavo cadendo dal precipizio.

  
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