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Autore: EffieSamadhi    23/05/2014    3 recensioni
Penso a Linda, che a quest'ora si è sicuramente svegliata e ha letto il mio biglietto, e penso a nostra figlia, che tra poco si sveglierà reclamando la colazione, e poi ogni pensiero finisce spazzato via dal ricordo di due grandi occhi azzurri e di un paio di piedi freddi che non sopportavo, ma che in questo momento vorrei indietro ad ogni costo.
Perdere una persona amata è difficile, ma superare la perdita diventa impossibile quando ci si ritiene responsabili di quanto successo. Lucas ha tentato di andare avanti dopo la morte di Maureen, ma il senso di colpa non gli dà pace, divorandolo dall'interno. Per superarlo, Lucas sa che esiste soltanto un modo: affrontare le proprie paure, e presentarsi alle persone che più la amavano.
{One-shot che non avrà seguito - si tratta, in realtà, di un progetto più ampio. Vedetela così: potete leggere e lasciare un commento, oppure ignorarla del tutto, e a quel punto capirò che è meglio lasciar perdere.}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Maureen
Di cosa siamo capaci, pensò.
Crescere, amare, fare figli, invecchiare –
e tutto questo mentre anche siamo altrove,
nel tempo lungo di una risposta non arrivata,
o di un gesto non finito. Quanti sentieri,
e a che passo differente li risaliamo,
in quello che sembra un unico viaggio.
{Alessandro Baricco | Mr. Gwyn}





Point Pleasant, New Jersey

    Di una cosa sono sempre stato certo: non so dimenticare in fretta quanto la maggior parte del resto del mondo. Le persone dimenticano sempre i dettagli che arricchiscono le loro esistenze, per quanto importanti e vitali possano sembrare ad un primo sguardo. È inevitabile: i ricordi si fanno via via più vaghi, i dettagli sfumano, e nessun uomo può ricordare con certezza, a distanza di anni, quale tipo di scarpe indossasse la moglie la sera del loro primo appuntamento.
    Vorrei somigliare alla maggior parte degli uomini, e stare sdraiato accanto a mia moglie senza ripensare ad una notte come questa, solo più calda e con meno comodità, e alla donna che se ne stava distesa accanto a me a quel tempo, profondamente immersa nel sonno e con i piedi freddi che cercavano costantemente un po' di tepore tra i miei polpacci. Come allora, non riesco a prendere sonno e me ne sto con gli occhi spalancati a fissare l'altro lato del letto, voltandomi di tanto in tanto per guardare la sveglia e stupirmi di quanto poco tempo intercorra tra un'occhiata e l'altra. Quando il display arriva a segnare l'una e cinquantotto, mi arrendo all'idea che passerò un'altra notte in bianco – l'ennesima, da quando sono tornato dalla Colombia.
    Lascio la stanza senza fare rumore, controllo che la bambina dorma tranquilla e scendo in salotto, curandomi di saltare il penultimo scalino, quello che scricchiola. Accendo una lampada e frugo nell'ultimo scaffale in basso a sinistra, sicuro che quello che sto cercando si trovi lì. Non riesco ad impedirmi di trattenere il fiato quando le mie dita incontrano la familiare forma dell'album: è come se il mio cuore anticipasse l'emozione che proverò nel rivedere quelle fotografie. Non posso dargli torto: ho sfogliato queste pagine così tante volte da averle ormai consumate, tanto da conoscere quasi esattamente l'ordine in cui gli scatti sono disposti. Come sempre mi siedo sul bracciolo del divano, con la raccolta in bilico sulle ginocchia, pronto a metterla via al primo segno di disturbo: Linda sa della mia esperienza in Colombia, ma per qualche ragione non voglio che veda queste foto, o perlomeno non voglio che le guardi insieme a me. Dopo mesi di sedute, il mio analista è giunto alla conclusione che il mio rifiuto di sfogliare questo album insieme a mia moglie rappresenti la mia volontà di mantenere intatto il ricordo di quei mesi, e soprattutto di mantenerlo privato. Non posso non dirmi d'accordo: nessun uomo vorrebbe guardare con la propria moglie una raccolta di fotografie che lo ritraggono come non sarà mai più, ovvero vergognosamente felice, e soprattutto in compagnia del primo grande amore della sua vita.
    Quando giungo alle pagine successive al mio arrivo in Colombia, vorrei che Lara non mi avesse mai spedito questo dannato album. Non ho bisogno delle sue note a margine per ricordare i luoghi in cui siamo stati immortalati, o gli eventi che ci hanno portato a mostrarci sorridenti o accigliati, o i nomi delle persone che stavano accanto a me. Sorrido nel vedere Derek, inconfondibile con i suoi capelli rossi come un tramonto sul Cumbal e i suoi sorrisi incredibilmente contagiosi, e mi è impossibile dimenticare Beau, con la sua espressione sempre un po' accigliata e in apparente conflitto con il mondo. Certamente non ho bisogno di una fotografia per ricordare i grandi occhi azzurri di Maureen, le linee magre e dritte del suo volto, i capelli neri spesso raccolti in uno chignon in precario equilibrio. Mi vedo seduto accanto a lei nella luce quasi paradisiaca di un'alba di settembre, ripreso a tradimento dall'occhio allenato di Lara. Non ho dimenticato nulla di quel mattino: posso ancora sentire l'odore della terra zuppa di pioggia, ricordo le esatte parole pronunciate da Maureen, con un minimo sforzo posso ancora percepire il calore del suo corpo, seduto a meno di quindici centimetri dal mio. Ogni volta ringrazio Lara di essersene andata in tempo, prima che la mia mano salisse a cingere la spalla di Maureen, stringendola forte contro di me, chiedendole di non reprimere la disperazione per la tragedia che avevamo appena dovuto affrontare.
    L'ultima fotografia, come al solito, è quella che mi causa la maggior commozione: siamo seduti uno accanto all'altra, nelle vicinanze di un fuoco da campo, ed entrambi rivolgiamo uno sguardo carico d'amore incondizionato a Esperanza, una neonata molto più forte della maggioranza delle persone che conosco. Non ho notizie di lei da otto mesi, da quando Lara mi ha spedito questo album – le comunicazioni sono difficili, i lunghi silenzi della squadra non mi stupiscono. Calcolo che Esperanza deve avere circa venti mesi: mi chiedo se abbia già iniziato a dire le prime parole, e se il suo spirito sia ancora combattivo come lo ricordavo.
    Chiudo l'album, non senza trovarmi costretto ad asciugarmi qualche lacrima, e in questo momento prendo una delle decisioni più importanti della mia vita. Mi alzo, torno al piano di sopra, agguanto i vestiti e torno in salotto. Mi cambio velocemente, scarabocchio un biglietto per Linda ed esco, portando con me le fotografie. Salgo in auto e lascio il vialetto senza pensare nemmeno per un istante che sono le due e mezzo del mattino, e che ogni uomo normale a quest'ora sta dormendo nel proprio letto.
    Ma c'è una cosa che devo fare, e se non colgo quest'occasione forse non ci riuscirò mai più.





Middlesex, New Jersey

    Quando parcheggio davanti al 1312 di Willow Drive, che costeggia il lago Creighton, sono appena scoccate le quattro. Mi trovo a pregare come non facevo da un sacco di tempo, ma lo faccio per un motivo molto più futile di quelli che inventavo in passato: prego che nessun poliziotto mi affianchi chiedendomi perché mai mi sia appostato in un quartiere così tranquillo a quest'ora del mattino. Non sarebbe difficile da spiegare, ma temo che nessuno crederebbe alla mia versione.
    Mi rilasso contro il sedile, aspettando che faccia giorno, pronto a fingere che l'alba di Middlesex somigli anche solo vagamente a quelle colombiane. Ho con me le fotografie di Maureen, dunque so che l'attesa non sarà così insopportabile.

    Non si vede anima viva fino alle sei e mezza, quando dal fondo della strada spunta un ragazzo in bicicletta – cerata gialla, tracolla d'ordinanza, ottimo equilibrio – che lancia una copia del Washington Post verso il portico di casa Corelli, centrando perfettamente lo zerbino. Alle sette qualcosa inizia a muoversi oltre le pareti sottili: la madre di Maureen esce per prendere il giornale, indossando una vestaglia azzurra sopra un ampio pigiama dall'aria comoda. Impiego quasi un'ora per decidere cosa fare, e quando alle otto meno dieci scendo dall'auto, pronto ad attraversare la strada e dirigermi verso il campanello, la stradina si sta popolando di padri che vanno al lavoro, madri che accompagnano i figli a scuola, anziani che portano a spasso pechinesi dall'arrabbiatura facile.
    Suono e resto in attesa, mentre il vicinato sicuramente si domanda chi sia lo strano uomo che se ne sta in piedi davanti alla porta dei Corelli a quest'ora del mattino. Viene ad aprire il padre di Maureen, un uomo sottile e agile con un paio di baffi severi e l'aria di sapere come funziona il mondo. «Buongiorno» esordisce tranquillamente, quasi come se gli capitasse ogni mattina di trovarsi uno sconosciuto alla porta. «Come posso aiutarla?»
    La sua gentilezza mi spiazza, al punto da impedirmi di preparare una risposta completa e sensata. «Io... un paio d'anni fa sono stato in Colombia, ho... collaborato al progetto di sua figlia Maureen. È stata un'esperienza meravigliosa.»
    «Ne sono lieto, ma se è venuto per ringraziarla, non...»
    «So che non si trova qui, ma... in realtà volevo parlare con lei e con sua moglie, se possibile.» Il padre di Maureen socchiude gli occhi per scrutarmi meglio, come se stesse decidendo se fidarsi di me o no. In fondo non mi conosce, non mi aspetto che mi inviti a entrare e magari mi offra anche da bere. Mentre mi convinco che mi rispedirà a calci nel sedere nel posto da cui arrivo lui mi sorprende, scansandosi per lasciarmi passare.
    Entro in casa quasi a testa bassa, chiedendomi se questa visita ai genitori di Maureen non sia una violazione alla sua intimità; so che è cresciuta in questo villino in periferia, e anche se l'intero quartiere ha subito una pesante opera di ristrutturazione, non fatico ad immaginarla mentre muove i primi passi nel salotto accogliente nel quale sto entrando, o mentre cena con la famiglia attorno al tavolo rettangolare sul quale sua madre sta apparecchiando per la colazione. «Chiedo scusa per l'intrusione» è la sola cosa che riesco a dire, mentre gli occhi vagano qua e là senza sosta, indecisi sul dettaglio su cui fissarsi. «Non volevo disturbare così presto, ma...» Non riesco a finire la frase: la signora Corelli alza lentamente una mano, studiando i miei lineamenti con la medesima attenzione che si presta ad una persona che si è certi di aver già incontrato.
    «Tu sei Lucas» sussurra infine, dopo quello che sembra un tempo infinito. Non c'è la minima traccia di incertezza nella sua voce: è certa di ciò che ha appena detto. «Maureen mi ha parlato di te» aggiunge qualche istante più tardi, forse cercando di giustificarsi nei confronti del marito. «Tu sei Lucas» ripete ancora più decisa, mentre trovo il coraggio di alzare la testa e guardarla negli occhi – castani anziché azzurri, ma incredibilmente simili a quelli di sua figlia. «Diceva sempre che non sarebbe mai riuscita a farti venire fino a qui, diceva... diceva che non ti avremmo mai conosciuto.» All'improvviso mi ritrovo seduto sul divano, le mani strette tra quelle della signora Corelli, che mi guarda come se fossi un antico tesoro appena recuperato dal fondo di un oceano. «Charlie, prendi le foto.» Impiego qualche istante per realizzare che Charlie altri non è che il padre di Maureen, ma capisco subito che l'album comparso sulle mie ginocchia è identico a quello che Lara mi ha spedito otto mesi fa. «Ti aspettavamo prima, a dire il vero. Ormai sono passati quasi due anni.»
    Mi schiarisco la gola, preda di un assurdo imbarazzo. «Non... non riuscivo a trovare il momento giusto, credo. Non è stato facile riprendere i vecchi ritmi.» Ripenso a tutte le cose che ho fatto nell'ultimo anno e mezzo, e mai come in questo istante appaiono ai miei occhi come gli errori più grandi della mia vita: il matrimonio, il nuovo lavoro, la bambina... più guardo indietro e più mi sento in colpa per essere andato avanti tanto in fretta. «Maureen vi ha parlato di me?»
    «Era entusiasta di te» risponde il signor Corelli, spostandosi in cucina per preparare del caffè.
    La signora Corelli mi sorride, continuando ad accarezzarmi le mani. «La sentivamo poco perché le comunicazioni erano difficili, ma durante l'ultima telefonata non ha fatto altro che raccontarci di quanto fosse... felice che tu fossi con loro. Che tu fossi con lei
    Penso a Linda, che a quest'ora si è sicuramente svegliata e ha letto il mio biglietto, e penso a nostra figlia, che tra poco si sveglierà reclamando la colazione, e poi ogni pensiero finisce spazzato via dal ricordo di due grandi occhi azzurri e di un paio di piedi freddi che non sopportavo, ma che in questo momento vorrei indietro ad ogni costo. Sottraggo le mani alle carezze della signora Corelli e me le porto al volto, coprendomi gli occhi. Serro le palpebre, ma questo non mi impedisce di piangere, e la sola cosa cui riesco a pensare è che vorrei morire anch'io: non merito un posto su questa terra – non dopo aver lasciato andare Maureen. «Maureen è morta per colpa mia» sussurro, sperando che questo induca i suoi genitori ad odiarmi. Non voglio più essere trattato con i guanti di velluto, non voglio essere visto come un eroe: voglio che mi riversino addosso la loro rabbia, voglio che mi detestino e che mi caccino via dalla loro vita a calci nel sedere.
    «Non è stata colpa tua» risponde la signora Corelli, riprendendo le mie mani tra le sue. «Le hanno sparato un colpo di fucile, e sappiamo che non sei stato tu.»
    «Non sono stato io a premere il grilletto, ma non sono nemmeno stato in grado di proteggerla. Lei contava su di me. Lei si fidava di me.»
    «E le hai regalato un anno meraviglioso. Era entusiasta di te, felice di averti accanto. Credo... beh, lei non lo ha mai detto, ma credo che ti amasse. Che ti amasse profondamente.» Alzo lo sguardo, confuso. Nonostante quello che è successo tra di noi, nonostante il tempo trascorso insieme, nonostante sia stata lei la prima donna a far crollare il solido muro delle mie convinzioni, nessuno dei due ha mai osato una confessione tanto violenta. «Credo che tu sappia del suo primo matrimonio, e soprattutto del modo in cui è finito.» Annuisco, ricordando la sua riluttanza nel parlare di quel rapporto così instabile e deludente, vissuto come un vero e proprio fallimento personale. «Dopo il divorzio, Maureen aveva giurato a se stessa di non innamorarsi più. Peggio, diceva di non voler avere più nulla a che fare con gli uomini. Diceva che al mondo c'erano cose più importanti di cui preoccuparsi, e che l'amore non era una di queste. Per anni le ho creduto, le ho creduto senza dubitare nemmeno per un istante che le sue convinzioni sarebbero vacillate. L'hai conosciuta, sai quanto valesse la sua parola.» Annuisco ancora, sapendo bene che Maureen era una di quelle persone incapaci di tradire le promesse fatte – in fondo, è anche per questo motivo che è stata uccisa. «Avevo rinunciato all'idea di saperla di nuovo felice accanto ad un uomo... poi sei arrivato tu. Quando sei arrivato nel suo gruppo non ti sopportava: ti trovava scomodo, saccente e ingombrante. Poi, con il passare dei mesi, qualcosa è cambiato. Non so che cosa tu abbia fatto per farle cambiare idea, ma qualunque cosa fosse sono contenta che tu l'abbia fatta. Rimpiango di non averla potuta vedere un'ultima volta prima che morisse, ma sono certa che se ne sia andata felice, perché tu eri con lei.»
    «Non ho fatto nulla di straordinario» mormoro. «Non ho fatto nulla, ho soltanto... ho solo...»
    «Tu l'hai capita» interviene il padre di Maureen, tornando in salotto con il caffè. «Abbiamo sempre saputo che nostra figlia non era una persona semplice, e purtroppo non siamo mai riusciti a capirla davvero. Tu lo hai fatto. Tu sei riuscito a comprenderla, sei riuscito a guadagnarti la sua fiducia e a mantenerla. Sei diventato una delle persone più importanti della sua vita, e noi ti siamo grati per esserle stato accanto, anche se per così poco. Se avesse avuto l'opportunità di vivere più a lungo, sicuramente lei... lei sarebbe stata felice, con te. Sarebbe stata finalmente felice.»
    Improvvisamente la signora Corelli si alza, lasciandomi solo sul divano. Scompare nella stanza accanto e ritorna un minuto più tardi, reggendo una scatola quadrata che appoggia sul tavolino di fronte a me. «Ci ha stupiti scoprire che Maureen aveva fatto testamento, ma quando ci hanno spiegato che viveva in una zona così pericolosa abbiamo capito il motivo che l'aveva spinta a... sistemare tutto prima che fosse troppo tardi. Non ci ha sorpreso che chiedesse di essere cremata, però. Ha sempre respinto l'idea della sepoltura.» Guardo la scatola con gli occhi spalancati, comprendendo che contiene le ceneri dell'unica donna che abbia mai amato davvero.
    «Non era la sua unica richiesta, però» aggiunge il padre, agitandosi un po' sulla poltrona. «Voleva essere portata in Colombia. Sul Cumbal, per la precisione. E voleva che fossi tu a portarla lì.»
    «Avremmo dovuto chiamarti tempo fa, ma volevamo restare con lei ancora un po'. Non tornava a casa da molto tempo.» La signora Corelli sorride appena, piegando soltanto un angolo della bocca. «Non che si sia mai sentita veramente a casa, qui. La sua vita era in Colombia, ormai. Viveva e respirava soltanto per quel campo.»
    «Ci hai risparmiato l'incombenza di telefonarti per chiederti di...» Il signor Corelli ha un'esitazione, come se ancora non riuscisse ad accettare l'idea che sua figlia sia morta. «Sappiamo che non è una richiesta semplice, ma è una delle ultime volontà di Maureen.»
    «Certo, lo farò» rispondo all'improvviso, senza pensarci due volte. Nonostante tutto il tempo trascorso, basta l'idea di Maureen per farmi scattare come una molla, pronto ad andare anche in capo al mondo. Forse non lo direi mai ad alta voce, ma sarei ancora pronto a fare qualunque cosa per lei. «La porterò sul Cumbal.»
    I genitori di Maureen si scambiano un sorriso e una lunga occhiata. «Charlie, andresti a prendere lo scatolone? È nella stanza di Maureen.»
    «Lo scatolone?» domando, sempre più confuso.
    «Nel suo testamento, Maureen aveva stilato una lista di cose che voleva fossero date a te. Ci rendiamo conto che è passato un sacco di tempo... avevamo intenzione di dartele, ma non riuscivamo ancora a separarcene. Ci sembrava che non fosse ancora arrivato il momento.»
    «Ma certo, capisco perfettamente.»
    Il signor Corelli scende dal piano superiore reggendo una scatola dalla quale sbucano mille ricordi di lei, oggetti di cui mi aveva parlato e cose di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza. Sorrido alla vista dei suoi dischi dei Beatles, dei libri che aveva con sé in Colombia, e d'istinto mi domando quali altri tesori scoprirò. «Questa probabilmente la ricorderai» sorrise la signora Corelli, prendendo dallo scatolone un minuscolo sacchetto di velluto. Lo capovolse, e si lasciò scivolare nel palmo della mano la catenina con la medaglietta di san Cristoforo dalla quale Maureen non si separava mai. «Anche prima di leggere il testamento ero sicura che questa l'avrebbe lasciata a te» prosegue, sporgendosi in avanti per mettermela al collo. Le sue dita mi sfiorano il petto, indugiando per qualche istante sulla medaglietta. «Ha sempre avuto molti dubbi in materia di religione, ma se c'è una cosa della quale sono certa non abbia mai dubitato, è che ognuno di noi ha un santo protettore. Questa è una convinzione che non l'ha mai abbandonata.»
Annuisco per l'ennesima volta, tornando con la mente alle nostre antiche discussioni. «Discutevamo spesso di religione» ammetto. «O meglio, litigavamo spesso di religione. Lei aveva le sue opinioni, e io le mie. Non sempre era facile metterci d'accordo.» Stringo la medaglietta tra le dita, sentendo che mai come in questo momento Maureen mi è vicina. «Vi prometto che andrò in Colombia non appena mi sarà possibile. Maureen riposerà in pace.»

    Un'ora più tardi, dopo aver accettato un caffè e aver soddisfatto alcune delle loro curiosità, saluto i signori Corelli ed esco dalla casa che ha visto crescere Maureen, ma che non è mai stata in grado di contenere il suo straordinario cuore. Sistemo lo scatolone sul sedile accanto, e dopo aver acceso il motore e allacciato la cintura lo guardo a lungo, trattenendo a stento le lacrime. Inizio il mio viaggio verso sud-est, e mi sento come se sul sedile accanto ci fosse davvero lei.
   
 
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