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Autore: syontai    21/05/2014    9 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 37
Happy Beginning

La pioggia sembrava aver smesso di battere sul terreno e sull’acqua, forse anch’essa sorpresa dalle parole appena uscite dalla bocca di Leon, che, nonostante fosse sempre più stupito di sé stesso, non poté non inorgoglirsi di fronte al coraggio appena dimostrato. Ma nessuna reazione era paragonabile a quella di Violetta: felicità, confusione, ma soprattutto incredulità, si alternavano come in una corsa di cavalli che procedevano alla pari. E non appena il muso di uno passava avanti, ecco che l’altro stirava con più forza i muscoli delle gambe per prevalere. Leon rafforzò la stretta, facendola sussultare.
“Non ti credo” sussurrò, abbassando lo sguardo. Quelle parole ebbero il potere di congelare il mezzo sorriso sul volto del principe.
“Perché non dovresti credermi? Che motivo avrei di mentirti?” sbottò Leon, evidentemente infastidito. Quando aveva deciso di dichiararsi aveva avuto quasi la certezza che Violetta, che si era dimostrata in grado di risvegliare il suo cuore in letargo da tanto tempo, gli avrebbe donato in tutta risposta quell’amore di cui aveva bisogno. Nel suo sguardo aveva letto quel sentimento devastante, nel cuore lo aveva sentito urlare il suo nome, ed era certo di non essersi sbagliato. Ma adesso con quella risposta si era sentito crollare il mondo addosso, e si chiese se forse non si fosse inventato tutto e non si fosse illuso.
“Non credo alle tue parole per il semplice fatto che tu stesso hai detto di non sapere cosa sia l’amore, e…”.
“E cosa? Sono sempre stato sincero con te, non vedo perché non dovrei esserlo adesso. Se non ricambi quello che provo, va bene, ma per favore non mettere in discussione la mia onestà” replicò duro, ricercando il suo sguardo fuggente. “Dici che non so che cosa sia l’amore…e forse è vero, ma non è amore quello che ti ho dimostrato fino ad ora? Il semplice fatto che io sia qui, che abbia deciso di parlarti, sfidando il mio orgoglio, non è anche questo amore?”.
“Non necessariamente” rispose Violetta, avvertendo il respiro affannoso di Leon sul suo viso.
“E questo non è amore?” sussurrò, ricercando le labbra della ragazza a facendole combaciare con le sue. Cominciò a baciarla con dolcezza, sfiorandole la guancia con il dorso della mano, mentre con l’altra teneva stretta la presa intorno alla vita. Per un attimo il cervello di Violetta si annebbiò, e tutto intorno perse significato. Il senso delle cose le sfuggiva tra le mani, i pensieri si dissolvevano, dopo essere stati bruciati e ridotti in cenere. Fu un attimo sufficiente a rispondere a quel bacio, a sentirlo fluire nel corpo, che lentamente acquistava calore. Ma la ragione si riaccese dal nulla; sgranò gli occhi, e facendo leva sul petto di Leon, lo respinse. Il principe sbatté le palpebre più volte, non riuscendo a capire cosa fosse successo: sembrava andare tutto così bene, con quel bacio pensava di averla convinta, di averle fatto capire quanto ci tenesse a lei. Cosa la frenava ancora?
“Non è giusto, Leon…Ti devi sposare” disse scuotendo lentamente il capo.
“Ti ho già detto che di quel matrimonio non me ne importa nulla! A me importa solo di quello che abbiamo noi due” cercò di convincerla nuovamente, alzando con decisione il tono di voce. Violetta posò la mano sul suo braccio, e lo convinse a sciogliere la presa. Sentirono improvvisamente il gelo della notte avvolgere nuovamente i loro corpi, una volta separati. Mosse qualche passo verso di lei, ma Violetta arretrò, continuando a scuotere il capo.
“Sii felice” gli augurò con sincerità, prima di voltarsi e uscire dal padiglione. “Sarà impossibile senza di te”. La voce ferita di Leon da dietro la trafisse da parte a parte, e sentì gli occhi riempirsi di lacrime, le stesse che da giorni tentava di celare con il suo buonsenso. Più si allontanava, più avvertiva il suo sguardo carico di rimprovero e delusione. Si, l’aveva deluso, ma che altro avrebbe potuto fare? Come poteva accettare l’idea del suo Leon che si univa in matrimonio con un’altra? Non poteva agire diversamente, doveva allontanarlo. All’inizio avrebbe sofferto molto, è vero, ma forse poi sarebbe davvero riuscito a dimenticarla, magari anche grazie alla sua futura moglie. Nonostante il pensiero l’atterrisse ancora di più, continuava a procedere imperterrita verso il castello. La sottile pioggerella che c’era stata quella notte aveva diffuso umidità nell’aria, e ogni suo respiro si condensava in una piccola nuvoletta, pronta a dissolversi non appena emessa. Il problema era che l’unico ad aver dimostrato coraggio era Leon. Era un uomo ormai formato, seppur fosse giovane, e sapeva come comportarsi in ogni situazione. L’aver ammesso ciò che provava gli faceva doppiamente onore, e la stima nei suoi confronti era sempre più grande; mentre lei era solo una ragazzina che si atteggiava ad adulta, ma poi alla prova dei fatti risultava inconsistente e vuota. Non era in grado di prendere decisioni importanti, non sapeva rischiare. Pensava di essere cresciuta in quel posto, di aver scoperto una Violetta più forte, più matura, e invece era solo apparenza, crollata come un castello di carte di fronte alle sempre più pressanti difficoltà. Brava, Violetta, brava, si ripeteva arrabbiata, mentre pur di non sentire ancora la voce di Vargas nella testa cominciò ad accelerare il passo fino a correre, ottenendo però l’effetto contrario. Era quasi di fronte al portone, e per fortuna non c’era nessuna guardia di pattuglia nei dintorni in quel momento. Una volta entrata sarebbe tornata nella sua stanza, e, al sicuro nel suo letto, probabilmente avrebbe lasciato che quelle maledette lacrime trovassero una valvola di sfogo.
Ti amo.
Quanto odiava Leon per quelle due parole. Lo odiava profondamente, perché aveva reso tutto estremamente difficile. Anche perché lei non l’amava, non doveva amarlo; e invece non riusciva nemmeno a dirsele parole tanto false. Leon con il suo dolore, la sua dolcezza inaspettata, la sua sincerità, le era entrato talmente dentro nell’anima, che si era quasi fuso con essa, e non riusciva a liberarsene. Il suo nome era un’ossessione, così come la sua voce, e il doverlo guardare a distanza era un supplizio ingiusto. Nell’antichità questo genere di punizione era riservato a chi oltraggiava gli dei, a chi commetteva peccato di ‘ubris’, tracotanza. Ma lei che colpe aveva? Perché doveva sentirsi così incompleta, con la consapevolezza che ciò che le mancava era tanto vicino quanto irraggiungibile? Aveva appena aperto il portone, ma poi lo richiuse con un piccolo tonfo. Stava facendo soffrire entrambi con la sua decisione. Era vero, non poteva accettare quel matrimonio, ma non poteva nemmeno accettare di stare lontana dalla persona che amava.
Quando Violetta se ne fu andata Leon si sentì perso. Mai la notte gli aveva fatto così paura, mai gli aveva donato così tanta angoscia da lasciarlo senza difese. Il buio sembrava volerlo inghiottire, e sentiva un’oppressione inspiegabile. Per qualche minuto rimase sotto il padiglione, ad osservare i pezzi di legno, resti della pericolante ringhiera che si affacciava sul lago, che galleggiavano. Per quanto potessero cercare di affondare c’era sempre una spinta che li riportava a galla, mentre lui non aveva questa fortuna. Se affondava, non c’era speranza di risalire, e poteva solo procedere inesorabilmente verso il fondo. Sfiorò una delle colonne che sorreggevano la copertura, e senza alcuna cura uscì da quel posto. Da quel giorno lo avrebbe considerato maledetto, simbolo della fine della sua felicità, che era stata fin troppo breve. Si era sentito talmente vivo al fianco di Violetta, che adesso il pensiero di un futuro senza di lei, poteva essere quasi peggiore della morte, l’unico nemico che avesse temuto in vita sua. Ecco cosa succedeva quando si apriva il proprio cuore: si rischiava di rimanere feriti a morte. Sospirò appena e si sedette sulla riva del lago, osservandone i leggeri bagliori. Portò le braccia intorno alle ginocchia, e rimase in silenzio, lasciando che il verde dei suoi occhi si riversasse nel nero della notte. Un senso totale di sconforto lo colse all’improvviso, e non sapeva se avrebbe trovato la forza per alzarsi e tornare nella sua stanza. Afferrò una manciata di ciottoli sul terreno, e li lanciò uno ad uno nell’acqua, ipnotizzato dai cerchi concentrici che formavano quando entravano a contatto con la superficie del lago. Mai aveva creduto che si sarebbe ridotto in quello stato. Altre volte erano stati distanti, altre volte aveva sentito il vuoto causato dalla sua assenza, ma quella notte era diverso; sentiva di averla persa per sempre. Un altro sasso cadde sul fondo, sotto lo sguardo attento di Leon. Prese un respiro profondo, e abbassò il capo, rigirandosi un piccolo ciottolo bianco tra le dita.
Era talmente preso dai suoi pensieri che si era completamente estraniato dall’ambiente esterno, e solo quando avvertì una mano che gli toccava piano la spalla si riscosse, come se prima fosse stato immerso in un sonno profondo. Si voltò e vide Violetta al suo fianco, in piedi. Fece per alzarsi di corsa, ma Violetta fu più veloce, e si inginocchiò, guardandolo negli occhi.
“Leon, perdonami”. Il principe la guardò confuso, ma non ribatté: non voleva illudersi, non volevi aprirsi come aveva fatto prima, per paura di ricevere un’altra ferita. “Ti amo” aggiunse subito dopo, mentre alcune lacrime, questa volta di felicità e sollievo cominciarono a scorrere, prontamente raccolte dal pollice di Leon, che era rimasto a bocca aperta, e la guardava sorpreso. Le fragili mani di Violetta, che erano appoggiate sulle sue spalle, risalirono lentamente, accarezzandogli il viso. Leon chiuse gli occhi: quanto le erano mancate quelle dolci carezze; voleva che non finissero mai, che proseguissero lungo tutto il corpo. Un sospiro gli uscì dalla bocca, ed esso fu subito catturato dalle labbra di Violetta, che si posarono sulle sue con passione. Lentamente si distese sul manto erboso, e Violetta gli fu sopra. Le mani del principe percorrevano il suo corpo, donandole più brividi di quanto avrebbe potuto fare il freddo. Più si baciavano, più i loro respiri si mescolavano, confondendo i loro sensi, e più la passione divenne vivida. Il corpo le mandava dei segnali, era come se le stesse implorando di unirsi a quello di Leon; ne aveva un bisogno fisico enorme, e quasi se ne vergognava. Il braccio di Leon le avvolse la vita e rapidamente invertì le posizioni, con una furia incontrollata che non aveva mai visto. Nei suoi occhi leggeva le fiamme che ardevano impazienti, e la sua espressione seria dimostrava l’enorme sforzo che stava compiendo per non lasciare che esse prendessero il sopravvento. Avrebbe dovuto sentirsi sollevata di questo, eppure parte di lei sperava che lasciasse scatenare quel fuoco, voleva poterlo vedere, toccare, farsi incantare da esso. Dopo aver atteso qualche secondo, con il solo intento di prendere aria, tornò a baciarla, con sempre più foga, talmente tanta che non sembravano curarsi del freddo, del buio…di nulla. Nulla poteva scalfire quell’amore che li univa, nulla poteva frenare il desiderio che avevano di baciarsi e di farsi cullare dalle carezze dell’altro. Leon si posizionò meglio tra le gambe di Violetta, con enorme imbarazzo di quest’ultima, mentre le mordeva con ardore il labbro inferiore. Il petto del ragazzo la schiacciava completamente, e il cuore gli batteva ad un ritmo talmente forsennato, che le sembrava fosse dentro il suo corpo. Leon interruppe il bacio, ma solo per fare in modo che la sua bocca si dedicasse ad altro. Scese lentamente lungo tutto il collo, dando piccoli morsi alternati a baci, e poi risalì fino all’orecchio. Ne morse il lobo con vigore, e la sentì sospirare.
“Non voglio sposare nessuno che non sia te” sussurrò appena, mentre sentì la stretta di Violetta sul suo corpo farsi più salda. “E sarà così, te lo prometto”. Si separò per guardarla negli occhi, e le sfiorò piano i capelli, sparsi disordinatamente sul terreno. Le diede un piccolo bacio sulla punta del naso e appoggiò la fronte sulla sua. 
“Puoi ridirlo?” chiese infine, vergognandosene quasi. Era così bello sentirglielo dire che pensava non se ne sarebbe stancato mai.
“A cosa ti riferisci?” chiese Violetta divertita. Leon fece una smorfia strana, e si posizionò meglio sul corpo di Violetta affinché entrambi stessero abbastanza comodi. “Ecco…mi riferivo a quello che mi hai detto. E’ stupido, ma vorrei risentirlo”. La ragazza sembrò pensarci su, finché non si illuminò, capendo finalmente cosa voleva tanto sentirsi ripetere. Portò le braccia intorno al suo collo, e lo attirò a sé dandogli un dolce bacio. Non appena si furono separati, con un sorriso rilassato e gli occhi ancora chiusi, si sporse fino al suo orecchio.
“Ti amo, Leon”.
 
Jade era turbata. Gli incubi continuavano a perseguitarla, e Javier non voleva lasciarla in pace. Aveva chiamato a corte medici, maghi, guaritori, ogni persona che aveva sentito essere esperta in questo genere di affezioni, eppure nulla, nessuna cura era stata individuata per il suo male. Le ombre erano sempre più concrete nella sua mente, e nemmeno le medicine per il sonno del medico di corte, che prendeva ogni notte con l’aiuto di Jackie servivano a qualcosa, anzi le sembrava che peggiorassero solo le sue visioni. Era il momento di andare a dormire, e la domestica stava sistemando le ultime cose. Tremava al solo pensiero di rimanere sola in quella stanza e il minimo rumore la faceva sobbalzare.
“Posso andare?” chiese Jackie, fingendosi inconsapevole di ciò che tanto turbava la regina. “O forse avete bisogno di altro?” aggiunse con una vena maligna. La regina la guardò con aria persa, gli occhi solcati da profonde occhiaie, che a mala pena riusciva a coprire grazie ai mille espedienti che conosceva per curare la sua pelle. Inclinò la testa leggermente di lato, e assunse un’espressione interrogativa. “Come scusa?” biascicò, mentre lungo le pareti già spaventose ombre diaboliche si allungavano mostrando le loro fauci. Cercò di mantenere la calma, ma il terrore si manifestava dal modo in cui le mani tremavano.
“Chiedevo se avevate bisogno di altro, perché in caso contrario mi ritirerei” disse con un sorriso la donna, avvicinandosi al candelabro dorato per spegnere le fiamme delle candele.
“NO!” urlò Jade, frapponendosi tra lei e il candelabro. La luce. Aveva bisogno della luce per non permettere a quegli esseri di avvicinarsi. “Preferite la luce accesa? Potevate dirlo subito” replicò l’altra con un sorriso forzato. “N-non ho bisogno di nulla. Puoi andare” balbettò la regina, rimanendo a guardare la domestica che chiudeva la porta dietro di sé.
Era rimasta da sola, insieme alle sue paure. Si avvicinò al letto con il candelabro in mano, che poi poggiò sul comodino, e con il corpo stravolto dai brividi, si mise sotto le coperte, chiudendo gli occhi e respirando con calma. Un urlo disumano però la fece scivolare nuovamente nel panico. Le ombre ridevano sguaiatamente di lei, e la indicavano con odio. Occhi infuocati brillavano sulle pareti, e Jade ritirò la mano dalla coperta inorridita, vedendola sporca di una strana sostanza viscida. Finora non le avevano mai fatto del male, e ormai si era quasi convinta che fossero solo un frutto della sua mente; nonostante ciò non riusciva a non avere paura, non riusciva a scacciare quelle voci malevoli e cavernose.
Oltraggio.
Vergogna.
Vendetta.
Le ombre avevano iniziato ad intonare quella sorta di coro pieno di crudeltà, e tra di esse apparve la ben nota ombra di Javier Vargas. Imponente si ergeva tra tutte, e si mostrava come la più assetata di vendetta e di sangue.
“Tu, maledetto!” strillò la donna, scostando le coperte ancora piene di quella sostanza viscida che all’aspetto ricordava il catrame. “Devi finire all’Inferno!” ingiuriò, una volta scattata in piedi, indicando la figura proiettata. L’uomo non disse nulla, ma gli occhi rossi brillavano minacciosi, quindi si separò dalla parete e si stagliò di fronte a lei. La mano tremolava di fronte alla luce della candela, ma si avvicinava pericolosamente al suo collo. Jade non riusciva nemmeno a urlare, per quanto il terrore si era impossessato del suo corpo.
“Hai torturato mio figlio!” urlò l’ombra, lacerando l’aria con la sua voce profonda. Il pavimento subì una scossa, e avida di prendersi quell’anima maledetta, il terreno aprì la bocca, mostrando le fiamme. Delle mani l’afferrarono cercando di trascinarla nelle profondità della terra, e a nulla valsero i suoi tentativi di resistenza. Si aggrappò con tutta la forza che aveva ad ogni mobile vicino, ma essi sembrarono fatti d’aria, e le sfuggivano.
Paga.
Soffri.
Pentiti.
Le voci rimbombarono sempre di più, finché dietro l’ombra non comparve una figura incappucciata. “Paga. Soffri. Pentiti”. Aveva una voce stranamente melodiosa che ben poco si addiceva a quell’ambiente infernale. La figura ad un cenno dello spettro di Javier si tolse il cappuccio e Jade impallidì: quell’aspetto esile, quell’espressione innocente. Capelli castani e leggermente mossi le contornavano il volto e occhi che riprendevano lo stesso colore, ma con tonalità poco più chiare, la guardavano con vivo interesse. Non ne era sicura, ma solo un nome le venne in mente in quella situazione: Violetta. Cosa ci faceva quella mocciosa in compagnia del suo defunto marito? Perché osservava con avidità dietro di lei? Mentre le mani che fuoriuscivano dalla terra continuavano a tenerla ferma, Violetta avanzò in direzione del suo comodino e prese la corona che si trovava alla destra del candelabro. Si rigirò il prezioso oggetto tra le mani, e ghignò pericolosamente. Jade allungò la mano per fermarla ma fu tardi e assistette alla scena peggiore della sua vita. La ragazza con incredibile solennità si mise la corona sul capo e si guardò allo specchio per osservarne l’effetto.
“Adesso sono io la regina” esclamò con un sorriso. Jade inorridì al solo sentire quelle parole, mentre le fiamme diruppero nella stanza accecandola.
Tastò il cuscino, mentre seduta sul letto si trovò sola. L’immagine di quella ragazzina che indossava la corona sotto il suo naso, sebbene non le spettasse, ruotava ancora nella sua testa, analizzandola in ogni suo particolare, come se fosse sicura che in quel modo avrebbe trovato una spiegazione razionale a ciò che aveva visto. Il respiro ansante andava allo stesso passo dei battiti del cuore, ancora scosso dall’ultima visita dello spirito di Javier. Ogni volta era sempre peggio, e non riusciva a scampare alle grinfie di quella maledizione. Sentiva di stare impazzendo, o forse era già pazza, non aveva davvero importanza. Solo un obiettivo che lentamente si sarebbe trasformata in ossessione prese piede: liberarsi di Violetta.
 
La teiera sbuffò, emanando un sottile fil di fumo, che ben presto si disperse nella cucina. Alla sola luce di una fiaccola, accesa per l’evenienza, Violetta si chiese se l’acqua fosse abbastanza calda, quindi da una piccola ciotola prese delle erbe profumate e insecchite, che sapevano di camomilla, avvolse intorno ad esse un sottilissimo pezzo di stoffa pulito, creando un rudimentale filtro e lo immerse attenta a non scottarsi con la teiera bollente. Prima di andare a dormire lei e Leon avevano deciso di prendere un tè caldo per liberarsi di quel freddo che sentivano a causa della loro avventura notturna nei pressi del padiglione. Era stato il ragazzo stesso a farle quella proposta, essendosi reso conto che tremava in continuazione, e, sebbene lui fosse stato abituato a sopportare ben di peggio, aveva finto di avere freddo per convincerla ad andare nelle cucine. L’aveva presa per mano, l’aveva condotta lungo lo scuro corridoio fino a raggiungere lo spazioso locale e poi si era messo con le spalle al muro vicino all’entrata, rimanendo ad aspettare. Sapeva che non sarebbe stato di alcun aiuto in quel compito, non essendo affatto capace ai fornelli, e inoltre vederla così concentrata in quello che faceva era per lui uno spettacolo fin troppo bello per non sentire il dovere di goderselo in disparte. Quando incrociavano i loro sguardi e Violetta notava il modo in cui la guardava, come se fosse una splendente fonte di luce ammaliante nel bel mezzo delle tenebre, subito lo riabbassava arrossendo, e per poco non rischiò anche di rovesciare la teiera. Con le braccia conserte, e uno sguardo penetrante, Leon restava addossato alla parete, senza muovere un passo, ma cercando continuamente i suoi occhi. Ancora non aveva ben realizzato quello che era successo. Leon Vargas amava Violetta. Da quando sotto il padiglione gli era uscito quel ‘Ti amo’ si sentiva strano, a volte perfino a disagio, ma una strana sensazione continuava a fargli formicolare la nuca…e per la prima volta capì cose volesse dire essere felice. Non quella felicità passeggera che si esprimeva con un sorriso, destinata a svanire non appena esso moriva; si trattava di qualcosa di molto più profondo e complesso, che nemmeno lui riusciva a comprendere appieno. Non scherzava quando aveva detto che avrebbe fatto in modo di annullare quel matrimonio; c’era solo una persona che aveva intenzione di sposare, con cui voleva costruire una famiglia, con cui voleva passare il resto dei suoi giorni, e gli era entrata nel cuore in modo talmente impetuoso che non riusciva più nemmeno a immaginarsi senza di lei. Il suo nome era Violetta. La ragazza si avvicinò alla credenza e si mise in punta di piedi, prendendo due tazze basse di ceramica azzurra. Leon non si perse un minimo movimento e sorrise apertamente quando vide che inconsciamente si stava passando la lingua sul labbro superiore, fin troppo concentrata a versare il tè, ormai pronto, senza combinare un disastro. Si staccò dalla parete con una piccola spinta e a passo felpato si diresse alle sue spalle. Non appena ebbe posato la teiera con aria sollevata le circondò la vita con le braccia, facendola sussultare, e poggiò il mento sulla sua spalla.
“Che brava cuoca!” disse con aria divertita, osservando le due tazze fumanti piene del liquido ambrato. Violetta scoppiò a ridere nervosamente, sentendo il corpo di Leon da dietro aderire sempre di più al suo, mettendola notevolmente a disagio. Per Leon quelli erano gesti naturali, eppure lei ancora non riusciva a non arrossire o a cominciare a fissare in diversi punti dell’ambiente circostante con apparente e improvviso interesse.
“Anche Lena, che è una frana in cucina, riuscirebbe a fare di meglio, fidati” esclamò voltandosi verso di lui. Leon con la punta del naso le sfiorò la guancia, e vi depose un debole bacio.
“Io non saprei nemmeno da dove iniziare” ridacchiò, soffiando piano sul suo collo. Si rese subito conto del fatto che la pelle lentamente si stesse facendo più calda e stesse diventando rossa per l’emozione, e si rifugiò in quel calore, dimenticandosi del mondo esterno. Il suo profumo lo inebriò completamente, come sempre, e si ritrovò a sfiorare l’aria con le labbra, a pochi millimetri dal suo collo, come se volesse che gli rimanesse impresso, come se volesse assaggiarlo concretamente.
“N-non è difficile…” balbettò la ragazza, arrossendo sempre di più. Le labbra di Leon premettero sul suo collo e salirono lentamente fino alla guancia.
“Violetta, io…” stava per dire qualcosa, ma si interruppe e di colpo, pensieroso. Sembrava che un dubbio atroce lo stesse tormentando.
“Che cosa ti succede?” domandò Violetta, preoccupandosi subito. Leon scosse la testa con un sorriso, e tornò a poggiare la testa sulla sua spalla. “Niente…solo che ho avuto paura di perderti per sempre”. Quelle parole si spensero sul finale, e Violetta sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Come aveva potuto? Leon aveva messo da parte tutto, si era praticamente prostrato ai suoi piedi…e lei aveva saputo deluderlo. Per fortuna aveva fatto in tempo a tornare indietro sui suoi passi, e a riconoscere la forza fin troppo devastante dell’amore che sentiva nei suoi confronti. Nonostante i numerosi pericoli a cui andavano incontro era sicura che fosse stata la scelta giusta. Aveva vinto la paura, che vedeva opporsi ad essa una forza e una determinazione sempre maggiore, rinforzata dalle parole di Leon, dalla sua sola presenza. Si voltò e rimasero per un tempo indeterminato a fissarsi negli occhi. Violetta avrebbe voluto dire qualcosa, rispondere alle sue dolci parole, ma non gli usciva nulla. Con la bocca socchiusa nel tentativo, quasi sobbalzò quando sentì il dorso della mano di Leon accarezzarle piano la guancia. Entrambi chiusero gli occhi, e si avvicinarono sempre di più.
Leon aveva sempre pensato che le parole fossero inutili, e mai come in quel caso ne era convinto. Nessuna parola avrebbe potuto esprimere le sue emozioni in quell’istante, e il solo sguardo di Violetta per lui valeva più di una dichiarazione in piena regola. Desiderava solo un suo bacio più di ogni altra cosa, e quando era quasi riuscito ad esaudire le richieste della sua mente e del suo cuore, la porta della cucina si spalancò. Violetta lo scostò subito, terrorizzata, ma ormai era troppo tardi. Davanti a loro, completamente sconvolta, Lena rimaneva sulla soglia, facendo saettare lo sguardo da Violetta a Leon, che ancora la stringeva a sé con molta naturalezza, nonostante si fosse irrigidito non appena l’ebbe vista. Era pallida e a stento sembrava riuscire a rimanere in piedi. Leon si separò dalla ragazza, e la guardò a bocca aperta. L’aveva già vista in giro per il castello, ma non ne ricordava il nome. E in fondo non gli importava nemmeno conoscerlo, ciò che era veramente importante era che quella persona li aveva colti in flagrante.
Lena non sapeva se fuggire o rimanere, ma le gambe non erano in grado di muoversi quindi si sentì priva di opzioni. Si voltò indietro, verso il lungo corridoio, e si chiese se sarebbe stata abbastanza veloce prima che Leon la fermasse, ma non appena ebbe dato l’intenzione con il solo sguardo di scappare, il principe con un balzo si frappose tra lei e l’uscita, mettendola in trappola. Non aveva un’espressione crudele, solo seria e forse anche un po’ arrabbiata. Era strano, diverso dal Leon che aveva imparato ad evitare, ma attribuì il tutto allo spavento, che stava deformando la sue percezione della realtà. Violetta invece non aveva ancora mosso un passo, ed era rimasta a guardarla.
“Violetta…che cosa hai fatto?” mormorò Lena, scuotendo lentamente la testa. Era caduta anche lei nel tranello di Vargas, si era lasciata irretire, ed adesso permetteva che approfittasse di lei in quel modo. Aveva tanto disprezzato Lara per il suo comportamento privo di valori, ma si chiese se a quel punto non avesse sempre avuto una Lara come compagna di stanza, e il solo pensiero la inorridì. In fondo, quanto poteva dire di conoscere Violetta? Le aveva tenuto nascosto altro? Chi era veramente? Domande su domande le si affollarono nella testa, che sentì improvvisamente troppo pesante. Sperava vivamente si trattasse di un incubo, ma sapeva bene che non era così; quella notte si era svegliata, e non trovando la sua compagna di stanza sotto le coperte, era uscita preoccupata alla sua ricerca, ma mai avrebbe creduto di trovarla in compagnia del principe Vargas. E non erano possibili fraintendimenti: Violetta era sul punto di baciarlo prima che entrasse in cucina.
“Leon…posso rimanere sola con Lena?” chiese con voce bassa Violetta, dopo un tempo che a Lena parve lunghissimo. Il principe annuì nervoso. “Rimango nel corridoio, se dovesse arrivare qualcuno” aggiunse prima di uscire. Era chiaro che aveva intenzione di rimanere nelle vicinanze, non tanto per evitare che qualcuno li scoprisse quanto per essere pronto a intervenire qualora le cose si fossero messe male. Le due sembravano essere amiche, e si ricordò di quella volta che era stato costretto a fuggire dalla stanza di Violetta perché la compagna era tornata. Solo allora la ricollegò alla figura di Lena, vista quel giorno solamente di sfuggita. Non appena ebbe ottenuto un cenno di assenso da Violetta, se ne andò, lasciandole sole. Lena la guardava più confusa che mai: come diamine aveva fatto ad ottenere un controllo del genere su Leon? Il principe non aveva mai obbedito agli ordini di qualcuno che non fosse la regina, ed era sicura che non avrebbe mai acconsentito alla richiesta di Violetta, presentando come ragionevole pretesto il fatto che fosse padrone di quel castello, e invece era successo tutto il contrario. Il terrore crebbe sempre di più nel cuore di Lena: quella notte stava diventando un susseguirsi di eventi paradossali e incomprensibili. Aveva paura di Leon, aveva sentito la fiducia nei confronti di Violetta spezzarsi, ma adesso si era aggiunto qualcos’altro: aveva paura della persona che si trovava in quella stanza. Quanto conosceva davvero Violetta?
“Ti posso spiegare tutto” esordì frettolosamente quest’ultima, cercando di stringere le mani nelle sue. Lena arretrò di qualche passo, continuando a scuotere la testa, incredula.
“Credevo che tra noi non ci sarebbero stati segreti, che mi avresti detto tutto!” strillò Lena, riacquistando coraggio pian piano, motivata soprattutto dalla rabbia che provava.
“Non mi avresti capita…avresti cercato solo di allontanarmi da…”. Non riusciva a terminare la frase, forse perché aveva ancora timore ad ammettere di fronte a qualcuno che fosse innamorata di Leon, che lo amasse.
“Da Leon? E’ ovvio, Violetta, perché stiamo parlando un mostro!”
“Lui…è cambiato”
“Tu non hai minimamente idea della persona che è, e sei un’ingenua se pensi di essere riuscita nella grande impresa di cambiare la sua natura. Io vivo qui da molto tempo e so che non è possibile. Non capirai mai il terrore delle nuove arrivate che incrociavano lo sguardo affamato di Leon. Mi fa schifo il solo pensiero!”. Lena non riusciva più a fermarsi, nonostante Violetta stesse dando i primi segnali di un certo nervosismo a quelle parole.
“Se non vuoi credermi almeno rispetta la mia scelta. Ti prego, non dirlo a nessuno” la supplicò, leggendo però nel suo sguardo un duro rifiuto. Tentò nuovamente di sfiorarle le mani, ma Lena non glielo lasciò fare nemmeno quella volta.
“Devi stargli lontano, è per il tuo bene. Non voglio che tu soffra”. Il suo tono era diventato sorprendentemente dolce, era chiaro che avesse attribuito tutta la colpa a Leon, e credesse che lei si fosse lasciata ingannare. Credeva davvero di poterla salvare, ma quella richiesta era per Violetta come una condanna. Non poteva stare lontana da Leon, proprio ora che tra di loro le cose sembravano aver raggiunto una sorta di equilibrio. Non poteva, ma soprattutto non voleva.
“Non posso”. La dolcezza di Lena si spense non appena ebbe sentito quelle parole.
“Tu devi!”. Il silenzio di Violetta fu eloquente: non avrebbe mai seguito il suo consiglio. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi: non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, ma era convinta di doverla salvare. “Se non ti allontanerai da lui, mi costringerai a dire tutto alla regina, e sarà lei stessa a prendere gli adeguati provvedimenti”.
Violetta assunse un’espressione sconvolta e il sangue le si gelò nelle vene. Stava cercando forse di minacciarla? Aveva sempre saputo che Lena fosse tenace, ma non credeva sarebbe arrivata a tal punto.
“Non puoi farlo…” disse più a se stessa che alla sua interlocutrice. Non poteva rovinare tutto, non ora che finalmente erano felici. Non ora che Leon le aveva promesso che avrebbe annullato quel matrimonio maledetto, non ora che sentiva l’irreprimibile bisogno di stare al suo fianco. Non ora che l’amore che provava era arrivato ad un punto di non ritorno.
“E’ per il tuo bene, Violetta” si scusò Lena, uscendo poi di corsa dalla stanza.
Bene.
E’ giusto.
Così deve andare.
Di nuovo quelle voci, le stesse sentite nei pressi del padiglione. E sembravano gioire delle sue sventure. Piena di sconforto nel cuore, uscì dalla cucina, e incrociò lo sguardo di Leon.
“L’ho vista scappare via, ma non sapevo se fermarla oppure no” disse, non sapendo cosa fare, ma intuendo che le cose non fossero andate per il meglio. Violetta non disse nulla, solo si rifugiò tra le sue braccia, singhiozzando in modo sommesso. Il principe la strinse forte. Voleva infondergli il coraggio che le mancava, voleva che sapesse che lui c’era, sempre e comunque. D’ora in avanti non sarebbe più stata sola, avrebbero affrontato tutto. Insieme. “Ehi, non posso vederti così” le sussurrò all’orecchio, scostandole una ciocca indietro, mentre ricercava i suoi occhi, tenuti bassi. La abbracciò di nuovo, sentendo il cuore subire una terribile fitta: non aveva mai sofferto così tanto per un’altra persona…che anche quella fosse una conseguenza dell’amore? Non ne era sicuro, ma voleva proteggerla da tutto e da tutti. Finché lui era in quel castello non le sarebbe successo nulla di male, di questo ne era certo.
Violetta trovò la calma di cui aveva bisogno, mentre Leon la stringeva a sé, e le mormorava parole di conforto. Aveva smesso di piangere, e il respiro che si infrangeva sul suo petto si regolarizzò entrando in una strana sintonia con il battito del cuore del ragazzo. Da piccola era solita rifugiarsi tra le braccia German ogni volta che soffriva, e l’uomo, inizialmente un po’ rigido, le donava l’affetto di cui aveva bisogno, fino a quando non stava di nuovo bene; ma quella volta era diverso. Leon aveva un potere ancora più grande su di lei, e non sapeva spiegarsi come fosse possibile. Se c’era lui anche il più grande ostacolo appariva inconsistente, come fatto d’aria, tuttto appariva più semplice, e nonostante lui non fosse consapevole del modo in cui la faceva sentire, quando si stringeva a lui aveva l’impressione di trasmettergli quel disperato bisogno dei suoi abbracci che provava. Rimasero abbracciati nel buio. Ormai non le importava se sarebbero stati scoperti. Ormai nulla aveva più senso.
Il suo destino era nelle mani di Lena, e non prometteva affatto bene.
 
Lentamente tutto si modifica.
Lo sapeva bene. Nulla avrebbe fermato il corso della storia, nemmeno lei. Ma era convinta che il futuro non fosse nelle mani di nessun’altro all’infuori di coloro che vivevano il presente. Sistemò meglio la cavalcatura, e si assicurò che fosse tutto pronto. Nessuna scorta, nessuna protezione. Quella missione richiedeva la più completa libertà di azione; sarebbe stata dura portarla a termine, avrebbe dovuto mettersi in gioco, rischiare tutto. Chiedere perdono. Ma aveva bisogno del loro aiuto sopra ogni cosa, e che le venisse ripristinato l’antico prestigio di cui godeva. Voleva che un privilegio in particolare le venisse nuovamente conferito. Poteva salvarlo, poteva salvare tutti, eppure aveva sempre tentennato fino all’ultimo, fino alla partenza di quei ragazzi. Non poteva lasciare che degli innocenti si lanciassero in un’impresa impossibile e restare a guardare, senza fare nulla; non era nella sua natura. Salì sul dorso del cavallo, e guardò per un’ultima volta il palazzo.
“Mi dispiace…ma devo farlo. Per il bene di tutti, anche per il tuo” sussurrò con aria regale. Il suo sguardo ardeva ricco di determinazione, e il cavallo nitrì impaziente, tenuto prontamente a bada dal suo padrone. La luna brillava con il suo tenue chiarore, mentre le ultime luci del palazzo si spegnevano, lasciando intendere che ormai anche gli ultimi servitori si fossero ritirati nella loro stanza. Avrebbe voluto salutare la sua famiglia un’ultima volta prima di partire, ma non c’era tempo da perdere, e sicuramente tutti avrebbero disapprovato la sua scelta. Era e rimaneva uno spirito libero, intraprendente. Si lasciava guidare dall’istinto ed agiva in base ad esso. Senza più voltarsi indietro, spronò il cavallo, che partì alla carica, libero di sentire l’aria fresca della notte. La donna si alzò il cappuccio di velluto viola, mentre la mantellina dello stesso colore svolazzava creando onde scure che si perdevano nel buio. Dopo qualche minuto Angie scomparve, inghiottita dall’oscurità. 




NOTA AUTORE: Nota autore molto frettolosa, perché non voglio farvi attendere troppo xD Insomma, nonostante un inizio un po'...triste, i Leonetta si riprendono subito, perché Violetta alla fine cede, e capisce di non poter stare senza Leon, nonostante quel matrimonio sia ancora lì, ad attendere Leon. Non commento la loro dolcezza, perché altrimenti la nota autore diventa più lunga del capitolo, e sono cose che non si fanno (?), fatto sta che qui capita una cosa bella e due disgrazie, è sempre così. Shiebright, che tanto sperava nelle ombre affinchè tenessero impegnata la regina, mi sa che adesso ritira tutto, perché esse hanno alimentato ancora di più il timore che ha nei confronti di Violetta...ha paura che lei sia capace di toglierle la corona da sotto il naso, e d'ora in avanti cercherà ogni possibile pretesto per togliersela dai piedi. Qui cominciano i primi attriti tra Jade e Leon...ma capiremo tutto andando avanti nella storia ù.ù
Per quanto riguarda poi Lena...CHE COSA FAI, RAGAZZA. NO. NO. E ANCORA NO. Lena, ancora sconvolta, pensa di fare il bene di Violetta, ma è lontana mille miglia dalla verità D: Speriamo solo che venga convinta in tempo a non parlare D: Anche perchè tramuterebbe in certezza i sospetti di Jade insinuati da Jackie .-. 
Intanto Angie parte per una missione misteriosa, di cui sapremo di più nel prossimo capitolo. Il finale ha a che fare con un breve spezzone sulla sua partenza, ma verrà approfondito tutto nel prossimo capitolo :D
Grazie a tutti voi che nmi seguite, e...beh, non so che dire, al prossimo capitolo, e buona lettura! :3
syontai :D 
  
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