Raphael
giaceva davanti alla barriera, tra la polvere e il sangue.
E
non si muoveva più, ormai da qualche minuto. Isabel piangeva
e si
dibatteva con tutta la sua foga per raggiungerlo. Ma combatteva una
battaglia persa.
Don,
Leo e Mikey erano rimasti impietriti per qualche istante. Erano certi
che il loro fratello si sarebbe rialzato, non poteva essere davvero
morto.
Donnie guardava il suo corpo abbandonato al suolo, con la mano poggiata distrattamente sul Bō, mentre la sua mente lavorava febbrilmente, calcolando con rapida precisione quanto sangue avesse perso, cosa era successo ai suoi organi e al suo cervello, verso l'unica inevitabile conclusione. Inghiottì il magone, cercando di impedire alle mani di tremare, perché poteva anche essere il genio più razionale e sensato del mondo, ma di fronte al corpo senza vita di suo fratello erano i sentimenti a prevalere, come l'angoscia e un dolore cupo e sordo nel petto, come se il cuore stesse per esplodere.
Leo, alla sua destra, sembrava nel panico. Il leader senza paura osservava come un ossesso Raphael riverso a terra, ammutolito e senza volontà, come se ogni pensiero si fosse spento e non sapesse che fare; nella sua mente una voce continuava a urlare senza sosta, come una nenia di cordoglio e orrore, annebbiando ogni altra percezione. Suo fratello era l'essere più forte e tenace del mondo, non era semplicemente possibile che fosse morto, che quel corpo macchiato di rosso sangue fosse il suo, che la sua vita, una vita così passionale e ardente, potesse essersi spenta.
Splinter si teneva il petto con una mano, appoggiato al suo bastone per impedire alle gambe cedevoli di paura di trascinarlo al suolo, con l'espressione più sofferente del mondo. Suo figlio... aveva appena perso suo figlio? Il dolore al petto si acuì. Sapeva che la loro vita era pericolosa e che nessuno di loro era davvero al sicuro, -lottavano contro la morte ogni giorno,- ma aveva sempre fatto il possibile e anche l'impossibile per proteggere la sua famiglia dal vero pericolo. Allora perché la vita di suo figlio gli era stata strappata da sotto gli occhi, senza che potesse fare nulla? Dov'era finito il suo dovere di padre? Come poteva continuare a vivere con quel dolore e rimorso?
Il sorriso sul volto di Mikey si era spento. L'espressione di orrore e terrore che gli scavava i tratti non era mai apparsa prima sul suo viso, ma non era abbastanza per esprimere lo strazio e la sofferenza che provava in quell'istante nel cuore. Anche se non voleva credere a quello che vedeva, perché quel corpo adagiato a terra non poteva essere del suo fratellone; e se così fosse stato, era di certo tutto uno scherzo, si sarebbe rialzato dal terreno più arrabbiato e potente di prima, con un attacco a sorpresa. Raphael non poteva morire. Era semplicemente così che la pensava. Raphael era forte, era agguerrito e vitale. Non sarebbe morto per nulla del genere, probabilmente non sarebbe morto mai. Allora perché stava guardando da qualche minuto quello che sembrava il suo corpo vuoto, come un guscio fragile e spezzato, che non dava nessun segno di vita, mentre si sentiva così male e spaesato da desiderare di morire?
Mikey
scattò come una furia e si gettò al suolo,
strisciando le ginocchia
a terra, raggiungendo Raphael: con tutta la delicatezza possibile lo
voltò sulla schiena, osservando il suo volto livido e cereo.
Gli
tastò il collo, con le mani che tremavano di paura, una
paura che
non gli importava di mostrare.
“Don...
cosa faccio?... non sento battito ” affermò con
una vocina esile,
di qualche ottava più alta del normale. Il fratello genio
spalancò
gli occhi davanti alla sua fragilità, stringendo
più forte il Bō e
inghiottendo quel grido che premeva per uscire dal petto.
“Mikey...
è mor...”
“NO!
Non può essere! Non è vero!”
strillò lui, chinandosi per
abbracciare il corpo di Raph. La sua schiena era scossa da tremiti,
che tradivano il suo pianto silenzioso. Percepì
l'immobilità del
fratello e l'orrore nel suo petto crebbe ancora di più,
diventando
un buco nero di disperazione.
Rimase
così, aggrappato al suo corpo senza vita, per qualche
minuto, con la
faccia sepolta nel suo petto, distrutto. Poi sollevò la
testa,
lasciando andare un ringhio di dolore, coi contorni della maschera
resi più scuri dalle lacrime.
Gregor
rideva.
Impalato
lì di fianco, rideva della loro disperazione, con aria
vittoriosa. I
suoi golem si erano bloccati nel momento in cui aveva trafitto il
ranocchio, perché potesse godersi le reazioni di dolore di
quei
patetici mostri.
Il
pugno di Michelangelo lo colpì in pieno viso, un secondo
dopo,
mandandolo al suolo: si era mosso talmente velocemente che Gregor non
si era nemmeno accorto che si fosse alzato. E il piccolo di casa
Hamato era arrabbiato, investito di furia omicida, con gli occhi
lucidi iniettati di sangue.
Voleva
uccidere con le sue mani colui che aveva osato toccare suo fratello.
Don, Leo e Splinter lo affiancarono, pronti a tutto, sigillando il
dolore per potersi concentrare e batterlo.
Gregor
si riprese in fretta dalla sorpresa e sollevò la spada,
ancora
intrisa del sangue di Raphael.
Isabel
stava ancora provando a liberarsi. Raffaello non poteva essere morto.
Non poteva. Anche se tutto il sangue e la sua immobilità
suggerivano
il contrario. Non poteva e basta. Perché era l'uomo che
amava e non
avrebbe mai permesso una mostruosità simile, anche se avesse
dovuto
dannarsi e vendere l'anima per impedirlo.
Mikey
aveva colpito Gregor e nello stesso istante percepì un
tremolio
nelle catene. Possibile che l'improvviso attacco dell'amico avesse
fatto perdere la concentrazione a quel dannato bastardo?
Tirò,
sempre più forte, anche se la presa sul terreno non era
sempre
stabile, anche se cadde varie volte, puntando le unghie nella terra
per non perdere quei pochi passi guadagnati, anche se i polsi
dolevano così tanto che credette che le mani si sarebbero
staccate,
da un momento all'altro.
Arrivò
alla barriera, ricoperta di sudore, polvere e sangue; le lacrime si
erano seccate e mischiate alla terra, che le avevano lasciato due
solchi scuri lungo le guance.
Appoggiò
una mano sul muro invisibile e con sua somma meraviglia
passò
attraverso: con una lieve esclamazione di stupore, sforzò i
muscoli
delle gambe per passare dall'altra parte.
“Leo!”
urlò quasi nello stesso istante.
Il
leader si girò al richiamo e si accorse che lei aveva
trapassato la
barriera e che si dibatteva per non venire ritrascinata dentro,
puntando fieramente i piedi al suolo. Si gettò verso di lei,
correndo con le Katana sguainate.
Le
calò, senza nemmeno fermarsi: le catene tese si ruppero al
solo
contatto, con uno schiocco secco, e Isabel venne sbalzata
all'indietro dalla forza del contraccolpo, libera; si
districò dai
moncherini metallici in fretta, poi strisciò verso Raphael,
a pochi
passi da lei, toccandogli il viso e le mani, con frenesia.
Era
ancora caldo, ma immobile. Il cuore non batteva e non c'era alcun
respiro. Solo sangue, tanto sangue. Sul collo e la tuta, sulle sue
mani e per terra.
Lo
attirò a sé, poggiandosi la testa sulle
ginocchia, con tenerezza.
Con una mano sollevò appena la sua maschera e le lacrime che
non
riuscì a frenare caddero sui suoi occhi chiusi, mentre
l'altra
carezzava la sua guancia sporca di schizzi di sangue; Isabel si tese,
avvicinando il viso, e poggiò un bacio timido e dolce sulle
sue
labbra.
“Mi
hai dato tutto. Ti dono tutto” sussurrò, rialzando
la schiena.
Congiunse
le mani, come in preghiera, e chiuse gli occhi: i palmi iniziarono ad
illuminarsi, di una forte luce abbagliante, che si propagò
per tutto
il corpo. Il parco ne fu illuminato e tutti si interruppero,
sorpresi.
Isabel
aprì gli occhi, vuoti e splendenti, avvolta da scariche
elettriche
ed energia pura: i golem esplosero all'istante e Gregor venne
sbalzato all'indietro dall'onda d'urto. Le mani di Isabel si
intrecciarono una con l'altra e si sollevarono verso il cielo, cupo e
oscuro: si abbatté sul petto di Raphael con un colpo secco e
una
prodigiosa scarica passò al suo corpo, che si
incurvò sotto la
forza elettrica che attraversava i muscoli.
Le
braccia di Isabel erano tese, mentre la sua energia passava fino a
Raphael. Come un fiotto continuo, come un'onda che si muoveva senza
fine da un corpo all'altro, sempre più brillante. La pietra
al collo
della ragazza si illuminò, di giallo, con un pulsare
ritmato, come
il normale battito del cuore: la pietra al collo di Raphael
reagì e
si illuminò della stessa luce, iniziando a palpitare allo
stesso
ritmo.
Di
colpo, sotto gli sguardi attoniti di tutti, il torace del mutante si
sollevò e lui tossì, inspirando a pieni polmoni.
“Cosa...
hai poteri di guarigione!” urlò sconvolto Gregor,
con il volto
contratto di pura rabbia.
Mikey
sorrise, lasciando andare un sospiro di conforto, asciugando con il
braccio alcune lacrime sfuggite al sollievo. Don abbracciò
il
sensei, felice, anche se le sue mani tremavano di paura repressa. Leo
si rilassò, incredulo e sollevato, tanto che le Katana quasi
gli
caddero dalle mani.
Raphael
aprì gli occhi, confusi e ancora sofferenti, e il viso di
Isabel
apparve nel suo campo visivo.
“Isa...”
tossì, espirando con un suono rasposo, che gli graffiava il
petto.
Sentiva fastidio alla parte superiore e alle costole, ma si sentiva
anche incredibilmente bene... non era morto? Ricordava un gran
dolore, l'angoscia della vita che gli scivolava via insieme al
sangue, mentre lei piangeva, di fronte all'inevitabile.
E
poi il buio e la fine di tutto, diverso dalla prima volta in cui era
morto: allora aveva quasi desiderato che succedesse e si era sentito
bene e in pace, permeato da un benessere senza peso; invece poco
prima, nel secondo in cui aveva capito che era ormai finito, si era
sentito colmo di angoscia e panico e aveva desiderato vivere, con
tutta la disperazione possibile, fino all'ultimo istante, prima del
nulla.
Allora
perché era vivo?
“Isabel”
chiamò, dato che lei continuava a tenere gli occhi fissi
davanti a
sé, senza prestargli attenzione.
La
ragazza non parlò e non si mosse, ma il flusso di energia
continuava
a passare dalle sue mani al suo corpo.
“Isabel?”
provò per la terza volta, invano.
Tra
le grida di giubilo della sua famiglia riuscì a sentire lo
strillo
strozzato di Gregor.
“Smettila,
stupida idiota! Così morirai!” ammonì,
rivolto verso Isabel.
Raph
odiava quell'uomo.
Pensava
che fosse uno schifoso bastardo che meritava di morire lentamente e
dolorosamente, ma non dubitò nemmeno per un secondo della
verità
delle sue parole. Alzò le braccia, con uno sforzo notevole
dato che
le sentiva pesanti, e poggiò le mani contro l'addome di
Isabel: con
un colpo leggero la spinse via, facendo sì che perdesse
contatto col
suo corpo. La testa scivolò dalle sue gambe e
sbatté dolorosamente
contro il terreno, facendogli trattenere un'imprecazione.
Isabel
era caduta al suolo, inerme e immobile e la sua luce si era spenta.
La sua collana aveva preso a pulsare di rosso mentre quella di
Raphael si era fermata, ritornando del solito colore viola.
Raph
si voltò di lato, con una forte nausea e un violento
capogiro,
mettendoci tutta la forza che riuscì a trovare in corpo: un
piede si
abbatté sul suo petto, inchiodandolo al suolo.
“Non
così in fretta, scarafaggio” esalò
minaccioso Gregor, premendo
per schiacciargli le ossa.
Urlò,
di sorpresa e dolore. Poi udì il grido di battaglia di
Mikey, che si
abbatteva contro Gregor insieme al resto della sua famiglia: l'uomo
sollevò appena un dito e tutti vennero sbalzati via, senza
avere il
tempo di reagire; atterrarono al suolo, un po' ammaccati, ma illesi.
“Dovete
morire! Tutti! Soprattutto tu, ranocchio. E questa volta mi
assicurerò che lei non ti riporti in vita!”
Raphael
tossì, con le mani che cercavano di spingere via il piede
che lo
comprimeva.
“Come...
come ha fatto?” domandò, forse cercando di
prendere tempo o forse
davvero desideroso di saperlo. Era abituato alle stranezze di Isabel,
ma quello era stato un vero miracolo, ben più che far
ripartire il
suo cuore con una scarica elettrica.
“Incantesimo
del sacrificio. Chi possiede poteri di guarigione può
trasferire la
propria energia vitale nel corpo di un'altra persona, a costo della
propria vita... che potere inutile!” spiegò
l'uomo, calpestandolo
ad ogni parola, con rabbia.
“È...
morta?” soffiò fuori il mutante, con un senso di
magone che
sovrastava il dolore che sentiva ad ogni colpo, provando a muoversi
per poter controllare Isabel.
“No,
hai interrotto l'incantesimo. Lei è moribonda, ma
può ancora essere
salvata... ma mi preoccuperei per te, invece: non sei completamente
vivo, a dirtela tutta” ridacchiò Gregor, spingendo
con tutto il
suo peso sul piede, per schiacciargli più forte il torace.
“La
tua ferita è ancora lì. Mi basta trattenerti al
suolo abbastanza a
lungo perché le energie che lei ti ha dato si esauriscano,
insieme
al sangue... sarà una morte un po' lunga e dolorosa, ma
tanto
abbiamo tempo, no? È un vero peccato che tu sia tornato in
vita solo
per morire di nuovo, più dolorosamente!”
Sollevò
il piede e lo abbatté contro la sua spalla, strappandogli un
urlo di
dolore che riecheggiò nel parco vuoto, di albero in albero.
Le
fronde gialle e brune, preludio dell'autunno che si avvicinava, si
mossero, sinistramente, senza il minimo alito di vento. Quando l'urlo
di Raphael si spense, un fulmine rischiarò il cielo e un
forte vento
si alzò, improvviso, scuotendo con forza gli alberi e i
cespugli.
Raph
rise, di colpo, tra colpi di tosse e rantoli disperati per prendere
aria. Gregor piegò la bocca, infastidito, e si
accanì con ancora
più veemenza contro di lui, senza però riuscire a
spegnere la sua
risata.
“Cosa
c'è di così divertente, mostro?”
urlò irritato, calciando ogni
centimetro libero del suo corpo.
Raph
urlava e rideva, insieme.
“L'hai
fatta incazzare. L'hai mai vista incazzata, bastardo? È la
visione
più bella e terrificante del mondo”
ridacchiò, tra gli spasmi.
“Cosa...?”
Isabel
si risollevò dal terreno, in contemporanea con il secondo
fulmine,
una scarica di energia che cadde al centro del parco, splendendo nel
buio con un dolore accecante e un fragore da far male: si
stagliò
proprio dietro il suo corpo che galleggiava a mezz'aria, con gli
occhi aperti e splendenti, la mano destra puntata contro Gregor.
Bastò
un lieve gesto, due dita che si fletterono, e l'uomo venne sbalzato
via da un'onda d'urto in pieno petto, cadendo al suolo con un'ampia
strisciata sul terreno crudo, tra imprecazioni e stupore.
“Te
l'ho detto” sogghignò Raph, con gli occhi fissi
sul cielo scuro
sopra di sé. Non aveva abbastanza forze per potersi alzare,
perciò
rimase immobile ad ammirare il cielo, in contemplazione.
Una
goccia di pioggia cadde sulla sua fronte, delicata e fresca e
sorrise, con tenerezza. Poi apparve il viso di Isabel, ancora
incosciente, con quegli occhi vuoti che un po' gli mettevano
soggezione; stava fluttuando al di sopra della sua testa,
osservandolo con scrupolo al contrario. Si tese verso di lui e
afferrò il suo viso, sollevandolo appena dal suolo.
Lo
baciò, a testa in giù come il supereroe di un
fumetto, e si sentì
bruciare: il suo petto esplose di energia, mentre un tepore
confortevole e guaritore si spandeva per tutto il suo corpo, portando
benessere.
Il
dolore, l'angoscia, la paura, scomparvero all'istante.
La
pioggia cadde, forte e impietosa, battendo su quel bacio che sembrava
non avere fine, che lo stava curando, che gli ridonava vita e vigore,
che gli guariva il cuore, in ogni senso.
Isabel
si staccò e fece per sollevarsi, ma la trattenne per il
polso.
“Non
so se puoi sentirmi... ma non fare mai più una cosa del
genere. Mi
hai fatto morire di paura” confessò, grato che non
fosse morta per
donargli la sua vita. Lei sorrise con dolcezza e anche con
quell'espressione vuota riconobbe la sua Isabel.
Fluttuò
via, verso i suoi fratelli e il sensei: la vide dare un bacio sulla
guancia a ciascuno di loro e i visi sorprendersi di meraviglia e
benessere, come se lei stesse attuando qualche magia anche su loro.
“Cosa...
cosa diamine significa?” sentì urlare Gregor,
fuori di sé.
Raph
si tirò su e si voltò verso di lui, che atterrito
e sorpreso
guardava Isabel, nella sua forma da Dea della guerra, come l'aveva
ribattezzata. L'uomo era ancora a terra, con la bocca spalancata
dallo stupore, con gli occhi aperti dalla follia, mentre osservava la
sua avversaria, la ragazzina a cui aveva rovinato l'esistenza, come
se fosse la prima volta che la vedeva.
Non
sapeva che Isabel potesse fare una cosa del genere. Forse non l'aveva
mai fatta, prima. Forse non aveva mai avuto qualcosa per cui valesse
la pena lottare, prima.
Vide
la rabbia e la paura prendere il posto della sorpresa, sul viso di
Gregor, e si preparò, sporgendosi per afferrare i suoi Sai,
vicino
alla pozza di sangue che aveva lasciato, nemmeno che pochi minuti
prima; era un miracolato, un prodigio del genere era fuori da ogni
spiegazione logica e probabilmente impossibile da ripetere e si
sentì
grato verso Isabel... il mondo... ogni cosa, di aver potuto averne la
grazia. La vita non gli era mai sembrata così bella. Mai,
mai più
l'avrebbe data per scontata. Mai più l'avrebbe rischiata
senza
motivo, solo per avere il brivido dell'ignoto.
Si
rialzò, determinato e deciso, col petto e lo stomaco che
bruciavano
di ardore e potere; calmo, incredibilmente. Si sentì cingere
e le
braccia di Isabel lo circondarono, da dietro: sentì il suo
mento
poggiarsi sulla sua spalla, la guancia carezzare la sua e la sua
tempia premere contro la propria, delicatamente. Chiuse gli occhi,
estasiato.
Fu
l'abbraccio più bello e strano mai provato.
Non
era Isabel che lo abbracciava. O lui che veniva abbracciato da lei.
Erano i loro due corpi fusi, senza barriere di pelle o tessuti, senza
confini tra ciò che era di uno o dell'altra: percepiva
ciò che il
corpo di Isabel sentiva e sapeva che era lo stesso per lei. Non
c'erano più una Isabel e un Raphael, ma una sola
entità, con gli
stessi pensieri, le stesse emozioni, gli stessi desideri. Si
sentì
completo, per la prima volta nella vita.
Era
amore allo stato puro.
Isabel
si sollevò dalla sua schiena, fluttuando a mezz'aria dietro
di lui e
fili di luce si svolsero tra i loro due corpi, unendoli: Raphael
venne avvolto dal bagliore, completamente rivestito e protetto, gli
occhi sotto la maschera splendenti.
La
pioggia che cadeva attorno a loro fu illuminata, ogni singola goccia,
e le pozze d'acqua al suolo riflettevano quella magica luminescenza
con una velatura innaturale.
Gregor
si era rialzato e teneva la spada contro il mutante, ma la mano
tremava e la lama oscillava di qua e di là.
“Magia
della simbiosi? Non ti credevo capace, Isabel. Devi essere davvero
disperata per usarla nelle tue condizioni”
strillò, simulando una
sicurezza che sapevano non provasse davvero.
Raphael
e Isabel sorrisero, assieme.
Perché
erano assieme. Da soli non avrebbero potuto battere Gregor: Isabel
non era abbastanza forte e Raphael era vulnerabile contro i poteri
dell'uomo... ma assieme erano imbattibili.
Avrebbero
combattuto come una cosa sola. Magia e ninjitsu. Strega e ninja.
Umana e mutante. Donna e uomo. Deboli da soli, completi assieme.
“Non
credere che ti renda le cose facili!” esplose Gregor.
La
sua mano si tese, nervosa e scattante, e un cerchio di luce apparve
al suo fianco, enorme: iniziarono ad uscirne fuori frotte di golem,
in numero considerevolmente maggiore rispetto a prima, tanto che si
ritrovarono accerchiati in pochi secondi, mentre altre creature
continuavano a venirne fuori.
Né
Raphael né Isabel si mossero. I loro occhi rimasero fissi su
Gregor,
anche quando i golem si trovarono a pochi passi, con le pietre che
scintillavano contro di loro e i pugni tesi, pronti a colpire.
Ma
l'attacco non arrivò mai.
Leo,
Don, Mikey e il sensei apparvero nella mischia e i primi golem
esplosero, ad una velocità prodigiosa, lasciandosi dietro
solo
polvere.
“Ce
ne occuperemo noi” esclamò Leo, con la Katana
già diretta verso
il suo successivo opponente. Il suo corpo brillava di un tenue
bagliore azzurrino e il leader sembrava euforico.
Don
e Mikey annuirono, con i corpi circondati di una luminescenza verde
per uno e gialla per l'altro, anche loro su di giri.
Il
sensei risplendeva di viola, tenue.
Le
leggere goccioline che si infrangevano sulla loro pelle assorbivano
la luce che li attorniava, creando una cortina di luce ancora
più
splendente, come un'aura di potere.
Raphael
percepì nel limbo della simbiosi che i membri della sua
famiglia,
-la loro famiglia, dato che erano un'unica entità,- erano
stati
avvolti da una magia di protezione e che la loro forza, la loro
velocità e il loro vigore erano stati potenziati. E capiva
tutto,
percepiva in che modo fosse stato possibile e tutto aveva senso.
Tutto
il mondo aveva perfettamente senso.
Lo
percepiva attraverso i poteri di Isabel, -i loro poteri,- e cose che
prima gli erano sembrate stupide, che non aveva mai compreso, che lo
avevano fatto arrabbiare e sentire triste, avevano un loro
perché,
esistevano per un motivo.
Il
cielo aveva un motivo. Anche il temporale più violento e
distruttivo. Perché la terra sapeva rigenerarsi e guarirsi,
anche
dopo il più catastrofico dei cataclismi.
Il
dolore aveva senso. Perché la fugacità di un
momento di felicità
possedeva più sapore dopo la disfatta e l'amaro della
tristezza.
La
fatica era logica. Solo con il duro lavoro e sacrificio il risultato
finale donava gratificazione e benessere, al ricordo dell'impegno
profuso. Non c'era nulla fuori posto negli ingranaggi del mondo e lui
li sentiva tutti, che giravano come una macchina ben oleata e capiva
l'importanza che ognuno aveva, per sé e in correlazione agli
altri.
La
pace di quel momento era assoluta.
Perfino
Gregor faceva parte di quel tutto. E la loro lotta era inevitabile,
forse scritta in quella trama sottile che avvolgeva le cose,
invisibile alle persone normali.
Raph
alzò i Sai, pronto a combattere. L'uomo sollevò
la spada contro di
lui, spavaldo e agguerrito, anche se il suo colorito era più
pallido
di prima.
Mentre
i golem esplodevano attorno a loro, per mano degli Hamato, si
gettarono l'uno contro l'altro, iniziando a battersi. La lama della
spada scontrava coi Sai, i calci e i pugni colpivano con precisione
brutale, e Gregor, accortosi che Raphael poteva toccarlo senza subire
dei danni, andò ancora più nel panico.
Dalle
sue mani apparve un'altra spada, gemella identica a quella che
già
teneva in mano, dall'elsa preziosa in forma di scaglie di drago, che
formavano una coda spinosa ed elaborata attorno alla mano, per
protezione.
Con
le due spade strette nelle mani, Gregor si gettò
all'attacco, ma non
contro Raphael, come lui si aspettava: lo superò con un
balzo,
puntando contro Isabel e i fili di luce che la tenevano legata al
mutante. Le sue armi si illuminarono, di una violenta luce
verdognola, e calarono repentinamente.
Una
delle lame sbatté contro il Sai di Raph, che aveva reagito
prontamente alla minaccia, l'altra venne deviata dal suo braccio,
slittando sul tessuto della tuta, quando il mutante si sporse per
colpirlo al volto con un pugno, con uno scricchiolio agghiacciante:
Gregor indietreggiò, con la mente frastornata e la mascella
dolorante.
Barcollò
appena, mentre premeva con la mano sulla mandibola per rimetterla a
posto, con un urlo di dolore.
Non
andava bene. Ogni movimento facesse, la simbiosi di Isabel e quel
mostro era inattaccabile, impenetrabile alla magia o agli attacchi
fisici. Ma sapeva che se fosse riuscito a separarli non avrebbero
avuto scampo. Li aspettava solo la morte.
E
non gli importava più di prendere Isabel viva.
Sputò con rancore un
grumo di sangue per terra.
Avrebbe
ottenuto il trono in un altro modo. Avrebbe anche attuato un colpo di
stato, una guerra intestina nel regno, ma quella piccola puttanella
l'avrebbe pagata. Lei, il suo orribile mostro e la sua prodigiosa
magia fuori controllo, anche se gli faceva gola.
“Ok,
piccola Isabel, ora di giocare tutte le carte”
mormorò tra sé e
sé.
Abbassò
la testa, assorto, quasi come se fosse caduto in trance; Raphael lo
studiò a distanza, guardingo, anche se sapeva cosa stesse
accadendo,
grazie alla connessione con Isabel.
L'uomo
stava concentrando tutta la sua magia nei muscoli, per potenziare la
sua velocità e la sua forza: aveva deciso di attaccare
giocandosi il
tutto e per tutto. Usare i poteri per incrementare la forza fisica,
infatti, prosciugava molto più rapidamente le risorse
magiche.
Gregor
sollevò la testa e si lanciò all'attacco nello
stesso secondo, con
una fluidità e una velocità prodigiose, che
costrinsero Raphael a
parare e indietreggiare, preso alla sprovvista. Quando
abbassò i Sai
contro l'uomo, era già scomparso dalla sua visuale.
Fulmineo,
scattante, letale.
Gregor
era diventato un pericoloso avversario, preciso e meticoloso, che si
muoveva a scatti per non essere intercettato e che mirava sempre e
solo ad Isabel, alle sue spalle, per cercare di recidere il legame
che li univa.
Si
scansò giusto in tempo, evitando che le affilate lame delle
spade
toccassero i fili di luci, ma non abbastanza in fretta per uscirne
illeso: la lama lacerò l'avambraccio, di striscio, ma
comunque
pericolosamente.
Arretrò
velocemente, cercando di mettere quanta più distanza
possibile tra
lui e loro, sibilando un'imprecazione tra i denti. Si accorse con
orrore che anche Isabel era ferita, nello stesso braccio, nello
stesso punto, con lo stesso identico squarcio.
Raphael
si affannò, cedendo alla paura. Per un istante gli
sembrò di essere
di nuovo solo, divorato dal terrore che lui potesse farle del male,
per colpa sua. Ma, d'un tratto, percepì di nuovo quel calore
avvolgerlo, come se lei lo stesse abbracciando, e la calma
rassicurante di Isabel, che gli comunicava di stare tranquillo.
Prese
un grosso respiro, in sincrono con lei.
Gregor
stava proprio cercando di spaventarli, gli fece capire Isabel, per
far sì che sbagliassero e mostrassero il fianco e loro non
dovevano
permetterlo.
Però
non era così semplice.
Pur
con l'energia di Isabel, era sempre più difficile riuscire a
stare
al suo passo, parare in tempo o scansarsi prima che entrambi
potessero essere feriti.
C'era
solo da sperare che Gregor finisse l'energia magica prima che loro
due si stancassero.
Leo
si tuffò contro il golem che lo puntava, più
veloce di quanto fosse
mai stato. La pietra sul torace della creatura brillò di
verde, con
un flebile ronzio, mirata contro la sua testa: la Katana trafisse il
cristallo, infilzandosi fino all'elsa; la luce scemò, il
golem tremò
con un rombo cupo e scoppiò in centinaia di frammenti.
Il
leader rimase fermo, nemmeno minimamente scalfito dai detriti, che
sembravano non colpirlo, con un sorriso compiaciuto.
“Uhu,
è una favola!” sentì dire a Mikey, che
saettò in quel momento
alla sua destra. Lo osservò sfrecciare così
velocemente da essere
praticamente una macchia confusa di verde, nero e un poco arancio,
con le braccia al cielo mentre esultava.
Il
suo fratellino se la rideva della grossa, euforico. Forse fu
contagiato da quell'allegria o forse era quel tepore che gli scaldava
in petto, che lo rendeva sfrontato e spavaldo, ma si unì
alla risata
di Mikey, gettandosi contro il successivo opponente.
Don
aveva appena trapassato da parte a parte un golem, che gli esplose
addosso, ma anche lui, come Leo, rimase indifferente ai frammenti che
volavano da ogni parte senza ferirlo.
Nella
sua mente analitica e scientifica, tutto quello che stava succedendo
non aveva senso. Il fatto che la loro velocità, la loro
forza e la
loro resistenza fosse aumentata a dismisura, che fossero praticamente
invulnerabili, e anche temerari per riflesso, non aveva spiegazione
razionale. Così come quella sensazione di potere che sentiva
bruciargli nel petto, che strideva con tutte le sue spiegazioni
precise e materiali e che pure era vera e tangibile e gli dava
incomparabili poteri.
Anche
il fatto che Raphael fosse letteralmente ritornato in vita non aveva
senso, perché sapeva che era morto, che i suoi organi
avevano smesso
di funzionare, che aveva perso quasi tutto il suo sangue, che il suo
cervello non aveva più ricevuto ossigeno per quasi dieci
minuti.
Sapeva che era clinicamente e irrimediabilmente morto. Eppure era
lì,
a qualche metro da loro, che combatteva rivestito di luce, con tutta
la sua foga.
E
in quel momento ringraziò davvero, con tutto il suo cuore,
quella
misteriosa energia che lo aveva riportato in vita, anche se non la
capiva, anche se non era spiegabile e non la voleva in effetti
spiegare: gli stava bene l'idea di una forza sovrannaturale, se era
riuscita a compiere un vero e proprio miracolo, ridandogli suo
fratello.
Anche
Mikey, Leo e il sensei erano pervasi da quelle sensazioni.
Il
piccolo Hamato non rideva solo per l'euforia che il potere di Isabel
gli aveva trasmesso, ma anche e soprattutto perché il suo
fratellone
era vivo. Vivo. Fino a qualche istante prima era adagiato al suolo,
immobile e senza vita, morto; non avrebbe mai creduto di sentire
quella disperazione nel petto, alla vista di un suo familiare caduto.
Sì, aveva sempre pensato a come avrebbe potuto sentirsi al
pensiero
di non averli più con sé, ma viverlo davvero era
tutta un'altra
cosa: quell'angoscia di vivere, come se tutto il buono e il giusto e
il senso di stare ancora in vita fossero scomparsi, sostituiti da un
atroce dolore, pena, sofferenza, che mai avrebbe creduto potesse
essere reale. Nemmeno quando era stato affettato o bastonato a morte
o picchiato durante le sue innumerevoli ronde si era mai sentito
così
male.
E
non voleva mai più sentircisi. Correva ovunque con una
velocità
prodigiosa, per far fuori più nemici possibili, per
proteggere la
sua famiglia.
Colpì
la pietra del golem con un colpo di Nunchaku, infrangendola in
centinaia di schegge verdognole e le osservò con un sorriso
cadere
fino al terreno, sulla pozzanghera che rifletteva la luce gialla che
emanava il suo corpo, soddisfatto.
Michelangelo
avrebbe dato ogni briciola di energia e forza per proteggere i suoi
cari.
Raph
scansò un attacco appena in tempo e le lame di Gregor
andarono a
scontrarsi contro l'albero alla sua destra: il tronco venne tranciato
di netto, nonostante fosse spesso e largo come un armadio a due ante,
e cadde al suolo con un tonfo poderoso e spruzzi d'acqua.
Sia
lui che Isabel furono grati di non essere stati al suo posto.
Non
che fossero fuori pericolo. Gregor attaccava implacabilmente, senza
quasi riprendere fiato e tutta l'energia andava esaurendosi: le
parate di Raph erano più fiacche, così come le
sue manovre evasive,
sempre più lente e portate a buon fine per miracolo.
A
breve sarebbe finito tutto. E male per loro.
Anche
Gregor sembrava essersi accorto del suo respiro sempre più
pesante e
dell'aria di fatica che gli stravolgeva il viso, perché
rideva nella
sua direzione, con gli occhi che brillavano di vittoria.
Raph
passò un braccio sulla fronte, asciugando le gocce di
pioggia che
finivano negli occhi, rischiando di accecarlo.
“Siamo
nei guai” comunicò a Isabel col
pensiero, preoccupato. Lei
rise, nella sua testa, un suono sottile e delicato, che lo
rincuorò.
“Abbi
fede in noi, Raffaello.”
La
pioggia si interruppe di colpo. Di netto. Un secondo prima cadeva
come un muro fitto e impenetrabile, un secondo dopo l'aria era
immobile e asciutta, chiara. Rimanevano solo le pozze a testimoniare
il veloce diluvio che si era abbattuto.
Raph
sapeva che era stata lei. Lo sentiva.
La
luce che avvolgeva la donna crebbe di intensità, come un
sole
apparso all'improvviso nel cuore della notte, rischiarando
l'oscurità. Gli uccelli che dormivano sui rami degli alberi
si
alzarono in volo con stridii infastiditi e tutti loro furono
costretti a chiudere gli occhi, abbagliati fino a bruciare.
Isabel
era ormai pura luce.
Percepì
le sue braccia ritornare ad avvolgerlo, dalle spalle, in un nuovo
abbraccio.
E
la connessione non divenne solo mentale: le mani di lei penetrarono
sotto la sua pelle, il corpo di luce si fuse col suo, Isabel
scomparve, assorbita; la sua luce però, non si
eclissò, ma scemò
solo di intensità: avvolse il corpo di Raphael, formando
un'armatura
splendente, da capo a piedi.
Si
osservò, sorpreso e sconvolto: i bracciali, i gambali e la
corazza,
lucenti e potenti.
Isabel
non era materialmente lì con lui, ma c'era ancora, a livello
di
energia e ciò che lo rivestiva era proprio lei.
Gli
stava dando potere, forza, velocità, vigore e protezione.
“Niente
si crea, niente si distrugge. Tutto si trasforma.”
Quel
pensiero si formò nella sua mente e benché non
l'avesse mai
studiato, e non sapesse cosa volesse dire prima di qualche istante
prima, in quel momento aveva senso.
Gregor
lo stava osservando, livido di rabbia, qualche metro più in
là. Lo
vide stringere con forza le mani sull'elsa delle spade, serrando la
mascella.
Si
gettò contro di lui.
Il
loro scontro si svolse ad una velocità tale, che i pochi
testimoni,
ovvero i suoi fratelli e i sensei, non riuscirono a seguirlo, nemmeno
sforzandosi, e mai negli anni a venire, riuscirono a spiegare
esattamente cosa accadde.
Solo
un confuso susseguirsi di luci e ombre, dicevano. Solo rumori di una
battaglia che non potevano vedere, riportavano.
Gregor
cedeva secondo dopo secondo alla fatica, mentre la nuova connessione
simbiotica con Isabel era perfetta ed energizzante.
Il
primo colpo che riuscì a dare al mago fu un pugno in pieno
stomaco.
L'uomo si piegò dal dolore con un suono gutturale, facendo
cadere
una delle spade al suolo, che Raph si premunì di calciare
lontano.
Poi però parò l'attacco dei suoi Sai, con la lama
rimasta, cercando
di indietreggiare per riprendere fiato.
“Non
devi dargli tregua, sta cedendo” sentì
dire ad Isabel.
Sorrise, in risposta.
Il
volto di Gregor era sempre più pallido e tirato e il suo
respiro
breve e sofferto. I suoi movimenti non sembravano più
così veloci e
i suoi colpi avevano perso potenza.
Raph
lo colpì al fianco con un calcio di taglio, fiaccandolo
ancora.
Gregor gli ringhiò contro, furioso e tutt'altro che
arrendevole.
Non
avrebbe perso. Non poteva perdere contro quella lurida mezza strega e
il suo schifoso mostro. Li avrebbe uccisi. Anche a costo di
giocarcisi la vita.
Si
tuffò contro il suo avversario, in un gesto disperato.
Raph
alzò i Sai, attento, ma l'uomo gettò al suolo la
spada, mentre
correva, e spalancò le braccia. Lo abbrancò,
stringendolo con foga
sul collo, agganciando le braccia una all'altra per impedirgli di
sfuggire.
“Cosa...
lasciami andare!” strillò Raph sorpreso e
disgustato, provando a
divincolarsi.
“Niente
si crea, niente si distrugge. Tutto si trasforma. Non è
vero,
piccola Isabel?” ridacchiò l'uomo iniziando a
brillare.
“Vuole
farsi esplodere. Ma non avere paura, ti proteggerò”
lo avvisò
lei, nella mente.
“Oh,
lo so che ti sta dicendo di non preoccuparti, mostro... ma è
facile
da dire da una che è già morta. Nessuno
sopravvive ad una magia
della simbiosi dopo aver effettuato un incantesimo del sacrificio
interrotto... la piccola, dolce Isabel non vivrà a lungo
dopo
essersi staccata da te. E tu perirai adesso” urlò
il mago fuori di
sé, mentre il suo corpo splendeva più e
più forte, emanando un
calore soffocante.
“Isabel...
cosa... ha detto la verità?”
“Non
lo ascoltare, Raffaello. Abbiamo poco tempo. Fai allontanare la tua
famiglia adesso.”
“Isabel,
tu non...”
“Ti
prego. Non c'è tempo.”
“Sensei,
andate via! Sta per esplodere!” gridò nella notte
luminosa,
sperando che lo sentissero.
“Allora,
quando te lo dirò, colpiscilo con tutta la tua forza.
Attaccheremo
assieme.”
“Tu
non morirai, vero, Isabel?”
Non
ottenne risposta.
Nel
momento in cui il bagliore si fece più intenso,
caricò il braccio
all'indietro, con tutta la potenza.
“Adesso!”
Non
seppe mai se lo colpì o no.
Ci
fu una violenta, tremenda esplosione. Volò per quello che
gli parve
un secolo, con le orecchie che fischiavano e nessuna sensazione del
proprio corpo: né calore, né freddo o dolore.
Sbatté
contro qualcosa e finì a terra, immobile.
“...ael,
...aphael” sentì chiamare con urgenza e
preoccupazione, da
lontano.
Cercò
di muoversi, ma si accorse di non potere. Forse era morto e tutto
ciò
che gli rimaneva era una sorta di coscienza spirituale, per ripensare
alla sua vita.
Non
era accaduto lo stesso anche prima? Quando si era accasciato al suolo
in un lago di sangue, non si era di colpo sentito catapultato al di
fuori del suo corpo? Non aveva visto la sua famiglia disperarsi,
Mikey gettarsi ad abbracciarlo incredulo e sconvolto, per poi
attaccare Gregor? Non aveva visto Isabel lottare con forza per
liberarsi e correre verso di lui una volta che ci fu riuscita e
baciarlo?
O
si era immaginato ogni cosa? O era solo stata una allucinazione post
mortem?
E
in quel momento cos'era? Uno spirito? Era morto di nuovo, per la
seconda volta nella stessa notte?
“Raphael!”
Di
colpo, sentì di nuovo piena coscienza di sé.
Spalancò gli occhi,
mentre sentiva ogni arto, ogni muscolo e ogni nervo riconnettersi con
la sua mente.
Sopra
la sua testa, stagliati contro il cielo oscuro c'erano Don, Leo, il
sensei e Mikey. Sorridevano tutti, rincuorati, l'ultimo un po'
commosso. Non erano più attorniati dalla luminescenza di
prima e
tutti loro sembravano illesi e salvi.
“Grazie
al cielo, figliolo. Eravamo convinti di averti perso ancora”
mormorò suo padre, sollevato.
Raph
si sentiva incredibilmente bene, ma un po' rigido e legato nei
movimenti.
“Cosa...”
Un
peso sul torace gli fece sollevare lentamente la testa, con un
mugolio: la testa bruna di Isabel apparve nel suo campo visivo.
“Isabel!”
strillò, allungando le braccia e tirandosi su, ignorando le
fitte di
dolore in ogni parte del corpo.
Non
fece caso al parco distrutto tutto intorno, agli alberi divelti e
spezzati, ai lampioni accasciati al suolo e all'enorme voragine che
straziava il terreno a qualche metro da loro: abbracciò la
ragazza
svenuta tra le sue braccia, con paura e premura, continuando a
chiamare il suo nome. Era arrendevole e fredda, di un pallore
allarmante.
Don
si inchinò e puntò un dito al collo di lei. La
sua espressione tesa
e cupa non gli piacque per nulla.
“Raph,
sta... morendo” sussurrò, dolorosamente.
“Aiutala,
Donnie!” supplicò.
L'altro
scosse la testa, tristemente, stringendo le mani di rabbia di fronte
alla propria impotenza.
“Non
posso, mi dispiace.”
No.
Non era vero.
La
strinse più forte, continuando a chiamarla ancora. Isabel.
Isabel.
Isabel. Come una litania, mentre diventata sempre più fredda
e
sempre più rigida.
Scostò
quella ciocca di capelli da davanti il suo viso, stringendolo contro
il petto.
Perché?
Non
poteva perderla. Lei era tutto. Era sempre stata tutto. E nonostante
l'amasse, non riusciva a fare niente per lei. Non poteva nemmeno
guarirla, mentre lei era riuscita a riportarlo in vita.
Si
rese conto con orrore di aver appena ammesso di amarla. E nello
stesso istante in cui l'aveva finalmente capito, la stava perdendo.
“Per
favore, non puoi morire” esalò, poggiando le
labbra in piccoli e
strazianti baci tra i suoi capelli.
Una
mano si poggiò sulla sua spalla, delicata e ferma.
“Raphael”
sentì chiamare il maestro, con dolcezza.
Ma
non si mosse al suono della voce paterna. Non voleva sentire le sue
massime sulla morte, non voleva sentire parole vane sul fatto che
tutti prima o poi se ne andavano, che la vita era effimera.
Non
voleva sentire nulla se non era un modo per salvare Isabel.
“Raphael,
alza il capo, per favore” lo richiamò, con un po'
più di
fermezza.
Chiuse
gli occhi, ignorandolo. Ignorando tutti loro. La vita di Isabel si
allontanava secondo dopo secondo e lui era patetico e inutile e non
poteva evitarlo.
“Raphael,
ascolta” supplicò Splinter, con un tono urgente
che poche volte
gli aveva sentito, prima di quel momento.
Aprì
gli occhi e incontrò il suo sguardo. Il suo saggio padre lo
osservava bonario, con le sopracciglia incurvate dalla pena e dal
dolore.
“Prova
con questa, figliolo. E preghiamo perché funzioni”
gli disse,
tendendogli la mano.
Sul
palmo splendeva una piccola scheggia azzurra, l'ultimo frammento
della pietra della luna di cristallo, quello che lei gli aveva dato
dopo aver rimesso a posto il rifugio. Ma dannazione, era
rimpicciolito, era diventato microscopico, un nulla infinitesimale.
Lo
prese con dita tremanti, chiedendosi se davvero una cosa
così
minuscola, tanto da essere pressoché invisibile nella sua
mano,
potesse davvero compiere il miracolo.
La
avvicinò ad Isabel, pregando tutti gli dei, di tutte le
religioni,
di tutti i mondi, gli universi e le galassie, anche se non aveva mai
creduto in loro, anche se fino a che non era entrato in simbiosi con
lei aveva sempre disprezzato l'idea di forze maggiori e
sovrannaturali che governavano le vite e il mondo; in quel momento li
pregò con forza, che la salvassero.
Toccò
la sua pelle nell'incavo della gola, con la punta della scheggia,
titubante. Si illuminò debolmente di azzurro, a scatti,
quasi come
se l'energia stesse finendo.
“Andiamo,
ti prego.”
La
pietra degli amanti al collo di Isabel si accese, di viola intenso,
seguendo il pulsare a singhiozzo del frammento; anche la sua
splendette, all'improvviso.
Un
lieve sibilo si diffuse nell'aria, flebile, mentre la luce della
pietra degli Y'Lyntian cresceva di intensità: la
osservò fondersi
con la pelle di Isabel, fino a sparire del tutto nel suo corpo.
Poi
rimase immobile. In attesa, senza muovere un muscolo o emettere un
fiato, teso e spaventato, contando i secondi nella sua testa con
strazio. Ma il battito del suo cuore era così accelerato da
confonderlo, facendogli perdere il conto, e quella che
sembrò un'ora
poteva benissimo essere un solo secondo. Il tempo non aveva senso, ma
era di certo maledettamente lungo.
Un
lieve mugolio. Un lieve tremore di ciglia. Un respiro un po'
più
profondo.
Isabel
aprì lentamente gli occhi, fissandoli nei suoi, confusa,
spaesata,
ma viva.
Gli
sorrise.
Le
grida di giubilo della sua famiglia riempirono l'aria, ma lui non le
sentì: era troppo occupato a stringerla con tutta la sua
forza,
senza preoccuparsi che lei potesse sentire il tremore del suo corpo.
“Sei
una dannata idiota” sussurrò al suo orecchio.
“Una dannata,
stupidissima idiota.”
La
sentì ridacchiare tenuemente nel suo abbraccio.
Poi
le mani si posarono sul suo torace e lei fece forza per scostarsi.
“Cos'è
successo? Che ne è di Gregor?” domandò
allarmata, voltando il
capo di qua e di là.
Leo
puntò un dito verso un punto lontano e indistinto, al di
là della
voragine.
“È
stato sbalzato via ed è atterrato laggiù. Non si
è più mosso, ma
non sappiamo se sia morto o no” rispose in fretta, mentre
lei,
rimessasi in piedi con un solo balzo, correva via.
La
seguirono tutti, preoccupati. Costeggiarono il cratere e le corsero
dietro.
La
ragazza si fermò a pochi passi dall'uomo riverso a terra, in
una
posa scomposta e disarticolata.
“È
morto?” chiese Mikey, esitante.
“Non
ancora” replicò Isabel, afferrando uno dei Sai dal
fianco.
Si
avvicinò, seria e concentrata, poi si chinò su
Gregor, mirando la
punta dell'arma alla sua gola, pronta a trafiggerla da parte a parte.
Respirò
a fondo, sollevando appena il braccio.
“Non
farlo” la fermò Raphael, bloccando la sua mano.
Isabel tremava, a
dispetto dello sguardo fermo che mostrava.
“Devo.
Non avrei mai pace, altrimenti. Né io, né tu. E
nessuno più di lui
merita la morte.”
Non
capiva perché lui volesse fermarla. Era stato ucciso da quel
bastardo, mentre se la rideva della grossa, senza nessuna
pietà.
Un
po' più di determinazione corse nel suo corpo.
“Sì,
hai ragione. Ma non voglio che tu diventi un'assassina, Isabel. Sai
curare, sai riportare in vita con quelle mani. Non voglio che le
macchi di sangue, non sono fatte per strappare via una vita.”
“Lo
farò io per te” aggiunse il ninja, con tono di
voce calma.
Aveva
già ucciso in passato, non ricordava nemmeno quante volte,
per
necessità. Lo avrebbe fatto volentieri al suo posto, per
uccidere
l'uomo che le aveva rovinato l'esistenza, che aveva ucciso i suoi
genitori, che l'aveva braccata come un animale per anni, che l'aveva
torturata senza pietà.
Isabel
sollevò lo sguardo, sorpresa dalle sue parole.
Il
solito, iperprotettivo Raffaello.
Voleva
farsi carico della morte di Gregor, per evitare che fosse lei a
sopportarne il peso. Ma non poteva lasciarglielo fare. Doveva essere
lei a porre fine alla sua vita, per chiudere il cerchio.
“Non
puoi portare tutti i pesi per me, Raffaello.”
Spostò
lo sguardo nuovamente verso l'uomo a terra, senza aggiungere altro,
ma la mano di Raph non si staccò dalla sua.
“Allora
sopportiamolo assieme.”
Sorrise
alla proposta, sussurrata perché gli altri non li
sentissero. Poi si
sentì in colpa: sorridere prima di uccidere un uomo?
La
sua mano tremava, ma quella di Raph sosteneva entrambi.
Si
sollevarono, prendendo la mira. E poi vide quel bagliore.
“Aspetta!”
urlò con urgenza, frenando il colpo.
Raphael
sapeva che lei non se la sentiva, era esitante, ma fu sorpreso dalla
richiesta inaspettata.
La
vide portare una mano verso il collo dell'uomo e le sue dita
agganciarsi al ciondolo che spuntava parzialmente dal colletto: lo
tirò fuori, scoprendo un monile quadrato, piccolo pochi
centimetri,
con ghirigori e disegni impressi in oro. Isabel lo strinse nella
mano, poi lo strappò via dal collo di Gregor, con una rabbia
incomprensibile per loro.
“Questo!
Lo aveva per tutto questo tempo. Lo ha sempre avuto lui!”
strillò
fuori di sé, alzandosi di scatto.
“Cos'è?”
domandò Don, che non aveva avuto modo di vederlo. I tre
fratelli e
il maestro si erano spostati intorno al corpo di Gregor, attirati
dall'inusuale comportamento di Isabel.
Lei
stava studiando il monile, con uno sguardo pieno di tristezza e
dolore.
“Era
di mio padre. È un amuleto magico, antico e sacro. Permette
a chi lo
possiede di essere immune a qualsiasi tipo di magia. E se lo aveva
lui, forse...”
Sollevò
l'altra mano, titubante, puntata contro l'uomo a terra; prese un
profondo respiro e la chiuse a pugno, concentrata. Il corpo di Gregor
si sollevò dal suolo e venne inglobato in una sfera rossa,
formata
da milioni di raggi sottili che si intersecavano uno con l'altro,
come sbarre di luce.
Isabel
abbassò il braccio, incredula.
“Non
era affatto immune alla mia magia. Per tutto questo tempo era solo
protetto da un amuleto! Rubato a mio padre!”
strillò, arrabbiata
per essere stata costretta a scappare per tutto quel tempo, quando
quell'uomo non aveva mai avuto alcun potere per contrastarla.
“Allora
non vuoi ucciderlo?” domandò Raphael,
occhieggiando stranito la
piccola bolla, al cui interno poteva vedere ancora l'uomo svenuto.
“No.
Non può farmi più nulla. Non devo più
temere nulla da lui”
esclamò sollevata, grata di aver scoperto finalmente la
verità.
Mikey
e gli altri esultarono e Isabel sentì di essere quasi
sull'orlo
delle lacrime, dalla gioia. Si passò una mano sugli occhi,
per dare
il tempo alle lacrime che cercavano di scendere di venire
riassorbite. Era tutto finito. Un decennio di paura e angoscia, che
finalmente trovava la sua fine. Non riusciva a crederci. Non poteva
ancora capire appieno cosa significasse.
“Allora
sei libera di rimanere con noi?” sentì dire a Don.
Gli occhi le
pizzicarono più forte, ma invece di piangere, sorrise.
“Vorrei.
Ma la verità è che non posso” rispose,
tornando a guardarli,
sebbene le facesse male perché i loro volti tristi e
sconvolti la
colpirono.
Si
affrettò a spiegarsi.
“Devo
portare Gregor al concilio. Devo spiegare cosa ha fatto, testimoniare
contro di lui coi miei ricordi, perché sia finalmente
punito. Devo
riscattare il nome di mio padre e di mia madre davanti a quei maghi
che ne hanno avuto una visione distorta per anni. E poi, devo
aiutarli a riprendere la magia del regno, se posso.”
“Allora...
non ti vedremo mai più? Salirai al trono, diventerai una
regina?”
domandò Mikey, con una vocina triste.
Rimase
in silenzio. Era così difficile. Uccidere Gregor sarebbe
stato molto
più veloce e semplice, ma anche più sbagliato.
Eppure la scelta
giusta l'avrebbe portata via da loro, forse per sempre.
“Non
lo so. Non so cosa farò d'ora in poi. Ma so che non avete
alcun
bisogno di me.”
Si
avvicinò ad ognuno di loro e scoccò un bacio
sulle loro guance, con
affetto.
“Grazie,
Leo.”
“Mi
mancherai, Don.”
“Sempre
in gamba, Mikey.”
Piegò
la testa con deferenza verso il sensei, poi gli consegnò il
ciondolo
di suo padre.
“Non
posso accettarlo. Era di tuo padre, è un potente
amuleto...”
“E
so che sarebbe fiero di sapere che l'ho consegnato al più
meritevole
degli uomini, il padre migliore che abbia mai conosciuto. Sono sicura
che sarà più utile a voi che a me.”
Splinter
inchinò il capo rispettosamente.
“Sarei
felice di prenderti come discepola, se mai decidessi di tornare,
amandoti come una figlia” le mormorò, con un filo
di voce che solo
lei udì. La vide annuire commossa, stringendo le labbra per
non
piangere.
“Grazie,
sensei. Le giuro che ci rifletterò.”
E
poi si voltò per parlare con Raphael. Per ultimo,
perché era il
discorso più importante. Ma non c'era. Scorse la sua figura,
ritta e
vigile sotto i rami di un albero.
Si
incamminò lentamente, riconoscendo passo dopo passo la
familiare
figura, con la sua corteccia pallida e liscia.
Tra
le sue radici era spuntata una pianta di settembrini dall'intenso
colore giallo, rigogliosa e splendida. Occhieggiò con
commozione e
dolore la tomba di Shadow, ricolma di fiori.
“Pensavo
che volessi venire a salutarlo” disse Raphael quando lei gli
si
fermò accanto. Entrambi tenevano gli occhi verso il basso.
“Sei
stato tu a piantarli?” domandò tesa, mentre la
mente vagava a
quella notte di un anno e mezzo prima in cui il piccolo micio aveva
perso la vita. Il primo essere che si era permessa di amare e lo
aveva perso, per colpa di Gregor.
Lui
scosse la testa.
Erano
spuntati per caso, forse da semi portati dal vento; quello era il
secondo anno che fiorivano.
Isabel
si chinò sulla tomba, parlando a voce bassa in quella lingua
che non
capiva. Ma sapeva comunque cosa stava dicendo. Stava salutando il suo
micio con affetto e tristezza, raccontandogli tutto ciò che
era
successo.
Rimase
immobile accanto a lei, in silenzio, finché Isabel non si
tirò su,
passando una manica con distrazione sopra gli occhi umidi.
Poi
si voltò a guardarlo.
Doveva
salutarlo; sapeva che lui aveva sentito l'addio ai suoi fratelli. Ma
l'angoscia nel suo petto non voleva saperne di lasciare la sua morsa
e permetterle di parlare normalmente.
“Ti
sei messo la collana” constatò con voce
stranamente atona e
affettata.
“Per
sapere se eri in pericolo” rispose lui, con un tono
pateticamente
assurdo quanto il suo.
“Grazie.
Ma è meglio che io te la tolga, ora, o sarai costretto a
portarla
per sempre” mormorò, avvicinandosi di un passo e
allungando le
braccia. Le mani di lui bloccarono il suo gesto, afferrandola per i
polsi.
“Voglio
tenerla. Per essere sempre sicuro che tu stia bene.”
La
attirò verso di sé e l'abbracciò,
così dolcemente eppure con
forza, che si ritrovò ancorata al suo corpo senza sapere
come;
voleva solo che non finisse mai, voleva solo che fosse eterno.
“Rimani
con me. E cancellerò ogni secondo degli ultimi due anni
passati a
odiare ogni tuo ricordo, il mio stesso riflesso nello specchio. Ogni
volta in cui ho maledetto il momento in cui ti ho incontrata, quel
settembre sotto la pioggia.”
La
sentì tremare tra le sue braccia.
“Mi
dispiace di averti ferito. Mi dispiace di averti allontanato, quando
l'unica cosa che volevo era starti accanto. Mi dispiace dover andare
adesso, proprio quando ti ho ritrovato” scoppiò a
piangere Isabel,
bagnandogli il collo di lacrime.
Lo
strinse più forte, quasi volesse fondersi col suo corpo per
non
doverlo lasciare mai più.
“Non
voglio che te ne vada” le sussurrò Raph
all'orecchio, incapace di
lasciarla andare, rendendosi conto solo in quell'istante quanto
davvero l'amasse, quanto l'avesse sempre fatto, a dispetto della
rabbia che diceva di provare.
In
cuor suo aveva sempre atteso il suo ritorno.
“Devo
andare. E non posso chiederti di aspettarmi, Raffaello. Non so se
tornerò, e se fosse, potrebbe essere tra un mese come tra
dieci
anni.”
“È
un addio, allora?”
E
si sentì morire mentre lei si staccava, per l'ultima
volta.
Perché non aveva saputo amarla come avrebbe dovuto, come lei
meritava; e non aveva goduto del tempo che avevano passato assieme,
allora troppo preso dalla rabbia o da pensieri che gli avevano
impedito di vederla per come realmente era: la donna più
meravigliosa mai incontrata. Non avrebbe mai più potuto
amare
nessun'altra.
Isabel
si allontanò e passò le mani sugli occhi, per
asciugare le lacrime
che erano rimaste impigliate alle ciglia. Con un gesto morbido gli
sfilò la maschera, per poterlo guardare davvero negli occhi.
Raph
abbassò il viso, perché lei non vedesse che aveva
pianto. La mano
di Isabel si poggiò con garbo sotto il suo mento, sollevando
la sua
testa; incontrò il suo sguardo, a pochi centimetri dal suo.
“No.
Ho sempre detto addio agli amici da cui mi son separata, non lo
dirò
all'uomo che amo.”
Lo
baciò, trasmettendo in quel contatto di labbra tutto
ciò che
avrebbe voluto dire, ma che non riusciva a esprimere a parole. Poi si
allontanò, lentamente, scivolando all'indietro.
La
vide prendere i suoi Sai e la sfera rossa che galleggiava pigramente
nella notte, leggiadra, e poi guardarlo, come mai era stato guardato
in vita sua.
Poi
lei sparì, fulminea come era apparsa nella sua vita,
stravolgendola
e rivoltandola. Portò una mano al petto, sulla bruciatura
delle sue
mani, marchio indelebile sul suo cuore.
“Quindi
la regola numero uno è definitivamente tolta? Le umane non
sono più
off limits?” sentì chiedere a Mikey alle sue
spalle, anche lui con
lo sguardo verso il punto in cui Isabel era scomparsa.
“Se
riesci a trovarne una abbastanza pazza da innamorarsi di te”
rispose tranquillamente Raphael, allarmando i suoi fratelli con la
sua insolita calma.
“Allora,
chi vuole correre fino a che non sorge l'alba?”
domandò,
sconvolgendoli ancora di più. Poi si gettò in una
corsa mozzafiato,
seguito quasi all'istante dai suoi fratelli, sotto lo sguardo bonario
del suo sensei.
Non
importava se lei era distante, questa volta: sapeva di essere amato.
Ed era una sorta di miracolo, per lui. Qualcosa che nessuno avrebbe
mai potuto predire, ma che era accaduta, contro tutti i pronostici.
Corse
nella notte, e per quella dopo, e per quella dopo ancora,
pattugliando le strade coi suoi fratelli, come sempre. Ma era nuovo,
era diverso.
E
prima di dormire, sentiva sempre riecheggiare nella sua mente quella
voce, familiare, dolce.
“Raffaello”
sospirava tra i suoi sogni, lontana, eppure vicina al cuore,
strappandogli un sorriso.
Note:
Salve
a tutti, per l'ultima volta.
L'ultimo
capitolo doveva essere il più lungo, non trovate? Bisogna
dire così
tante cose.
E
anche io ne ho tante, ma che poi in effetti è una sola:
grazie.
Grazie
a chi ha seguito la storia fin dall'inizio, con curiosità e
attenzione, grazie a chi a commentato, con un sacco di entusiasmo che
mi ha spronato e lusingato, grazie anche a chi ha letto in silenzio e
a chi ha trovato il coraggio anche solo di mandarmi una semplice
frase, la prima recensione mai fatta, superando l'imbarazzo.
Grazie
a chi ha messo la storia nelle seguite, nelle ricordate e addirittura
nelle preferite. Uno stragrazie a chi ha messo me negli autori
preferiti.
Grazie
a chi ha scambiato con me interessanti conversazioni e scambi di idee
via MP, su questo troppo sottovalutato fandom.
Ma
soprattutto grazie per aver amato questa storia con lo stesso amore
che ci ho messo io a a scriverla. Mi fa così piacere e per
me, per
tutto questo tempo, è stato come se la stessi raccontando ad
un
gruppo di amici, riuniti attorno ad un falò in una notte
stellata.
Si
dice che una storia viva solo grazie alle persone che la leggono.
Perciò grazie di averla resa viva, questa mia piccola
creatura.
Vi
mando un abbraccio affettuoso e sincero e un inchino di rispetto.
Switch
P.s.:
nel momento in cui posto l'ultimo capitolo il primo mi segnala 950
visualizzazioni... wow. Non so se sono tante, qualcuno potrebbe anche
pensare che siano una bazzecola, ma io lo trovo meraviglioso!
*_______________________*
alla fine ho deciso di pubblicare anche il sequel di questa storia: "Just the way you are".
Se vi va di continuare questa serie, siete i benvenuti!
A presto
Mega abbraccio!