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Autore: 9CRIS3    20/05/2014    5 recensioni
< Cosa sta succedendo? > chiese Abby in modo tranquillo ed efficiente.
Aveva capito che si trattava di un'emergenze e che mi serviva in veste di avvocato e non di cognata.
< Ci toccherà parlare a bassa voce e fingere qualche sorriso. Ryan ci sta guardando > la informai.
Abby annuì e poi mi chiese di sputare il rospo.
< Okay. Sto per dirti qualcosa che non ho ancora detto ai miei genitori o a Ted. Non lo sa nessuno e preferirei che continuasse a non saperlo nessuno fino a quando non diventa assolutamente indispensabile che anche gli altri siano informati. >
< Chiaro > fece lei, guardandomi con un'espressione mortalmente seria.
< Sto per assumerti come mio avvocato. > iniziai.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salii a bordo dell'aereo, sorridendo educatamente alle hostess, cercando di immaginare come la loro vita potesse essere. Costantemente in movimento, sempre in aria, sempre sorridenti, sempre in divisa.
Anche io dovevo indossare sempre la divisa, ma questa cosa era differente. La mia era comoda, leggera e traspirante, adatta ai ritmi frenetici dei dottori; la divisa delle hostess era attillata, formata da più di due capi e in più doveva essere costantemente in ordine.
Sorrisi tristemente quando mi resi conto che l'avevo definita "la mia divisa"; potevo ancora ritenerla tale?
Scossi la testa per non pensarci, almeno per la durata del volo volevo evitare pensieri cupi e tristi.
Allacciai la cintura di sicurezza, appoggiai la tesa al sedile. Volevo dormire, recuperare un po' del sonno perduto e cercare di estraniarmi dalla mia realtà per almeno sei ore e mezza, e cioè il tempo necessario che ci avrei impiegato per atterrare a Seattle, per tornare a casa.
Immediatamente provai un senso di sollievo; pensai al sorriso caloroso di mia madre e al suo modo dolce di accarezzarmi i capelli quando si accorgeva che ero triste per qualcosa, agli abbracci veloci ma pieni d'amore di mio padre o meglio ancora al modo in cui Ted mi prendeva in giro per qualsiasi cosa.
Dio, quanto mi mancavano! L'ultima volta che ero tornata a casa era stata esattamente un anno prima.
Non che mio padre mi permettesse di non vederli per così tanto tempo: loro venivano a trovarmi a New York appena potevano e io accettavo di buon grado la cosa, ma se dovevo pensare anche solo per un momento di dover lasciare l'ospedale per andarli a trovare.. La cosa era impossibile, visti i miei ritmi serrati.
L'aereo prese a muoversi e strinsi forte le mani ai poggioli durante il decollo, poi quasi istantaneamente mi addormentai.
 
Aspettavo che il nastro trasportatore sputasse fuori la mia valigia per poter andare finalmente fuori e chiamare un taxi.
Ma lo schermo annunciava che avrei dovuto aspettare almeno quindici minuti. Decisi di approfittarne per prendere il mio telefono ed accenderlo.
Quell'apparecchio era un vero e proprio miracolo della tecnologia: si era già impostato sull'ora locale, così che non sarei stata disorientata e inoltre mi informava di tutte le chiamate ed i messaggi che avevo ricevuto, facendo un elenco vocale.
Le chiamate provenivano quasi tutte da Jake, il mio ex fidanzato e collega.
I messaggi erano di mia madre, due di mio padre e qualcuno di Jake.
Non si dava per vinto, nonostante due settimane prima l'avessi sbattuto fuori di casa gettando i suoi vestiti e le sue cose dalla finestra. Continuava a chiamarmi, ad inviarmi messaggi e cercare di parlarmi ogni volta che ne aveva la possibilità a lavoro. Stava diventando una situazione estremamente pesante da sopportare, soprattutto viste le circostanze dell'ultimo periodo.
Vidi il nastro trasportatore muoversi e mi avvicinai, scrutando tutte le valige, in cerca del mio borsone nero.
Cinque minuti dopo ero fuori dall'aeroporto, in cerca di un taxi libero.
< Serve un passaggio? > chiese una voce familiare alle mie spalle.
Sorrisi, sapendo perfettamente chi fosse.
Il viso di Ted mi sorrideva con affetto. I suoi occhi blu mi fissavano luccicanti, aspettando una risposta e la sua bocca incurvata a sorriso mi fece venire voglia di piangere. Mi era mancato! Il mio fratellone mi era decisamente mancato.
Lo abbraccia stretto, mettendomi in punta di piedi per riuscire a stringere le mie braccia attorno al suo collo e per posargli un bacio sonoro sulla guancia.
Ted mi allontanò da sé per guardarmi meglio. Il suo sguardo vagò su e giù per il mio corpo prima che lui dicesse: <>
< Grazie. Come stai? >
Teddy prese in borsone che avevo in spalla e mi fece cenno di seguirlo verso il parcheggio sotterraneo.
< Sto bene, tu invece? Come mai non ci hai informati che stavi arrivando? > mi chiese, ponendo la sua attenzione su di me.
< Volevo farvi una sorpresa > dissi facendo spallucce.
< Mi dispiace se ti abbiamo rovinato il piano>   mise il suo braccio attorno alle mie spalle e stringendomi a sé mentre continuavamo a camminare. < Papà e mamma si sono preoccupati perchè non hai risposto alle loro chiamate. Hanno cercato di rintracciarti ma nulla e poi quando hai finalmente acceso il telefono papà mi ha mandato qui a recuperarti. E' stata una fortuna che io fossi nei paraggi o altrimenti ti avrei persa >
< Sempre i soliti, eh? > dissi riferendomi a mamma e papà
< Mamma ha persino chiamato l'ospedale > mi informò.
Un brivido di terrore corse lungo la mia spina dorsale. Mia madre aveva chiamato sul mio posto di lavoro. Le avevano detto qualcosa? Lei aveva intuito qualcosa?
< Cosa le hanno detto? > azzardai
< Che non c'eri > rispose semplicemente Teddy.
Feci mentalmente un sospiro di sollievo, anche se sapevo che probabilmente mia madre aveva intuito che qualcosa non andava e non aveva voluto approfondire davanti a papà o Ted.
Avrei potuto scoprirlo solo  una volta che saremmo  rimaste sole.
Mio fratello si avvicinò alla sua Ferrari d'epoca e  tentò in tutti i modi di far entrare il mio borsone nel bagagliaio, non nascondendo lo sforzo che stava sostenendo per potercela fare senza chiedermi aiuto.
< Ted, posso tenerlo in braccio > gli dissi.
Lui mi lanciò uno sguardo di ammonimento ed un attimo dopo chiuse il bagagliaio andando a sedersi al posto del conducente. Mi accomodai al posto accanto al suo e misi la cintura di sicurezza.
< Come vanno le cose qui? > gli chiesi, cercando di recuperare il tempo perduto.
< Papà mi fa lavorare come un pazzo, ma tutto sommato va bene. >
< E con Abby? > Abby era la sua fidanzata dai tempi del college. Si era specializzata in legge e ora lavorava in un  importante studio di Seattle. Lei e Ted vivevano assieme.
< Tutto bene > mi fece un gran sorriso. < Hei, dovresti venire a trovarci a casa. Non ci sei mai stata >
< Va bene >
< E con quel Jake? >
Ted e i miei genitori avevano conosciuto Jake quando erano venuti a trovarmi tre mesi prima a New York. Li avevo visti entrare all'improvviso nel mio reparto dove stavo avendo un'animata discussione con una collega a proposito di un post operatorio che non aveva seguito nel modo giusto e Jake era al mio fianco, la mano appoggiata sulla mia spalla con fare protettivo.
Avevo dovuto spiegare a mio padre e mia madre come mai un collega, un altro dottore, durante un dibattito cosi animato era così in intimità con me e perchè soprattutto appena prima di allontanarsi mi aveva baciato la testa.
Poi era seguita la cena dove lo presentavo ufficialmente. I miei erano rimasti molto colpiti da lui, insomma un ragazzo di trent'anni che è già neurochirurgo e che ha un nome piuttosto riconosciuto a New York fa un certo effetto ma nonostante questo mio padre continuava ad avere i suoi dubbi su di lui.
< L'ho lasciato. > dissi seccamente.
< Cosa? Perchè? > Teddy si voltò verso di me sorpreso.
< Guarda la strada, Ted. > lo ammonii. < Storia lunga e non mi va di parlarne >
< Lo stronzo ha fatto qualcosa? > chiese dopo un attimo di silenzio, in tono minaccioso.
< No >
Sapevo benissimo che Ted tendeva ad esagerare, esattamente come nostro padre. Per lui non esistevano mezze misure, o andava tutto estremamente bene secondo i suoi piani, o era pronto a far saltare tutto in aria.
Quest'attitudine era andata intensificandosi da quando aveva preso a lavorare con papà negli uffici della GEH.
< Tu devi solo dirmelo >
< Ted, per favore.. >
< Era solo per dire >
Alzai il volume dello stereo al massimo per rendere chiaro a mio fratello che non volevo discutere più di quella storia. Anzi se fosse stato possibile non avrei mai voluto parlarne.
Desideravo che i miei prendessero la mia visita come una bella sorpresa e si limitassero a passare il tempo che avrei trascorso nella nostra casa in modo pacifico e sereno, senza fare nessun tipo di domande.
Era ovviamente chiedere troppo. Stavo parlando di Christian Grey e lui avrebbe scoperto che qualcosa non andava, soprattutto se nessun dall'ospedale mi avesse chiamata, soprattutto se io non avessi definito fin da subito quanto tempo sarei rimasta a casa.
Avevo prenotato un biglietto aperto, il che significava che potevo tornare in qualunque momento desideravo farlo,  inoltre mi ricordai che avevo parecchie ferie arretrate e quindi optai per dire ai miei che avrei potuto trascorrere a casa tre settimane.
Si, tre settimane erano più che ragionevoli e in più in quell'arco di tempo avrei potuto elaborare qualcosa per risolvere la questione.
< Hei, torna sulla terra >  scherzò Ted
Gli rivolsi un sorriso tirato, ero troppo assorta nei miei pensieri per rendermi conto che eravamo arrivati a casa. Ted stava parcheggiando nel vialetto di fronte al garage.
Spense l'auto e uscimmo dalla Ferrari contemporaneamente.
Mi avviai lentamente verso l'ingresso, guardandomi attorno in cerca di qualche segno di modifica.
Nulla era mutato: la grande casa era rimasta esattamente la grande casa.
Una volta nell'atrio sentii come se tutti i tasselli tornassero al loro posto, mi erano mancati quegli spazi, la vista che scorgevo dalla porta finestra dall'altra parte della stanza e il piano dove a volte avevo beccato papà a suonare canzoni tristi, ma soprattutto mi mancavano i miei genitori, che in quel momento vennero verso di me, con le braccia spalancate pronti per abbracciarmi.
< Oh piccola, quanto mi sei mancata! > disse la mamma stringendomi forte a se.
< Ciao, tesoro > disse papà sciogliendomi dall'abbraccio della mamma per potermi stringere a sua volta.
< Allora? E' stata davvero una bella sorpresa la tua, anche se ci hai fatti un po' preoccupare >
< Si, è vero. Phoebe lo sai che dovevi solo chiamare e avrei potuto inviarti il mio aereo >
< Si, si lo so. Ma volevo creare l'effetto sorpresa > mentii. Avevo deciso solo quella mattina che sarei tornata a casa. Ovviamente i miei mi mancavano e questo era un posto abbastanza tranquillo dove potermi nascondere dal casino che avevo combinato e sentirmi al sicuro.
< Hai fatto benissimo > disse la mamma sorridendomi felice.
< Hai fame? > chiese papà.
< Andiamo a mangiare in quel nuovo ristorante in centro? > propose Teddy
< Si, perchè no? > ero d'accordo con lui.
In un ambiente pubblico i miei non avrebbero fatto nessun tipo di scenata se si fossero accorti che qualcosa non andava.
Dovevo seriamente smetterla di pensare che stavo girando per il mondo con la spada di Damocle sulla testa o sul serio se ne sarebbero accorti.
< Bene! Allora chiamo subito per prenotare. Abby dovrebbe staccare per le sette, faccio alle otto? >
< Perfetto > disse mamma.
< Ok. Papà ti invio un messaggio con l'indirizzo ed il nome del posto. >
< Certo >
< Ora scappo, ho delle cose da fare > ci sorrise e prima di uscire mi strinse in un abbraccio caloroso.
Rimasti da soli mi precipitai in cucina con la scusa di voler bere dell'acqua e istantaneamente i miei genitori mi seguirono ed iniziarono a farmi domande di ogni genere.
< Per quanto tempo rimani? > partì papà.
< Oh, anche tu mi sei mancato e anche per me è un piacere rivederti > dissi sarcasticamente.
< Certo che sono felice di vederti e certo che mi sei mancata, Phoebe. Lascia perdere la tua lingua biforcuta! Voglio solo sapere per quanto tempo ci delizierai della tua presenza >
Scrollai le spalle e poi lo informai che sarei rimasta per  tre settimane.
< Davvero? > chiese la mamma felice.
Annuii mentre riempivo di nuovo il bicchiere di acqua.
< Allora? Come stanno i miei vecchietti? >
  
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