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Autore: melhopes    20/05/2014    0 recensioni
-SEQUEL DI "FOR A LITTLE WHILE"-
Sono passati due anni.
Melania è ormai all'ultimo anno di liceo.
Harry è sempre più incline al vagabondaggio grazie al successo riscosso dalla band.
Lei non l'ha dimenticato.
Hanno avuto il loro "Per un po' ", ma non è bastato.
Cosa accade quando si desidera il "Per sempre"?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Aprile 2014)
Chiuse il libro, trovando le sue parole più stupide della volta precedente. Sentendosi più stupida della volta precedente. Avrebbe dovuto smetterla di aprire la sua biografia a caso e leggere cose che la ferivano. Soprattutto quando, aprendo, si trovava ad avere a che fare con l’argomento “tour con i One Direction”. Purtroppo, però, avendolo scritto un anno prima, quell’esperienza era stata una delle più importanti avesse vissuto. In realtà, anche a distanza di un anno, quel viaggio rimaneva una delle cose più importanti. Aveva lasciato il segno. Soprattutto Harry. L’incontro con quegli occhi, quel sorriso, quelle fossette, quel fascino. L’incontro con sentimenti che aveva creduto impossibile provare, che aveva creduto inesistenti, almeno finché non l’aveva avuto al suo fianco. Lui aveva cambiato tutto, lui aveva cambiato lei, due volte. Quante cose erano cambiate da quell’Agosto. Quante cose erano cambiate in venti mesi.
 
Adagiò il libro sulla scrivania e si sentì pronta per rivivere tutto, di nuovo. Chiuse gli occhi e la scena dell’abbraccio la invase. Era stato tutto così magico, desiderato ma inaspettato. Le mancava. Sì, lui le mancava ancora. Quell’abbraccio le mancava. Le mancava la delusione che aveva provato quando lui, dapprima, aveva evitato di posare lo sguardo su di lei. Le mancava il tuffo al cuore di qualche istante dopo, quando lui l’aveva afferrata per un braccio. Era quello che sperava. Le mancava la lucentezza degli smeraldi che si era trovata a fissare. Il sorriso imbarazzato che era nato dalla rigidità del suo volto. Le mancava quel silenzio che era valso più di mille parole. Quel silenzio era stato comprensibile in tutte le lingue del mondo. Era stato universale. Ci sarebbero stati. Loro sarebbero rimasti uniti, legati, forse per sempre. Erano stati una cosa sola, per un po’. Lei, però, non l’avrebbe dimenticato. Lei non l’aveva dimenticato. La scena nella sua testa mutò. Arrivò al momento della sua fuga. Si era trattato di poche ore dopo, eppure sembrava una realtà lontana anni luce da quella precedente. La collana di Harry sulla maniglia della porta della sua stanza. Un secondo messaggio tacito. Un secondo segnale. Allungò una mano al collo e sfiorò la catenina, arrivando al ciondolo. Non si era mai più separata da quell’aeroplanino. Nemmeno quando il ragazzo che aveva preso il posto di Harry mesi dopo, le aveva chiesto di farlo. Quello, ormai, era il suo portafortuna: un piccolo angelo custode che lui le aveva posto. Come se lui avesse voluto proteggerla da lontano, perché non aveva potuto farlo da vicino.
                                                                                                               
Si sentì in colpa, ora come allora, di non avergli lasciato quella lettera. Di averla portata con sé. Lui avrebbe dovuto sapere che quel gesto era, in un certo senso, ricambiato. Per questo, appena tre mesi dopo, aveva fatto in modo che quella lettera diventasse una canzone. L’ennesima canzone per lui o su di lui. Quella canzone finita in un album, scritto in fretta e furia, pubblicato ad un anno dalla loro rottura. L’album che lei aveva, volutamente, intitolato “Got stuck there” in suo onore. Perché lei, come tutti dovevano aver capito, era rimasta bloccata, paralizzata, ferma a quell’estate. Tutte le canzoni in quell’album parlavano di lui. Quasi tutte. Prese la copia del cd che aveva nel cassetto della sua scrivania. La copertina: un mare al tramonto. Una scia d’aereo in lontananza, il nome dell’album scritto sulla sabbia. Nulla di più semplice, nulla di più simbolico. Nulla che fosse passato inosservato. Si era esposta, di nuovo. Girò l’album e lesse le tracce.
“Fallen in love” parlava di Harry. La canzone risaliva al periodo in cui lei cercava di capire perché avesse dovuto innamorarsi proprio di lui, proprio in quel modo. Il periodo in cui era alla ricerca delle ragioni, delle tristi ragioni.
“Just know” l’aveva scritta per Conor. Era stata così dispiaciuta nel respingerlo che aveva voluto scrivergli qualcosa. La sua intenzione era quella di spiegargli quanto lo trovasse adorabile e fantastico ma che non avessero futuro. Lei gli aveva mandato un messaggio dicendogli di ascoltarla su Itunes. Lui l’aveva fatto e l’aveva menzionata su twitter, ringraziandola. Non aveva aggiunto altro ma entrambi avevano capito e lei si era sentita sollevata.
“Chained” era la seconda canzone avesse mai scritto per Harry e, come la prima, “My man”, era una canzone d’amore. Ne amava ogni singola frase. Non avrebbe saputo scegliere la sua preferita. Se gliel’avessero chiesto avrebbe optato per il ritornello. “We’re chained to each other. I know I’ll never want another but you ‘cause you give me the smile I’ve been searching for so long. You make me believe there’s a forever and for true love I don’t have to wait for Heaven. You remind me something I don’t wanna lose and I’m in love with everything you are. You came into my life by accident but you stayed on purpose” beh, alla fine non era del tutto rimasto ma lei, quando l’aveva scritta, non aveva potuto prevederlo.
A questo, però, aveva rimediato con “Got stuck there”. Scritta in un momento di grande debolezza, di profonda mancanza. “But I got stuck there. There when you called me yours. There when you held my hand in front of your friends. There when you made me feel special telling the world you were ready to fight to have me by your side. And that’s why I turn down to lend you to someone else ‘cause you meant the world to me and ‘til you breathe, I’ll never be free”. Lo sapeva. L’aveva sempre saputo e ne aveva preso ancora di più coscienza mentre gli scriveva un’altra canzone. Un estate. Un mese e mezzo. Erano bastati 45 giorni ad incatenarla. 45 giorni non riuscivano più a farla vivere, da ben venti mesi.
 “Angel” era stata scritta per Marco. Un’altra piccola eccezione. Era la bozza che aveva iniziato sull’aereo al ritorno dal funerale. La bozza che era riuscita a terminare solo una volta tornata. Solo una volta immersa nel dolore. L’aveva cantata alla celebrazione dell’anniversario, davanti ad una chiesa gremita di persone che l’avevano vista crescere, che l’avevano vista crescere con Marco.
“Something you love” era una canzone d’amore che aveva scritto per lui, dopo la rottura. L’aveva fatto immaginando una storia un po’ diversa, immaginando di poter tornare indietro. Indietro, quando ancora si trovavano nella cosiddetta “friend zone”. Nessuno, probabilmente, avrebbe mai pensato potesse essere per Harry come avrebbero pensato, invece, per “My hundredth song”.
Quella canzone, ormai, non aveva più segreti da quando lei, appena creata, aveva deciso di cantargliela. Quella era la canzone dell’ultima sera. Riportava lì. Tutto l’album riportava lì. I riferimenti avrebbero potuto sembrare, ad occhio inesperto, davvero lievi. Ma, chi l’avesse conosciuta appena un po’ in più, avrebbe capito. Capito quanto stesse soffrendo. La sofferenza traspariva in ogni canzone ma, maggiormente, in “Under the rain”. Come a volersi torturare, prese il cellulare, entrò nell’archivio musicale e scivolò nella chilometrica lista fino a scovarla. La fece partire. Chiuse gli occhi e lasciò che la testa ricadesse all’indietro.
 
It’s raining outside my window
So I think of you.
I smile, missing you
And the things we used to do
Before the storm crashed on us
And we were filled with dust
I miss waking up in the middle of the night
Looking around and finding you by my side
Now I wake up, my bed’s empty and I’m alone
You’re gone.
I can’t handle this loneliness
And tonight I’m gonna lay in my restlessness
 
Under the rain
That’s where everything began
And where I’d like to come back again.
I remember it so well
And if I close my eyes I still feel its smell
We kissed there
Dancing in the middle of nowhere
I felt like the world was starting just then
With you holding my hand
You said “Forever and always”
 
How I wish you were here right now
How I wish I could go back in time
How I wish I could have another of that rainy day
How I wish you kept the promises you said
“Forever and always”, “Forever and always”
I’m haunted
I’m haunted by flashbacks
By regrets
Want you back
But now I’m haunted by your “forever and always”
 
Under the rain
That’s where everything began
And where I’d like to come back again.
I remember it so well
And if I close my eyes I still feel its smell
We kissed there
Dancing in the middle of nowhere
I felt like the world was starting just then
With you holding my hand
You said “Forever and always”
 
The world still starts every day
But without you it’s not the same,
No it could never be.
Now I’m out in the pouring rain
With closed eyes and water and tears
Streaming down my face
I feel your breath on my neck
I feel your lips searching mine for a last kiss
I feel you
 
Under the rain
That’s where everything began
And where I’d like to come back again.
I remember it so well
And if I close my eyes I still feel its smell
We kissed there
Dancing in the middle of nowhere
I felt like the world was starting just then
With you holding my hand
You said “Forever and always”
 
I’m haunted by your “forever and always”
Under the rain
 
 
Riaprì gli occhi. Bloccò il lettore multimediale prima che potesse partire qualsiasi altra canzone e riprese il cd tra le mani. “Under the rain” era la canzone che, maggiormente, descriveva la sua relazione col riccio. C’erano molti dettagli sparsi in modo da non sembrare tali, ma ogni parola giocava un ruolo chiave. Era la canzone di cui era più orgogliosa e, per settimane, si era tormentata chiedendosi se fosse giusto chiamare l’album “Got stuck there” invece di, appunto, “Under the rain”. La decisione, alla fine, era giunta da sola e lei l’aveva accettata. Per un istante, inoltre, le era balenata l’idea di chiamarlo e chiedergli se volesse duettarci su. Poi, spaventata dalla sua reazione, aveva lasciato perdere. Non avrebbe dovuto temere una sua risposta perché lui, nonostante tutto, non era sparito dalla sua vita. Continuava a mandarle messaggi in varie occasioni e scriveva su twitter cose che, molto spesso, la riguardavano. Come quando aveva scritto un apprezzamento sulla canzone dicendo di trovarla “Inspiring”. L’aveva preso come un segno ma non aveva fatto nulla. Si nascondeva dietro le sue canzoni dicendosi che, in fondo, anche lei si stava esponendo.
Lui le aveva augurato un felice diciassettesimo compleanno con un messaggio che lei conservava ancora. Con il cellulare ancora alla mano, cercò nei messaggi, il suo. “Hey, sweetie. I know you don’t wanna hear from me but I just wanna wish you a really huge happy birthday. Hope you have a nice day ‘cause you deserve it. It’s something I learned from you and I give you back ha! By the way, I’m sorry for everything. I love you”. Non gli aveva mai risposto. Le sembrava così falso quel “ti voglio bene” o “ti amo” (tutto dipendeva da come l’avesse inteso quando gliel’aveva inviato). Finto dopo quello che era successo, dopo l’averla lasciata per Rita.
 
L’anno successivo, poi, non era stato da meno. Lei, per festeggiare il compimento della maggiore età, aveva invitato un po’ di amici e prenotato un locale. Tra gli invitati Mike, Tore, Paul, Manu, Emis Killa, Fedez, Niall Horan, Demi Lovato, Zayn Malik, Perrie Edwards, Liam Payne, Sophia Smith, Danielle Peazer, Louis Tomlinson, Eleanor Calder, Ashton Irwin, Michael Clifford, Calum Hood, Luke Hemmings, Justin Bieber, Ed Sheeran, Jesy Nelson, Jade Thirlwall, Leigh-Anne Pinnock, Conor Maynard, Nick Jonas, Cher Lloyd, Josh Devine, Lou Teasdale e Tom Atkin con la piccola Lux, Taylor Swift (nonostante avesse avuto una breve storia con Harry), Gemma Styles e Anne con Robin. Nemmeno l’ombra del riccio. Lui, nonostante non fosse stato invitato e non avesse ricevuto gli auguri per il suo diciannovesimo compleanno a tempo debito, le aveva inviato un bellissimo bouquet di rose bianche, causando la gelosia del ragazzo. Ripensava a quel momento con un’incredibile dolcezza e si sentì tremendamente in colpa quando si rese conto di non aver ricambiato, per la seconda volta. Non gli aveva augurato buon compleanno nemmeno per i venti e sapeva quanto lui ci tenesse.
Lasciò andare il messaggio e tornò al cd, decisa a ripercorrerlo tutto.
“I’d rather be with you” ancora per Harry. Un’altra canzone scritta in un periodo di debolezza, come “Got stuck there”. “Am I gonna be used to missing you someday? ‘Cause you know, now your lack takes my breath away. I still clearly remember when we shared love and you whispered you cared. And now I whisper in every song, in every room, I wanna relive it. The way you used to look at me and smile, speak and then kiss me in a while. If I could come back in time, I’d tell myself to appreciate what you have ‘cause it’s gonna end, it’s gonna end soon. No matter who I meet in life, the ghost of you will always be around reminding me where I’d rather be. I’d rather be with you” questo spiegava tutto. Non c’era davvero bisogno d’aggiungere altro.
 
Nonostante non c’entrasse nulla con la canzone, si chiese perché avesse invitato Taylor alla sua festa e non Harry. Poi ricordò. Taylor le aveva chiesto scusa. Anche se non avrebbe dovuto. La chiamò una mattina di Gennaio, prima che ricominciasse la scuola, e le disse qualcosa che non avrebbe dimenticato. Qualcosa che le aveva unite. “Stare con Harry è complicato. Lui è così pazzo e strano. Non so come tu abbia fatto ma è assurdo. Sai, non fa altro che parlare di te, paragonarmi a te eppure…eppure so che è stato lui a lasciarti. In quel momento ho capito fosse stato un grandissimo stronzo e ci ho scritto su. Non l’ho fatto solo per me, anche per te. Infatti ci sei anche tu” “Di quale canzone parli?” le aveva chiesto lei, preoccupata, conoscendo la reputazione della biondina. “I knew you were trouble. La conosci?” “La adoro!” le aveva risposto entusiasta, essendo già a conoscenza del fatto fosse per il riccio. “Quando dice “When your saddest fear comes creeping in that you never loved me or her or anyone or anything” beh, quel “her” sei tu”.
Sorrise, di un sorriso amaro, e tornò sul cd.
“Without you is a party” una delle canzoni più false avesse mai scritto. Fingeva di stare bene senza di lui, di non averne bisogno, di essere arrivata alla conclusione che lui fosse l’unico a perderci, quando ancora piangeva ogni notte per la sua assenza. Voleva solo che lui ne fosse convinto perché lui continuava a stare bene. Lui continuava a vivere la sua vita, al fianco di Rita. E lei, questo, non riusciva ad accettarlo. Così, quando si era fidanzata, aveva subito scritto una canzone per “farglielo pesare”. Più che altro per farlo tacere visto che circolava la voce lui pensasse che sarebbe durata poco.
Si trattava di “Interrupting you” ed era molto arrogante. Non aveva mai scritto canzoni del genere, ma aveva adorato l’effetto che aveva avuto su di lui e sui fans. Si era sentita dannatamente potente nell’inserirla perché sapeva che lui l’avrebbe ascoltata e ci sarebbe rimasto male, proprio come quando il video di “My man” con Conor era uscito.
Nonostante lo amasse, non riusciva a smettere di farlo soffrire, di vendicarsi un po’. Voleva dimostrargli di averlo superato comportandosi, in realtà, come se non l’avesse fatto. Perché lei lo sapeva. Sapeva di amarlo e di non poterlo dimenticare. Come sapeva che tutto ciò facesse o potesse fare aveva una relazione con lui.
Dopo aver lanciato un’occhiata alquanto rapida all’ultima traccia, “For a little while”, (ovvero la lettera), posò il cd dove l’aveva preso.
Con sua sorpresa si imbatté in un foglio stropicciato. Non avendo la minima idea di cosa potesse essere, lo aprì. “Otto mesi, sono già passati otto mesi ma le cose non cambiano. Mi manchi ancora, Harry. Mi manchi con ogni fibra del mio essere, mi manca tutto di te: i tuoi baci improvvisi, la tua gelosia, i tuoi sorrisi luminosi, le tue premure, il tuo viso a prima mattina, il tuo stringermi contro il tuo petto e coprirmi, vestirmi del tuo amore. Mi manca il rumore della tua risata, il tuo battere le mani quando scoppiavi a ridere senza freno, il tuo profumo che impregnava i miei vestiti; quelli che non ho più usato da quando mi hai lasciata. Mi manca persino il tuo masticare il chewingum a bocca aperta che tanto odiavo. Mi mancano anche i tuoi difetti, Harry. Ma mi manca, più di ogni altra cosa, avere il tuo cuore. Come fai a farmi ancora quest’effetto dopo tutto questo tempo? Perché hai dovuto farmi finire nella lista delle persone che ti hanno perso e non riescono a superarlo? Perché Harry, perché?” le venne quasi da piangere. Non poteva crederci. Continuava a sentirsi in quel modo. Ma i mesi, stavolta, erano più del doppio.
Con quel foglio, “con Harry”, aveva conosciuto Axel, il suo ex ragazzo. Tornò con la mente anche a quel giorno. Era passato un anno esatto. Lei era a Firenze per restare qualche tempo con la cugina, in procinto di traslocare, e finire il libro. Stava scrivendo quelle righe, al tavolino di un bar, quando aveva ricevuto la chiamata di Niall. Intorno alle tre e mezza del pomeriggio. Le aveva detto che Harry aveva intenzione di andare a convivere con Rita. Il dolore l’aveva portata a fuggire, rifugiandosi sotto un albero. Forse aveva sperato che il rumore dei suoi singhiozzi, avrebbe potuto coprire il frantumarsi del suo cuore. Dopo poco, come ogni film che si rispetti, si era ritrovata ad essere consolata da uno sconosciuto arrivato lì per restituirle il suo foglio: Axel. (Axel Gulin, giocatore della Fiorentina). Ecco come si erano conosciuti. La loro storia, tutto ciò li avesse riguardati, era nato dal dolore, dal dolore che lei provava per aver perso l’unica persona avesse realmente amato. E, probabilmente per qualche rimasuglio di sentimenti nei confronti del riccio, nove mesi dopo, era finita. Lei l’aveva lasciato. Lei l’aveva tradito. Non aveva mai fatto una cosa del genere e continuava a sentirsi in colpa per quella sera. Quasi nove mesi insieme, era alla festa di fine stagione e, mentre lo attendeva, senza un motivo, aveva baciato “Rosa”, uno dei migliori amici di lui, nonché compagno di squadra. Quando lei se n’era resa conto, si era allontanata, tra lo stupore del povero malcapitato. Axel era lì, paralizzato. Lei era andata via, lasciando la festa. Da quella sera non avevano più parlato, era chiaro. Tra loro era tutto finito e non c’era stato bisogno di verbalizzarlo. Il suo pensiero volò, senza che lo volesse, ad Harry. Si chiese cosa stesse facendo. Probabilmente si stava godendo qualche giorno di vacanza con la sua dolce metà. Strinse gli occhi per mandare via l’immagine sdolcinata dei due che si era creata nella sua mente e prese un respiro profondo. “Va tutto bene, Melania” si disse. “Tutto fin troppo bene” continuò. Si ripeteva quelle frasi da mesi ma non andava mai bene, nulla. Era ancora legata a lui, incatenata a quello che erano stati e che lui aveva dimenticato. Rassegnata, fece per posare il cellulare quando ricevette una chiamata. Senza nemmeno far caso a chi fosse, rispose: << Pronto >>
 
<< Ehm…penso di aver sbagliato >> fece una voce maschile, in un inglese perfetto.
 
Le ci volle un instante per comprendere poi, prima che potesse attaccare, lo fermò. << Hey, sono io! >> esclamò, tornando nei panni di un’inglesina.
 
<< Credevo di aver sbagliato numero! Dimentico sempre che sei italiana! >> esclamò e lei ne sorrise.
 
<< Come stai? >> cambiò discorso. Le faceva sempre piacere sentirlo.
 
<< Un po’ annoiato ma bene. Tu? >>
 
<< Tutto bene da questa parte di mondo >> scherzò.
 
<< Non avevo nulla da fare e ne ho approfittato per vedere che fine avevi fatto visto che è un bel po’ che non ci sentiamo >>
 
<< Sì, è vero. Non calcolo il telefono da un po’ >> ammise.
 
<< Troppi impegni? >>
 
<< No, in realtà volevo stare un po’ da sola >>
 
<< Quindi disturbo? >>
 
<< No, figurati. Mi fa sempre piacere sentirti >>
 
<< E’ successo qualcosa? >> e notò un po’ di preoccupazione nel tono della sua voce.
 
<< No, no, nulla >>
 
<< Sembri triste >>
 
<< Ma cosa blateri?! Sono felicissima, soprattutto di sentirti! >>
 
<< Non so perché, ma non mi sembra >>
 
<< Ti dico di sì >>
 
<< Ti dico di no >>
 
<< Sì >>
 
<< No >> 
 
<< Sì >>
 
<< Cosa stai facendo? >> chiese, poi.
 
<< Parlo con te, idiota >>
 
<< Dicevo a parte quello, scema! >>
 
<< Quanto amore nell’aria >> commentò qualcuno, dall’altra parte.
 
Entrambi scoppiarono a ridere. << Allora, non mi hai detto cosa stai facendo >> continuò lui.
 
<< Beh, in tutta onestà, rileggevo >>
 
<< Cosa? >>
 
<< Il mio libro >>
 
<< Oh, la parte con Harry? >>
 
<< Potrei mai leggere altro? >> e le scappò un sorrisino, amaro.
 
<< Sai che è stato un vero demente a lasciarti andare? >>
 
 << Come se io fossi unica e speciale. Ma andiamo! >>
 
<< E’ vero. Ci ha perso e se ne renderà conto presto >>
 
<< Non credo che uno che ha deciso di convivere con la sua ragazza possa mai sentire la mia mancanza >>
 
<< Dai tempo al tempo >> le disse, col tono di chi la sapeva lunga.
 
<< Bah >>
 
 << Ti fidi di me? >>
 
<< Sei tipo la settordicesima persona che mi dice questa cosa su Harry >>
 
<< La che?! >>
 
<< L’ennesima >>
 
<< Scommetto anche Axel >>
 
<< Poteva mai mancare? >>
 
 << E ora non manco nemmeno io >>
 
<< Ripensandoci, è così che è iniziato tutto, ma ormai… >>
 
<< Ormai cosa? Non mi dire che non state più insieme? >>
 
<< No, ci siamo lasciati. Cioè, io…non lo so >> balbettò.
 
<< No, aspetta. Spiegami questa storia >>
 
<< Lascia stare >>
 
<< Dai, dimmi >>
 
<< Tre mesi fa ho baciato uno dei suoi amici sotto i suoi occhi >> disse tutto d’un fiato, tornando a sentire il senso di colpa.
 
<< Tu cosa?! >> urlò sorpreso.
 
<< Hai capito >>
 
 << E…perché? >>
 
<< E’ da allora che me lo chiedo >> fu la sua semplice risposta.
 
<< E… >> ammutolì.
 
<< E? >> chiese. Voleva capire se l’avesse presa per una stronza, qual era stata, o meno.
 
<< E stai bene senza di lui? >>
 
<< Non mi pare di aver ancora tentato il suicidio >> sdrammatizzò.
 
<< Hai ragione, tu sei una ragazza forte >> la prese in giro.
 
Gli fece il verso e lui rise. << Mi ha fatto davvero piacere la tua telefonata, sai? >> ammise dopo un po’ e non le costò affatto fatica.
 
<< Mi stai mandando via? >> scherzò.
 
<< Ma no, idiota! >> e rise.
 
<< A me, invece, fa molto piacere che tu ricordi ancora il mio nome >> la punzecchiò, forse offeso dal fatto lo chiamasse di continuo “idiota”.
 
<< Sì, perché hai proprio un bel nome >> lo prese in giro.
 
<< Già che ci sono vorrei chiederti una cosa >>
 
<< Dimmi >>
 
<< Ti andrebbe di accompagnarmi a scegliere l’auto? >>
 
<< Devi comprare una macchina nuova? >>
 
<< Fin ora usavo quella di mio fratello, ne vorrei una tutta mia ma… >>
 
 << Ma? >>
 
<< Non voglio scegliere da solo >>
 
<< Non puoi portare Jaymi? Ha un gusto incredibile >>
 
<< No. Allora…ti andrebbe? >>
 
<< Sì, è solo che mi sembra strano che tu lo chieda a me >> ammise.
 
<< Perché? >> cercò una spiegazione da dargli ma, nulla avesse nella sua testa, aveva senso una volta uscito da lì.
 
<< Non lo so >> si trovò ad ammettere.
 
<< Solo perché ci siamo visti una sola volta e siamo amici tramite tecnologie? >> chiese e, in quel momento, si accorse avesse colto nel segno.
 
Lei e George si erano conosciuti l’anno prima, quando lei era stata ospite alla nona edizione di XFactor UK dove lui si trovava come concorrente, facendo parte della band “Union J” con JJ, Josh e Jaymi.           
Da allora, era nata una certa simpatia e avevano iniziato a seguirsi a vicenda su twitter. Era capitato molto spesso che lei avesse risposto ad un suo tweet e lui avesse fatto lo stesso. Avevano cominciato a parlare e la simpatia era divenuta un’amicizia. In seguito erano arrivate le chiamate su Skype e lo scambio dei numeri di cellulare. Inutile negare che in un anno lei e George, ma ovviamente anche gli altri tre della band, si fossero legati molto anche se, da quell’unica occasione, non s’erano più visti di persona. La loro era, a tutti gli effetti, un’amicizia. Come quelle che lei si era ritrovata ad avere al suo ritorno da Parigi o a stringere sui social network prima che la fama cambiasse tutto. E, come ogni amicizia a distanza, erano vicini ma sempre troppo lontani. Come ogni amicizia a distanza l’avesse riguardata, non credeva di poter essere così importante per l’altra persona.
 
<< Sì, forse per questo suona strano che tu mi voglia lì >> dovette ammettere.
 
<< Sai cosa penso al riguardo, no? >> le chiese.
 
<< Beh, so quello che dici di solito >>
 
<< Ovvero? >>
 
<< Vuoi che ripeta? >>
 
<< Saresti così gentile…? >> scherzò.
 
<< Che non importa quanto una persona sia distante perché i vostri cuori, se vorranno, saranno sempre vicini >>
 
<< E…? >>
 
<< E che tu ci sarai sempre per le persone che lo meritano, non importa quanto lontano siano o quali segreti nascondano >>
 
<< Ti ho istruita bene >> la prese in giro.
 
Gli fece il verso accompagnato da una bella linguaccia, dimenticandosi del fatto che lui non potesse vederla. << Era un versaccio quello? >> fece il finto offeso.
 
 << Forse… >>
 
<< Aspetta che ti acchiappo e vedi che ti succede >>
 
 << Sto tremando dalla paura, guarda >>
 
<< Tzé >>
 
<< Quando pensi di andare? >>
 
<< Pensavo di fare una corsa al salone durante il torneo organizzato dal Comic Relief, così non devi tornare di nuovo >>
 
<< E poi è questione di un paio di giorni >> convenne lei.  
 
<< Appunto >> lo sentì sorridere dall’altro capo.
 
<< Allora ci vediamo lì… >> e ricambiò il sorriso.
 
 << Ho capito, devi andare >>
 
<< Sì >>
 
 << Grazie >>
 
 << Oh, figurati >>








SPAZIO AUTRICE: Buonasera! So che avevo detto avrei caricato direttamente la prossima settimana ma ci ho ripensato. Non dovete prendermi troppo sul serio, lo sapete lol 


So che il capitolo è un po' lunghetto ma è necessario come "ponte" tra "For a little while" e i capitoli successivi di questa fan fiction. 


Sentitevi liberi di farmi sapere le vostre opinioni. Ve ne sarei grata :) x 
  
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